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IL CAVALIERE E LA BOMBA RUBY: LA SENTENZA ATTESA ENTRO DICEMBRE

Ottobre 4th, 2012 Riccardo Fucile

LA DECISIONE A TRE MESI DALLE ELEZIONI TIENE IN ANSIA IL PDL

Chiamare o non chiamare a deporre Karima El Mahroug, un tempo Ruby Rubacuori? È questo il dubbio epocale della difesa di Silvio Berlusconi.
Il processo Ruby-Silvio riprende tra due giorni. E torna a tenere in fibrillazione la politica italiana, specie quel che resta del centrodestra.
Venerdì si ascoltano nell’aula della quarta sezione penale le testimonianze di alcuni politici sulla parentela tra una come Ruby, allora minorenne marocchina, e l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak: una situazione da fantascienza alla quale Berlusconi giura di aver creduto.
Il 19 ottobre sono attese le sue dichiarazioni spontanee come imputato (sembra tramontata l’idea di un vero interrogatorio).
E poi? Per la procura milanese manca pochissimo. La sentenza è attesa entro dicembre. Almeno tre mesi prima delle future elezioni.
Se guardiamo i fatti, la difesa dell’ex premier sinora ha combattuto, ma senza ostruzionismi.
Episodi, voci, lacrime, visioni del mondo, sono emersi udienza dopo udienza e sono stati sviscerati davanti al collegio presieduto da Giulia Turri.
Finchè i pubblici ministeri hanno, all’improvviso, detto basta: Ilda Boccassini e Antonio Sangermano hanno rinunciato a tantissimi testimoni, compresa Ruby-Karima, convinti di aver raggiunto («E ampiamente», dicono) la prova della colpevolezza di Berlusconi nei due reati.
Il primo, il più grave, è la concussione.
Ciclicamente, alcuni parlamentari Pdl cercano di introdurre nel complesso decreto governativo anti-corruzione – e non è un caso – alcuni equivoci emendamenti «ad personam».
Per esempio, prevedere solo una concussione «patrimoniale», esercitata per ricavare soldi, non per evitare guai.
O forse, come si maligna a Roma, c’è il tentativo di qualcuno di acquistare la riconoscenza di un uomo sempre ricchissimo, ma politicamente sul viale del tramonto. Chissà .
Il reato inquadrato a Milano è ben preciso: Berlusconi chiama in questura, nella notte tra il 27 e il 28 maggio 2010.
Dice che manda al più presto un suo «consigliere ministeriale» (carica altisonante, ma inesistente).
Spaccia Ruby per nipote di Mubarak.
Gli bastano tre mosse per ottenere il rilascio della minorenne, quand’era già  destinata – per ordine del magistrato dei minori, avvisato dai poliziotti di pattuglia – ad essere protetta in una comunità .
Berlusconi sostiene di essere stato gentile
«Ma dov’è il metus?», cioè dov’è la «paura», tipica della concussione, chiedevano gli avvocati.
Per la procura è evidente.
Le chiamate del premier e del suo caposcorta (funzionario dei servizi segreti) causano un metus tale da innescare un continuo, asfissiante rincorrersi telefonico tra i questurini «concussi».
La fretta che si crea negli uffici è spasmodica, il metus viene percepito da altri poliziotti milanesi, che denunceranno la situazione.
E persino dai colleghi del commissariato di Taormina – Emilio Imperiale, Giuseppe Caico e Giovanni Trimarchi – che, quando arrivano nell’aula del processo, raccontano di essersi fatti mandare un «fax scritto» con le richieste di Milano.
E di aver rintracciato la famiglia di Ruby «intorno alle 4 del mattino».
Anche l’orario evidenzia il metus: il consenso dei genitori, per l’affido di Ruby alla consigliera regionale Nicole Minetti, sarebbe stato indispensabile, stando a ogni procedura nota.
Ma alle 2 la minorenne senza documenti esce con Nicole Minetti, dopo averla abbracciata piangendo.
E rimane poi a dormire da Michelle Coinceicao, brasiliana che vive di espedienti.
Berlusconi aveva stretto la mano, dopo la sua deposizione, al commissario Giorgia Iafrate. Viene narrata come una che ha smentito il castello accusatorio.
Ma siamo sicuri? Ecco gli appunti di alcune sue frasi: «Il pubblico ministero aveva disposto l’affidamento di Ruby in comunità »; «Dissi al mio superiore: “Non è possibile che questa sia la nipote di Mubarak, perchè è marocchina”»; «Parlai con Ruby, mi disse che si spacciava a volte per la nipote del presidente egiziano, ma era una bugia»; «Il magistrato dei minori disse di non affidare Ruby alla signora Coinceicao».
Queste le affermazioni del commissario Iafrate sotto giuramento.
Ne segue: se non era nipote di Mubarak, perchè la rilasciano?
Perchè non avvisano il premier che si sbaglia sul suo conto?
Come mai nel verbale di rilascio e nelle relazioni di servizio non ci sono scritti i nomi di Berlusconi e Mubarak?
Come mai, nonostante le disposizioni di un pubblico ministero abbiano per la polizia valore di «ordini», il commissario scrive sul verbale l’indirizzo di Michelle come recapito di Ruby e spiega infine al tribunale: «Ho ritenuto opportuno affidare la minore a una consigliera regionale votata dal popolo italiano».
Opportuno? Che aggettivo è, in una catena di comando che riguarda un minore da proteggere?
Eccovi il metus, dice l’accusa soddisfatta, come non vederlo?
Aggiungendo che Berlusconi esercita la concussione perchè voleva Ruby fuori dalla questura il più rapidamente possibile.
Occorreva coprire, spiega la procura, quelle che l’ex premier chiama ancora «cene eleganti». E allontanare dagli assistenti sociali la sua ospite giovanissima, straniera e «pazzerella», legata a quel tipo di vita costato al leader politico il divorzio, prima ancora che lo scandalo.
Se questo è il roveto pungente del processo, alla difesa resta il dubbio basilare: che cosa si fa con Ruby?
Come interrogare una ragazza che – basta riascoltare le telefonate – raccontava alle amiche di un Berlusconi che s’era «innamorato», e che la copriva d’oro «per non parlare»?
Come gestire in aula le reazioni di una che, mentre i pubblici ministeri l’interrogavano, e nessuno sapeva niente delle notti hard a Villa Casati Stampa, all’improvviso sbottò: «Questa collana è mia, e me l’ha regalata Silvio Berlusconi! Io vado alle sue feste»?.
Passano le settimane, e non si conosce la lista testi del tandem Ghedini-Longo.
Nel loro non marginale dilemma sta infatti racchiuso anche il senso estremo del destino dell’ex premier: possibile che la sorte di un ultra-settantenne di enorme potere sia appesa alle parole non del tutto prevedibili di una neo-maggiorenne?
Di un’immigrata in fuga dalla povertà , ma diventata una delle esose utilizzatrici degli agi di Arcore?

