BRUNETTA DA’ UNA LEZIONE DI ECONOMIA A SALVINI: IL TAGLIO DELL’IVA NON SERVE ED E’ FRUTTO DI FACILONERIA IMPROVVISATORIA
LA STRADA MAESTRA E’ RIDURRE L’IRPEF, NON SI PUO’ CONTINUARE A FAR CRESCERE IL DEFICIT SPARANDO PROPOSTE A CASACCIO A SECONDO DI COME CI SI ALZA
La proposta di taglio dell’Iva da 20 miliardi, avanzata in questi giorni dalla Lega di Matteo Salvini, ha l’amaro retrogusto della faciloneria improvvisatoria e dell’indebolimento della credibilità per chi, all’interno del centrodestra, combatte da anni per un fisco più giusto e da mesi per aiuti mirati e non a pioggia.
Sia che la si guardi dal lato degli aiuti transitori a fronte della attuale situazione, sia che la di guardi dal lato della proposta a regime di riduzione del carico fiscale, quella di Salvini è una proposta che non regge e danneggia le battaglie di tutto il centrodestra.
Se la proposta è funzionale ad un aiuto transitorio, è del tutto evidente che i tagli di aliquote non distinguono tra chi ha bisogno e chi non ne ha.
L’inefficienza nell’investire in questo modo 20 miliardi di preziosissime risorse finanziarie è talmente lampante da non necessitare di altri commenti.
Se la proposta è, invece, funzionale a una riduzione a regime della pressione fiscale, nell’ottica di lubrificare la ripartenza, è altrettanto evidente, per lo meno a chi ha sempre creduto nella serietà delle proposte del centrodestra, che tradisce in modo davvero clamoroso quella che per noi è sempre stata la priorità : ridurre le tasse sui redditi, a cominciare dal ceto medio.
Intendiamoci, il taglio delle tasse è sempre una politica economica da valutare positivamente. Tuttavia, appare evidente che una operazione del genere non possa essere fatta alla leggera, prescindendo dal contesto economico nel quale essa avviene, dagli equilibri di finanza pubblica che devono essere tenuti in considerazione e dalla tipologia di tasse che si intende tagliare.
Partiamo da una considerazione banale. Le tasse, per quanto mal sopportate, sono tuttavia necessarie per finanziare le spese dello Stato.
E se queste, le tasse, non sono sufficienti a coprire tutte le spese, lo Stato si deve indebitare, come sempre ha fatto lo Stato italiano negli ultimi decenni.
Complice la crisi da pandemia, le finanze pubbliche italiane hanno toccato un nuovo record storico di debito pubblico, accompagnato dal ritorno del deficit a due cifre, nell’esatto contesto storico in cui, con fatica, l’Italia stava dirigendosi verso il pareggio di bilancio. L’eccesso di deficit di quest’anno e dell’anno prossimo devono essere quindi considerati come temporanei e per nulla si può pensare di effettuare politiche espansive senza limiti nei prossimi decenni.
Finita questa crisi, si spera al più presto, volenti o nolenti, bisognerà tornare a pensare alla sostenibilità della nostra finanza pubblica. Per questo motivo, se taglio delle tasse ci deve essere, occorre selezionare attentamente e con criterio quali tasse tagliare, nella consapevolezza che tutto non si può tagliare.
Un aiuto, da questo punto di vista, ci arriva dalla teoria economica della tassazione e dall’evidenza empirica, le quali mostrano inequivocabilmente che la tassazione diretta (redditi da lavoro e da impresa) è più nociva per l’economia di quanto lo sia la tassazione indiretta (consumi), perchè provoca maggiori effetti distorsivi sull’offerta di lavoro e di capitale e, di conseguenza, sul Pil e sul benessere della società .
In altre parole, l’Irpef e l’Ires sono imposte più distorsive per l’economia di imposte come l’Iva. Non a caso, questa evidenza empirica è stata fatta propria dalla Commissione Europea, che da anni, nelle sue Raccomandazioni Paese, invita il Governo italiano ad abbassare la tassazione dei redditi in cambio di un aumento della tassazione dei consumi. Uno switch fiscale che Bruxelles reputa conveniente per il nostro Paese.
Un suggerimento però che è sempre rimasto inascoltato, nonostante, di recente, l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria si fosse mosso per attuare proprio una politica di questo tipo.
Anche in una situazione di enorme crisi come quella attuale, possono venire meno le risorse ma non devono venire meno i principi economici sui quali bisogna effettuare le scelte. Ecco perchè, se vi è la possibilità di tagliare le tasse nella prossima Legge di bilancio, occorre pensare al taglio di quelle sui redditi, non di quelle sui consumi.
Il taglio dell’Iva può sembrare appetibile come proposta, ma non è la migliore che il Governo possa fare. Per aumentare i consumi non è necessario tagliare le aliquote, ma occorre abbassare le tasse sul reddito da lavoro delle famiglie, in maniera che il salario netto aumenti e di conseguenza il potere di acquisto, che può essere impiegato per aumentare la domanda.
Ma con in più il beneficio di ridurre il costo del lavoro, incentivandone l’offerta e l’occupazione. Sotto qualsiasi punto di vista, il taglio dell’Irpef si rivela superiore rispetto a quello dell’Iva e, per questo, è quello che andrebbe sostenuto.
Quale credibilità potrà mai avere la nostra proposta di flat tax, se invece di continuare a portarla avanti con determinazione, spostiamo continuamente il tiro saltando di palo in frasca, a seconda di come ci siamo svegliati quella mattina?
Noi siamo da sempre consapevoli della grande difficoltà di arrivare in tempi brevi a una flat tax sui redditi per tutti, ma sappiamo anche che essa costituisce un faro politico utile a indirizzare tutti gli sforzi di graduale avvicinamento nella giusta direzione.
Già solo arrivare a metà di quel percorso, in una legislatura, sarebbe un grande successo per tutti quei contribuenti che oggi pagano il 38% già a partire da 28.000 euro.
Ecco un obiettivo di serio riformismo che potrebbe mettere insieme maggioranza e opposizione, fuori da ogni schema ideologico e da ogni inutile contrapposizione.
Renato Brunetta
(da “Huffingtonpost”)
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