QUALI SONO LE DIFFERENZE TRA RECOVERY BOND E EUROBOND
E PERCHE’ GERMANIA E OLANDA POTREBBERO DIGERIRLI
In vista del Consiglio europeo del 23 aprile, si sta ragionando sull’introduzione di un cosiddetto Recovery fund dalla potenza di 1.000-1.500 miliardi di euro che potrebbe aiutare i paesi in maggiore difficoltà , tipo l’Italia e la Spagna, a far fronte all’emergenza dettata dalla pandemia del Covid-19 da coronavirus.
Ma cosa avrebbe questo Recovery fund, con annessi Recovery bond, di diverso dagli Eurobond, visti come fumo negli occhi dai paesi del nord dell’area dell’euro, a partire dalla Germania di Angela Merkel e dall’Olanda di Mark Rutte?
E perchè mai Merkel e Rutte dovrebbero accettare i Recovery bond?
Al centro della questione c’è la mole di debito dei paesi del sud Europa, a cominciare da quello italiano che nel 2019 ha superato i 2.400 miliardi di euro.
In pratica, con gli Eurobond, di cui si parla ormai da anni, grosso modo dalla crisi dello spread di inizio anni Dieci, si dovrebbe assistere a una mutualizzazione dei debiti esistenti degli Stati membri dell’Eurozona.
In altri termini, un soggetto o ente sovranazionale, emettendo titoli di debito comuni, gli Eurobond appunto, raccoglierebbe dei fondi tra i paesi dell’area dell’euro.
Dopodichè, in una delle interpretazioni più comuni degli Eurobond (non c’è uno schema univoco, non essendo mai nati), impiegherebbe queste risorse per comprare titoli di debito di un singolo paese, per esempio Btp nel caso dell’Italia.
Così, un eventuale default di uno Stato membro andrebbe a gravare sulle spalle di tutti gli altri.
Al contrario, il Recovery fund, presumibilmente inizialmente alimentato da un minimo di risorse di tutti gli Stati membri, si baserebbe sull’emissione di nuovi titoli di debito, i Recovery bond appunto, la cui raccolta sarebbe poi girata attraverso trasferimenti ai paesi in difficoltà .
In altri termini, l’idea alla base di questo strumento è che gli Stati meno indebitati non siano costretti a farsi carico anche del debito pregresso, più consistente, dei paesi del sud. Secondo la proposta spagnola, poi, questi titoli comuni da emettere dovrebbero essere perpetui, ossia senza scadenza, non contemplando il rimborso del capitale ma soltanto il pagamento dell’interesse.
È probabile che quando il premier italiano, Giuseppe Conte, parla di Eurobond si riferisca ai Recovery bond piuttosto che agli Eurobond rigidamente intesi. E questo perchè Conte afferma che “ciascun paese risponde per il proprio debito pubblico e continuerà a risponderne. Pagheremo il debito, come abbiamo sempre fatto”.
Non a caso Conte, nell’informativa al Senato del 21 aprile, ha spiegato: “Bisogna costruire un Economic Recovery fund per contrastare la crisi”.
Una misura, ha aggiunto il presidente del Consiglio, che “dovrà essere conforme ai trattati perchè non abbiamo tempo per modificarli. Va gestito a livello europeo senza carattere bilaterale, deve essere ben più consistente degli strumenti attuali, mirato a far fronte a tutte le conseguenze economiche e sociali e immediatamente disponibile”.
Anche i coronabond o coronavirus bond di cui spesso si sente parlare in questi tempi sembrano più simili al concetto di Recovery bond che a quello di Eurobond rigidamente intesi, in quanto per lo più legati a colmare le necessità sorte dalla diffusione della pandemia.
“Con la creazione del Recovery fund — sintetizzano sulla Voce.info Piergiorgio Carapella e Alessandro Fontana — l’Eurogruppo ha manifestato l’intenzione di voler affidare l’azione a un meccanismo comunitario finanziato con risorse europee, a partire da quelle del Quadro finanziario pluriennale. Per il momento, non sono state definite nè le modalità di finanziamento nè il suo ammontare. Se decollasse un fondo con risorse consistenti, aggiuntive rispetto a quelle comunitarie già esistenti, finanziato con titoli di debito europei garantiti dal bilancio Ue (senza o con una minima incidenza sui debiti pubblici nazionali) e che operasse mediante trasferimenti (non prestiti), si potrebbe avere a disposizione uno strumento assimilabile a quelli di paesi federali, come gli Usa, e sarebbe un grande passo avanti verso una politica di bilancio comune”.
Certo, resta il dubbio dell’incidenza sui debiti pubblici nazionali, che per l’appunto Carapella e Fontana definiscono “minima”.
“Il Recovery fund — si legge in un commento all’articolo della Voce.info — incide sul debito dei 27 paesi partecipanti perchè saranno loro a dotarlo di un capitale iniziale o direttamente (da modello Mef 19) o attraverso il bilancio Ue 27 da aumentare sensibilmente”.
Ma un conto è incidere in parte sui bilanci nazionali, tutt’altra storia è che il debito pregresso di un paese gravi sulle spalle di tutti come accadrebbe con gli Eurobond.
L’emissione di titoli comuni dell’area dell’euro implicherebbe per paesi come la Germania un rendimento superiore rispetto a quello garantito sui Bund e per l’Italia un rendimento inferiore rispetto a quello dei Btp.
In altri termini, per la Germania si alzerebbe il costo del debito e per l’Italia si abbasserebbe.
Ma per i paesi dell’area del nord dovrebbe essere un boccone più facile da mandare giù rispetto a una vera e propria mutualizzazione del debito.
Inoltre, la politica di spesa e di investimento del Recovery fund sarebbe decisa dai paesi dell’area dell’euro o dai singoli stati sulla base di criteri comuni, e, una volta trasferite le risorse, si assisterà comunque una sorta di monitoraggio sull’impiego dei fondi stessi.
In altri termini, non si tratterà di un pasto gratis, anche perchè, come sosteneva il premio Nobel Milton Friedman, in finanza ed economia non ne esistono.
“I Recovery fund — spiega a Business Insider Mirco Tonin, docente di politica economica alla Libera università di Bolzano — non entrerebbero nel mare magnum del debito pubblico italiano e dovrebbero essere fondi vincolati ad affrontare l’attuale emergenza legata alla pandemia, non soltanto sanitaria ma anche economica”.
A riguardo va ricordato che il Mes a condizioni leggere cui ha dato via libera l’ultimo Eurogruppo vincola l’utilizzo delle risorse alla spesa sanitaria diretta e indiretta, non all’emergenza economica.
“I Recovery bond — aggiunge Tonin — potrebbero così rappresentare un passo intermedio, meno evidente e più semplice da fare accettare a tutti, in direzione degli Eurobond, che potrebbero invece essere un progetto di più lungo termine”.
(da “Business Insider”)
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