PER BERLUSCONI VALGONO PIÙ LE FREQUENZE CHE LA RAI
SI’ AL RINNOVO DEL CDA RAI SE PASSERA CEDE SUL BEAUTY CONTEST… IL PDL VUOLE MARIO RESCA COME PRESIDENTE
Ventotto marzo. Il giorno è fissato e più s’avvicina più preoccupa.
Quel giorno il Consiglio di amministrazione Rai dovrà approvare il bilancio consuntivo e rimettere il mandato in scadenza.
Appena i conti di viale Mazzini saranno messi al sicuro, in quel preciso momento il presidente Paolo Garimberti dichiarerà sospeso il triennio che si aprì con il direttore generale Mauro Masi e il centrodestra al governo e si chiude con la cattolicissima Lorenza Lei e i tecnici a Palazzo Chigi.
Risultato: il finimondo.
Il partito democratico chiede che il rinnovo dei vertici di viale Mazzini coincida con la riforma di una legge, quella che porta il nome di Maurizio Gasparri, che garantisce ai partiti l’assoluto controllo del servizio pubblico: “Noi non parteciperemo all’ennesima spartizione in Commissione parlamentare di Vigilanza. Si può modificare la Gasparri. Dobbiamo capire — dice il segretario del Pd — se la Rai è un’azienda oppure un luogo di scorribande”.
Il governo dovrà respingere le richieste di Pier Luigi Bersani (e in parte di Pier Ferdinando Casini e, soprattutto, di Antonio Di Pietro) perchè per i tempi stretti — e la ringhiosa opposizione dei berlusconiani — sarà impossibile correggere il testo di Gasparri.
Facce nuove, solite regole.
Senza troppi rimpianti, per una stima sempre precaria, Silvio Berlusconi è pronto a sacrificare Lorenza Lei (e la direzione generale) per riavere le frequenze del digitale terrestre senza pagare un euro.
A quel punto, rinforzato il patrimonio di Mediaset e neutralizzata la concorrenza (il mercato televisivo resta uguale), il Pdl sarebbe felice di indicare soltanto il presidente di viale Mazzini: il dirigente Mario Resca, l’uomo di B. al ministero per i Beni Culturali, è il candidato prescelto, dopo aver provato a piazzare l’amico e attuale consigliere Antonio Verro.
Poi per la direzione di viale Mazzini, incassati i canali in più, il Cavaliere lascerebbe la poltrona a Palazzo Chigi: corsa che si riduce a due nomi fra Claudio Cappon, ottimo amico di Corrado Passera e Giancarlo Leone, trasversale, ma più di centrosinistra che di centrodestra.
I progetti berlusconiani si scontrano con il ministro Corrado Passera (Sviluppo economico) che, indifferente ai pressanti movimenti di Fedele Confalonieri, il presidente di Mediaset che sostituisce il Cavaliere apparentemente distante dai suoi interessi, ordina ai suoi collaboratori di andare avanti con la conversione del beauty contest: intollerabile regalare le frequenze patrimonio pubblico.
Chi le vuole, deve pagare.
Tra viale Mazzini e le frequenze c’è un filo comune che Berlusconi, stavolta, non può muovere a suo piacimento: davvero il Cavaliere sfiducerà il governo di Monti se dovesse tornare indietro senza raccogliere nulla?
L’ex ministro Paolo Romani, che inventò il concorso gratuito chiamato beauty contest, boccia l’idea di Passera, cioè quella di vendere le frequenze in un’asta pubblica: “So che ci sono degli approfondimenti in corso — ha detto al Tg3 — non è un problema di carattere politico. L’asta sarà un fallimento economico, ma non sarà un problema che il Pdl metterà sul tavolo per farne una causa di discrimine nei confronti del governo”.
Il Cavaliere non la pensa esattamente così, anzi è disposto a cedere un pezzo di viale Mazzini pur di accaparrarsi le frequenze senza scomodare il portafoglio e assicurare un impero agli eredi sino a un’imprecisata generazione.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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