Ottobre 30th, 2012 Riccardo Fucile
HA 39 SEGGI SUI 46 NECESSARI… E DOVRA’ BUSSARE AI 10 DI LOMBARDO E AI 5 DI MICCICHE’
Doveva essere il botto, la scossa definitiva che avrebbe azzerato tutto e rivoluzionato un’intera classe politica.
La Sicilia però, è noto, non è terra di rivoluzioni epocali, ma al massimo culla di laboratori.
Se rivoluzione doveva essere, quindi, l’isola degli alambicchi ha preferito quella stampata sui manifesti di Rosario Crocetta, eletto governatore nella competizione più rocambolesca degli ultimi anni. Il boom del Movimento Cinque Stelle c’è stato e si è probabilmente sentito fino a Roma, muta osservatrice del nuovo equilibrio siculo, mentre il candidato del Pd e dell’Udc è il nuovo vicerè di una Regione che entro fine 2012 sfonderà quota 6 miliardi di euro di deficit.
All’ex sindaco di Gela sono bastati 600 mila voti su un totale di 2 milioni e 200 mila votanti per conquistare lo scranno più alto di Palazzo d’Orleans: il 30 per cento dei consensi, raggiunti grazie al fatto che oltre 2 milioni e mezzo di siciliani hanno preferito non andare a votare.
Il primo partito che ha vinto è stato quello di chi è rimasto a casa: per la prima volta nella storia più di un siciliano su due.
All’europarlamentare del Pd è bastato quindi aggiudicarsi il 30 per cento, 14 punti percentuali degli aventi diritto di voto, per festeggiare l’elezione che consacra l’inedita ammucchiata tra i democratici e l’Udc: una prova tecnica di alleanza in vista delle Politiche 2013.
Compreso benissimo dai moderati, che volano sopra il 10 per cento, il patto Pd — Udc è stato rifiutato dai seguaci di Pierluigi Bersani, scesi dal 22 per cento di 4 anni fa (quando Anna Finocchiaro ottenne la stessa percentuale di Crocetta ma fu surclassata dal 65 per cento di Raffaele Lombardo) ai miseri 13 punti di oggi.
Adesso per l’ex sindaco dandy di Gela arriva il momento più difficile: trascinare la rivoluzione dal neretto dei cartelloni elettorali, agli atti dell’Assemblea regionale. Compito tutt’altro che semplice per Crocetta, primo governatore siciliano dichiaratamente omosessuale che ha ricordato alla stampa di essere “condannato a morte da Cosa Nostra”.
Il nuovo presidente dovrà infatti fare i conti con una maggioranza che semplicemente non esiste.
La sua coalizione ha ottenuto 39 deputati su 90: troppo pochi per raggiungere la maggioranza a quota 46 “onorevoli”.
Il neo governatore ha minacciato di chiudere baracca e burattini in caso di ostruzionismo e rispedire i siciliani al voto, dove “Crocetta prenderà il 60 per cento”. Ipse dixit.
Il parlamento siciliano è però un posto in cui cambiare casacca non è mai stato difficile: i deputati eletti nelle liste autonomiste, dal Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo (che ha lasciato in dote un posto da onorevole al figlio Toti) a Grande Sud del grande sconfitto Gianfranco Miccichè appaiono pronti a qualsiasi tentativo di dialogo, come hanno ampiamente dimostrato nell’ultima legislatura.
Sono proprio i 4 anni di governo di Lombardo ad impensierire maggiormente la rivoluzione coi moderati di Crocetta.
Durante la campagna elettorale si era parlato a più riprese di accordi sottobanco tra l’ex governatore e l’ex sindaco di Gela, complice anche il benestare di Gianfranco Miccichè.
E in effetti, l’ex luogotenente di Silvio Berlusconi, undici anni fa uomo simbolo del 61 a 0, si è infranto sotto il 15 per cento, 5 punti in meno rispetto alle liste che lo sostenevano.
Crocetta, però, ha conquistato più o meno gli stessi punti della sua coalizione, e da un’analisi a caldo sembra che il voto disgiunto abbia premiato più il secondo classificato, Nello Musumeci, fermo al 25 per cento con il Pdl sotto il 13.
Oltre, ovviamente, al candidato dei Cinque Stelle Giancarlo Cancelleri, terzo con 18 punti percentuali, 3 in più della lista.
I problemi per Crocetta potrebbero semmai arrivare dalle stesse liste che lo hanno sostenuto.
Il neo governatore ha rifiutato a più riprese qualsiasi segno di continuità con Raffaele Lombardo, annunciando di voler azzerare i vertici amministrativi della Regione, vere poltrone di amministrazione del potere.
Solo che molti di quei vertici sono stati nominati grazie all’apporto decisivo di alcuni degli uomini che oggi lo festeggiavano davanti al comitato di via Libertà .
Come Beppe Lumia per esempio, finalmente gongolante dopo la mazzata subita da Leoluca Orlando alle amministrative palermitane.
Negli ultimi 3 anni l’ex presidente della Commissione Antimafia è stato lo sponsor principale dell’alleanza con Lombardo, insieme al capogruppo del Pd Antonello Cracolici, che ha fatto ritorno all’Ars.
Rientra a Palazzo dei Normanni anche un uomo simbolo dell’Udc targata Totò Cuffaro: Nino Dina, in passato indagato per concorso esterno a Cosa Nostra e poi archiviato, fedelissimo dell’ex governatore ora recluso a Rebibbia dove sta scontando 7 anni di carcere per favoreggiamento alla mafia.
Era invece stato addirittura vice di Cuffaro Lino Leanza, ora rieletto con l’Udc e inserito anche nel listino di Crocetta, dopo essere stato capogruppo del Mpa.
Con la lista del nuovo presidente si era candidato anche Beppe Spampinato, fino a settembre assessore al lavoro di Lombardo. I fili che legano la coalizione di Crocetta con i volti del recente potere isolano sono quindi parecchi: varare la rivoluzione moderata mentre sono ancora saldamente annodati sarà problematico.
E se al momento, dalla parte dei vincenti sembrano essere cambiate soprattutto le alleanze, sul fronte opposto si è capovolto essenzialmente un dato: il voto.
Il Pdl, che in terra sicula aveva sempre regalato tante feste a B, con la gestione di Angelino Alfano si schianta al 12 per cento, meno della metà degli oltre 30 punti di 4 anni fa. Superano lo sbarramento ed entrano all’Ars Grande Sud e Cantiere Popolare di Saverio Romano, nato un anno fa da una costola dell’Udc: oggi i neoscudocrociati modello Cuffaro avrebbero raggiunto il 17 per cento, qualificandosi per l’ennesima volta come primo partito dell’isola.
Come dire che a nord di Tunisi cambia tutto, per non mai cambiare nulla.
A causa della debacle del certificato elettorale di Claudio Fava, rimangono nuovamente fuori dall’Ars Sel e Idv, sotto lo sbarramento del 5 per cento, nonostante l’aspirante presidente Giovanna Marano abbia raggiunto i 6 punti percentuali.
Un po’ di facce nuove nei corridoi di palazzo d’Orleans si vedranno comunque grazie al botto del Movimento Cinque Stelle, che porta all’Ars ben 15 deputati qualificandosi saldamente come la prima forza dell’isola.
La campagna low cost dei giovani attivisti di Beppe Grillo è riuscita a conquistare l’elettorato deluso di qualsiasi colore politico, conquistando deputati in tutte le provincie e piazzando i suoi portavoce tra i recordman delle preferenze.
