INTERVISTA AL PREMIO NOBEL PAMUK: “DA NOI DUE MILIONI DI PROFUGHI, DI CHE VI LAMENTATE?”
“GIUSTO PUBBLICARE LE FOTO DI AYLAN, QUELLO SCATTO HA MOSSE LE COSCIENZE”
Il premio Nobel Orhan Pamuk parla con voce forte e chiara, scandendo bene le parole, disposto perfino a ripetere se capisce che qualcosa dei suoi discorsi non è stato colto.
Al Lido è ospite d’onore perchè ieri è stato presentato (alle «Giornate degli autori») «Innocence of memories», il documentario di Grant Gee dedicato al suo «Museo dell’innocenza», ma l’attualità di questi giorni è così bruciante da scavalcare i discorsi artistici e prendere subito il sopravvento
Istanbul, da sempre, è stata luogo di incontro di popoli e culture diverse, che cosa pensa del problema dell’immigrazione e dell’atteggiamento tenuto dai vari Paesi nei confronti del problema
«Sì, Istanbul e la Turchia sono crocevia di grossi movimenti demografici, non solo dall’Asia verso l’Europa, ma anche dalla Russia verso il Sud e dai Balcani verso la Turchia. È normale che persone povere e in difficoltà tentino di raggiungere in ogni modo l’Europa, e oggi la gente cerca di arrivare attraverso il nostro Paese… ma noi abbiamo sempre dato via libera a queste persone, arrivando ad accogliere 2 milioni di immigrati, mentre in Europa non ce n’erano più di duemila e ci si continuava a lamentare. Perciò adesso sono molto contento che la Germania abbia deciso finalmente di aprire le porte e far entrare queste persone»
Negli ultimi giorni la fotografia del bambino Aylan ha colpito al cuore le platee del mondo e, ovunque, si è molto discusso sulla scelta di pubblicarla. Qual è il suo parere?
«La mia idea è che dobbiamo smetterla di sopravvalutare il ruolo degli intellettuali».
In che senso?
«Nel senso che quell’immagine è mille volte più importante e decisiva, nel processo di cambiamento dei cuori e delle menti delle persone sul tema immigrazione, rispetto a qualunque dichiarazione o presa di posizione di intellettuali di qualunque parte del mondo. È uno scatto che ha smosso le coscienze degli europei, che li ha costretti a rivedere le loro posizioni. Anche in Turchia si è discusso molto sull’opportunità di rendere pubblica quella foto, io sono completamente d’accordo con chi lo ha fatto. Il dolore o il disagio avvertito dalla classe media europea davanti a quella foto non è lontanamente paragonabile a quello che provano le famiglie degli immigrati costretti a fuggire dai loro Paesi. Perciò, in ogni caso, era giusto mostrarla».
Quindi, nel panorama attuale, gli intellettuali non hanno più alcuna funzione?
«No, possiamo ancora fare qualcosa, criticare quando è necessario farlo, ma l’impatto delle nostre azioni, delle nostre proteste, nel mondo dominato dalle immagini è molto minore rispetto al passato».
Istanbul è al centro della sua vita e della sua ispirazione artistica. Che rapporto ha, oggi, con la sua città modificata dal tempo e dagli eventi?
«Sì, Istanbul è la mia città , ma non ho con lei un rapporto zuccheroso o idealizzato e non voglio averne una visione troppo romantica. Aver avuto la possibilità di seguirne lo sviluppo, da dentro, è stato importante, la mia città mi piace, ma io preferisco osservarla da un punto di vista analitico. Istanbul è la città che ha formato il mio carattere, è come la mia famiglia, il mio corpo, la accetto e cerco di guardare il mondo attraverso di essa».
Che cosa è «Innocence of memories»?
«È un film che ha tre caratteristiche diverse. È un documentario sul museo, un film sulla vita e sul lavoro a Istanbul, un trattato poetico sulla città ».
Che cosa rappresenta per lei il «Museo dell’Innocenza», il luogo dove sono raccolti gli oggetti e i ricordi del suo romanzo?
«Ricordare ci rende intelligenti e ci fa sopravvivere. Noi siamo memoria, e non esiste possibilità di essere felici senza ricordi».
Fulvia Caprara
(da “La Stampa”)
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