KIEV STA GIÀ PROVANDO A TORNARE ALLA NORMALITÀ: RISTORANTI CHE RIAPRONO DOPO 80 GIORNI, COPRIFUOCO SPOSTATO DI UN’ORA, METROPOLITANA CHE ALLUNGHERÀ L’ORARIO SERALE
SONO I TIMIDI SEGNALI DI UNA RIPRESA DELLA VITA NELLA CAPITALE DELL’UCRAINA BERSAGLIATA DALLA GUERRA… INTANTO È GIÀ POPOLATA ALL’80 PER CENTO: STANNO TORNANDO TUTTI
Cielo grigio, squarci d’azzurro. Davanti alla vecchia casa del presidente Zelensky, nel quartiere «Arsenalna», c’è il «Kiev Food Market». Cucine del mondo: ostriche, hamburger, pizza, borsh. Per ottanta giorni di guerra è sempre stato chiuso. I cuochi preparavano pacchi per i soldati e per gli anziani soli.
Adesso, sabato 14 maggio 2022, per la prima volta riapre al pubblico. «Diamo lavoro a più di cento persone e ricominciamo a fare quello che abbiamo sempre fatto, sono sincero non mi aspettavo così tanta gente», dice il direttore Oleg Lahuta.
Nella capitale le cose stanno cambiando. Si vede a occhio nudo. Il coprifuoco incomincerà alla 23 invece che alle 22, la metropolitana allungherà l’orario serale. Manca la benzina, ma sfrecciano bici e monopattini. I bar stanno mettendo i tavolini fuori. E come si possono spiegare gli spritz e le birre gelate fra i sacchi di sabbia e i cavalli di Frisia a difesa della città? Sono una prova di ostinazione: vita nonostante la guerra.
Il sindaco Vitali Klitschko, ex campione di boxe, ha appena rilasciato dichiarazioni poco rassicuranti: «Lo ripeto a tutti i cittadini che stanno tornando, mi dispiace ma lo fate a vostro rischio, non possiamo darvi garanzie. Altri attacchi russi potrebbero verificarsi da un momento all’altro. La nostra città resta l’obiettivo principale, non ci sono dubbi al riguardo».
Ma mentre lo dice, i treni della notte scaricano sulle banchina della stazione Pasazhyrskyi altre mille persone al giorno. E Kiev, che conta 3,5 milioni di abitanti, oggi è già popolata all’ottanta per cento: stanno tornando tutti.
Quello che trovano i cittadini al ritorno è questo tempo sospeso. Il primo gelato a Maidan, dove nei giardini di erba in salita si aggiornano i lutti.
«Ucraini assassinati da Putin: 7.436». Trovano un tentativo in atto di cercare una nuova definizione di sé. Per il momento la fermata della metro di piazza «Lev Tolstoi» si chiama ancora così, ma presto avrà un altro nome.
Ad aprile il capo dei trasporti pubblici di Kiev, Viktor Brahinsky, ha chiesto al sindaco di rinominare le cinque fermate con nomi che fanno riferimento alla Russia. Alla votazione per scegliere i nomi del futuro hanno partecipato 170.646 persone: «Buchanska», «Varshavska», «Vasyl Stus», «Heroiv Ukrainy» e «Botanichna», sono i cinque nomi che hanno ottenuto il maggior punteggio. Il primo fa riferimento a Bucha: la città del massacro di civili, a 30 chilometri da Kiev. Il luogo per cui doveva passare l’invasione.
Cancellare ogni traccia della Russia sta diventando una priorità. Gli urbanisti si interrogano sui rischi di farlo: cambiare nomi alle fermate della metro potrebbe creare disorientamento nei cittadini più anziani.
Ma intanto il consiglio comunale ha già approvato un elenco di oltre quaranta monumenti che saranno rimossi dalle strade e trasferiti nel «Museo del totalitarismo». Ecco l’altra novità del giorno: «l’Arco dell’amicizia dei popoli» ora si chiama «l’Arco della libertà del popolo ucraino».
Era il monumento alla fratellanza. Ma in questa vita in tempo di guerra nessuna fratellanza è più possibile con il popolo russo: 390 edifici danneggiati dai bombardamenti soltanto a Kiev, 75 scuole, 17 presidi sanitari, 11 istituzioni culturali.
Stanno contando i danni, la ricostruzione incomincerà a settembre. Intanto riaprono i teatri, e all’ingresso di quello di via Nyzhnoiurkivska invitano a donare 200 grivnie per le forze armate. Perché è impossibile essere altrove: non esiste evasione dalla guerra finché c’è la guerra. Eppure a Kiev sta succedendo qualcosa.
È il futuro che arriva? «No, il futuro io non lo vedo. È proprio questo il problema più grande per me». Alex Hryshyn, 22 anni programmatore, fuma una sigaretta dietro l’altra e si guarda intorno a Maidan.
«Ho dei parenti a Kharkiv. Oggi è un gran giorno perché i soldati russi hanno dovuto ritirarsi anche da lì. Ma la guerra è una cosa che ti entra dentro e ti mangia la testa. Io non sono più capace di pensare a cosa farò fra sei mesi. Tutto quello che riesco a fare è vivere un giorno dopo l’altro, devo salvarmi nel presente». In ogni quartiere di Kiev, ci sono persone come Alina Pohorila che aiutano i bambini a non sentirsi troppo soli.
Hanno organizzato con l’Unicef altri tipi di scuole: scuole per imparare a vivere e crescere in guerra. Eccola adesso alla stazione della metro Osakorki, dove ha dato appuntamento ai suoi studenti: «Il nostro obiettivo è insegnare ai bambini le regole di sicurezza tramite il gioco. Tutti reagiscono in maniera diversa agli allarmi aerei, quando notiamo un eccesso di ansia facciamo intervenire gli psicologi».
I sotterranei della metropolitana non sono più la casa degli sfollati di Kiev, i bambini non scivolano più sui marmi monumentali delle scale. La sirena dell’allarme suona ancora, ma è diventata parte di questa nuova normalità.
Nessuno affretta il passo, nessuno smette di fare quello stava facendo. Ognuno cerca di continuare per la sua strada. A Maidan, la piazza, il centro delle rivolte per la democrazia in Ucraina, adesso sta suonando il batterista Vitaly Bogaskavsky.
Quello che fa è picchiare sulla cassa e sui piatti e sui tom mentre da un amplificatore risuona l’inno – non ufficiale – di questa guerra: «Nel prato un rosso viburno si è chinato in basso. La nostra gloriosa Ucraina è così turbata. Ma prenderemo quel viburno rosso e lo alzeremo. E noi, la nostra gloriosa Ucraina, ci alzeremo, hey hey, e ci rallegreremo!». Qualcuno piange, qualcuno canta. Qualcuno lascia una moneta per il batterista Bogaskavsky.
(da La Stampa)
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