QUOTE ROSA E PREFERENZE, AL SENATO SONO GUAI
SE ALLA CAMERA I FRANCHI TIRATORI SONO STATI 70, AL SENATO DOVE IL MARGINE E’ DI OTTO IL GOVERNO RISCHIA LA DISFATTA
Numeri che si restringono, dichiarazioni infuocate della maggioranza contro le indicazioni del governo: giovedì notte la Camera al voto dell’Italicum era l’immagine plastica del pantano in cui si sta approvando la legge elettorale.
E neanche finito un pantano, se ne annuncia uno ben peggiore: da Ncd e minoranza Pd è tutto un avvertimento che in Senato la legge si cambierà .
In barba all’accordo intoccabile (pena la fine della legislatura) tra Renzi e Berlusconi.
Giovedì notte, l’emendamento Pisicchio (gruppo Misto) che introduceva la possibilità di esprimere due voti di preferenza è stato bocciato — a voto segreto — con solo 42 voti di scarto. 278 contro 236.
Presenti in media in Aula tra i 450 e i 520 deputati. La maggioranza conta su 394 voti, all’appello ne sono mancati 60-70.
Ovvero, quelli di Ncd (29 a ranghi pieni), quelli di Scelta Civica (27 anche qui a ranghi interi), più alcuni del Pd.
Toni esasperati, accorati. Il lettiano Meloni il suo dissenso rispetto alla legge lo dichiara in Aula, così la Bindi. E Boccia quota al 20% la possibilità che alla fine voti la legge.
Poi c’è il documento bipartisan per la parità di genere sottoscritto dalle parlamentari di tutte le forze politiche. Le deputate sono intenzionate a non mollare.
Che farà il governo? Risponde Lorenzo Guerini, nella veste di portavoce della segreteria Pd e di mediatore in Parlamento per conto di Renzi: “Non ci sarà nessuna modifica se non rientrerà nell’accordo”. Quello tra Pd e FI.
Lo stesso Guerini, mentre si dice soddisfatto della tenuta del gruppo Pd l’altra notte, ammette che ci sono continui contatti per arrivare a capire se ci sono le basi per qualche modifica. “Questa legge è una schifezza, ma è frutto di un accordo extraparlamentare, quindi non c’è battaglia che tenga”, si sfogava ieri qualche deputato.
La convinzione più o meno generale è che alla fine in qualche modo la Camera l’Italicum lo approverà . E in Senato si vedrà .
Tra i renziani c’è chi è pronto pure ad appellarsi alla Provvidenza o a sperare in qualche risultato entusiasmante del governo.
Basta sentire Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, dove la riforma uscita da Montecitorio (e dove i renziani sono minoranza) andrà incardinata: “Lavoreremo in Commissione per una norma sulla parità di genere, la soglia dell’8% per i partiti che vanno da soli, poi, è molto, molto alta. Per quanto riguarda il premio di maggioranza, invece, una soglia ragionevole è il 40%”. Sostanzialmente smonta l’accordo. Tanto che il suo omologo alla Camera, Francesco Paolo Sisto, la richiama all’ordine: “Io trovo sconcertante che di fronte a un patto che è stato raggiunto fra Renzi e Berlusconi, si possa pensare già con riserva mentale di mutarlo”.
Il Senato non è la Camera e i numeri del governo sono molto più risicati. 169, per una maggioranza di 161. Se alla fine, per dire, contro l’Italicum votassero tutto Ncd (32 senatori) e i 25 democrat che già hanno firmato contro la legge, pure con il soccorso dei 60 di Fi i numeri sarebbero molto a rischio.
I presupposti ci sono tutti. Renato Schifani chiarisce: “Palazzo Madama non farà il notaio della Camera”.
E in Commissione la Finocchiaro fa sponda con Francesco Russo, fedelissimo di Letta: il progetto è quello di mettere il più possibile i bastoni tra le ruote all’Italicum e di far passare prima la riforma del Senato.
Alla faccia di quello che Maria Elena Boschi avrebbe scritto a Dorina Bianchi (come riporta l’Huffington Post): “Se passa l’emendamento che hai difeso (sulle preferenze, ndr.) , salta tutto e si va a votare. Voglio vedere dove prendi i voti per essere eletta”.
Smentiscono entrambe, sia il ministro che la deputata: ma il clima è quello.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
Leave a Reply