Ottobre 5th, 2012 Riccardo Fucile
L’ANNUNCIO DEL SOTTOSEGRETARIO CATRICALA’: “PRENDEREMO COME PARAMETRO I CONTRIBUTI AI GRUPPI DELLA REGIONE CHE NE DEVOLVE DI MENO E SU QUELLI TAGLIEREMO ANCORA DEL 50%”… SE SARA’ COSI’, LEGA E IDV “COSTRETTI” A VOTARE A FAVORE
I fondi ai gruppi consiliari potranno arrivare a essere ridotti anche del 90-95% e per le spese dei gruppi regionali è introdotta la tracciabilità .
Lo assicura il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà , ai microfoni di RadioRai1, parlando del dl sui costi della politica.
“Abbiamo stabilito che i soldi che vanno ai gruppi consiliari debbono essere ridotti. La conferenza Stato-Regioni individuerà in quale regione i gruppi -ha spiegato- percepiscono di meno e quella regione sarà il parametro. E quel parametro sarà ridotto del 50%. Il che vuol dire che in alcuni casi la riduzione potrà arrivare al 90, 95%”.
Il sottosegretario ha spiegato che a dare una spinta verso il taglio dei costi della politica è stato “il clima di indignazione che c’è nel Paese a seguito dei recenti episodi accaduti: il clima che si era creato in Italia ci ha favorito”, ha sottolineato Catricalà .
Il sottosegretario di palazzo Chigi ha spiegato che “le Regioni avranno un controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti” e ha concluso dicendo che “con la gamma di nuovi interventi che abbiamo varato i brutti episodi non si potranno più verificare”.
Tracciabilità delle spese. “Per le spese dei gruppi regionali abbiamo introdotto la tracciabilità “, ha detto ancora il sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Qualora le Regioni non si adeguassero, ha proseguito il sottosegretario, “non riceveranno trasferimenti statali. Quindi prevediamo una diffida e poi, ma questa è solo un’ipotesi di scuola, se anche dopo la diffida, ma stiamo parlando di fantascienza – ha chiosato Catricalà – allora avvieremo la procedura prevista dall’articolo 126 della Costituzione, che prevede lo scioglimento del consiglio regionale”.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 5th, 2012 Riccardo Fucile
UNA PENSIONE DI INVALIDITA’ DI 7.000 EURO OLTRE ALLO STIPENDIO
Lunga vita ad Alberto Sarra.
Ma è giusto che riceva dalla Regione Calabria un vitalizio di invalidità di 7.490,33 euro al mese, dieci volte più alto di quei portatori di handicap che non sono neppure in grado di soffiarsi il naso?
Ed è giusto che accumuli un’altra indennità come sottosegretario regionale nonostante risulti disabile al 100%?
Chiariamo subito: il pensionato-sottosegretario ha, come paziente, tutta la nostra solidarietà .
Reggino, avvocato, 46 anni, da sempre amico, compagno di basket e camerata politico del governatore Giuseppe Scopelliti, già consigliere e assessore provinciale di Reggio, criticato da alcuni giornali locali per avere accettato la difesa di personaggi in odore di ‘ndrangheta, Alberto Sarra fu colpito nei primi giorni del 2010, quando stava scadendo il suo mandato di consigliere regionale, da uno choc emorragico.
Salvato grazie a un delicato intervento chirurgico, si perse le elezioni di marzo.
Tre mesi dopo, visto che era in forma, l’amico Scopelliti lo nominava già sottosegretario regionale alla presidenza, una ridicola carica da retrobottega politico inventata dalla precedente giunta sinistrorsa di Agazio Loiero, mantenuta dal centrodestra e destinata ad essere abolita al prossimo giro proprio perchè insensata.
Da allora, l’archivio dell’Ansa trabocca di notizie su di lui: 156 dispacci.
Lui che incontra i presidenti delle Comunità montane.
Lui che presiede conferenze dei servizi sulle frane.