Alla vigilia del voto i Cinque stelle avevano sognato la vittoria, complici anche alcuni exit poll ingannati dalle dichiarazioni di voto.
Percependo il clima favorevole a Grillo e nonostante avessero scelto altri aspiranti governatori, molti elettori avevano affermato infatti di aver votato per Cancelleri: probabilmente da oggi dichiareranno di aver sostenuto fortissimamente Crocetta.
Giuseppe Pipitone
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 30th, 2012 Riccardo Fucile
BERLUSCONI NON VUOLE CHE IL PARTITO SI SFALDI
Non una parola in pubblico, non un commento.
Per Silvio Berlusconi, la Sicilia è affare loro.
Di un Pdl che ha sbagliato le mosse, che così com’è certo non può vincere, che rischia di questo passo di «sparire».
Non ci ha voluto mettere la faccia in tutti questi mesi, non lo ha fatto neanche ieri.
Al telefono con Angelino Alfano, ha ascoltato la dettagliata relazione su un voto che «non è stato così negativo come sembra», sulla inevitabilità della sconfitta «se si va divisi», e ha freddamente preso atto.
D’altra parte, che il segretario avesse tentato l’accordo con Miccichè in tutti i modi lo sapeva bene il Cavaliere che – raccontano – non si è speso granchè neanche per ricucire.
E però, nemmeno ha approfittato dell’occasione per liberarsi del suo – almeno un tempo – delfino. «Vuole farsi le primarie, e si faccia le primarie… D’altra parte, a questo punto, se le primarie si bloccano Angelino è finito e il partito si sfalda, e io non voglio questo», il commento affidato a uno dei tanti interlocutori da un Berlusconi che, al telefono col segretario, ha in effetti dato il via libera al rilancio dell’appuntamento sul quale Alfano punta tutto: la sua sopravvivenza e quella del partito.
Non si opporrà dunque Berlusconi, non si metterà di traverso.
Lo confermano anche le parole di Daniela Santanchè, che dà atto ad Alfano di aver avuto «coraggio» stavolta, e che si candida per sfidarlo su una linea spiccatamente antimontiana.
«La verità – dice un ex ministro – è che Berlusconi sta pensando davvero di farsi un suo partito, ma a tempo debito. Ha bisogno ancora di organizzarsi e intanto non può permettersi lo sfaldamento del Pdl, per questo lascia che Angelino organizzi le primarie, vadano come vadano, poi si vedrà ».
Insomma, non è guerra nè pace, ma una tregua che serve a far riprendere fiato a tutti i contendenti nel Pdl.
Che non sono solo Berlusconi con eventuale contorno di amazzoni e pasdaran e Alfano con lo stato maggiore del partito, che pure ancora lo sostiene ma non in maniera compatta come prima.
Ieri, nella lunga riunione in via dell’Umiltà , è stato Denis Verdini a suggerire ad Alfano di valutare se davvero valga «la pena di andare avanti», se a questo punto non è meglio «puntare sul ritorno di Berlusconi» e farla finita.
Perchè l’ipotesi di dimissioni Alfano l’ha considerata seriamente, ma con la gran parte dei vertici del Pdl d’accordo l’ha poi accantonata, dopo le rassicurazioni di Berlusconi e il suo invito ad «andare avanti».
E però si naviga sempre più a vista, tutti.
Lo dimostrano le uscite contraddittorie di una Meloni che chiede l’immediato «azzeramento dei vertici», di Bondi che smitizza le primarie perchè «contano più i programmi», di Dell’Utri, che invoca «candidature di giovani, solo loro possono salvarci» e una «rivoluzione, fatta da chiunque, anche dai grillini se serve, per salvare questo Paese», di La Russa e Corsaro che, a nome della destra più agguerrita, pur sostenendo formalmente Alfano avvertono che «se non ci sarà una dichiarazione formale e decisa che non ci alleeremo mai più con la sinistra, che le nostre bandiere e i nostri valori saranno tenuti alti» sono pronti a lanciare una lista di destra per poi arrivare «magari a una federazione del centrodestra».
Un quadro di enorme fibrillazione, al quale si sommano le mosse sempre più imprevedibili di Berlusconi, che cambiano di ora in ora come i suoi appuntamenti. Ieri sono stati ben due i gialli su suoi possibili incontri. Il primo, il più delicato, riguarda un colloquio al Quirinale che, giurano fonti autorevoli del Pdl, sarebbe stato fissato da tempo per stamattina.
In mattinata Berlusconi è in effetti atteso a Roma, e la sua agenda – assicurano – prevede proprio un faccia a faccia con Napolitano.
Che però dal Colle smentiscono seccamente: incomprensione, voci dal sen fuggite o cancellazione dell’incontro da parte di Napolitano, che certo non ha gradito l’uscita anti Monti del premier da Villa Gernetto? Non è dato saperlo, ma certo l’episodio la dice lunga sulla confusione che domina la scena politica.
Altro incontro che sembrava dovesse avvenire ieri sera ad Arcore era quello di Berlusconi con Bossi, Calderoli e Tremonti.
Una «rimpatriata», così la definiscono, che però è saltata sembra per l’irritazione di Maroni che, dopo aver dato il via libera, avrebbe fatto trapelare il suo niet visto che la notizia della cena, che doveva restare riservata, è stata diffusa da fonti pidielline. Resta dunque apertissimo lo scenario del futuro del centrodestra, dalla leadership alla sopravvivenza del Pdl fino alla durata del governo Monti.
Al premier sono arrivate le rassicurazioni di un Alfano convinto di avere gran parte del partito dalla sua parte.
Ma il punto interrogativo sulle reali intenzioni del Cavaliere è, allo stato, l’unica delle certezze.
Paola Di Caro
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 30th, 2012 Riccardo Fucile
SOLO NEL 2011 LA RESIDENZA ROMANA DEL CAVALIERE E’ COSTATA AL PARTITO 2,5 MILIONI DI EURO, PAGATI COI SOLDI DEI RIMBORSI ELETTORALI
La notizia è contenuta in una nota ufficiale del Pdl, che certifica come anche nel partito di Berlusconi sia in corso una sorta di spendig review sui costi sostenuti per gli affitti delle sedi storiche, ereditate da Forza Italia (insieme alle pigioni).
Eh sì, perchè i quattro milioni spesi nel 2011 sono troppi anche per il Pdl, specie se si considera che l’esborso è relativo a soli due immobili: la ‘casa’ del Popolo della Libertà in via dell’Umiltà (al numero civico 36) e — udite udite — anche la sede di via del Plebiscito.
Ovvero la residenza romana di Silvio Berlusconi (come spiega l’Adn Kronos), quindi Palazzo Grazioli, l’enorme abitazione in cui si tenevano le ‘cene galanti’ con le donnine portate dal faccendiere pugliese Giampaolo Tarantini. Ergo, l’affitto della casa del Cavaliere è stato pagato per anni con i soldi dei contribuenti tramite i rimborsi elettorali.
Un passo indietro.
Il ‘Ruby-Gate’ non era ancora scoppiato, era da poco trascorsa l’era di Noemi Letizia (che chiamava il Cavaliere con l’appellativo di ‘Papi’) e del divorzio dell’ex premier da Veronica Lario: nell’immaginario collettivo del Paese fece il suo ingresso Patrizia D’Addario, la escort barese della notte d’amore (a pagamento) con l’allora presidente del Consiglio nel lettone regalato da Putin.
