COMPARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI ALL’UTILE: COME MAI SE NE PARLA SOLO QUANDO CI SONO PERDITE?
LA PROPOSTA DI TREMONTI DI DIVIDERE IN DUE IL SALARIO, UNA PARTE FISSA E UNA LEGATA AGLI UTILI DELL’AZIENDA, E’ IMPRATICABILE… IN GERMANIA E’ LEGATA ALLA GESTIONE DELL’IMPRESA ED HA SENSO… IN ITALIA LE AZIENDE UFFICIALMENTE NON HANNO QUASI MAI UTILI… MEGLIO LA CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO
Al Meeting di Comunione e Liberazione, il ministro Tremonti ha estratto una nuova-vecchia idea dal cilindro: la compartecipazione dei lavoratori all’utile dell’impresa, un sistema, a suo dire, per uscire dalla crisi. ,
Ha parlato in termini generali di “concretizzare lo stare insieme nella stessa azienda”, in termini in verità un po’ vaghi.
Il rischio è che si tratti del solito annuncio mediatico di cui dopo due giorni non si sa più nulla.
La prima osservazione che balza agli occhi è che è alquanto singolare che si parli di compartecipazione agli utili, quando questi sono praticamente inesistenti, a causa della crisi economica internazionale che tutto lascia pensare avrà riflessi anche nei prossimi anni.
La proposta rischia di diventare più una compartecipazione alle perdite che agli utili, tanto per capirci.
In pratica il lavoratore avrebbe il salario diviso in due parti: una fissa e una dipendente dal livello dell’utile, che quando l’utile non c’è si azzera.
Poichè il lavoratore ha però il brutto vizio di mangiare tutti i giorni e non solo 15 giorni al mese, la proposta avrebbe senso se si aumentasse la parte fissa per garantire la tenuta del livello salariale, quando la mancanza di utile azzerasse la parte variabile.
Le imprese non sarebbero certo interessate ad aumentare la parte fissa e il lavoratore a rischiare di guadagnare meno.
I sindacati dei lavoratori non accetteranno mai una compartecipazione, a meno che non venga loro concesso di partecipare direttamente alla gestione delle imprese.
Ma Tremonti ha escluso schemi tipici della Germania, dove i sindacati hanno voce in capitolo sulla gestione delle aziende.
Se poi tutti volessero il più possibile, si correrebbe il rischio di mantenere troppo bassa la quota degli utili da reinvestire.
Ci sono poi obiezioni pratiche: la maggior parte delle imprese italiane non registra utili, per motivi fiscali, quindi cosa verrebbe ripartito?
In secondo luogo l’utile è una variabile facilmente manipolabile dall’imprenditore con scelte sia formali che sostanziali, quindi sarebbe necessaria una partecipazione alla gestione.
Altra obiezione: se una parte degli utili viene distribuita ai lavoratori, chi rinuncia a quei soldi? Gli attuali soci, i piccoli azionisti?
Una strada impercorribile come vedete nei fatti, senza il coinvolgimento nella gestione aziendale. Meglio potenziare la contrattazione di secondo livello che significa una maggiore variabilità del salario tra settori, aziende e territori.
Moltissime aziende peraltro già ora concedono dei premi, incentivi e bonus legati al loro andamento.
In verità Tremonti fino ad oggi non ha operato liberalizzazioni, non sta tagliando la spesa pubblica, soprattutto non sta operando riforme e non sta riducendo le tasse, anzi ha annunciato che non lo farà fino alla fine della legislatura.
Tutte apparenti contraddizioni con il programma elettorale del centrodestra ma che, in tempi di emergenza, gli consentono di tenere le bocce ferme.
Forse anche per questo certe proposte finiscono per sembrare più provocazioni di una giornata che un piano programmatico da mettere presto in atto.
E l’idea sollevata della compartecipazione serve forse anche a questo. Dimostrare vitalità in una fase di apatia e di fermo economico…
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