CEDERE, OBBEDIRE, COMBATTERE: IL PASSO INDIETRO DI GIORGIA MELONI SULLE NOMINE E’ FRUTTO DI UN ACCERCHIAMENTO DI COMPAGNI DI PARTITO E ALLEATI
I SUOI FEDELISSIMI LE HANNO FATTO CAPIRE CHE SULLE NOMINE DI STATO LEGA E FORZA ITALIA ERANO PRONTI A FAR DEFLAGRARE LA COALIZIONE – L’HA CHIAMATA ANCHE IGNAZIO LA RUSSA, UNO DEI TANTI SPONSOR DI CATTANEO
Non è finita qui. L’esclusione a sorpresa, e all’ultimo secondo, di Stefano Donnarumma da Enel, per far posto a Flavio Cattaneo, sembrava il semplice risultato di un compromesso quasi dovuto. Una concessione agli alleati che chiedevano a Giorgia Meloni di non stravincere, di non imporsi sulle grandi partecipate per dimostrare la propria forza politica.
E invece è un cedimento che la premier ha vissuto come uno strappo.
Donnarumma era stato uno dei primi manager a legarsi a Meloni. era stato rassicurato personalmente che avrebbe traslocato da Terna a Enel. Meloni è furiosa. Tanto che ieri fonti ai vertici di FdI davano già per pronta la controffensiva tattica della premier. Per Donnarumma ci sono due possibili destinazioni. La prima in Cassa depositi e prestiti, pare a Cdp Ventures. La seconda, a Rfi. Quest’ultima sa di vendetta ed è un’idea che sta coccolando Meloni per rispondere a Matteo Salvini, e ribilanciare a proprio favore le nomine.
Sulla controllata del Gruppo Fs che gestisce la rete ferroviaria nazionale si deciderà a giorni e il leader leghista da settimane lavora con la certezza di avere lui l’ultima parola sul futuro manager che avrà in mano 24 miliardi del Pnrr. Il prossimo scontro, c’è da scommettere, sarà su questa società.
Meloni vuole dare una promozione a Donnarumma, il manager che è stato abile ad affrancarsi dai 5 Stelle che lo avevano piazzato prima ad Acea e poi a Terna, per orientarsi verso Meloni quando era all’opposizione ma i consensi cominciavano già a gonfiarsi (ad aprigli le porte di FdI pare sia stato Giuseppe Del Villano, dirigente vicino alla destra romana dell’ex sindaco Gianni Alemanno, che Donnarumma si portò da Acea a Terna).
Troppe pretese, troppi veti, secondo i leghisti e i berlusconiani. Gli amici di partito, i fedelissimi di una vita, chi, in fondo, aveva capito che sulle nomine di Stato gli altri soci del centrodestra sono pronti davvero a far deflagrare la coalizione, consigliano alla premier di non irrigidirsi ulteriormente: «Qualcosa dobbiamo lasciare».
La chiamano in tanti. Anche Ignazio La Russa, il presidente del Senato, uno dei tanti sponsor di Cattaneo. Gianni Letta, il mediatore di Berlusconi, demiurgo del potere romano, prova a dissuaderla.
Poi, di fronte al muro di Palazzo Chigi, alla vigilia del giorno decisivo – martedì – Salvini fa parlare il suo capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari: «Bizzarro se a scegliere fosse un solo partito». Messaggio chiaro, chiarissimo, che il segretario del Carroccio ribadisce anche privatamente. «Giorgia deve capire che non si può governare così».
La richiesta è semplice: Salvini vuole che non sia lei a scegliere almeno un ad. E se Meloni insiste sulla priorità di avere una donna a capo di una partecipata, l’unico sacrificabile, a cascata, resta Donnarumma. Su queste premesse nasce l’offensiva su Cattaneo, sostenuto dall’asse Lega-FI.
(da La Stampa)
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