Le ‘sere eleganti’ di Silvio Berlusconi diventarono di dominio pubblico e l’allora capo del governo divenne “l’utilizzatore finale”, come da arcinota definizione del suo avvocato Niccolò Ghedini.
Ora si scopre che per vivere nel teatro di quelle ‘cene’, Silvio Berlusconi non ha mai pagato un euro.
Ed è lo stesso Pdl a renderlo noto, rivelando anche i particolari degli esborsi: “Nel 2011 — scrivono i tesorieri Rocco Crimi e Maurizio Bianconi nella relazione gestionale — i costi della locazione riferiti alla sede legale di via dell’Umiltà 36, sono stati pari a 1 milione 871 mila 712 euro”.
Quindi, facendo due conti, l’anno scorso per Palazzo Grazioli il Pdl ha pagato un fitto di 2 milioni 128mila 288euro.
Altri particolari emergono dalla relazione dell’amministratore nazionale Sandro Bondi, “anche nell’esercizio 2011 Forza Italia ha messo a disposizione del Pdl le proprie rimanenti strutture centrali. Ricordiamo che per quanto riguarda queste ultime — spiega il senatore pidiellino — l’operazione ha richiesto la sottoscrizione di un’apposita scrittura privata, che ha definito i termini dell’addebito delle spese sostenute dal movimento azzurro nel periodo 1° aprile-31 dicembre 2009 e negli anni 2010 e 2011 per le strutture situate a Roma in via dell’Umiltà , 36 e in via del Plebiscito, 102 e dei connessi servizi distaccati”.
Ma non solo.
Secondo quanto certificato da Sandro Bondi, infatti, “ad aggravare le finanze del partito si aggiungono le spese per il personale, che ammontano complessivamente a 3 milioni 233 mila 738 euro e si incrementano di 2 milioni 894 mila 726 euro rispetto all’anno precedente”.
Quasi mezzo milione di spese in più dovuto “all’aumento del numero del personale dipendente, che passa dalle 23 unità presenti al 31 dicembre 2010 alle 84 unità in forza al 31 dicembre 2011″.
Nella nota è specificato che per quanto riguarda le “unità in forza” si tratta di 4 giornalisti e 80 impiegati.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 30th, 2012 Riccardo Fucile
“LA VITTORIA DI CROCETTA DERIVA DALLE DIVISIONI NEL CENTRODESTRA”… E CONFERMA LE PRIMARIE PER IL 16 DICEMBRE
“Per quanto ci riguarda il governo Monti va avanti”. Non si esprime come Berlusconi il segretario del Pdl Angelino Alfano, che sottolinea l’appoggio del suo partito ai tecnici.
Il contrario di quanto ipotizzato dal Cavaliere, che nel fine settimana da Villa Gernetto aveva parlato della possibilità di togliere la fiducia all’esecutivo.
Minaccia che, peraltro, lo stesso Professore ha minimizzato. “Sono fortemente convinto delle mie idee che sono largamente condivise nel partito — ha proseguito il segretario a chi gli chiedeva se si sentisse sconfessato dalla parole dell’ex presidente del Consiglio – Berlusconi ha riaffermato con termini e parole diverse le cose che abbiamo sempre detto su un certo modo di fare della Germania e sulle politiche recessive”.
Per Alfano, inoltre, il futuro del Pdl “passa dalle primarie del 16 dicembre” dove si candida “ufficialmente”, portando avanti “i miei ideali che valgono più della mia carriera”.
Sono dichiarazioni che arrivano al termine di una giornata nera per il Popolo della libertà , crollato alle elezioni siciliane.
E se Berlusconi preferisce il no comment sull’esito delle urne, per il segretario il segreto della vittoria di Rosario Crocetta in Sicilia risiede nella ”divisione del centrodestra”.
”Il voto in Sicilia – spiega provocatoriamente — dimostra che l’operazione di dividere il centrodestra è riuscita perfettamente. Il centrodestra diviso ha fatto vincere il candidato del partito democratico. Ho sentito al telefono il presidente Berlusconi, condivide la mia analisi sul voto in Sicilia”.
Ritornando sul tema delle primarie, il segretario nazionale del Pdl ha spiegato che “entro il 16 novembre saranno depositate le candidature”, che le regole “saranno ratificate dall’Ufficio di Presidenza il 7 novembre prossimo”.
Inoltre ha smentito categoricamente la divisione interna al partito tra montiani e anti-montiani, con questi ultimi capeggiati da Silvio Berlusconi.
“E’ una rappresentazione assolutamente surreale e a tratti comica” ha detto, sottolineando che gli “assertori di essere interpreti del pensiero di Berlusconi farebbero bene a tacere perchè non rappresentano il pensiero autentico di Berlusconi e nuocciono alla nostra causa”.
Dopo aver assicurato che il partito voterà con convinzione il ddl corruzione del governo Monti, mentre per quanto riguarda la legge di stabilità Alfano ha confermato che il Pdl chiederà “modifiche sostanziali” al governo, in particolare sul fronte fiscale.
Non poteva mancare un accenno sulla legge elettorale, con Alfano che ha sottolineato come il Porcellum “va cambiato e il Pdl lavorerà per questo, speriamo di riuscirsi e che non ci siano troppi ostacoli”.
In sostanza Alfano, con al fianco tutti i ‘big’ di via dell’Umiltà , ha ribadito la sua linea: la rifondazione del centrodestra passa attraverso il Pdl e le primarie e non uno sgambetto al governo Monti.
L’ex premier lascia fare, ma la strategia resta quella della dura opposizione, del ‘basta tasse’. L’intenzione è di dettare condizioni, senza andare alla rottura, senza ‘strappare’, anche perchè difficilmente i numeri nel Pdl sarebbero dalla sua parte.
Sul ddl anticorruzione il Pdl non si metterà di traverso, ha assicurato Alfano, mentre si andrà avanti sulla legge elettorale, con i vertici del Pdl che vogliono arrivare al proporzionale con Silvio Berlusconi che, però, vorrebbe mantenere il ‘Porcellum’.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 30th, 2012 Riccardo Fucile
LE OPINIONI SUL VOTO DI MICHELE SERRA, ANTONIO PADELLARO, MASSIMO GIANNINI, VALENTINO PARLATO, LUCA TELESE, MAURIZIO BELPIETRO, VITTORIO FELTRI E MARIO SECHI
L’AMACA di Michele Serra
La maggioranza dei siciliani non è andata a votare, ma sarà ugualmente governata. Da un governo di altri, eletto da altri.
Se il proposito di chi non vota è tirare una bordata alla politica, depotenziarla, dequalificarla, il risultato è (sempre) l’esatto contrario: nei suoi nuovi confini, più ristretti, la politica può ugualmente sommare i voti che le restano dentro il cerchio magico del cento per cento.
Chi è andato a votare, per quanto minoranza, pesa come una totalità . E chi non ha votato, per quanto maggioranza assoluta, pesa meno della più insignificante delle listerelle del nostro comicissimo paese (per fare solo tre nomi Popolo dei Forconi, Piazza Pulita e Sturzo Presidente).
Di peggio, nel bilancio di chi non vota, si può aggiungere questo: che grazie all’astensione di massa, per vincere e per governare bastano meno voti, sempre meno voti.
Lo stesso numero di voti che non erano sufficienti, pochi anni fa, per arrivare secondi o terzi, oggi bastano per vincere.
