Ottobre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
FINITI NELLE CASSE DI TELECOM CHE HA FORNITO I DISPOSITIVI DI CONTROLLO
Quattordici bracciali al modico prezzo di 81 milioni di euro.
Un regalo da sceicco?
Oppure è Silvio Berlusconi che torna alla carica con le Olgettine?
No, nessuna serata elegante in vista. Il conto l’ha saldato il Ministero degli Interni. Denaro pubblico, una montagna di soldi sprecati per finanziare un progetto fallimentare.
Un’ideona, almeno in teoria.
Che c’è di meglio dei braccialetti elettronici per sorvegliare i detenuti ai domiciliari? Lo fanno anche in America.
Già , solo che da noi, in Italia, si sono persi per strada più di 80 milioni di euro. Risultato: il nulla, o quasi.
Perchè l’ideona del governo è rimasta sulla carta.
I bracciali entrati davvero in funzione sono solo 14 nell’arco di 10 anni, dal 2001 al 2011. In media fanno 5,7 milioni a pezzo, una spesa da gioielleria di gran lusso.
Questo fiume di denaro è finito in gran parte nelle casse del gruppo Telecom Italia, che sin da 2001 ha fornito i dispositivi elettronici di controllo “nei confronti di persone sottoposte alle misure cautelari e detentive per l’intero territorio nazionale”, secondo quanto recita la convenzione ad hoc stipulata tra il ministero degli Interni e il più grande gruppo di telecomunicazioni nazionale.
A tirare le somme di questa incredibile vicenda è stata la Corte dei conti che al termine di un’indagine chiusa pochi giorni fa, il 14 settembre, ha definito “antieconomica e inefficace” la gestione dell’affare braccialetti.
Un affare solo per Telecom, a quanto pare.
Tutto comincia nel 2001, quando viene siglata una prima convenzione definita sperimentale e limitata a sole cinque province: Milano, Torino, Roma, Napoli e Catania.
Nel 2003 il servizio viene esteso a tutto il territorio nazionale: Telecom si impegna a fornire e gestire 400 dispositivi elettronici di controllo, come li definisce la Corte dei conti. Insomma, i braccialetti.
Il costo del sistema ha superato i dieci milioni annui, segnalano i giudici contabili.
E cioè 81 milioni di euro spalmati su otto anni complessivi, tra il 2003 e il 2011. Peccato che dei 400 braccialetti che dovevano entrare in funzione se ne sono visti soltanto 14.
“Una spesa elevatissima”, commenta la Corte dei conti in vena di eufemismi.
L’anno scorso il contratto con Telecom arriva a scadenza.
E il governo che fa? Tira le somme e decide di chiudere una volta per tutte un esperimento quantomeno fallimentare, oltre che molto oneroso per la casse dello Stato. Macchè.
Il nuovo ministro degli Interni Annamaria Cancellieri, appena entrata in carica, si affretta a rinnovare la convenzione con Telecom. Un contratto di sette anni, questa volta, dal 2012 al 2018.
Su questa decisione, presa dal cosiddetto governo dei tecnici, il giudizio della Corte dei conti è inequivocabile.
Vale la pena riportarlo per intero.
“Il rinnovo della Convenzione con la Telecom, per una durata settennale, dal 2012 fino al 2018, ha reiterato perciò una spesa, relativamente ai braccialetti elettronici, antieconomica ed inefficace, che avrebbe dovuto essere almeno oggetto, prima della nuova stipula, di un approfondito esame, anche da parte del ministero della Giustizia, Dicastero più in grado di altri di valutare l’interesse operativo dei Magistrati, per appurare la praticabilità di un mancato rinnovo”.
Questa la posizione dei giudici contabili messa nero su bianco nella loro relazione datata 13 settembre. Di più.
Secondo la Corte, il rinnovo della convenzione, avvenuto a prezzi e prestazioni “non identici” e perciò qualificata “inesattamente come una “proroga” , avrebbe “dovuto, o potuto, essere oggetto di riflessione e/o di trattative, se non di comparazione con altre possibili offerte”.
In poche parole, il contratto non andava rinnovato tale e quale con lo stesso fornitore. Serviva una gara per mettere in condizione il ministero di scegliere l’offerta migliore, anche in termini di costi.
Non per niente, nel giugno scorso, su ricorso del concorrente Fastweb, il Tar del Lazio ha disposto con una sentenza che la nuova convenzione dovrà essere oggetto di una gara.
Sia il ministero dell’Interno sia Telecom Italia hanno fatto ricorso contro la decisione del tribunale amministrativo.
Sulla questione è chiamato a pronunciarsi il Consiglio di Stato. L’udienza è fissata per il 14 dicembre.
Niente paura, però, il Tar ha dichiarato inefficace la convenzione non immediatamente, ma dalla fine del 2013.
Un altro anno di ordinario spreco. E che sarà mai?
Vittorio Malagutti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
LA DEBACLE NEL LAZIO SI RIPERCUOTE SU TUTTO IL PARTITO CHE CALA SEMPRE DI PIU’
Il senatore romano Andrea Augello è un tipo concreto, disincantato e poco affezionato a questo Pdl.
Anche un po’ snob quando dice che «quelli del Pdl eletti alla Regione e diventati dirigenti, capigruppo, presidenti di commissione, sono stati miracolati perchè il partito non è riuscito a presentare la sua lista a Roma, così questi signori, ai quali avresti chiesto di fare le fotocopie e andare a comprare il caffè, si sono portati alla Pisana le loro liti provinciali. Ora la conseguenza del disastro che hanno combinato è che tutto il Pdl, anche a livello nazionale, rischia di essere inghiottito nel buco nero dello scandalo del Lazio. Secondo me abbiamo perso in questa Regione più di un milione di voti e nessuno vuole allearsi con noi. Un capolavoro!».
Per Augello parlare della sua candidatura alla presidenza della Regione, come di chiunque altro, per il momento è inopportuno: prima ci sono altri problemi da risolvere.
E sono tutti problemi che deve risolvere Alfano.
Intanto deve decidere se commissariare il Pdl del Lazio.
Il segretario prende tempo, ma una cosa è sicura: deve decidere in via preliminare chi e con quali criteri candidare alle prossime elezioni regionali.
Non si tratta solo di decidere chi sarà il candidato alla presidenza: sul nome Alfano è in altissimo mare e non ha sciolto nemmeno il rebus primarie sì primarie no.
