L’ALLARME DEGLI ARTIGIANI: SIAMO ALLO STREMO, DOVREMO LICENZIARE
DA TEMPO CHIEDONO DI RIVEDERE AL RIBASSO I PARAMETRI DEGLI STUDI DI SETTORE….CON LA CRISI IN ATTO, COSTRETTI A PAGARE ANCHE QUELLO CHE NON HANNO GUADAGNATO… 4,5 MILIONI AZIENDE CHE DANNO LAVORO A 8,6 MILIONI DI ADDETTI E FANNO IL 29% DEL PIL ITALIANO… 466 MILIARDI DI VALORE AGGIUNTO (34% DEL TOTALE NAZIONALE)
Il messaggio lanciato da Giuseppe Bertolussi, segretario generale della Cgia di Mestre (l’associazione degli artigiani e delle piccole imprese) è un Sos: “Stiamo vivendo una delle crisi più pesanti che la storia recente ricordi, ma le nostre richieste rimangono inascoltate”.
Da tempo piccole e piccolissime imprese chiedono di rivedere al ribasso i parametri dei famigerati “studi di settore”.
Vale a dire lo strumento con cui il fisco valuta, su base statistica, la capacità di produrre ricavi o conseguire compensi di un’impresa o di un lavoratore autonomo appartenente a un dato settore.
In concreto, significa che in sede di denuncia dei redditi un’impresa verifica se ricavi e costi dichiarati sono congrui e coerenti con quelli risultanti dal relativo studio di settore.
Se sono in linea bene, se sono più bassi ha due possibilità : o adeguarsi e pagare le relative, più elevate tasse, oppure tentare di spiegare le differenze all’Agenzia delle Entrate.
In pratica succede che le imprese “non congrue” finiscono nel mirino degli accertamenti fiscali.
E in un incubo burocratico cui molti preferiscono sottrarsi, adeguandosi agli studi di settore, anche se non hanno nulla da nascondere.
Con la recessione economica in atto, i parametri attuali degli studi di settore sono sballati. Per questo la Cgia di Mestre ritiene che “occorra intervenire sugli studi che, alla luce della crisi che si è aggravata pesantemente negli ultimi sei mesi, costringeranno queste micro-imprese a pagare anche quello che non hanno guadagnato”.
La questione tocca 4,5 milioni di micro aziende: piccoli imprenditori, artigiani, commercianti e lavoratori autonomi in generale, che nell’insieme fanno il 29% del Pil nazionale, ovvero 885 miliardi di euro di fatturato l’anno, 466 miliardi di valore aggiunto (con un’incidenza sul totale nazionale del 34%).
Un esercito invisibile, lo definisce Bortolussi “ormai allo stremo, autentici precari che alzano la saracinesca ogni giorno e si mettono sul mercato senza nessun aiuto e sostegno da parte di chicchessia”.
Queste realtà tra l’altro danno lavoro a oltre 8,6 milioni di addetti, pari al 51% del totale nazionale, escludendo il pubblico impiego.
Nel 2008 le micro aziende hanno creato l’81,4% dei nuovi posti di lavoro in Italia.
“Non si può continuare a dare i soldi con la rottamazione alle grandi imprese che continuano a perdere costantemente occupati, mentre una parte fondamentale dell’economia nazionale viene lasciata alla deriva, senza aiuti e in balia di un fisco incongruo”, sostiene Bertolussi che conclude con un appello: ” Occorre che il Governo intervenga subito e modifichi gli studi per renderli più rispondenti alla realtà della crisi che stiamo attraversando, altrimenti costringeranno centinaia di migliaia di imprese a ricorrere a tagli occupazionali se non addirittura a vere e proprie chiusure per far fronte sia all’aumento delle tasse che al forte calo della domanda”.
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