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UN FERRAGOSTO AL TWIGA, TRA FERRARI, GIRAFFE E PARVENU: “QUI CE FAMO SPENNA'”

“MA ALMENO LI VEDEMO, ‘STI VIP? ABBELLI, IO NUN POSSO MICA ACCENDE UN MUTUO PE’ BRIATORE”

Volevano un racconto per il giorno di Ferragosto. Bisognava andare sul sicuro. Capito: allora, Twiga.
Ma intanto: preparativi con partenza dalla Maremma, Capalbio e dintorni, stabilimento Ultima Spiaggia, un ventaccio ruvido e le foto in bianco e nero di Umberto Eco e Carlo Caracciolo, Alberto Asor Rosa e Furio Colombo, il ricordo di Andrea Purgatori che qui fu principe, una certa gauche dei tempi andati, memorie in dissolvenza tra figli e nipoti, adesso anche qualche tatuaggio, qualche perizoma, ma ancora scosse sinistrorse («Quando vedi la Santanchè, chiedile se a settembre si dimette») e graffi radical chic («Fai foto, eh»), come alla vigilia di un safari antropologico — e in effetti al Twiga, all’ingresso del bagno più famoso d’Italia, ci sono due giraffe di cartapesta a grandezza naturale; però, raccontano, in certe serate speciali Flavio Briatore sguinzaglia proprio quelle vere, un lampo di Kenya in Versilia, a Marina di Pietrasanta, dove arriveremo tra un paio d’ore.
La via Aurelia è per lunghi tratti sempre stretta e tortuosa e c’è un sole bollente, a picco. Suggestioni cinematografiche inevitabili. Guidi pensando a quel capolavoro di Dino Risi, Il Sorpasso, con Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant, con la bellezza definitiva di una giovanissima Catherine Spaak, niente a che vedere con le ragazzine piene di piercing che bevono shottini nei bar, le orribili Barbie-Birkenstock ai piedi: e poi, a Castiglioncello, per caso, o solo per grandiosa magia, alla radio dopo Tiziano Ferro passano pure «Don’T Play That Song» cantata da Peppino di Capri.
Ora seguitemi.
Il parcheggio del Twiga è piccolo, ordinato. Una Ferrari gialla, un paio di Porsche, molte biciclette colorate. Reception: biondina gentile, ma gelida, mi squadra con distacco (poi scoprirò che il personale è addestrato a capire chi è veramente ricco, e chi finge di esserlo). «Ha prenotato?». Si capisce che le piacerebbe dirmi che no, guardi, siamo overbooking. Invece ho prenotato. «Effettivamente… sì, ecco qui il suo cognome. La carta di credito, prego». Ci sono solo tende. Cinque file da nove. Ogni tenda: 600 euro al giorno (nota per l’amministrazione di via Solferino: ho la ricevuta).
Due conti
Entro facendo calcoli meschini. Con l’incasso relativo a un solo cliente, che per l’intero mese di agosto ammonta a 18.600 euro, il Twiga paga il canone d’affitto che deve allo Stato per la concessione annuale della spiaggia: 17.619 euro. Il resto è un fatturato che oscilla tra gli 8 e i 9 milioni. Più che uno stabilimento balneare, uno stabilimento per fare soldi, soldi e ancora soldi.
Fu aperto nel 2001 (genialata assoluta) da Flavio Briatore, Daniela Santanchè, Paolo Brosio e Davide Lippi, figlio di Marcello, l’ex ct della nazionale campione del mondo. Poi Lippi s’è sfilato e Brosio ha incontrato la fede: così tutto è rimasto nelle mani di Flavione, come lo chiamano gli habitué, e della ministra del Turismo. Finché al governo — i soliti sensibiloni — sono stati sfiorati dal sospetto di un possibile (possibile, eh) conflitto di interessi e allora lei ha ceduto le sue quote al compagno Dimitri Kunz d’Asburgo, noto per avere anche altri undici cognomi e un titolo nobiliare su cui penderebbe una diffida.
La tipa bionda fa strada verso la tenda. Atmosfera etnica, arredamenti Africa style, tipo Malindi. Camminiamo tra palme e vetrine di bambù (Valentino, Givenchy, Ferragamo, Bulgari), c’è un centro estetico, sulla destra una piscina, più avanti un bar con il tetto di paglia. Breve sentiero, poi la spiaggia. Il primo colpo d’occhio che scorre sulla tendopoli scatena una botta di stupore: tutto qua?
A Rimini, tra un ombrellone e l’altro, c’è più spazio. La ragazza indica la mia tenda: «Ora una mia collega le porterà due bottiglie d’acqua. Sono un omaggio». Perché Flavione sa essere generoso con i clienti. Comunque: volete sapere in cosa consiste questa tenda pagata come fosse un villino? Ci sono un divano, 2 letti, 2 lettini, un tavolo e una sedia da regista.