Peggio.
Non è chiaro se i consiglieri uscenti saranno ricandidati. Ci potrebbe essere una carneficina se il criterio di esclusione non sarà solo il coinvolgimento nell’inchiesta giudiziaria.
C’è chi vorrebbe fare piazza pulita e prendere in considerazione anche le responsabilità politiche nella gestione dei fondi ai gruppi consiliari e i comportamenti che hanno scandalizzato l’opinione pubblica.
Se dovesse passare un criterio del genere, verrebbe fatto fuori pure il presidente del Consiglio regionale Abbruzzese e De Romanis, l’organizzatore delle feste greco-romane con le maschere di maiale.
È difficile che Alfano usi in questo modo la mannaia, ma potrebbe cominciare a cancellare il nome Pdl già in questa tornata amministrativa.
Un nome troppo associato a quello di Fiorito, finito in carcere.
Ma è una decisione che dovrà prendere Berlusconi in prima persona.
Sul suo tavolo c’è una quarantina di bozzetti di nomi e simboli, ma sfoglia la margherita e non decide: ancora è presto, bisogna vedere quale legge elettorale verrà fuori dal cilindro, capire le reali intenzioni degli ex An che oggi si vedranno:
La Russa, Gasparri, Meloni e Alemanno, che ha realizzato anche lui l’idea che a questo punto è meglio dividersi.
Il partito dà solo dispiaceri aggiuntivi al Cavaliere, per cui certe questioni, a cominciare dal Lazio, se le sbrighino il segretario Alfano, il coordinatore Verdini e il responsabile organizzativo Lupi.
Lui, l’ex premier, non pensa più nemmeno di candidarsi alla premiership perchè rischia di andare incontro a una pessima figura.
Quel milione e passa di voti laziali inghiottiti nel buco nero dello scandalo, Fiorito in carcere, la balcanizzazione del partito afflitto da faide, emorragie e istinti scissionistici, sondaggi a picco.
E come se non bastasse uno dei più seri dirigenti, Mario Mauro, sostiene che è arrivato il momento di mettere da parte Berlusconi.
«Abbiamo bisogno di qualcuno che non abbia esaurito la sua carica, che non abbia terminato la sua parabola. Il partito per continuare ad esistere ha disperato bisogno di un nuovo leader. Se non lo troviamo, meglio chiudere bottega».
Mauro è un esponente di rango di Comunione e Liberazione, guida la delegazione Pdl all’Europarlamento e ha rilasciato queste dichiarazioni su un giornale come l’Avvenire, il giornale dei vescovi.
Ce n’è abbastanza per far suonare campane d’allarme in casa Berlusconi, che c’è rimasto molto male.
«Sono offeso e sorpreso», ha detto l’ex premier, che oggi a Milano dovrebbe parlare al forum «Investire nella nuova Russia».
Ma chi potrebbe essere il nuovo leader?
Secondo Lupi, Mauro pensa ad Alfano.
Chissà , forse vuole andare oltre e sciogliere il Pdl nella Lista civica nazionale pro Monti.
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa“)
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Ottobre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
OGGI RIUNIONE SCISSIONISTA DEGLI EX-AN DI LA RUSSA E MELONI
Un partito muore così.
Tra manette, ruberie, faide, minacce di scissioni, parlamentari inerti e smarriti.
Sopra tutti e tutto aleggia lo spettro di un Capo indeciso e che non ha più voglia, costretto al silenzio dai suoi fedelissimi.
La dissoluzione del Pdl è una frana continua.
Verso il carcere, verso destra, verso il centro, verso il montismo, persino verso il nascente renzismo. Ovunque.
L’arresto di Franco Fiorito scolpisce un memorabile epicedio per il partito degli onesti mai nato: “Meglio il carcere che il Pdl”.
Che si può parafrasare in mille modi.
Primo caso: “Meglio un nuovo Msi che il Pdl”.
È la convinzione che agita da mesi Ignazio La Russa, tuttora triumviro in carica del Pdl.
La Russa, Maurizio Gasparri, Giorgia Meloni e Gianni Alemanno si vedranno oggi a pranzo, il terzo nel giro di dieci giorni.
L’ideona dell’ex ministro della Difesa è di fare una scissione morbida con la benedizione di Berlusconi.
Una creatura almirantiana, legge e ordine, intruppando di nuovo Francesco Storace (forse anche i fliniani Briguglio e Bocchino) e consegnandola a Giorgia Meloni, che La Russa immagina come una Marine Le Pen italica.
Dal Pdl al Msi, evitando accuratamente An, invenzione finiana.
Alcuni sono entusiasti, tipo Massimo Corsaro e Fabio Rampelli.
Altri tiepidi: è il caso di Maurizio Gasparri, per anni co-leader con l’amico “Ignazio” di Destra Protagonista, l’ex correntone di centro di An.
Dice però la Meloni: “Non vedo alcuna scissione all’orizzonte”.
Al contrario dei neomissini, l’ex rautiano duro e puro Gianni Alemanno, primo sindaco nero della Capitale, vorrebbe guardare più al centro.
E soprattutto non chiude alla prospettiva di un Monti-bis, odiatissimo invece da La Russa.
Prima che esplodesse lo scandalo dei fondi alla Regione Lazio, il sindaco aveva due interlocutori forti: la governatrice Renata Polverini, sponsor del progetto civico “Città nuove”, e l’Udc di Pier Ferdinando Casini.
Oggi è isolato e con un incubo in più: ricandidarsi a sindaco nella primavera del 2013, in contemporanea con le politiche, e non avere il paracadute di un seggio sicuro alla Camera. Per questo sono ancora forti le voci sulle sue dimissioni anticipate dal Campidoglio, per abbinare comunali e regionali entro la fine dell’anno.
Così anche in caso di sconfitta, Alemanno rientrerebbe poi in gioco per il Parlamento. In fondo il tormentone della complessa scissione degli ex An è una questione di posti. Oggi, per limitarci a Montecitorio, i deputati del Pdl sono 209. Per il 2013 la previsione non supera i 130 e a La Russa, Berlusconi, ha già detto che non concederà più di venti seggi. Una miseria.
“Meglio Monti e il centro che il Pdl”. La seconda declinazione dello strepitoso sfogo di Francone Batman ha varie sfumature.