Ovviamente chi non va a votare ha le sue rispettabili ragioni, e il diritto di non farlo. Ma perde il diritto di lamentarsi per quanto accadrà , e acquisisce il dovere di tacere e subire, perchè ha taciuto e subito nel giorno delle elezioni.
UN GRIDO DI RABBIA MA NON BASTA di Antonio Padellaro
Le elezioni siciliane hanno confermato ciò che tutti sanno ma che molti non vogliono capire.
Primo: ormai è certificato che la popolarità dei partiti e dei loro leader è ai minimi storici. Come hanno fatto domenica più della metà dei siciliani è possibile che più della metà degli italiani, o giù di lì, il giorno del voto nazionale (ad aprile o forse prima) preferisca restare a casa.
Secondo: questo rifiuto, che contraddice mezzo secolo di convinta partecipazione elettorale di massa, non nasce dal vento qualunquista dell’antipolitica, come ci ripetono ogni giorno i gran visir di palazzo, che appunto stando nel palazzo si ostinano a recitare litanie ammuffite a cui neppure loro credono più.
Se costoro ogni tanto osassero salire su un bus o andare al mercato, si renderebbero conto che la stragrande maggioranza degli italiani ne ha piene le tasche di dover versare i propri sudati soldi a un sistema fiscale tra i più esosi e iniqui per poi apprendere di aver finanziato la casta ladra dei Fiorito e gli apparati famelici della politica intesa come strumento di tornaconto personale.
In Sicilia un grido di protesta così forte e rabbioso non si era mai sentito prima.
Ma attenzione: da solo rischia di perdersi nel deserto.
Una volta assorbito il colpo, infatti, il sistema dei partiti con il 40 per cento (o fosse anche il dieci) potrà tranquillamente spartirsi l’istituzione regionale con annessa torta pubblica.
Gli assenti, insomma, hanno sempre torto e la partita della democrazia è troppo importante per essere liquidata con un rifiuto o un’invettiva.
Lo ha dimostrato il Movimento 5 Stelle del tanto vituperato Grillo, che ha mostrato molto più rispetto delle regole democratiche di tanti capi e capetti partitici, candidando facce veramente nuove, affrontando le piazze, mettendosi in gioco.
L’altra buona notizia è l’elezione del pd Rosario Crocetta a Palazzo dei Normanni. Vedremo come saprà governare un’isola depredata dai predecessori. Ma con lui — nonostante certi alleati — vince un sincero, collaudato uomo della lotta alla mafia. E non è poco.
L’ONDA ANOMALA di Massimo Giannini
Prima dell’uragano di New York, arriva lo tsunami di Sicilia.
Basta che Beppe Grillo attraversi a nuoto lo Stretto di Messina, e l’onda anomala investe l’isola. Devasta quasi tutto, a partire dalle vecchie “casematte” del potere di centrodestra.
Tra le macerie si erge un’alleanza di centrosinistra, fragile e non autosufficiente. E si staglia un Movimento 5 Stelle, agile e destabilizzante.
Se questo esito del voto siciliano si proiettasse su scala nazionale, ne verrebbe fuori un quadro politico indecifrabile. E un Parlamento ingovernabile.
Sul piano locale, queste elezioni regionali offrono tre spunti di riflessione.
La prima evidenza, la più inquietante, è il combinato disposto tra la corsa dell’anti-politica e la fuga dalla politica.
Tutti immaginavano che il comico genovese, in trasferta in una terra a lui incognita, avrebbe ottenuto un buon risultato.
Ma non era affatto scontato che, con poco più di una settimana di comizi nelle piazze e nelle valli sicule, Grillo riuscisse a diventare il primo partito in quasi tutte le città , con percentuali che oscillano intorno al 18%.
Non contano le proposte programmatiche sull’isola formulate dal leader dell’M5S. Conta la voglia di cambiamento purchessia di chi lo ha votato, che fa premio su tutto. Se a questo dato aggiungiamo il record di un’affluenza alle urne che per la prima volta nella storia repubblicana resta sotto la soglia psicologica del 50%, l’abisso che separa gli elettori dagli eletti (per disincanto populista o per disinteresse astensionista) diventa davvero pauroso.
La seconda evidenza, la più stupefacente, è il crollo totale del Pdl, che è alla base dell’insuccesso di Musumeci.
La Sicilia è storicamente un feudo della creatura berlusconiana, che qui è nata come Forza Italia, è cresciuta, ha incubato le sue più disinvolte formule coalizionali ed ha coltivato i suoi trionfi epocali.
Dalla satrapia condivisa con il «socio» centrista Totò Cuffaro al leggendario «cappotto» 61 a zero del 2001.
Dalle vette vertiginose del 46,6% ottenuto alle politiche del 2008, poi parzialmente corretto al 33,4% delle regionali, oggi il Partito del Popolo delle Libertà precipita al 12%. Una miseria di voti, racimolati nella terra dei Marcello Dell’Utri, dei Renato Schifani e soprattutto di quell’Angelino Alfano che qualcuno vorrebbe degno ed unico erede dell’impero del Cavaliere, e che persino nella sua Agrigento incassa l’ennesima umiliazione.
Nonostante questo, il segretario di Berlusconi (molto più che del suo partito) parla di un «risultato straordinariamente positivo».
Più che indignazione, suscita compassione.
La terza evidenza, la meno sconfortante, è la tenuta dell’asse Pd-Udc, che consente almeno a Crocetta di governare la regione, magari attraverso un ulteriore patto con il movimento di Miccichè e Lombardo.
È il segno che l’alleanza tra progressisti e moderati ha un suo senso, anche in una regione generalmente «inospitale» per la sinistra. Bersani parla di «un risultato storico», e a suo modo dice il vero.
A parte il dominio assoluto della Dc ai tempi della Prima Repubblica, nella Seconda in Sicilia ha sempre governato la destra (con l’insignificante parentesi di Antonio Capodicasa, esponente dell’allora Pds, che guidò Palazzo dei Normanni tra il ’98 e il 2000).
Dunque, per il centrosinistra aver piazzato comunque la sua bandiera nell’isola è un passo avanti.
Ma il segretario farebbe bene a non enfatizzare troppo il «successo».
La ditta Pd-Udc è comunque la somma di due debolezze: insieme (se si aggiunge il 6,5% della lista civica Crocetta) fanno più del 30%, ma da soli i democratici calano a poco più del 13% e l’Udc si ferma al 10,8% (contro, rispettivamente, il 25,4% e il 9,4% delle politiche 2008).
Vuol dire che il centrosinistra vince sulle rovine del centrodestra, cede consensi ai grillini e non intercetta quelli finiti nel frigorifero dell’astensione.
La Sicilia è da sempre un «laboratorio», che anticipa e consolida le tendenze generali. Questi tre effetti del voto locale avranno dunque implicazioni significative sulla politica nazionale.
A destra si produce l’ennesimo paradosso.
Proprio il risultato siciliano (che sancisce plasticamente la fine del ciclo berlusconiano e l’eutanasia di Alfano, un «delfino» mai nato) offre a Berlusconi l’opportunità di rilanciarsi ancora una volta come unico demiurgo della destra italiana.
La destra dell’Editto di Villa Gernetto: populista e forzaleghista, anti-europea e anti-repubblicana.
La destra che attacca il rigore della Merkel e il Fisco oppressore, accusa la Corte costituzionale e la magistratura inquirente, e un giorno offre a Monti la guida del Ppe italiano mentre il giorno dopo minaccia di togliergli la fiducia in Parlamento.
