FAIDE E CORRENTI, ALLEANZA PRECARIA CONTRO RAGGI E LA CORDATA DI MAIO
LOMBARDI ALL’ATTACCO, ANCHE CASALEGGIO JR SOTTO ACCUSA… DI MAIO IN MINORANZA NEL GRUPPO PARLAMENTARE
Mentre lapidano Virginia Raggi – con l’Ama paralizzata e il suo direttore generale dimissionario, l’Atac semicommissariata, il bilancio di Roma da approvare e un buco da approfondire – Beppe Grillo se ne torna a Genova, Luigi Di Maio si defila, Alessandro Di Battista è eclissato.
Con la classica tecnica in uso nel Movimento, le correnti – disparate, in lotta e cattive – si sono provvisoriamente unite nella loro specialità : scaricare tutto su un capro espiatorio.
E dire che a novembre Grillo chiese a tutti i consiglieri capitolini cosa ne pensassero di Marra: risposero tutti, nessuno escluso, che era ok.
Di Maio, ormai in minoranza nel gruppo parlamentare, ieri suggeriva la linea «aspettiamo, stiamo fermi, passerà ».
Stavolta non può reggere, neanche all’interno.
Il fronte opposto è troppo vasto e trasversale, ma chi ha la capacità politica di chiedere il conto, sia al vicepresidente della Camera sia, notizia, a Davide Casaleggio, che hanno difeso fino all’indifendibile la Raggi, è solo Roberta Lombardi; che definì Raffaele Marra «un virus che infetta il Movimento».
Lombardi ha due pretoriani non proprio inattaccabili (Marcello De Vito presentò Raffaele Marra a Frongia, che da ieri alle sette di sera non è più vicesindaco: si è dimesso, la Raggi ha respinto le dimissioni ma resta solo come assessore; e Paolo Ferrara, il consigliere di Ostia, dove il M5S è pieno di ombre), ma è donna di temperamento e, sua dote, sa essere cattiva.
L’altro che può dire «ve l’avevo detto» è Roberto Fico, politicamente l’opposto di Di Maio, ma un temporeggiatore.
Fico aveva provato a dire qualcosa a Grillo per tempo, anche sui leaderismi di Di Maio, ma Grillo gli rispose «vengo a Roma, ci chiudiamo tu, Luigi e io in una stanza e risolviamo tutto».
La Stampa raccontò la rivolta, e Fico negò tutto, anzichè rivendicare quel suo ruolo di alternativa a un M5S scalato e permeabile ai poteri e alla destra.
Di Maio è talmente indebolito che adesso si può alzare un deputato tra tanti, Giuseppe Brescia, e chiamarlo su Facebook «piccolo stratega»: «Chi ha difeso questa linea scellerata (della Raggi, nda) dovrebbe smetterla di giocare al “piccolo stratega” perchè evidentemente non ne è in grado e arreca solo danno al Movimento».
La comunicazione ufficiale, che nel M5S è il trait d’union tra gruppo parlamentare e la Casaleggio associati, non esiste più.
I capi sono un’estensione di Di Maio, e Lombardi e Fico vogliono la loro testa.
È con loro Paola Taverna, colei che mandò la mail in cui informava Di Maio dei guai giudiziari di Muraro («Io col cerino in mano non ci resto»); la mail che Di Maio «non avevo capito».
Però anche il giro-Taverna, l’ex mini direttorio romano, non è al riparo da tempeste. Fu Stefano Vignaroli, per capirci, a introdurre alla Raggi Paola Muraro, altra catastrofe per la sindaca; Vignaroli a tenere un canale con Manlio Cerroni, il «re dei monnezzari». Anche Vignaroli non si vede in giro da tempo.
Carla Ruocco è vicina all’ex assessore Marcello Minenna (che non ha gradito, eufemismo, come Di Maio, dopo avergli promesso radiose sorti future, l’abbia scaricato in un secondo), il quale a sua volta ha rapporto di stima con l’ex capo di gabinetto della Raggi, Carla Raineri.
Ruocco agisce in queste ore in piena intesa con Fico. È donna con un canale telefonico aperto con Grillo.
E con Fico stanno i parlamentari piemontesi: persone legate agli ideali ormai andati del M5S, trasparenza, distanza dai poteri. Come i liguri. O quelli del Nord Est, di Federico D’Incà .
Una scheggia incontrollabile in questi giochi è rappresentata dalla corrente dei siciliani fatti fuori (per ora) dopo la storia delle firme false: Riccardo Nuti e Claudia Mannino.
A ottobre alcuni di loro accusarono (la cosa uscì sulla Stampa) i vertici della comunicazione alla Camera di «lavorare per le Iene con i nostri soldi». Anche da Palermo, la storia delle firme false si potrebbe rivelare un boomerang per chi internamente l’ha cavalcata.
In questa guerra di tutti contro tutti, con alleanze precarissime solo in chiave anti-Di Maio e anti-Raggi, anche Davide Casaleggio è clamorosamente messo in discussione, privo com’è del carisma del padre.
Si fida di poche persone (Max Bugani, David Borrelli, Carlo Martelli), con le quali però ha in mano il sistema informatico, specifiche dei codici e password, e può accendere o spegnere quando vuole la luce in questa stanza dove tutti menano le mani, intuendo che piantare la banderilla sulla schiena della Raggi può non bastare a salvare la baracca.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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