La prima riguarda Beppe Pisanu, ufficialmente ancora nel Pdl, che con Casini e Fini forma la Triade del Monti dopo Monti.
“Parassiti”, li ha definiti Giuliano Ferrara. Ma la fuga verso il centro è il pallino di tanti che sentono svanire la certezza di un seggio sicuro.
L’ultimo caso è quello dell’ex ministra Stefania Prestigiacomo, che ha liquidato il Pdl come “una guerra tra piccoli gruppi di potere”. Sì, proprio lei che era al telefono con Luigi Bisignani, il faccendiere pregiudicato della P2 e della P4.
Già , Bisignani e Gianni Letta. In Transatlantico, i falchi del Cavaliere nemici del gruppo Letta fanno l’elenco dei deputati doppiogiochisti rimasti in quota alla lobby già P4.
Da un lato una finta fedeltà a B., dall’altro la tentazione di riciclarsi grancoalizionisti e sdoganarsi verso lidi centristi.
Basta leggere, per esempio, le continue dichiarazioni di un’altra ex ministra, Mariastella Gelmini.
Mara Carfagna, invece, smentisce ogni indiscrezione che la riguarda: “Apprendo dai giornali la notizia che me ne andrei”. Almeno per il momento.
Il fronte più pericoloso, però, è stato aperto ieri dal ciellino Mario Mauro su Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani. Mauro, presidente dei parlamentari europei del Pdl, ha chiesto di non perdere più tempo, di andare oltre Berlusconi e di trovare un nuovo leader.
Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera e altro ciellino di rango, prova a disinnescare così la mina Mauro: “L’unica cosa che decifro è la candidatura di Alfano”.
In realtà , anche dentro Comunione e Liberazione, ormai stufa del berlusconismo, sta mettendo radici il progetto di una lista civica nazionale per Monti per superare il fatidico bipolarismo muscolare di questo ventennio.
La terza e ultima variante del “meglio il carcere che il Pdl” è surreale, da fantapolitica: “Meglio Renzi che il Pdl”.
Racconta Marcello de Angelis, deputato del Pdl e direttore del Secolo d’Italia: “È la sindrome di chi sta fuori dalla partita. Non hai il tuo uomo in campo e fai il tifo per l’avversario del tuo nemico. Sento tanti miei colleghi pronunciarsi entusiasti per Renzi”.
Questa sindrome sta contagiando soprattutto i pidiellini un tempo sostenitori di Montezemolo uomo nuovo del centro-destra.
Come Isabella Bertolini, da mesi ai margini del suo quasi ex partito.
Magari Renzi perde le primarie e fa qualcosa di nuovo, fuori dal Pd. Persino Michaela Biancofiore, irriducibile berlusconiana, è stata sentita spendersi per il sindaco di Firenze.
“Meglio il carcere che il Pdl”. Da Palazzo Grazioli, B. assiste in silenzio al funerale del Pdl.
Promette azzeramenti, simboli e nomi nuovi (almeno 40 sulla sua scrivania) e fa dire a chi lo vede quotidianamente: “Non ha voglia di candidarsi”.
Poi, però, fa trapelare che il suo nome vale da solo il 9 per cento. È scisso tra populismo e montismo. Un partito muore così.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
FUORI I CORROTTI DA DA TUTTE LE CARICHE ELETTIVE
Liste pulite ovunque. Condannati in via definitiva fuori da qualsiasi carica elettiva. Come i 26 che attualmente siedono tra Camera e Senato.
Se il governo Monti vince la difficile sfida contro il tempo, già nella prossima competition per la Regione Lazio, potrebbero valere le nuove norme sul divieto di far correre rappresentanti su cui grava una condanna passata in giudicato per pene superiori a due anni.
Il vettore: il ddl anti-corruzione. Lo strumento: una legge delega, prevista proprio in quel testo all’articolo 17, che bruci i tempi.
Pronta in una settimana, dopo il voto definitivo alla Camera sull’ormai famosa manovra contro i corrotti.
Nuove regole per Parlamento europeo ed italiano, Regioni, Province, Comuni, circoscrizioni, aziende speciali, e ogni specie di rappresentanza a livello periferico. Stop anche per gli incarichi di governo.
Non diventi premier, ministro o sottosegretario se hai commesso reati gravi e sei stato giudicato colpevole.
La notizia è esplosiva. Immette aria nuova nella corsa al voto.
Le sue conseguenze politiche sono rilevantissime.
Salta fuori da un colloquio super riservato tra il Guardasigilli Paola Severino e il ministro per la Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi.
Entrambi a palazzo Madama, al banco della presidenza delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia che si arrovellano sugli emendamenti all’anti-corruzione. Ma orecchie sensibili lì vicino ascoltano.
Ecco il colloquio.
Dice Patroni Griffi a Severino: «Sai che c’è Paola? Qui la sfida è far partire subito le norme sull’incandidabilità . Non si deve più andare a votare con i condannati in lista. Non dobbiamo perdere quest’occasione».
Replica lei a lui: «Hai ragione, dobbiamo farcela assolutamente».
Promette lui: «Bisogna anticipare al massimo i tempi della delega, questo ci chiede Monti».
Possibile. Realistico. Rivoluzionario.
Almeno per un Parlamento in cui nomi noti – da Brancher a De Gregorio, da Dell’Utri a Drago, solo per citare qualcuno dei 26 condannati definitivi – siedono senza problemi accanto a chi ha la fedina penale pulita.
Nel quale da tempo Di Pietro e i suoi chiedono norme ancora più drastiche di quelle che il governo Monti ha già fatto votare a Montecitorio con la fiducia e che ora sono al Senato.
L’ex pm di Milano vorrebbe che restassero ai margini anche quanti hanno soltanto una condanna in primo grado. Fini e Bongiorno invece – autrice quest’ultima di una proposta di legge presentata a luglio proprio per anticipare la delega del governo – sono sulla linea Monti nel rispetto della Costituzione che ha nella condanna definitiva uno spartiacque decisivo.
E il presidente della Camera, ancora ieri sera, sollecitava il premier ad approvare «subito» il capitolo dell’anti- corruzione che riguarda l’incandidabilità .
La scommessa di Patroni Griffi e del ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, cui fa capo la complessa macchina del voto in periferia e che ha lavorato al capitolo delle esclusioni, è quella di far partire la legge delega subito a ridosso del voto sull’anti-corruzione.