La destra che agita le primarie come una foglia di fico di un impossibile «pluralismo interno», ma che vedrà di nuovo il Cavaliere come il solo e il vero tragicomico Jocker di una campagna elettorale pericolosa per il governo e rovinosa per il Paese.
A sinistra si profila un’opportunità , ma anche un problema.
L’idea di una vocazione maggioritaria del Pd, per quanto desiderabile e suggestiva, non sembra in sintonia con gli umori del Paese.
Il Partito democratico ha dunque una sola chanche, che il risultato siciliano avalla e per certi versi propizia. Deve saper essere una forza capace di federarne altre, usando l’unica risorsa della quale in questo momento sembra disporre: il suo potere di coalizione. La sua forza di attrazione, che si deve poter esplicare sia alla sua sinistra, sia al centro. È la fatica del riformismo.
Chi non capisce questo, e si ostina a porre veti insormontabili sulle alleanze e paletti irrinunciabili sui programmi, rischia di condannare il centrosinistra alla divisione, e quindi alla minorità .
Ma su tutto, resta una preoccupazione di fondo.
Il voto siciliano ci consegna un panorama di formazioni politiche che, singolarmente prese, oscillano tra il 10 e il 20%.
Tramontati i partiti di massa, esauriti i partiti personali, restano partiti medio-piccoli che per provare a governare possono solo provare a «consorziarsi».
Per il resto, un enorme bacino di suffragi in libera uscita, ma senza vie d’uscita: una domanda di cambiamento politico che non trova risposta nei partiti, incapaci di innovare persone e proposte, e quindi finisce nel limbo del non voto.
Se questo fosse il risultato delle prossime elezioni nazionali, nella primavera del 2013, l’Italia ne uscirebbe a pezzi.
Sarebbe uno scenario che, a dispetto di una politica che vuole tornare a guidare le sorti del Paese, sarebbe obbligata a ripetere l’esperimento in corso, cioè quello di una Grande o Piccola Coalizione.
Ma con l’aggravante di un Parlamento balcanizzato, tra le convulsioni dei forzaleghisti e le aggressioni di un centinaio di deputati grillisti. Una prospettiva sicuramente favorevole a un Monti bis.
Ma probabilmente sfavorevole all’Italia, che in balia dell’onda anomala si confermerebbe l’unica democrazia «commissariata» dell’Occidente
UNA VITTORIA SULLE MACERIE di Valentino Parlato
Voto seriamente allarmante quello di domenica in Sicilia e c’è poco da consolarsi con la vittoria di Crocetta (Pd, Unione di centro, Movimento Politico, Unione consumatori) con il suo 31% dei voti, che resta tuttavia al di sotto del 40% realizzato dalle altre liste di destra.
Il vero allarmante vincitore di questa prova elettorale è il partito degli astensionisti (di destra e di sinistra) che ha raccolto il 52,58% dei voti.
E se poi aggiungiamo il 18,40% raccolto dai grillini, possiamo dedurne che due terzi dei siciliani si sono posti fuori dal sistema attuale dei partiti.
Siamo proprio alla totale svalutazione del sistema politico: lo spread democratico si è messo in gara con quello valutario.
Su questi dati si dovrebbe seriamente riflettere e stare attenti, evitando, come sta facendo Bersani, di ubriacarsi con la «vittoria storica» in Sicilia.
Certo gli astensionisti sono anche di destra, motivati forse dall’ultima uscita anti Monti di Berlusconi.
Il risultato del voto in Sicilia — lo ripeto — è un segnale fortissimo della crisi italiana, non solo della sinistra, ma soprattutto.
Su questo dovrebbe svilupparsi un’analisi più approfondita delle cause della crisi della sinistra e, conseguentemente, della democrazia. Se siamo decaduti al «governo tecnico» non è tanto per il debito pubblico, ma per le insolvenze democratiche e culturali.
Ma non attendiamoci uno scatto di iniziativa delle attuali frammentate forze di sinistra.
Dire che in Sicilia c’è stata «una vittoria storica» è solo prova della pervicacia del non guardare la realtà , di cecità e c’è un detto su dio che acceca chi vuol perdere.
Ma ci si può accecare anche da soli.
ATTENTI AI GATTOPARDI A PALERMO E A ROMA di Luca Telese
Quando stamattina gli ultimi numeri del bilancino saranno estratti dal pallottoliere delle elezioni siciliane si scopriranno due devastanti verità .
La prima è che i siciliani hanno lanciato un messaggio di cambiamento.
La seconda è che forse lo hanno fatto invano.
Più di metà di loro ha disertato le urne.
E tra quelli che sono andati ai seggi, la maggioranza ha votato il Movimento 5 stelle, perchè sembrava il più adatto a voltare pagina rispetto ai vecchi partiti.
Tra gli altri elettori, la maggioranza ha votato il candidato — Rosario Crocetta — che aveva più possibilità di cambiare maggioranza.
Purtroppo si sta verificando un pasticcio siciliano che prefigura quello che tra pochi mesi potrebbe essere un pasticcio italiano. Crocetta dovrà trovarsi una maggioranza in Consiglio per non fare l’anatra zoppa.
Per rimpolpare i suoi consensi, dopo l’alleanza pre-voto (non certo entusiasmante con l’Udc), dovrà stringere un patto con l’ex governatore Lombardo (il suo Mpa ha già praticato un voto disgiunto ai danni del suo candidato teorico, Miccichè).
Ma anche Miccichè ora si vuole alleare con Crocetta.
E così rischia di ricrearsi una mostruosa alleanza centrista fra Pd, Mpa, Udc, l’Mpa di Lombardo e il Grande Sud di Miccichè.
Roba da spararsi, per chi sognava il cambiamento.
Si potrebbe evitare? Chissà , se il Movimento 5 stelle e Crocetta fosse disposto ad una alleanza, forse sì.
Ma siccome il nonstatuto di Grillo le alleanze le vieta, il cambiamento diventa un sogno impossibile. In Sicilia tornano i politiconi. In Italia rischia di tornare Monti. Vincono i gattopardi.
BATOSTA IN SICILIA. UNA CROCETTA SUL PDL di Maurizio Belpietro
Chissà se adesso capiranno o faranno finta di nulla. Chissà se riconosceranno gli errori oppure, come già è capitato nel passato, tireranno avanti come prima.
Io, dovendo scegliere, scommetterei su quest’ultima ipotesi, ovvero che neppure la batosta siciliana basterà a farli rinsavire.
Nel Pdl inizierà la caccia ai responsabili, per cercare di dare la colpa a qualcuno. Invece di riflettere su quanto accaduto, la sconfitta sarà presa a pretesto per un regolamento di conti interno,un modo per liquidare una carriera e costruirne altre.
Del resto, nel Popolo della libertà gli indizi che portano a ritenere che le cose finiranno proprio come immagino, cioè con la ricerca di un capro espiatorio per poi proseguire come prima, sono molti.
E il colpevole cui addebitare tutto, inevitabilmente, non può che essere Angelino Alfano, il segretario del partito.
Il quale non solo porta su di sè la responsabilità della scelta del candidato a governatore della Sicilia e la rottura con Gianfranco Miccichè, l’ex luogotenente berlusconiano che ha sottratto voti al centrodestra condannandolo a sicura sconfitta. Non solo, dicevo, ha deciso lui di affidarsi a Nello Musumeci senza riuscire a trovare un accordo con gli ex di Forza Italia, ma ha pure l’aggravante di essere siciliano e dunque di essere stato battuto in casa propria, là dove dovrebbe essere il più forte.
