GIORGIA TORNA IN MODALITÀ “SFASCIO TUTTO IO”: MELONI ORGANIZZA IL VERTICE DI MAGGIORANZA A CASA SUA , SCORTATA DA GIORGETTI, E INVITA SALVINI E TAJANI A DARSI UNA CALMATA CON LE RICHIESTE DI MODIFICA ALLA MANOVRA PERCHÉ I SOLDI NON CI SONO
“NIENTE BANDIERINE, DECIDE IL MINISTRO DELL’ECONOMIA”… LA DUCETTA HA FATTO SAPERE AGLI ALLEATI CHE SI TERRA’ LE DELEGHE DEL MINISTRO FITTO “ALMENO FINO ALL’INIZIO DEL 2025”
Nella nuova casa di Giorgia Meloni, sulla strada che porta al mare, vanno messe a punto alcune cose. Non molte, non ce n’è il tempo (Antonio Tajani arrivando precisa di avere una cena con il suo omologo francese) ma importanti. C’è la manovra da sistemare, ma anche un andamento generale, nella maggioranza, da riaddrizzare. Il clima tra i leader, oltre ai vicepremier c’è anche Maurizio Lupi, non è teso, d’altronde tra la vittoria della Coppa Davis e l’atmosfera domestica di una domenica prenatalizia non si presta ad asprezze.
Gli alleati litigano sulle misure da inserire in manovra e vengono invitati a darsi una calmata. La padrona di casa mette in chiaro alcuni aspetti, anche per evitare ulteriori zuffe. Il primo è la sostituzione di Raffaele Fitto, che fra due giorni diventerà vicepresidente della Commissione europea. Meloni informa gli alleati che le deleghe del ministro trasferitosi a Bruxelles resteranno a Palazzo Chigi, «quantomeno fino all’inizio del prossimo anno». Una maniera per prendere tempo su una decisione complessa.
Altra urgenza è la nomina di quattro giudici costituzionali: il parlamento si riunirà in seduta comune giovedì prossimo, ma anche stavolta la fumata sarà nera, perché l’accordo con le opposizioni ancora non c’è. I leader della maggioranza concordano: tutto rimandato di una settimana.
Ma è la manovra il piatto forte. Il passaggio chiave della nota diffusa da Palazzo Chigi, secondo gli esegeti notturni della maggioranza, è questo: «I leader hanno dato mandato al ministro Giorgetti di valutare, alla luce delle coperture necessarie, la praticabilità di alcune proposte».
Parole che vanno lette così: nessuno si deve intestare le misure della manovra, che vanno sempre condivise. E in ogni caso quello che decide è il ministro del Tesoro, uno che per ruolo e indole non è amante delle avventure. È in definitiva la riproposizione del solito monito della premier: «Niente bandierine».
Quello che, per l’appunto, è un film già visto, stavolta assume altri significati. I vessilli, infatti, non vengono esibiti dai partiti soltanto in occasione della manovra. Il discorso di Meloni va molto più in là, visto che i temi su cui ognuno sta andando per conto suo, all’interno della maggioranza, sono diventati, ai suoi occhi, troppi. I parlamentari sono i primi a notarlo, ormai su quasi tutti i provvedimenti c’è una corsa a distinguersi che non promette nulla di buono per i prossimi mesi.
Anche questo vertice, come quello della scorsa estate, è stato sollecitato da Antonio Tajani. Secondo l’interpretazione che ne dà Fratelli d’Italia, lo scopo di fondo di questa richiesta è certificare che i post berlusconiani hanno ormai consolidato il sorpasso sulla Lega e che «siamo il terzo partito nazionale», come ricordato da Tajani dopo le elezioni in Umbria. Il ministro degli Esteri sottolinea di non voler passare all’incasso, ovvero di non pretendere ministri o sottosegretari in più. Ma, senza disconoscere il politichese, Tajani chiede un «riequilibrio» sui temi.
Un parlamentare azzurro è più esplicito: «Abbiamo dovuto accettare l’autonomia, che tanti problemi ci sta creando e dobbiamo essere ricompensati». Forza Italia spera che il primo terreno della compensazione possa essere la manovra, ma Giorgetti e Meloni non lasciano speranze.
(da la Stampa)
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