I calcoli sono presto fatti.
Al Senato, nelle commissioni, il testo passerà la prossima settimana. Il presidente del Senato Schifani garantisce tempi brevi per l’aula, «due settimane». Siamo a fine ottobre. Se la Camera bruciasse i tempi con una lettura lampo e il governo a sua volta fosse pronto in pochi giorni, o subito, col decreto legislativo sulle liste pulite, si potrebbe votare per il Lazio con quel decreto già scritto.
Certo, le commissioni parlamentari devono dare un parere, che però ha solo un valore consultivo.
Comunque, con un simile decreto già esistente, sarebbe una grave scorrettezza se i partiti candidassero comunque degli inquisiti nel Lazio.
Sarebbe anche una mossa sciocca soprattutto perchè, già nell’attuale legge delega, è prevista «la sospensione e decadenza di diritto in caso di sentenza definitiva di condanna» nel corso della carica.
Pur entrati nella corsa alla Regione i condannati dovrebbero rinunciare al loro scranno e andarsene. Tutti fuori.
Quelli che hanno commesso un reato grave, di mafia, di terrorismo, un attentato contro lo Stato, un sequestro di persona, una riduzione in schiavitù, ma anche, come è stato aggiunto a Montecitorio, «sentenze definitive di condanna per delitti di grave allarme sociale».
È evidente che, tra questi reati, non si possono non includere anche le condanne per i delitti contro la Pubblica amministrazione, corruzione, concussione, peculato per l’appunto, il reato contestato a Fiorito, soprattutto in questo momento di inchieste esplosive che rivelano come i fondi pubblici siano stati usati per scopi strettamente personali.
Che liste pulite sarebbero quelle in cui proprio i condannati per i crimini dei colletti bianchi alla fine possono candidarsi? È ovvio che dovranno farsi da parte.
Va da sè che, fatta la legge, toccherà ai partiti e a chi seleziona le candidature decidere se “sfidare” la sorte di una possibile condanna inserendo anche chi ha già perso il primo grado o l’appello. Ma su questo Monti, Cancellieri, Severino e Patroni Griffi sono allineati sulla Costituzione.
Vale una sentenza solo se definitiva.
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
L’ISOLA E’ ANDATA IN BANCAROTTA MENTRE ERANO IN CARICA MA NESSUNO FA UN PASSO INDIETRO
Hanno superato persino il Gattopardo, che proponeva di “cambiare tutto per non cambiare nulla”.
Loro non cambiano, non mollano, anzi rilanciano: nei manifesti “6à—6” promettono di “governare con onestà ”, ci informano di costituire “un punto di riferimento per le persone per bene”.
E si ricandidano in massa. Nella Sicilia sull’orlo del default, sono 76 i deputati uscenti tornati in lista per un seggio a palazzo dei Normanni.
L’istantanea più chiara di una casta che si autoperpetua, lautamente finanziata dai centri di spesa istituzionali.
Sui social network impazzano i proclami che invitano a non votare coloro che “senza alcun pudore e con un’incredibile faccia tosta, si ripropongono all’elettorato siciliano”: la pagina su Facebook ha raccolto in breve tempo 3000 adesioni. Rinnovare è difficile, d’altra parte, quando il cordone della spesa pubblica lo tengono gli stessi onorevoli che occupano i seggi dell’Ars.
Risultato? È lo stesso sistema delle leggi in vigore a favorire gli uscenti, spalancando loro la porta per un veloce rientro, grazie alla possibilità di destinare alla campagna elettorale i fondi regionali.
E se il Pd è il partito che ha cercato di rinnovarsi di più (7 dei 14 esclusi sono suoi iscritti), Grande Sud di Miccichè non ha lasciato fuori neppure Franco Mineo, recidivo nonostante sia accusato di relazioni pericolose con i boss mafiosi dell’Acquasanta.
Anche il Pdl ha preferito “l’usato sicuro” ai giovani: su Twitter fioccano le proteste dei baby iscritti per l’esclusione di Carolina Varchi, leader del movimento giovanile.
Così il plotone degli aspiranti deputati (1.629 candidati distribuiti in diciannove liste) è affollato in larga parte da volti più che noti. Anche ai casellari giudiziari.
Tra i veterani, in questi giorni torna a sorridere sui manifesti elettorali il faccione di Giuseppe Drago (Cantiere Popolare), che fu presidente della Regione negli anni Novanta e concluse il suo mandato con una condanna a tre anni di carcere per peculato, per essersi appropriato dei “fondi riservati”.
Nessun problema per Saverio Romano (Pid, ex ministro imputato per mafia), che pure aveva sostenuto l’esigenza di un rinnovamento etico in vista delle elezioni: “Drago — dice — è perfettamente candidabile in quanto ha già esaurito il periodo di interdizione”. L’appello per le “liste pulite”, nonostante le adesioni di facciata, sembra insomma caduto nel vuoto.
Così come il codice etico approvato dalla Commissione regionale antimafia.
Proprio nel pattuglione dei recidivi, infatti, si annidano gli inquisiti, compresi i quattro ex deputati che nel corso dell’ultima legislatura sono finiti in carcere: Cateno De Luca (oggi a capo della nuova formazione Rivoluzione siciliana), Roberto Corona e Fabio Mancuso (entrambi Pdl) e Riccardo Minardo (Grande Sud).
Restituiti al contesto civile, i quattro ci riprovano ancora una volta senza complessi. Corona, cui solo tre mesi fa è stato revocato l’obbligo di dimora, chiede il voto in nome di una “buona politica”.
Ma il record di surrealtà è di Mario Briguglio, sindaco di Scaletta Zanglea (comune del messinese colpito dall’alluvione che causò 37 morti e per quella calamità è indagato per disastro e omicidio plurimo colposo).
Il suo slogan elettorale recita: “Prima la sicurezza del tuo territorio”.
E sull’”impegno che continua” ha centrato la candidatura anche Marco Forzese (Udc), condannato dalla Corte dei conti a risarcire quasi cinquemila euro al comune di Catania dove era assessore della giunta Scapagnini.