Esame sommario dei vicini. A sinistra, una famiglia di bergamaschi carichi d’oro, ma oro massiccio. Collane, anelli, orecchini. Madre e figlia si assomigliano, sembrano sorelle. La madre ha un viso da quarantenne montato su un corpo da settantenne. Aspettano un certo Dado. Se ho ben capito — siamo vicinissimi, è inevitabile impicciarsi — Dado dovrebbe arrivare da Montecarlo insieme alla Susy, dove hanno fatto serata nell’altro Twiga, sotto la supervisione di Flavione in persona. Qui non si capisce se comparirà la ministra. Sperano molto di incontrarla quelli accampati qualche tenda più avanti. Due sorelle romane con i rispettivi mariti. Sono in vacanza a Marina di San Nicola, sul litorale laziale, poco più a nord della leggendaria Coccia di Morto: però si sono voluti regalare una giornata da riccastri, alloggiano in un tre stelle di Viareggio, toccata e fuga, anche se il marito della più giovane, Sergio detto Sergione, suppongo per la pinguedine incipiente, non è d’accordo. «Dico io: ma che c’entramo noi qua?». È un’esperienza. «No: è una follia. Lei, scusi, è abbonato?». Come voi: solo oggi e poi vado via. «Dimose la verità: se semo venuti a fa’ spennà. Ma almeno li vedremo ’sti vip?».
Vip e politici
Può capitare, certo. Buffon e la Seredova si conobbero qui. Ancelotti e Galliani vennero a festeggiare la Champions vinta nel 2007. Chiara Ferragni e Barbara D’Urso prendono l’aperitivo, cenano e si fermano a ballare (pare che la piscina, con copertura automatica, si trasformi poi in pista). Passano in tanti: Kate Moss e la Marcuzzi, Bobo Vieri e Pippo Inzaghi. Il dogma è: esserci, farsi vedere, status, edonismo social, stories su Instagram, caccia ai like. Avvistati perciò, negli anni, anche molti politici. Compresi Matteo Salvini e Matteo Renzi. A fine luglio s’è riunito lo stato maggiore di Italia Viva: Bonifazi/Boschi/Nobili, più Andrea Ruggeri, il direttore del Riformista (Carlo Calenda furibondo: «Visita inopportuna, vista la situazione giudiziaria della ministra. Io poi sono taccagno: ho una madre valdese e quel posto, letteralmente, mi ripugna»). Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, invece lo adora. Anche perché sa che, da queste parti, si fanno affari notevoli: sua moglie Laura De Cicco e Dimitri Kunz d’Asburgo, nel giro di un’ora, hanno comprato e rivenduto la villa del sociologo Francesco Alberoni guadagnandoci sopra un milione d’euro netti.
Rolex (e patacche)
Passa un ambulante nigeriano e cerca di vendermi un Rolex Daytona tarocco. La faccenda un po’ insospettisce, perché qui tutti hanno orologi pazzeschi ai polsi. C’è anche un efferato sfoggio di borse Gucci e sandali Hermès. Mi ritrovo un altro ambulante seduto accanto: «Tu, amico, volere coperta di cachemire?». «No, grazie». «Tu poverello, vero?». Spunta un paparazzo: «M’hanno detto che dovrebbe presentarsi Belén con un gruppo di amiche». Intanto si presenta una cinese che offre un massaggio. La signora anziana della tenda accanto si stende chiedendo che non le venga però sfiorato il viso, tirato da una ragnatela di fili sottocutanei.
All’una, poi, succede quello che succede anche nel vostro stabilimento: si mangia.
Camerieri in divisa e svelti, cortesi, concentrati, tutti collegati con l’auricolare. Portano il menu, su cui si è molto favoleggiato. I prezzi del ristorante sono sul serio alti. Per capirci: spaghetti alle vongole, 30 euro. Linguine all’astice: 38. M’incuriosiscono gli «Spaghetti Flavio»: 20 euro. Cosa avranno inventato di così economico in omaggio al padrone?
Clientela: tedeschi, americani, una famiglia araba. Tre tavoli di italiani (si sente la voce di Sergione: “Mortacci… er tonno co’ i capperi 42 euro!”). Il cameriere va e viene come un farfalla e mi spiffera che mancano molto i russi, il Dom Perignon lo usavano pure per farsi la doccia. Chiedo di poter andare in bagno.
Mi indirizzano in due cessetti imbarazzanti (non ho capito se per i veri ricchi ce ne siano di migliori, può darsi). Questi sono stretti come quelli di un Frecciarossa. Uno ha pure la serratura sfondata, sono molto sporchi. Scatto qualche foto. Flavione, ma da quant’è che non vieni a controllare?
Al tavolo trovo i suoi spaghetti fumanti. In pratica: uno spago aglio e olio, senza peperoncino, e con due pomodorini due, tagliati a metà, che decorano il piatto. La cottura, però, è perfetta. Poi, un espresso Illy. Conto: 38 euro. Faccio il micragnoso: no, scusate, come ci siamo arrivati? Ah, beh, si, certo: una bottiglia di acqua la mettono 10 euro.