Piero Colaprico

argomento: Berlusconi, Giustizia | Commenta »

CI MANCAVA: INDAGATA LA GIUNTA REGIONALE DELLA CALABRIA

Ottobre 4th, 2012 Riccardo Fucile

I COMPONENTI PDL ISCRITTI NEL REGISTRO DEGLI INDAGATI CON L’ACCUSA DI ABUSO D’UFFICIO PER LA NOMINA DI UNA DIRIGENTE

I componenti della giunta di centro destra della Calabria sono stati iscritti nel registro degli indagati, con l’accusa di abuso d’ufficio, dal sostituto procuratore di Catanzaro Gerardo Dominijanni.
L’inchiesta che ha messo nei guai l’esecutivo calabrese riguarda la nomina della dottoressa Alessandra Sarlo a dirigente regionale del Dipartimento controlli.
A luglio scorso lo stesso reato era stato contestato al presidente della giunta Giuseppe Scopelliti.
Alessandra Sarlo è la moglie del giudice Vincenzo Giglio, presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, arrestato lo scorso 30 novembre a Milano per le ipotesi di corruzione e favoreggiamento personale (aggravato dall’aver agevolato la ‘ndrangheta).
LA DECISIONE
La decisione di Dominijanni a coinvolgere l’esecutivo calabrese nell’inchiesta – come scrive il quotidiano della Calabria – sarebbe arrivata dopo le dichiarazioni dell’assessore al Personale Mimmo Tallini.
«La delibera sulla nomina della Sarlo è stata votata in giunta all’unanimità » — si sarebbe difeso l’assessore. Da qui la necessità  del magistrato di approfondire i meccanismi della nomina.
Alessandra Sarlo a luglio 2011 era stata nominata dalla Regione dirigente generale del Dipartimento controlli.
LA NOMINA
In passato era stata nominata commissario straordinario dell’Asl di Vibo Valentia, poi sciolta per mafia.
Fu proprio per questa nomina che suo marito, il giudice Giglio, fu accusato di complicità  con la ‘ndrangheta.
Assieme al giudice finirono in galera il consigliere regionale del Pdl della Calabria Francesco Morelli ed esponenti della famiglia Lampada.
Il gip di Milano Giuseppe Gennari nell’emettere l’ordinanza di arresto aveva scritto:” Per chiarezza va subito detto che lo scambio è: per Morelli notizie relative a possibili procedimenti a suo carico per mafia; per Giglio la nomina di Alessandra Sarlo a commissario straordinario all’Asl di Vibo Valentia”.
L’INTERROGATORIO
Nell’interrogatorio l’assessore Tallini aveva spiegato al magistrato che l’individuazione della Sarlo, professionalità  esterna all’organizzazione regionale, era stata voluta proprio, perchè “terza” e quindi meno condizionata quando c’era da valutare e controllare gli altri dirigenti regionali.
Il posto di dirigente del Dipartimento controlli fu creato dalla giunta regionale nel 2011 con delibera numero 308 del 12 luglio, proprio su proposta dell’assessore Tallini. Il 26 luglio fu pubblicato sul sito della regione l’avviso per il conferimento dell’incarico.
Nella riunione di giunta dell’11 agosto l’esecutivo prese atto che nessuna delle domande presentate rispondevano ai requisiti richiesti e così venne pubblicato un secondo bando al quale partecipò la Sarlo che risultò essere idonea a dirigere il Dipartimento controlli della Regione Calabria.
Una procedura regolare sulla cui legittimità  però la magistratura di Catanzaro ha deciso di vederci chiaro.

Carlo Macrì
(da “Il Corriere della Sera“)

argomento: Giustizia, Regione | Commenta »

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