Sì, perchè per afferrare una poltrona all’Ars arrivano a frotte da tutta la Sicilia, lasciando le meno appetibili poltrone occupate nei municipi e nei consigli provinciali. A Messina, ci riprova Giuseppe Buzzanca (Pdl) prima sindaco, poi deputato, poi entrambe le cose, rimasto aggrappato al doppio ruolo grazie a una leggina ad personam dell’Ars e, in passato, condannato a sei mesi per peculato.
E dalla sua poltrona di sindaco di Alcamo tenta il grande salto a Palazzo dei Normanni anche Giacomo Scala (Pd), sponsorizzato, come giura Vittorio Sgarbi, da Pino Giammarinaro, storico andreottiano, già condannato a 4 anni di sorveglianza speciale perchè indiziato per mafia.
E Raffaele Lombardo? Lui lascia la mano al figlio Toti, 23enne di grandi speranze.
Poco rappresentata, in questa tornata elettorale, l’antimafia sociale, specialmente dopo l’esclusione per un incidente burocratico di Claudio Fava. Fds-Sel e Verdi si consolano con Ninni Bruschetta, di professione attore, che ha fatto parte della Squadra Antimafia, anche se solo sul teleschermo.
Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
ECCO PERCHE’ NEL REGISTRO DEGLI INDAGATI CI SAREBBERO ALTRI COMPONENTI DEL COORDINAMENTO REGIONALE DEL PDL
Samantha Veruska Reali, la bionda 39enne nota alle cronache come l’ex fidanzata di Franco Fiorito, era convinta che i bonifici che dal conto della regione Lazio transitavano sul suo, fossero dovuti.
Così, in tre ore di interrogatorio, si è giustificata davanti ai pm e ha spiegato che da ottobre 2011 fino a gennaio 2012, ha ricevuto dal gruppo tre buste paga per un totale di 6 mila euro in virtù del lavoro che svolgeva.
“Sissi”, come la chiamano da anni, infatti è assunta a tempo determinato dal gruppo in Regione, al modico stipendio di duemila euro al mese.
Sul suo conto però risulta anche un bonifico per 1001 euro, datato giugno 2012.
Non sa precisamente perchè gli è stato versato questo importo, anzi in quei mesi, come ha dichiarato, era convinta che “si trattasse di compensi dovuti perchè curavo i rapporti con il territorio. Insomma rimborsi”.
In merito alle vacanze in Sardegna del giugno del 2010, invece, ha affermato di essere stata ospite dell’ex capogruppo.
In realtà a saldare il conto in uno dei migliori resort ci ha pensato il Pdl stesso.
Tanto che dalle casse del gruppo sono partiti due bonifici, il primo di 10 mila e il secondo di 19 mila euro.
Ma di tutto questo, la Reali ha dichiarato di non sapere nulla.
Intanto si aggrava la posizione di Fiorito, che ora è indagato anche dal magistrato viterbese Massimiliano Siddi per calunnia e falso.
Avrebbe mentito agli inquirenti riguardo al dossier che contiene alcune fatture presentate da suoi ex colleghi alla Pisana, contribuendo a falsificare le stesse.
E secondo le prime indiscrezioni nel registro degli indagati ci sarebbero anche altri componenti del Coordinamento regionale del Pdl del Lazio.
Le copie delle fatture taroccate, infatti, sarebbero state fotocopiate nell’ufficio del coordinatore regionale Vincenzo Piso, che dichiara di non aver ricevuto alcun avviso di garanzia.
Sul fronte romano, invece, da una relazione presentata al gruppo Pdl della Regione Lazio, consegnata poi in procura, emerge che i bonifici finiti sui conti di Fiorito salgono a quota 154.
Valeria Pacelli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
COME IL GOVERNO MONTI E’ DOVUTO INTERVENIRE SULLE PENSIONI DEGLI ITALIANI, NON SAREBBE IL CASO CHE LO FACESSE ANCHE SU QUESTE?
Secondo le norme tuttora in vigore, al compimento del cinquantesimo anno d’età (cioè fra nove anni), Franco Fiorito incasserà serenamente il vitalizio, cioè la pensione, essendo stato consigliere regionale del Lazio per sette anni, dal 2005 ad ora.
Chi ha deciso questa norma?
La stessa maggioranza di cui Fiorito faceva parte, su proposta di Fiorito medesimo, prorogando appunto l’istituto del vitalizio, che in altre regioni non c’è più.
C’è da chiedere al governo Monti, che è dovuto intervenire sulle pensioni degli italiani, se non è il caso che intervenga soprattutto su queste, di «pensioni».
Anche perchè il mantenimento del vitalizio è solo uno dei tanti privilegi di un mondo politico che, benchè scosso da anni da scandali e manette, sembra del tutto sordo al grido di indignazione che si leva dal Paese.
È certamente vero, come ha detto ieri Casini, che uno come Fiorito danneggia l’immagine di tanti politici onesti.
Ma è anche vero che il seguito della battuta di Casini («I partiti dovrebbero chiedergli i danni») è da comicità involontaria, visto come i partiti hanno gestito il denaro pubblico in questi ultimi anni.
Purtroppo i partiti non stanno facendo nulla per evitare l’onda della cosiddetta antipolitica.
Sono almeno due decenni che tutti i media parlano di inchieste nate da intercettazioni telefoniche: eppure ci sono politici che si raccontano al telefono le loro malefatte convinti di essere intoccabili.
Sono due decenni anche che si parla dell’emergenza corruzione: ma le tangenti restano una pratica abituale.
Sono anni, se non decenni, che si chiede la riduzione del numero dei parlamentari e dei mandati parlamentari, e non c’è deputato o senatore che a parole non si dica d’accordo: eppure, nulla è stato fatto.
Così per il taglio dello stipendio e dei vitalizi: si sono fatte un po’ di modifiche per raggiungere il risultato di guadagnare, a conti fatti, qualcosa di più.
Si potrebbe andare avanti a lungo.
Il mondo di Franco Fiorito sembra incarnare (sembra, perchè le accuse devono ovviamente essere confermate) tutto il peggio di questo magna-magna da impuniti. Anzi, pare superare perfino l’immaginazione, perchè neppure al bar s’era mai sentito parlare di fuoristrada comprati con i soldi pubblici per far fronte a un giorno di neve, o di feste in costume da antico romano con trippa e gara di rutti.
Fiorito, soprannominato er Batman, ha un physique du rà’le che non gli giova. Qualcuno dice che sarebbe bastato guardarlo, al momento della candidatura, per capire come sarebbe andata a finire. Ma sono giudizi impietosi.