Lui che inaugura nuove strade. Lui che si occupa dei consorzi industriali.
Lui che riceve l’ambasciatrice cubana in Italia.
Lui che cerca di risolvere il nodo dei forestali.
Insomma, instancabile.
Si sa com’è: governare una Regione è una faticaccia. Come dice Roberto Formigoni, «per fare politica, ci vuole un fisico bestiale».
Contemporaneamente, mentre gli amici si congratulavano per il suo attivismo, il dinamico sottosegretario avviava le pratiche per farsi riconoscere invalido al lavoro. Finchè il 13 giugno scorso, mentre lui era impantanato nelle trattative sulla forestazione, una commissione di cui faceva parte il suo cardiologo di fiducia Enzo Amodeo, dichiarava che «considerata la patologia – aneurismi dei grossi vasi arteriosi del collo e del tronco complicati da dissezioni della aorta torico-addominale – si ritiene l’avvocato Alberto Sarra permanentemente inabile a proficuo lavoro».
La settimana dopo, record mondiale di velocità burocratica, l’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale riconosceva al sottosegretario l’«inabilità totale e permanente dal lavoro».
Poche settimane d’attesa e il Bollettino Ufficiale, come ha raccontato Antonio Ricchio sul Corriere della Calabria, pubblicava la Determinazione 439 che concedeva a Sarra un assegno mensile di 7.490,33 euro «al lordo delle ritenute di legge, a titolo di vitalizio, con decorrenza dal 7 gennaio 2010».
Per capirci: gli riconosceva gli arretrati per un totale di 30 mesi pari (stando a quei numeri) a circa 225 mila euro.
Cioè quanto un normale disabile totale e permanente, uno che non solo non è in grado di ricevere l’ambasciatore bielorusso ma magari neppure di portarsi il cibo alla bocca, prende in 24 anni e mezzo.
Ricordate la storia che abbiamo raccontato mesi fa di Giulia, la ragazza padovana con «insufficienza mentale medio-grave in paraparesi spastica»?
Per permetterle di vivere seguendola 24 ore al giorno il padre e la madre Gloriano e Mariagrazia, obbligata a lasciare il lavoro per dedicarsi solo alla figlia, ricevono una pensione mensile lorda di 270,60 euro più un’indennità d’accompagnamento di 487,39 per un totale di 757 euro e 99 centesimi.
Un decimo.
«E di casi così in Italia, di persone che dipendono dai familiari in tutto e per tutto, ce ne saranno almeno centomila», spiega Pietro Barbieri, presidente della Fish, la federazione italiana delle associazioni di sostegno all’handicap.
«Sia chiaro: se Sarra non è più in grado di lavorare, è giusto che l’invalidità gli sia riconosciuta. Ma nessuno nelle sue condizioni, in Italia, ha mai visto un vitalizio con delle cifre simili. Nessuno».
Di più: quel vitalizio stratosferico rispetto ai trattamenti miserabili concessi agli altri invalidi totali che non fanno parte del mondo dorato della politica, va a sommarsi con l’indennità e le altre prebende riconosciute ai sottosegretari regionali calabresi.
Per carità , non ci permetteremmo mai di sottovalutare i problemi avuti dall’esponente pidiellino.
Anzi, che abbia trovato la forza per riprendersi è una cosa che non può che rallegrare noi e tutti i cittadini.
Ma c’è o non c’è una contraddizione tra quella invalidità assoluta e permanente a ogni lavoro e la sua permanenza ai vertici del governo di una regione italiana?
E sono accettabili quelle cifre in un paese come l’Italia che dal 2008 al 2013, come dice un’analisi di Antonio Misiani, ha visto il Fondo per le politiche sociali precipitare nelle tabelle degli stanziamenti da 929,3 milioni di euro a 44,6?
Come possono capire i cittadini calabresi, sapendo che la loro regione risulta essere, stando ai dati Istat, l’ultima delle ultime per stanziamenti nell’assistenza e nell’aiuto alla disabilità ?