Un po’ come se Bersani non riuscisse a imporre un suo uomo neppure in Emilia o a Bettola.
Oltre a ciò, Alfano è un colpevole perfetto cui addebitare ogni colpa in quanto è inviso a un bel po’di berlusconiani e forse anche allo stesso Berlusconi.
Da quando il Cavaliere lo presentò al mondo come suo erede, imponendolo segretario contro il parere dei triumviri, molta acqua è passata sotto i ponti.
L’asse tra il fondatore e il suo successore non è più quello di un tempo, tanto per intenderci del periodo del lodo per le alte cariche dello Stato.
Basti notare come il delfino sia rimasto muto come un pesce dinnanzi alla ridiscesa in campo dell’ex premier dopo la condanna per frode fiscale.
Insomma, Angelino è il candidato più probabile al sacrificio che richiede ogni sconfitta. Ieri era girata voce che lui stesso meditasse di offrire le dimissioni, ma la chiacchiera è stata smentita dalle parti di via dell’Umiltà , sede del quartier generale del Pdl, e poi lo stesso Alfano ha provveduto a negarla.
Il segretario dunque resta al suo posto, ma nessuno ha detto per quanto.
Comunque sia, che cioè l’ex guardasigilli se ne vada o resti seppur dimezzato o osteggiato, la questione non risolve il problema del partito.
Non è Alfano che non va, è il Pdl, la sua immagine,i suoi dirigenti nel complesso, che sono arrivati al capolinea.
È inutile fingere e cercare di scaricare le responsabilità sul segretario pro tempore. Se anche oggi Angelino venisse rimpiazzato da Berlusconi o dalla Santanchè le cose non cambierebbero.
Cacciati i vertici del partito non tornerebbero gli elettori, perchè il problema del centrodestra è più profondo, più complesso e riguarda, oltre all’assenza di leadership, l’assenza di una proposta politica credibile.
Non si può stare un giorno con Monti e il giorno dopo contro.
Non si può prendere le distanze da una politica economica di sole tasse, ma allo stesso tempo sostenerla in Parlamento.
Non si può essere favorevoli a liste pulite, ma tollerare e chiudere non un occhio bensì entrambi su alcune candidature.
Nella sua negatività (la Sicilia consegnata alla sinistra, un quadro politico frammentato in cui nessuno ha una maggioranza netta) il risultato elettorale di ieri un aspetto positivo però c’è l’ha, ed è che nonostante il disastro del Pdl, nonostante il centrodestra sia riuscito a dividersi e a fare peggio che altrove, gli elettori non sono passati con il nemico.
Il Pd vince le elezioni, ma perde i voti, arretrando di cinque punti. Futuro e Libertà , il partito di Fini, non arriva al cinque per cento nonostante Granata, Briguglio e Strano. Sel e l’Italia dei valori arretrano sebbene abbiano candidato una donna della Cgil.
E perfino il Movimentocinque stelle, pur diventando il primo partito siciliano, non va oltre il 14 per cento.
Significa che chi votava per il centrodestra, cioè la maggioranza dei siciliani, non è andato altrove, non ha cercato nuovi approdi, ma è semplicemente rimasto a casa. Piuttosto che votare questo Pdl e questo centrodestra, glielettori hanno scelto di non votare.
Il che ai miei occhi ha una sola spiegazione: aspettano che tra i moderati ci sia qualcuno che sia presentabile. Insomma, non sono stati i cittadini a tradire, ma chi avrebbe dovuto rappresentarli.
Dunque, se questa è la situazione — e non vi è dubbio che lo sia — i vertici del Popolo della libertà scendano dall’Olimpo in cui si sono confinati e dai tacchi a spillo su cui si sono issati e comincino a guardare in faccia la realtà .
In poche parole: facciano un programma che sia degno del nome e poi si facciano da parte favorendo il ricambio, prima che a metterli da parte siano i votanti. E non solo in Sicilia, ma anche a Roma.
QUEL FUGGI FUGGI È UNO SPUTO A TUTTI I PARTITI di Vittorio Feltri
Il partito più forte in Sicilia è quello dell’astensione. Un record in Italia: oltre il 50 per cento. Se teniamo conto soltanto di coloro che si sono degnati di recarsi al seggio, allora è Beppe Grillo a piazzarsi in vetta alla classifica.
Una prodezza, la sua. Egli infatti è arrivato a nuoto nell’isola circa tre settimane fa, e in una ventina di giorni ha conquistato un posto al sole, che poi è una stella e si aggiunge alle cinque già presenti sul simbolo del movimento fondato dal comico.
Che adesso non fa più ridere,ma semina il panico tra i professionisti della politica straccia.
L’affermazione sicula prelude al trionfo che Grillo avrà alle consultazioni nazionali della prossima primavera. Se ieri ha ottenuto con la lista intorno al 15 per cento, l’anno venturo incasserà minimo il 20.
Un dato del genere, del tutto probabile, sarà il certificato di morte dei partiti tradizionali di destra e di sinistra e di centro, estinti causa suicidio.
Essi, infatti, nonostante la crisi propria, la crisi internazionale e la crisi istituzionale del nostro Paese, invece di riorganizzarsi e dedicarsi con tenacia alla soluzione dei problemi della gente, si sono intorcinati badando solamente a interessi di bottega: la spartizione del potere e la conservazione della poltrona con privilegi annessi e connessi.
Partiti talmente sfilacciati e inconcludenti al punto da essere costretti,un anno fa, a cedere il timone ai tecnici per manifesta inadeguatezza.
E ora pagano dazio.
Il Pd, nonostante se la tiri tanto, in Sicilia arranca: ha raccolto la miseria del 13 e rotti percento,benchè, con la coalizione di sinistra, si sia aggiudicato, grazie a Rosario Crocetta, il trono di governatore.
Il quale governatore, tuttavia, faticherà (forse invano) ad avere in Consiglio regionale una maggioranza che gli consenta di governare, visto che il Parlamento sarà occupato da uno spezzatino politico disomogeneo. In queste condizioni, raggiungere un accordo e stabilire alleanze durature, almeno sulla carta, è impossibile.
Occorre registrare la disfatta del Pdl: 12,4 per cento..
Il candidato Nello Musumeci, pur intorno al 25 per cento, si è beccato 6 punti in meno dell’avversario Crocetta, sostenuto anche dall’Udc.
Qualcuno dice che Angelino Alfano abbia commesso l’errore di sganciare Gianfranco Miccichè, perdendo così un bel pò di consensi.
Se è per questo, al Pdl sono mancati anche i voti del Fli (4 per cento).
Ma qui il segretario pidiellino non c’entra. Bisogna fra l’altro riconoscere che quando egli ha ereditato lo scettro di Silvio Berlusconi, il partito era già in tocchi, e attendersi il miracolo di un ricompattamento era illusorio.
La realtà va guardata in faccia, e fa paura: nel giro di qualche annetto il centrodestra, per vari e noti motivi, ha dissipato un patrimonio che sembrava indistruttibile. Un’analisi del fallimento richiederebbe una spietatezza che non è il momento di sfoderare.
Limitiamoci a riferire le cifre del grave dissesto e auguriamoci che colonnelli e caporali berlusconiani (ex Forza Italia ed ex An) la smettano di litigare e si impegnino a ricucire strappi e smagliature, altrimenti il Pdl andrà (metaforicamente, stavolta) a puttane.
