NIENTE TFR IN BUSTA PAGA, DELRIO SMENTISCE RENZI
RINVIATA LA MISURA PATACCA, ANCHE PERCHE’ NON INTERESSAVA A NESSUNO: DUE ITALIANI SU TRE NON LA VOLEVANO
Sì, no, forse.
L’operazione Tfr in busta paga perde il treno della stabilità e per il momento resta rinviato a un provvedimento successivo.
L’ultima parola è arrivata oggi dal sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio nella sua intervista al Corriere della Sera: “Abbiamo tempo per approfondire il tema, sapendo che in ogni caso si tratta di una scelta volontaria del lavoro e che la misura non dovrà portare Un deficit di liquidità alle imprese”, ha spiegato l’ex sindaco di Reggio Emilia.
Parole assai più prudenti da quelle utilizzate ieri dal presidente del Consiglio Renzi che dal palco dell’assemblea di Confindustria aveva annunciato come imminente un’intesa con gli istituti di credito, allo stato attuale maggiore ostacolo del via libera al provvedimento: “Dobbiamo consentire a chi vuole attraverso un’operazione con le banche di sostegno alle pmi, che presenteremo nelle prossime ore, la possibilità di lasciare il Tfr su base mensile”, aveva spiegato.
Un’accelerazione in contrasto con la “pausa di riflessione” invocata invece dal sottosegretario.
Un conflitto, soltanto apparente, che riflette la doppia direzione di marcia con cui si è mosso il governo su questo fronte nelle ultime settimane.
Con il premier motivato al 100 per cento a far partire l’operazione già dal prossimo anno e i suoi colleghi, Pier Carlo Padoan in testa, meno convinti da una partenza sprint, soprattutto in coincidenza con la legge di stabilità .
Non è una questione strettamente contabile, perchè l’operazione Tfr ha un impatto molto limitato sui conti pubblici.
Anzi, persino positivo considerato il maggior gettito derivante dall’aumento di imposte versate con l’incasso anticipato del trattamento di fine rapporto.
Il nodo da sciogliere, quello di assicurare la liquidità alle imprese altrimenti drenata dall’anticipo in busta paga del trattamento di fine rapporto, riguarda esclusivamente gli istituti di credito, che di fatto si troverebbero a prestare soldi ai lavoratori, lasciando alle imprese la possibilità di incamerare il Tfr così come attualmente fanno.
Per le banche servono alcune assicurazioni importanti, in primis la garanzia sui prestiti erogati.
Che fare, ad esempio, nel caso un’azienda fallisse prima di potere rimborsare i presti alle banche? Serve, appunto, una assicurazione che nel piano originario del governo avrebbe fatto riferimento al Fondo di Garanzia dell’Inps.
Strumento che gli istituti — come rileva il Sole 24 Ore — potrebbe essere giudicato insufficiente, anche perchè il rischio sarebbe quello di uno “svuotamento” anticipato del fondo.
Diversamente, altre garanzie pubbliche più dirette comporterebbero un inevitabile aumento del debito pubblico, altro scenario non particolarmente caldeggiato dal Tesoro
Non aiuta, infine, l’infelice coincidenza del calendario, particolarmente fitto di scadenze.
Non solo quella del 15 ottobre, data di presentazione della legge di stabilità , troppo ravvicinata per perfezionare il provvedimento, ma anche il doppio appuntamento europeo per le banche, che nell’arco di una settimana vedranno pubblicati i dati dell’Assest Quality Review, l’analisi della qualità degli attivi degli istituti bancari, e gli stress test, di cui l’Eba pubblicherà i risultati il prossimo 24 ottobre.
Lo stesso numero uno dell’Abi, Antonio Patuelli, pur non chiudendo le porte al provvedimento, la scorsa settimana ha comunque espresso tutte le sue riserve ricordando che “il quadro normativo è quello dell’unione bancaria” e al suo interno “vanno esaminate le varie ipotesi”.
(da “Huffingtonpost”)
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