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera“)
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Ottobre 5th, 2012 Riccardo Fucile
LA SOCIETA’ DELL’A.D. DI TRIBUTI ITALIA FU AIUTATA DA UN DECRETO DEL GOVERNO
L’hanno chiamato il “sistema Saggese”.
E non tanto per l’enorme “privatizzazione” di denaro pubblico che l’ad di Tributi Italia, appunto, Giuseppe Saggese, è riuscito a mettere insieme nel corso di tutta l’onorata carriera.
È il reticolo di connivenze e protezioni politiche che ha avuto la società negli anni a rappresentare un vero “scandalo nello scandalo” più volte denunciato in sede parlamentare e sempre — puntualmente — coperto.
O lasciato cadere nel nulla come le risposte alle quattro interrogazioni parlamentari che i Radicali hanno presentato nel corso di tre anni e che hanno avuto un’unica — insoddisfacente — risposta quando ormai il governo Berlusconi era sull’orlo dell’abisso (20 giugno 2011).
Ovviamente, non è un caso.
Val la peena di ricostruire alcuni passaggi parlamentari, di cui la Tributi Italia è stata protagonista, per dare il senso del vischioso sistema di connivenze eretto a difesa della società da parte del governo Berlusconi.
Il primo avvenimento, d’altra parte, è stato eclatante. E ha riguardato una vera e propria norma “ad aziendam” (non a caso ribattezzata “norma Tributitalia”), inserita nel decreto fiscale 2010, firmato dal ministro Tremonti, che ha consentito alla società di Saggese di utilizzare la legge Marzano per il concordato delle grandi imprese in crisi (la stessa procedura utilizzata per Alitalia, giusto per capire le dimensioni).
Era l’articolo 3, comma 3 del provvedimento, grazie al quale Tributi Italia ha avuto accesso alle procedure di ristrutturazione economica e finanziaria, evitando la bancarotta e continuando a svolgere attività di accertamento e riscossione dei tributi locali. In più di 400 comuni.
La parte più scottante del comma è infatti quella in cui si dispone “la persistenza delle convenzioni vigenti con gli enti locali immediatamente prima della data di cancellazione dall’albo”: Tributi Italia, infatti, aveva in corso una procedura di cancellazione che, però, come ha ricordato anche ieri Rita Bernardini, ha avuto un iter molto lungo e sofferto in commissione Finanze di Montecitorio.
“Come già abbiamo ricordato nell’interrogazione del 13 aprile del 2010 — racconta la Bernardini — c’erano persone interne alla commissione di sorveglianza sugli enti di riscossione, che faceva gli interessi diretti della famiglia Saggese”.
E non solo lì, certo.
Il dicastero dell’Economia era retto da Giulio Tremonti, componente anche della commissione Finanze della Camera dove, tuttavia, non andava mai, visto che il lavoro vero di calendarizzazione delle discussioni (quello più delicato per stabilire le priorità ) era nelle mani del presidente Gianfranco Conte, anche lui Pdl.
Fin qui, in apparenza, nulla di strano.
Ma è leggendo i resoconti dei lavori nella Commissione, come d’altra parte, i verbali delle riunioni tenute al ministero dell’Economia e delle Finanze della Commissione che gestisce l’albo dei riscossori che si scopre come sia stato tortuoso il cammino per la cancellazione dall’albo di Tributi Italia.
E che l’Anci, l’associazione dei Comuni, non è sempre stata presente alle riunioni dell’Anacap (l’associazione di categoria dei riscossori).
E che — soprattutto — tra i componenti di quest’ultima, che ha voce in capitolo sulla cancellazione, ci fosse Pietro Di Benedetto che fa l’avvocato e difende proprio Tributi Italia.
L’avvocato di famiglia successore del primo, storico legale della società dall’epoca della prima denuncia per frode, datata 1999: Niccolò Ghedini.