Con una sintesi brutale, le elezioni siciliane si commentano in poche parole.
Tra astensioni (53 per cento), schede bianche (4 per cento) e voti assegnati al candidato di Grillo (18 per cento), l’antipolitica arriva al 76 percento.
Chi ha tracciato la croce sul simbolo del Movimento 5 stelle ha inteso sputare sui partiti, chi si è addirittura rifiutato di entrare in cabina non ha più voglia neppure di sputare: risparmia anche la saliva.
Non è una bella immagine,ma è quella della politica, oggi.
DALL’ISOLA AVVISO AI NAVIGANTI di Mario Sechi
La Sicilia è sempre stata un formidabile laboratorio politico, anticipatrice di fenomeni che poi si sono radicati in tutto il Palazzo.
Il voto per il rinnovo del consiglio regionale ci offre una proiezione di quel che accadrà al Parlamento nazionale se i partiti non intervengono subito con una riforma istituzionale per assicurare al Paese stabilità e governabilità .
Senza questi due ultimi requisiti nella competizione globale sei perdente in partenza. La salvezza del sistema politico è un pre-requisito per poter sfidare i giganti: il capitalismo senza democrazia della Cina, il capitalismo con la democrazia e un forte presidenzialismo degli Stati Uniti, il mercato e lo Stato forte della Germania, la crescita senza regole dei Paesi emergenti, mette tutti di fronte al dilemma del funzionamento della democrazia.
Pensate alla Sicilia: è una regione esattamente nelle stesse condizioni della Grecia, vicina al default, con un apparato burocratico amministrativo abnorme, dove le assunzioni clientelari sono un volano non solo per la politica ma per l’intero sistema economico che succhia la mammella dei contribuenti.
Può una regione con svariati miliardi di euro di debito essere governata da una maggioranza esile, di volta in volta sottoposta al ricatto delle minoranze necessarie?
Osservate cosa è successo in Spagna: le autonomie locali nel mezzo della crisi hanno svelato i buchi dei loro bilanci, una voragine che ha aggravato la crisi della Agencia tributaria. La situazione italiana rischia di divenire la fotocopia di quella spagnola.
Ma mentre in Spagna i partiti sono riusciti almeno a votare e a varare un governo (quel finto fenomeno di Zapatero ha lasciato posto ed eredità a Mariano Rajoy), in Italia i partiti, un anno fa, hanno alzato le mani e chiamato Monti per spegnere l’incendio che essi stessi avevano appiccato.
Fanno sorridere quando reclamano le elezioni che essi stessi non hanno voluto. L’insegnamento che viene dalla Sicilia è un gong potente che dovrebbe svegliare tutti: i vincitori, i vinti e quelli che si apprestano a fare il primo passo nel Palazzo.
Nessuno andrà lontano perchè la recessione economica si sta intrecciando con la crisi finanziaria e quella politica.
È in corso un pericoloso avvitamento delle istituzioni che rischia di trascinare il Paese a fondo.
Da tempo sostengo che l’Italia ha bisogno di uno shock per risollevarsi.
La sua storia lo dimostra ed è questa la tesi di fondo di «Tutte le volte che ce l’abbiamo fatta», il libro che ho scritto per Mondadori.
L’Italia è un grande Paese, terra di geni e costruttori di realtà e di immaginario, sta per affrontare un altro passaggio chiave della sua storia.
Bisogna fare le riforme, accettare il peso di una lunga traversata nel deserto per riscoprire le radici di un Paese che ce l’ha fatta e ce la farà ancora.
(da Jack’s blog)
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Ottobre 30th, 2012 Riccardo Fucile
MOBILITA’ SOSTENIBILE E POLEMICHE ANIMALISTE: NON CI SARA’ L’ADDIO AI CAVALLI… IL COMUNE GETTA ALLE ORTICHE I PROTOTIPI FINANZIATI CON DENARO PUBBLICO
Cavalli sotto sforzo per il brusco calo di temperature, ma paradossalmente la fine del caldo farà star meglio i quadrupedi della Capitale, proprio mentre tramonta il progetto delle botticelle elettriche commissionate dal Comune di Roma al centro universitario della Sapienza dedicato alla ricerca per la mobilità sostenibile ( Pomos).
Nella sede di Cisterna di Latina, giacciono in un capannone i prototipi: definitivamente accantonati. Eppure pagati a caro prezzo.
L’addio al progetto lo ha confermato il sindaco di Roma Gianni Alemanno che, in una intervista radiofonica, ha chiarito come l’idea fosse stata «scartata dai vetturini», ed ha annunciato invece che il prossimo intervento sulle carrozze sarà l’inserimento di un piccolo motore elettrico «che aiuta la botticella ad andare avanti e non sforza il cavallo».
Una scelta fortemente contestata dagli animalisti.
SOLDI PUBBLICI BUTTATI
L’addio al progetto elettrico viene vistop come un tradimento delle promesse fatte dal sindaco, ma soprattutto come l’ennesimo spreco di denaro pubblico: soldi buttati. Quasi 300 mila euro spesi per lasciare nei capannoni del centro di ricerca la botticella del futuro, quella che, secondo alcuni, avrebbe cancellato la tradizione.
Il progetto deve aver fatto non poca paura alla lobby dei vetturini: il risultato ottenuto, un ibrido tra carrozza ed automobile, un oggetto di design dal gusto retrò che non sfigurerebbe come nuovo mezzo di trasporto turistico, viene così tenuto lontano dalla Capitale.
Forse per evitare che qualcuno se ne innamori…
Il professor Frattale Mascioli nella rimessa di Cisterna con una delle botticelle elettriche Il professor Frattale Mascioli nella rimessa di Cisterna con una delle botticelle elettrich
TRAZIONE ELETTRICA ADDIO
«Non si capisce come mai il Comune di Roma, dopo aver affidato l’incarico, si sia completamente disinteressato», dice il responsabile del Pomos Fabio Massimo Frattale Mascioli. «La prima fase consisteva della realizzazione delle vetture: una è stata completata, la seconda è pronta per essere assemblata – dice il professore. Dopo la realizzazione della piccola flotta ci sarebbe stato il secondo passaggio: le infrastrutture di ricarica e gestione, ma non se n’è fatto più nulla», conferma il responsabile
La botticella ecologica può portare fino a 5 persone, raggiungendo la velocità tipica di una carrozza a cavallo, 25 chilometri orari, con un’autonomia di 30 chilometri.
Ma Alemanno ha detto chiaramente proponendo il nuovo progetto: «la tradizione deve andare avanti ma deve esserci rispetto e tutela per gli animali».
«BASTA CARROZZE»
Anche la consigliera del Pd capitolino Monica Cirinnà (già delegata alla tutela degli animali nella precedente giunta) si è mobilitata, rilanciando sulla battaglia alla carrozze: «Non si comprende come mai il Campidoglio abbia dimenticato nei capannoni di Cisterna di Latina le macchinette sostitutive delle botticelle».
E annuncia: «Ho presentato in proposito una interrogazione urgente al sindaco per conoscere l’intenzione dell’amministrazione comunale circa l’uso e l’entrata in servizio dei nuovi veicoli. Infine torno a sollecitare nuovamente la discussione in aula della delibera di soppressione del servizio pubblico con traino animale».
