LE NOSTRE SPIAGGE IN MANO AI PRIVATI: SOLO IL 40% SONO DI LIBERO ACCESSO
LA VERGOGNA DI UNO STATO CHE INCASSA LA MISERIA DI 103 MILIONI PER LE CONCESSIONI DEMANIALI MENTRE I PRIVATI INCASSANO 15 MILIARDI E HANNO ANCORA IL CORAGGIO DI LAMENTARSI
La trasformazione delle spiagge italiane, proprietà inalienabile dello Stato, in luoghi dedicati a divertimento e ristorazione gestiti da privati è un processo irreversibile: secondo l’ultimo rapporto di Legambiente anticipato oggi da La Stampa le concessioni demaniali marittime sono 52.619: di queste, 11.104 per stabilimenti balneari e 1.231 per campeggi, circoli e resort, che rappresentano il 42% di occupazione delle spiagge.
E Lo Stato che benefici ha? Pochi.
Incassa per il demanio marittimo solo le briciole: 103 milioni l’anno nel 2016 (ultimi dati disponibili) per un giro d’affari stimato da Nomisma in 15 miliardi di euro l’anno: 6.106 euro a chilometro quadrato, 4 mila euro l’anno di media a stabilimento.
Oggi la percentuale di spiagge libere e balneabili si è ridotta al 40%.
In Liguria ed Emilia Romagna quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti, in Campania il 67,7%, nelle Marche il 61,8%.
Dimenticate le dune che ondeggiavano la costa su cui si giocava da bambini, le lunghe spiagge incontaminate bordate dall’ombra delle pinete, i picnic con la borsa frigo trasportata a fatica sulla sabbia sotto il sole a picco.
Alla progressiva compressione della libertà di accesso si aggiunge un’ ulteriore riduzione: oggi quasi il 10% delle aree costiere sabbiose è vietato alla balneazione per l’inquinamento.
In molti Comuni le aree non date in concessione sono vicine a fiumi, fossi, scarichi fognari. Tratti non balneabili: mare “di serie B”.
In mancanza di una normativa nazionale, sono le Regioni a fissare le percentuali massime che possono essere date in concessione.
Ma poche, rileva Legambiente, «sono intervenute con leggi a tutela della libera fruizione». In cinque regioni (Friuli, Veneto, Basilicata, Toscana, Sicilia) non esiste limitazione, come se tutte le spiagge fossero virtualmente «sul mercato».
(da “NextQuotidiano”)
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