CAOS FORZA ITALIA, LA PAURA DEL CAVALIERE: “EVITERO’ LA RIVOLTA INTERNA”
FITTO RIUNISCE I SUOI: “PRONTI A DARE BATTAGLIA”
«Non è giornata». Click.
Pragmatico, Denis Verdini mostra di non aver tempo da perdere. In Forza Italia infuria la tempesta e in mezzo c’è finito lui, il pilastro del Nazareno.
La corte di Arcore tenta di emarginarlo, non sopporta il suo filo diretto con il premier. Pretende di sostituirlo con Paolo Romani, che intanto dissimula: «Il mediatore — sostiene — è e resta Verdini».
Il big toscano, nel dubbio, resiste e graffia. Ed è proprio in questo vuoto di potere, con Silvio Berlusconi confinato tra le quattro mura di Arcore, che prende forza la fronda di Raffaele Fitto.
In pochi giorni i suoi diciassette senatori sono destinati a diventare una ventina, mentre i quindici deputati cresceranno di un paio di unità .
Quaranta parlamentari sul piede di guerra, con i quali il leader è costretto a fare i conti. La fotografia più nitida di un partito allo sbando.
Il livello di guardia è superato da un pezzo. Le correnti, litigiose, lottano per la sopravvivenza.
Almeno mezzo gruppo del Senato non considera praticabile una riforma elettorale con premio di maggioranza alla lista.
«È ovvio che cresciamo di numero — ammette candidamente il senatore fittiano Vincenzo D’Anna — Sa, per noi è facile: di fronte all’immobilismo degli altri…».
I numeri del malcontento sono planati sulla scrivania di Arcore, togliendo serenità al leader.
«È il momento dell’unità — ha quasi urlato — e io invece rischio di perdere il controllo. Questi signori sono in Parlamento grazie a me, se ne ricordino». E però non è facile, per l’ex premier, trattare con Renzi sapendo di non poter contare su un terzo dei 120 parlamentari azzurri.
Strattonato da una parte e dall’altra, Berlusconi decide a metà pomeriggio di silenziare tutti. Non a caso, dopo ore di martellante batteria sui media in chiave anti Pd, gli azzurri scompaiono dai radar.
In mezzo, pare, anche l’intervento di Fedele Confalonieri. I vertici delle aziende di famiglia non sopportano l’ipotesi di archiviare il patto del Nazareno.
Zitti tutti, allora, per non disturbare la trattativa in corso sulla legge elettorale, affidata ancora una volta al rapporto diretto di Verdini con gli emissari toscani di Renzi.
«La migliore dote di Denis è che non si arrende mai e cerca sempre il dialogo », ricorda Ignazio Abrignani.
Poco importa allora che il cerchio magico che risiede in Brianza, emarginato dalle decisioni che contano, provi insistentemente a invertire la rotta.
Maria Stella Gelmini e Giovanni Toti sussurrano all’ex premier di ridimensionare Verdini. «Così diventa più facile mettere ordine nel partito».
Il problema è che non possono contare su truppe consistenti, mentre Verdini — sia pure da posizioni politiche quasi opposte — non ha mai interrotto il dialogo con il big pugliese. E proprio con l’europarlamentare pugliese il Cavaliere è costretto a fare i conti.
La prima prova di forza della minoranza interna si consumerà già domani, nel cuore di Roma, quando andrà in scena la prima uscita pubblica della neonata componente. «Qui non si tratta di correnti — spiega il deputato Pino Galati — ma di tesi che guadagnano consenso perchè, com’è ovvio, si fanno spazio tra i più ragionevoli. Vedrete, alla fine converrà anche a Berlusconi».
Fitto, che gioca questa sfida come una partita a scacchi, immagina già le prossime mosse. Dialoga con Matteo Salvini, ragiona con Giorgia Meloni, si confronta con Ignazio La Russa.
Non si espone pubblicamente, ma ai suoi fedelissimi ha spiegato la linea: «Non è un problema di premio di lista, ma di come ci arriviamo. Se ad esempio ci fossero le primarie, potremmo costruire un’intesa anche con gli alleati.
L’importante è fare politica e affrontare i nodi irrisolti». La vera sfida, però, sarà lanciata il 27 novembre — all’indomani delle Regionali — con una convention nazionale che si trasformerà in una vera e propria prova di forza.
Una tenaglia, insomma, rischia di stritolare il Cavaliere.
A Palazzo Madama, intanto, l’insofferenza stenta a rimanere negli argini.
Basta ascoltare cosa ha da dire il senatore D’Anna: «La legge elettorale senza preferenze noi non la votiamo, perpetuerebbe un Parlamento di muti astanti. Per non parlare di quella con i capilista bloccati, che prevedono una odiosa discriminazione». D’Anna ha già avuto modo di confrontarsi aspramente con Berlusconi, qualche mese fa nel corso di una tesissima riunione di gruppo.
Una scena che rischia di ripetersi presto, appena il leader troverà il coraggio di convocare i parlamentari per comunicare l’esito del braccio di ferro con Renzi.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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