Lasciamo stare Lombroso: quanto a ruberie e a cafonal, la Regione Lazio di Batman sembra averne a legioni.
Ieri, a proposito di feste, il quotidiano Libero ha riferito di un «cacca-party», con tanto di water in bella vista all’ingresso e a disposizione degli invitati, al quale avrebbe partecipato la presidente della commissione cultura (avete letto bene: cultura) del Consiglio regionale, in un attico della «Roma-bene» a pochi metri da Palazzo Chigi.
Ieri Fiorito, entrando a Regina Coeli, ha detto di non credere di trovare, in carcere, gente peggiore di quella che ha frequentato in regione e nel partito.
Se si tiene conto di quanti altri scandali, ormai da tempo, hanno toccato il Pdl, lo si può capire.
Er Batman è solo la versione romanesca di un andazzo diffuso, da Nord a Sud.
Se lui e le feste in costume sembrano scene di un film con Christian De Sica, le Olgettine e la Minetti sembrano personaggi di «Sotto il vestito niente» o «Via Montenapoleone»: sempre di fratelli Vanzina si tratta.
E non è certo solo il Pdl ad essere scosso da inchieste giudiziarie: anche se se ne parla meno, sulla graticola c’è pure il Pd.
Ad alti livelli, per giunta: Penati era il candidato presidente della Lombardia in alternativa a Formigoni e il capo della segreteria politica di Bersani; e altre inchieste riguardano i presidenti dell’Emilia Romagna, Errani e della Puglia, Vendola, per non parlare della vicenda Lusi.
Insomma, gli scandali sono talmente tanti, e durano da talmente tanti anni, che non fanno più scandalo.
Forse è per questo che mentre il vero Batman il costume se lo metteva di notte, oggi c’è chi si esibisce alla luce del giorno come se nulla fosse, in attesa di incassare il vitalizio.
Michele Brambilla
(da “La Stampa”)
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Ottobre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DI “PANORAMA” A BALLARO’ LO SEGNALA A FINI CHE NON LO CONOSCE… SI TRATTA DI MARIO BONOMO, CAPOLISTA FLI- NUOVO POLO DELLA SICILIA A SIRACUSA, CONSIGLIERE REGIONALE USCENTE…L’UFFICIO STAMPA DORME E NON SMENTISCE, GRANATA DICE CHE NON AVREBBE AVUTO NESSUN AVVISO DI GARANZIA, MA NELL’OTTOBRE 2011 E’ STATO ISCRITTO NEL REGISTRO DEGLI INDAGATI PER CONCUSSIONE
Ieri sera Gianfranco Fini, invitato a Ballarò, ha sicuramente posto all’angolo l’altro ospite Formigoni, ma le elezioni siciliane, come avevamo previsto, lo hanno messo in seria difficoltà .
Il direttore di “Panorama” gli ha infatti chiesto come si concili un “partito della legalità ” che si allea con l’indagato Lombardo e che presenta un altro indagato come Mario Bonomo nelle sue liste nel collegio di Siracusa.
Sull’alleanza con Lombardo Fini ha cercato di svicolare, sostenendo che Lombardo non è candidato e che l’alleanza è con l’Mpa, diciamo difesa deboluccia e poco credibile per il comune telespettatore.
Sul candidato Bonomo invece Fini ha sostenuto di non sapere chi sia.
Inutile dire che l’ufficio stampa (pur presente) era come non ci fosse, bastava un sms a qualche esponente siciliano e magari Fini avrebbe avuto qualche elemento per rispondere.
Più tardi il vicecoordinatore nazionale di Fli, Fabio Granata, smentiva che Bonomo avesse mai ricevuto alcun avviso di garanzia, insomma tutta una montatura del berlusconiano “Panorama”.
Cerchiamo quindi di chiarire come stanno le cose sulla base di notizie di stampa mai smentite.
Prima domanda: Mario Bonomo è candidato di Fli-Nuovo Polo per Sicilia o no?
Titola il “Giornale di Siclia”: “Fli, lista unica con «Mps». Ci sarà anche Mario Bonomo”.
La conferma ufficiale è la seguente:
Sicilia, Regionali 2012: lista e candidati di Siracusa
FLI-NUOVO POLO PER LA SICILIA
Mariella Miceli
Giuseppina Ignaccolo
Mario Bonomo
Loreto Corrado
Enzo Reale
Marcello Bottaro
Quindi la risposta è positiva
Seconda domanda: Bonomo è indagato o no? E per cosa?
Primo articolo
Il senatore finiano Fabio Granata ha lanciato un appello agli elettori siciliani: “Non votate i candidati compromessi”.
Il riferimento è a chi ha condanne per reati cotnro la pubblica amministrazione o la mafia, ed ecco così che nella sua Siracusa può rimanere capolista nella lista di Fli-Nuovo Polo per la Sicilia Mario Bonomo.
Deputato uscente ex Api, indagato nella vicenda per le mazzette nel fotovoltaico che ha portato all’arresto di Gaspare Vitrano, ex esponente del Partito democratico adesso a giudizio.
Piergiorgio Ingrassia, l’ingegnere che avrebbe fatto da mediatore fra Vitrano e l’imprenditore Gianni Correro. Ingrassia, che ha patteggiato due anni, aveva fatto anche il nome di Bonomo, come socio di fatto di lui stesso e di Vitrano in una società , la Green srl.
Anche Bonomo sarebbe coinvolto, secondo i magistrati, nel giro di tangenti imposte agli imprenditori del fotovoltaico.
(da “La Repubblica”)
Secondo articolo
La deposizione di Ingrassia
“Vitrano e Bonomo mi minacciarono”
8 Febbraio 2012
“Noi siamo il potere e senza l’intervento politico andrai incontro a un fallimento”.
Questa frase degli onorevoli Gaspare Vitrano e Mario Bonomo avrebbe convinto l’ingegnere Piergiorgio Ingrassia, titolare della società di impianti fotovoltaici Enerplus, a scendere a patti con i politici.
A raccontarlo, davanti alla terza sezione del Tribunale che processa Vitrano per concussione, è stato lo stesso Ingrassia che ha iniziato a collaborare dopo essere stato arrestato assieme al deputato mentre prendevano una mazzetta da un imprenditore.