Tutti, lentamente, torniamo sotto le tende.
Molti già dormono. La vecchia qui accanto ronfa a bocca aperta. Siamo talmente attaccati che bisogna parlare a bassa voce. Tolgo la suoneria al cellulare. Un tipo con la pancia gelatinosa legge la Guida Michelin. Non vedo altri libri. Qualche iPad. Noto cani rarissimi. Una signora racconta che il suo norsk lundehund, uno spitz norvegese, ha le zampe con sei dita. I bambini sono pochi e tristi. Non corrono, non gridano, non costruiscono castelli, non giocano a pallone e osservano, con occhiate d’invidia, i coetanei felici degli stabilimenti accanto. Una bambina è vestita come fosse appena uscita da una sfilata di Pitti.
Il Burraco
Sono le cinque del pomeriggio e il mare è calmo, le Alpi Apuane si stagliano su un cielo celeste e c’è una leggera brezza che trascina l’odore dolciastro di creme solari. Lei, la Santanchè, compare di colpo: sfavillante e con un cappello bianco e gli occhiali da sole, preceduta da Dimitri Kunz, gran fisicaccio. Prendono posto nella tenda reale. La ministra è subito come sempre molto accogliente — «Il Corriere al Twiga! Ma che bello!» — è di ottimo umore e sorridente: mi presenta sua sorella Fiorella, silenziosa, sguardo distratto, arriva suo figlio Lorenzo, poi spunta Rita, la sorella di Flavione, e insomma il clima è familiare e spontaneo, rilassato, tra un po’ è prevista una partita a Burraco.
Sto per chiederle se in autunno, a causa delle accuse di «bancarotta» e «falso in bilancio», tema che possano farla dimettere. Ma lei ha una scossa di telepatia, e mi anticipa: «Sembro preoccupata? Guardi: un giorno qualcuno dovrà chiedermi scusa, altroché. E comunque: al Senato, il giorno della sfiducia chiesta da quei poverini dei 5 Stelle, visto come mi è stato sempre accanto Salvini? E quelli di Forza Italia? Dai, deliziosi». Alla buvette però facevano facce brutte. E comunque sono soprattutto quelli del suo partito, i Fratelli d’Italia, che non la sopportano tanto. «Scherza? Mi adorano. Sono state scritte un mucchio di falsità, mi creda». Prima di andare in vacanza il governo ha comunque combinato un bel pasticcio con le banche. «Cosaaa? Siamo stati coraggiosi e giusti, l’abbiamo fatto per gli italiani. Giorgia è una che vede lungo». A proposito: verrà? «No. Quest’anno è premier e qui è tutto troppo aperto: la sua scorta impazzirebbe. Meglio una masseria in Puglia» (Giorgia Meloni è venuta al Twiga tre anni di seguito, sempre accompagnata dalla figlia Ginevra e dal compagno, l’ormai — quasi — mitico Andrea Giambruno. Mai paparazzati, sempre molto low profile, c’è solo un ritaglio di Diva e Donna in cui si racconta che, nel luglio del 2020, una notte, alle 2, Giorgia incontrò il celebre sensitivo Solange e lui, dopo averle letto la mano, le predisse un periodo di grande successo).
La ministra Santanchè dice che domani c’è la serata Karaoke e che sarebbe da matti perdersela. Mi mostra la sua Birkin rosa («La prima me la regalò, a 18 anni, mio padre»), ci salutiamo, e lei inizia a giocare a carte. Vado alla tenda, raccolgo le mie cose. I camerieri cominciano a volteggiare sulla sabbia servendo mojito e spritz. Sergione, saggiamente, avverte i familiari: «A bbbelli, io nun posso mica accende un mutuo pe’ Briatore… l’aperitivo se lo annamo a prende fori».
Passo davanti a una signora vestita di nero, simil-direttrice, palestrata, un po’ canotto, che mi osserva disgustata, mentre parla al cellulare. «Sì, ce l’ho davanti… questo con i calzoncini a quadretti e la camicia blu… L’avevo notato, pessimo soggetto. Certo, tranquilla: lo seguo finché non esce».
Arrivo alla macchina, mi guardo intorno. Dove si pagherà? Torno dalla biondina alla reception: dovrei pagare il parcheggio. «È gratuito». In che senso, scusi. «Nel senso che è gratis».
Flavione, sei un grande.
(da Il Corriere della Sera)

This entry was posted on martedì, Agosto 15th, 2023 at 13:52 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

« LA CURA CHE MERITA IL TURISMO NON PREVEDE RINCARI E FURBIZIE
A “COCCIA DI MORTO” TRA BAR AZUR, MELONIANI E COTTON FIOC A MOLLO »

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