CAVALLI E POLEMICHE
In una città in cui, da qualche tempo, un tour operator organizza gite per turisti con mezzi alternativi a bus e botticelle – vale a dire apette, vecchie Fiat cinquecento e Vespa Piaggio – il Comune difende a spada tratta le tanto amate carrozze, i suoi conduttori (ridotti ad una ventina) ed il loro corposo business: già perchè un giro a cavallo può costare sino a 600 euro
Niente ultima corsa per il Nestore di sordiana memoria (Alberto Sordi dedicò un film alla professione), ma un aiutino per fare meno fatica forse arriverà : ultima delle invenzioni per andare incontro alle esigenze degli animali senza mortificare tradizione ed affari connessi, spiega il Campidoglio.
LE REGOLE DA APPLICARE
Restano intanto da far rispettare con rigore le regole che il Comune – sotto la pressione di un’opinione pubblica sempre meno disposta a tollerare maltrattamenti agli equini – ha stabilito con apposite ordinanze: non troppi turisti a bordo, niente corse con temperature sopra i 35 gradi, ed in ultimo persino la proposta di risarcire i botticellari durante le ondate straordinarie di caldo.
Se ne riparlerà , a questo punto la prossima estate.
Ma il tema della tutela dei cavalli resta tra i più sentiti: come dimenticare la rissa tra animalisti e vetturini dell’agosto scorso, quando venne scoperta una botticella che portava sei turisti con un cavallo stremato? Tre, alla fine, furono gli arresti.
PEZZO DA MUSEO
Appare dunque difficile che il Campidoglio torni sui propri passi e rispolveri il progetto delle botticelle ecologiche.
A questo punto, al centro di ricerca universitario non resta che provare a piazzare il prodotto di mobilità alternativa che potrebbe arricchire l’offerta turistica a Roma in qualche altra città .
Ma al Pomos sono riluttanti: «Non siamo venditori d’auto», fanno sapere i ricercatori. L’eco-botticella sembra destinata a diventare un pezzo da museo, oltre che un piccolo monumento allo spreco di denaro pubblico e alla conservazione di vecchi interessi corporativi.
Michele Marangon
(da “Il Corriere della Sera“)
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Ottobre 30th, 2012 Riccardo Fucile
NON C’E’ NESSUNO CHE INTERVIENE COME IL CAPO DEI SENATORI PDL
Non c’è nessuno che intervenga come lui, è l’interventista principe del nostro Parlamento.
Come un cane da tartufi, se fiuta la presenza di una telecamera accesa o di un taccuino aperto, si dedica subito allo scavo pur di rilasciare una dichiarazione, di solito insipida, l’eco di se stesso.
Nelle ultime 48 ore il senatore Maurizio Gasparri, ex colonnello di An, presidente dei senatori pidiellini, è intervenuto a raffica sulla sentenza di condanna a Berlusconi, sulle elezioni in Sicilia, sulla decisione della Ferrari di apporre la bandiera della Marina Militare, sul passo indietro di Berlusconi, sull’applicazione della riforma pensionistica al comparto sicurezza-difesa, sulla Regione Lazio, sulle primarie del centrodestra, sulla ridiscesa in campo di Berlusconi.
Cliente affezionato di giornali e tv, da un po’ di tempo sta dando il meglio di sè anche su Twitter, social sul quale è approdato con la grazia di un rinoceronte.
A un follower che gli contestava alcune dichiarazioni sulla Roma di Zeman ha risposto: «Seguito da 48, imbarazzante»; «Con 48 non arrivi neanche all’angolo» e poi «Non sei nessuno», secondo l’aurea scuola del Marchese del Grillo: «Io so io e voi nun siete un caz…».
Ormai le sue frasi celebri compongono una piccola antologia comica: «Il fascismo non è la parentesi oscura della storia, come disse Croce sbagliando», «Con Obama alla Casa Bianca Al Qaeda forse è più contenta», «In questa fase storica assai più che dal clericalismo la laicità è minacciata da quel dogmatismo in cui non di rado incorrono anche i paladini di una presunta laicità che in questo modo si trasforma in laicismo». Le sue analisi politiche sono folgoranti: «Nel Pdl c’è tutto: baccalà imporchettato, patate imburrate oppure un’insalatina leggera».
La legge sul riordino del sistema radiotelevisivo porta il suo nome, dando adito a ogni tipo di ilarità .
Strepitosa l’imitazione di Neri Marcorè, più Gasparri del vero (il labbrone pendulo, l’aria del diversamente preparato): «Io ‘sta legge è vero che non l’ho scritta, non l’ho manco letta se è per quello; c’ho provato a leggerla, ma francamente non gliela faccio».
Il dramma di Gasparri è che parla, parla, perchè solo parlando s’illude di avere convinzioni.
Aldo Grasso
(da “Il Corriere della Sera“)
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Ottobre 30th, 2012 Riccardo Fucile
BEN 4 MILIONI DI RAGAZZI DESIDERANO LAVORARE ALL’ESTERO… E GIA’ IN 2 MILIONI LO HANNO FATTO
«Un giovane su tre vorrebbe emigrare». La frase pronunciata ieri dal presidente dell’Istat Enrico Giovannini è forse la conclusione più logica, prima ancora che la più amara, della due giorni di «Seminars» organizzati nell’isola di San Clemente a Venezia da Aspen Italia.
Giovannini riferisce i risultati del gruppo di discussione su «mobilità , occupabilità , reticolarità ».
E quella frazione, un terzo, rappresenta la sintesi di una serie di studi condotti negli ultimi anni dai diversi istituti di ricerca (Eurispes tra gli altri), partendo proprio dai dati Istat
I giovani dai 18 ai 35 anni sono 12 milioni e 800 mila: stiamo dunque parlando di oltre 4 milioni di italiani che stanno pensando seriamente di lasciare il Paese.
Per altro, secondo le ultime cifre disponibili, due milioni lo hanno già fatto nel 2010
Una fuga di massa trasversale, un’idea che comincia a maturare fin dai primi anni dell’università . Il vicepresidente della Confindustria, Ivanhoe Lo Bello, si è presentato al seminario Aspen con una cartellina piena di numeri. Ha cominciato citando un’indagine di Demopolis (commissionata dall’Istituto addestramento lavoratori della Cisl).
Bene: il 61% del campione intervistato (3.500 giovani tra i 18 e i 34 anni) ritiene che, terminati gli studi, occuperà una posizione inferiore a quella dei genitori e il 78% è convinto che per trovare un buon lavoro servano le conoscenze giuste. Evidentemente è in questo retroterra pervaso da scoraggiato pessimismo che nascono i progetti dei neoemigranti
Lo Bello richiama il confronto sui ricercatori.
Secondo l’Istat in Italia lavorano circa 106 mila «addetti alla ricerca» nel settore privato, cui vanno aggiunti 74 mila nel pubblico, di cui 20 mila universitari.
«Ma 20 mila ricercatori si sono perfezionati all’estero e lì sono rimasti. Un insieme enorme di persone che contribuisce alla prosperità degli altri Paesi, in particolare degli Stati Uniti.
Risorse umane che non torneranno indietro». In compenso l’Italia non attira talenti stranieri.
Nelle nostre università solo il 2% di iscritti viene d’oltreconfine «e quasi nessuno di loro dai grandi Paesi», nota ancora Lo Bello.
Alla fine della catena c’è, come sempre, il Sud, perchè alla corsa verso l’estero si associa la ripresa della classica ondata verso il Centro-Nord.
Solo due esempi: il 70% degli studenti universitari della Luiss a Roma è meridionale come pure il 30% del Campus economico di Trento.
Giuseppe Sarcina
(da “il Corriere della Sera“)
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