“Alla fine del 2008 – ha detto il teste – conobbi Vitrano. Si interessò alla mia attività nell’ambito del fotovoltaico e mi fece incontrare Mario Bonomo. Mi dissero chiaramente che senza l’appoggio politico non avrei potuto portare a termine i miei progetti”.
A quel punto scattò la proposta. “Mi dissero che i lavori – ha proseguito Ingrassia – dovevano essere affidati a ditte di loro fiducia. Accettai perchè avevo paura a rifiutare l’accordo”.
Il secondo passo fu la costituzione di alcune società di cui Ingrassia aveva il 20%, il restante 80% era di parenti o persone riconducibili a Vitrano e Bonomo.
Ma Ingrassia ha raccontato anche di aver dovuto dare ai deputati delle tangenti “Lo chiamavano ‘costo politico’ – ha detto – Vollero dei soldi quando vendetti la Enerplus per 2,3 milioni di euro”.
I soldi confluivano in un conto in Svizzera, così come volevano i politici.
(da “SiciliaLive“)
Terzo articolo
Concussione, indagato Bonomo
27 Ottobre 2011
Il deputato regionale Mario Bonomo, coordinatore del partito Alleati per la Sicilia, è indagato per concussione dalla Procura di Palermo.
Il suo nome era emerso nell’inchiesta in cui era stato arrestato a marzo scorso, il deputato del Pd Gaspare Vitrano fermato mentre intascava una mazzetta di 10mila euro da un imprenditore del fotovoltaico. In carcere era finito anche Piergiorgio Ingrassia, l’ingegnere che avrebbe fatto da mediatore e che stamattina ha patteggiato la pena di due anni.
Il nome di Bonomo è stato fatto proprio da Ingrassia che, dopo l’arresto, ha iniziato a collaborare con gli inquirenti.
Secondo i pm, Gaspare Vitrano, Mario Bonomo e Piergiorgio Ingrassia erano soci nella Green srl, una impresa del settore fotovoltaico con sede a Palermo, che avrebbe ottenuto dalla Regione siciliana, grazie anche all’interessamento dei deputati, le licenze per la costruzione di due impianti fotovoltaici a Carlentini, nel Siracusano. Vitrano e Bonomo la controllerebbero attraverso alcuni prestanome.
I due deputati detengono il 40% ciascuno, mentre l’ingegnere ha il restante 20%.
Altre due società del fotovoltaico sono sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti: l’Enerplus 2010, gemella della Enerplus, società a responsabilità limitata che, grazie “all’interessamento di Vitrano”, come ha detto Ingrassia, avrebbero avuto in poco tempo le concessioni.
Le due società , che avevano realizzato degli impianti nel palermitano, avevano aumentato subito il loro valore tanto da essere vendute a una società spagnola per oltre sei milioni di euro.
I fondi sarebbero poi stati versati in due conti in Svizzera: uno di Ingrassia e l’altro di Marco Sammatrice, nipote di Bonomo e socio della Green srl. I pm, che hanno fatto una rogatoria in Svizzera, attendono l’esito di questi accertamenti.
(da “SiciliaLive”)
Quarto articolo
Era parecchio strano, da almeno tre mesi all’Assemblea regionale siciliana non indagavano o arrestavano nessuno. Ma ora si è tornati alla normalità delle cose: Mario Bonomo, onorevole regionale di Alleanza per la Sicilia e coordinatore regionale dell’Api (è il nome di un partito), è indagato dalla procura di Palermo per concussione.
L’inchiesta è la stessa che ha portato all’arrestro, nel marzo scorso, del deputato del Pd Gaspare Vitrano fermato mentre intascava una mazzetta di 10mila euro da un imprenditore del fotovoltaico. Per chi avesse perso il conto, Bonomo è il 26° deputato regionale con problemi con la giustizia.
(da “Catania politica“)
Quinto articolo
Tangenti fotovoltaico Indagato anche Mario Bonomo
Indagato nell’inchiesta sulle tangenti nel fotovoltaico anche il deputato regionale Mario Bonomo, coordinatore di Alleati per la Sicilia: Bonomo risponde pure lui di concussione, come il suo ex compagno di partito Gaspare Vitrano, del Pd.
L’iscrizione del secondo esponente politico è stata formalizzata dalla procura di Palermo in vista del patteggiamento di Piergiorgio Ingrassia, l’ingegnere che avrebbe fatto da mediatore fra Vitrano e l’imprenditore Gianni Correro. Ingrassia, che oggi ha patteggiato due anni, aveva fatto anche il nome di Bonomo, come socio di fatto di lui stesso e di Vitrano in una società , la Green srl. Anche Bonomo sarebbe coinvolto, secondo i magistrati, nel giro di tangenti imposte agli imprenditori del fotovoltaico.
27 ottobre 2011 –
(da “Blog Sicilia“)
La risposta potete darvela da soli.
In ogni caso, la discriminante non è, a parer nostro, l’iter giudiziario che può seguire la vicenda in quanto è ovvio che uno non è colpevole fino a una condanna, ma piuttosto quella che Borsellino citava come “il semplice, motivato sospetto” di non essere in linea con un codice etico di amministratore della cosa pubblica.
Non ci si può ergere a sostenitori di “liste pulite” e poi candidare i Mario Bonomi o peggio sostenere che non ha mai avuto problemi con la giustizia.
Si può dimostrare dati alla mano, se lo fosse, che è uscito pulito dall’inchiesta della Procura di Palermo, ma non raccontare cose inesatte per giustificarsi.
Nessuno ha obbligato nessuno a farsi paladini della legalità , ma se lo si vuol essere si sia almeno coerenti.
Si sarebbe evitata a Fini una brutta figura.
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Ottobre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
ECCO TUTTI GLI SCANDALI NEGLI ENTI IN VIA DI ESTINZIONE
Per la gestione ordinaria delle oltre cento province italiana vendono spesi quasi 11 miliardi di euro ogni anno.
Gli amministratori di questi enti in via di cancellazione sono oltre 1700.
E molti di loro approfittano dei rimborsi per l’attività politica.
A cominciare dai consiglieri “fuori sede” che hanno diritto al rimborso chilometrico per i loro trasferimenti.
