LA TENTAZIONE DEGLI EX LEADER PD: “SCISSIONE E RITORNO ALL’ULIVO”
OLTRE I 40 NO…LETTA: “L’AVESSE FATTO IL PDL SAREMMO SCESI IN PIAZZA”
Un ex premier, Enrico Letta. Due ex segretari del Pd, Pierluigi Bersani e Guglielmo Epifani. Una ex presidente del partito, Rosy Bindi. Il capogruppo dimissionario, Roberto Speranza. I due sfidanti di Renzi alle ultime primarie, Gianni Cuperlo e Pippo Civati.
E poi Alfredo D’Attorre, Stefano Fassina, Danilo Leva, Andrea Giorgis, Marco Meloni… E l’elenco dei dissidenti dem che non voteranno la fiducia a Renzi è destinato a allungarsi.
Lo “strappo” non poteva essere più netto. L’ombra della scissione si allunga.
La tentazione di gruppi parlamentari autonomi e soprattutto il progetto di un nuovo Ulivo, sembra dietro l’angolo.
L’Ulivo di Prodi, Letta, Bindi, Cuperlo e che potrebbe reclutare anche D’Alema.
Dopo lo sconcerto, le divisioni, ore lunghissime di incontri e colloqui in cui le sinistre dem si sono squagliate davanti alla sorpresa della fiducia sull’Italicum, a cui nessuno voleva credere.
Le minoranze sono spaccate. Procedono quindi in ordine sparso.
“Area riformista” la corrente dei bersaniani, è lacerata tra chi segue la linea di Speranza («La fiducia è un errore gravissimo, per questo non la voto, non metto la mia firma su questa violenza al Parlamento») e chi invece trova inconcepibile non sostenere il “proprio” governo.
Però la schiera di quanti non voteranno la fiducia a Renzi aumenta.
Il calcolo della minoranza è che saranno 40-50 i deputati che non risponderanno alla “chiama”.
Tra irritazione e amarezza il conflitto nel Pd è esploso. Nessuno sa con esattezza dove condurrà , se sarà ancora possibile la convivenza nello stesso partito.
Molti ne dubitano, questa volta.
Letta, che del resto ha già deciso di lasciare il Parlamento, si sfoga: « Se l’avesse fatto Berlusconi di approvare le regole da solo e di blindarle con il voto di fiducia saremmo scesi in piazza. Ora che queste forzature avvengono a casa nostra non si può far finta di niente e applicare la doppia morale».
Bindi prende la parola in aula, illustrando tenacemente i suoi emendamenti, e lancia il j’accuse: «Negherò fiducia ad un atto improprio del governo. Se non avesse messo la fiducia, non avrei partecipato al voto finale del provvedimento. Ma ora non si può non prendere in considerazione un voto contro una legge resa immodificabile. La fiducia è una prepotenza frutto della paura non del coraggio».
Civati ironizza: «Se prima eravamo in quattro… sono colpito che siano così tanti e così autorevoli gli esponenti del Pd che si dissociano dalla decisione della fiducia». L’assemblea serale di “Area riformista” è una resa dei conti interna.
Esplodono malumori. C’è chi accusa Speranza di avere lasciato la corrente senza guida, allo sbando, assumendo una posizione estrema.
I “moderati” Enzo Amendola, Cesare Damiano, Luciano Pizzetti, la fiducia la voteranno. Il pressing dei renziani continua richiamando alla lealtà al partito, al gruppo, al governo. Il sottosegretario Pizzetti invita a non buttare alle ortiche la corrente e il ruolo che ha svolto finora: «La fiducia sulla legge elettorale non è un dono di Dio, ma neppure l’anticamera dell’inferno ».
Giorgis ribadisce che «la fiducia è sul provvedimento e non sul governo» ed è stata un errore.
La tensione è altissima. La spaccatura dei bersaniani è una vera e propria frammentazione.
Il portavoce della corrente Matteo Mauri si dissocia da Speranza: «È stato un errore la scelta di Roberto di dimettersi da capogruppo. E’ stato un errore ancora più grave il suo annuncio di non volere votare la fiducia, fatto in completa solitudine. Una scelta che ha sorpreso tutti».
E l’ex capogruppo precisa e giustifica: «La mia decisione è una scelta politica personale che non impegna “Area riformista”, non chiedo a nessuno di seguirmi. Non potevo stare a fare la foglia di fico come capogruppo».
La corrente, che ha fatto spesso da “pontiere” tra renziani e sinistra, è in impasse.
I toni si alzano, a seguire Speranza dovrebbero essere 20-25.
Sinistradem, cioè i cuperliani, si riuniranno anche stamani. Sul voto finale al provvedimento, che sarà a scrutinio segreto, i dissidenti potrebbero essere ancora di più. Fassina è per un secco “no” e denuncia la dignità calpestata del Pd.
«La scissione? Non votare la fiducia al governo lascia i segni».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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