Dall’acquisto di calendari, bandierine e display all’invio di pacchetti di migliaia di sms, dalla fornitura di t-shirt ai cartoncini augurali per Pasqua e Natale, dalle missioni a Malaga (si può forse mancare al “forum delle città euroarabe”?) agli spazi televisivi. Parola d’ordine: attività istituzionale.
Che serve a giustificare anche l’acquisto di uno stock di dizionari Zanichelli, utili magari a un ex assessore passato alla storia per aver definito la Sicilia «un’isola accerchiata dal mare».
Una ricevuta e via, ecco il pagamento a piè di lista.
Ne hanno fatta tanta, di attività istituzionale, i consiglieri provinciali di Catania, se in un anno – come ha rivelato ieri il settimanale “S” – sono riusciti ad accumulare spese per 215 mila euro. Una cifra con la quale, in Sicilia, una famiglia media campa per dieci anni, secondo le stime della Banca d’Italia. Una cifra che, moltiplicata per il numero spropositato di Province (107), dà la dimensione di quanto costi la politica in questi enti intermedi che Monti vuole quasi dimezzare: oltre venti milioni di euro di soli trasferimenti ai gruppi che stanno dando vita a nuovi scandali. Per carità , il presidente dell’Unione Province Giuseppe Castiglione frena e dice che «molte amministrazioni, negli ultimi mesi, hanno cancellato questa voce».
A partire dalla sua, che è proprio quella catanese.
Ma queste spesucce a disposizione di un esercito di amministratori (oltre 1.700) consolidano comunque un budget complessivo, per il personale politico delle Province, che con gli stipendi raggiunge 111 milioni di euro e una spesa complessiva di gestione per 11 miliardi.
E danno il senso di come lo scialo, in questi anni, non ha riguardato solo le Regioni.
RIMBORSI, CHE PACCHIA
Da Pescara a Treviso, da Agrigento a Frosinone, si moltiplicano le spese allegre per gli amministratori “fuori sede”.
In Abruzzo si è gridato allo scandalo quando “il Centro” ha svelato i rimborsi viaggi dei consiglieri: 8.425 eutro ad aprile, un quarto dei quali appannaggio del presidente Giorgio De Luca, che ha irrobustito il suo stipendio con oltre 2 mila euro accordati per percorrere (quante volte?) i 37 chilometri che separano la sua residenza di Manoppello da Pescara.
A Treviso la giunta Muraro ha messo insieme 177 mila euro di rimborsi viaggi in un anno. E in un solo mese, marzo 2011, il vicepresidente Floriano Zambon (Pdl) ha presentato spese per trasferimenti pari a 5.308 euro.
Il Pd ha calcolato che con quella cifra Zambon deve essere andato da casa sua a Conegliano fino in ufficio a Treviso per 32 giorni consecutivi, compresi sabati e domeniche, con una evidente forzatura del calendario.
Il rimborso è solitamente calcolato sulla base di parametri fissati dall’Aci ma basta un’autocertificazione per attestare quanti spostamenti si fanno.
Così le cifre rimborsate variano notevolmente da una provincia all’altra: ad Agrigento 13 mila euro al mese, a Frosinone 8 mila.
Poi ci sono i vantaggi indiretti che giungono da altri tipi di rimborsi: Castiglione rivela di aver segnalato alla Guardia di finanza il caso di alcuni consiglieri provinciali che, dopo l’elezione, hanno ottenuto sospette promozioni nelle piccole aziende o cooperative di cui sono dipendenti. L’ente si è così trovato costretto a pagare ingenti rimborsi ai datori di lavoro per la partecipazione degli stessi dipendenti a sedute d’aula o di commissione.
L’ombra è quella di una truffa: «Ci sono consiglieri che costano tre volte il presidente», afferma Castiglione.
LE PALME E ALTRE SPESUCCE
Di peculato deve rispondere anche Eugenio D’Orsi, presidente della Provincia di Agrigento, sotto processo perchè avrebbe fatto piantare nel giardino di casa 40 palme acquistate dall’ente al costo di 150 euro l’una.
Vicenda tragicomica, che la dice lunga su un certo senso di grandeur – e di impunità – che ha caratterizzato l’attività degli amministratori provinciali.
Come dimenticare sprechi tentati o perpetrati quali l’acquisto da parte della Provincia di Reggio Calabria (poi rientrato fra le polemiche) di un pianoforte a coda da 120 mila euro?
Duemila chilometri più a Nord, un finanziamento da 2.400 euro per un torneo di beach volley (a Bolzano!) è invece costato a Luis Durnwalder una condanna da parte della Corte dei Conti.
Per non parlare dell’inguaribile vizietto del gettone- premio: 32 amministratori e dirigenti della Provincia di Caserta sono sotto inchiesta da parte della Corte dei conti perchè avrebbero concesso ai dipendenti di un’azienda partecipata indennità , premi e permessi non dovuti.
Dodici milioni il danno erariale stimato.
E tutta la giunta della Provincia di Arezzo, a cominciare dal presidente Roberto Vasai, è indagata per aver corrisposto indebiti compensi (17 mila euro) ai responsabili dei tre ambiti di caccia.
Decisamente maggiore – un milione di euro – è la cifra che la magistratura contabile contesta al presidente della Provincia di Palermo, Giovanni Avanti, per i contratti da “esterni” accordati al suo staff.
IN FESTA SULLA NAVE CHE AFFONDA
Lo sperpero è proseguito, anche quando sulla testa delle Province cominciava ad agitarsi la scure del governo: a dicembre i consiglieri di Siracusa si regalarono 19 tablet con connessione a Internet, non si sa mai.
Noncurante del decreto “Salva Italia” che prevede la soppressione delle giunte provinciali, il presidente messinese Nanni Ricevuto a giugno ha portato a 15 il numero dei suoi assessori: tre in più di Roma.
A Milano è pronto il bando della giunta provinciale per la realizzazione di una nuova lussuosa sede, con tanto di torre di 12 piani, dal costo di 43 milioni.
E ciò malgrado, per effetto della spending review, la Provincia di Milano fra poco più di 400 giorni dovrebbe scomparire a favore della città metropolitana.
Stessa sorte che tocca alla Provincia di Roma, che pure fra le polemiche – e un’inchiesta della Corte dei conti – si appresta a trasferirsi nei nuovi uffici dell’Eur costati non proprio una bazzecola: 263 milioni.
Emanuele Lauria
(da “La Repubblica”)
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