Fino al 2010, la società aveva speso non meno di 6 milioni di euro (come si legge nell’interrogazione parlamentare del 2010) per pagare i suoi consulenti legali.
Tasse dei cittadini? Alla luce degli ultimi fatti, la domanda è più che lecita. Insomma, quel fiume di denaro che anno dopo anno scompariva dopo essere stato prelevato dalle tasche dei contribuenti, era un po’ sotto gli occhi di tutti.
Ma il “sistema Saggese” proteggeva la società , in barba alle richieste di indagini ispettive e trasmissione degli atti alla Corte dei conti, come minacciato da Idv e Radicali, per configurare un danno erariale.
“Volevamo uno strumento legislativo che potesse garantire innanzitutto i cittadini contribuenti — sostiene infine la parlamentare radicale — perchè non è fallita solo Tributi Italia, è fallito un intero sistema. Il sistema della riscossione dei tributi va ora ripensato in modo da assicurare l’interesse generale”.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 5th, 2012 Riccardo Fucile
L’APPELLO DEI GIOVANI PD: “BASTA TECNICI, ORA LA POLITICA”
I ragazzi di Bersani siedono in cerchio attorno al tavolino di un bar e parlano finendo l’uno la frase dell’altro, e mentre uno parla gli altri leggermente annuiscono come se fosse questo quel che fanno ogni giorno — discutere di Europa, di neoliberismo, di subalternità culturale — e in parte in effetti lo è.
Sono appassionati, competenti, citano Scalfari e Carlo Galli, poi i Subsonica e Arisa. Hanno fra 18 e 24 anni.
Fra loro c’è un boy scout tuttora in servizio effettivo, un’attrice di teatro della compagnia parrocchiale, un’appassionata di biomasse, il pr di una discoteca e un liceale diciottenne di eloquio e dita affusolate che ha, fra tutti, l’incarico più alto in grado essendo il più giovane: responsabile scuola dei Giovani Democratici dell’Emilia Romagna.
La grande diatriba del giorno è se sia giusto o meno mettere paletti per l’accesso alle primarie – iscrizione all’albo; soglia di sbarramento per la candidatura; inibizione al secondo turno per chi non abbia votato al primo – e tutti convengono che sì, lo è, perchè «non si può lasciare che il leader del centrosinistra lo scelga qualcuno che viene dalla destra» e perchè in definitiva è «un onore, per chi milita appunto, iscriversi ad un albo e far parte di una comunità omogenea».
Poi certo qualcuno ogni tanto leggermente dissente, forse si può immaginare di lasciare anche a chi non abbia votato al primo turno di votare al secondo, sempre iscrivendosi naturalmente, e via così.
Francesca, Eleonora, Marco, Vanessa e gli altri sono una decina dei moltissimi Giovani Democratici di Imola e dintorni che hanno lanciato un appello in rete, la scorsa settimana, in sostegno della candidatura di Bersani alle primarie.
“Giovani per Bersani”, si intitola il testo che si conclude con una citazione del segretario: «Guardando il mondo con gli occhi dei più deboli si costruisce un mondo migliore per tutti».
Sono tanti, i nomi in calce, e sono molti anche di origine straniera: rumeni, magrebini, c’è la ragazza che ha tolto il velo l’anno scorso, ci sono due figlie di rifugiati politici cileni chè Imola, negli anni ’70, fu una delle città in cui più numerosi arrivarono i sindacalisti e i comunisti che scappavano da Pinochet.
Vanessa Luna Navarrete, 22 anni, segretaria dei Gd di Imola, è una di loro.
Sua madre è scappata nel ’73, era una sindacalista. Lei è nata qui, ha studiato al professionale, i soldi per l’università non c’erano, lavori precari, politica da quando era poco più che bambina nella Sinistra giovanile.
Di Bersani dice che «mi da fiducia, è una questione di come parla come si comporta, mi tranquillizza, ha qualcosa in più: qualcosa di calmo e di potente».
Francesca Degli Esposti, 22, studia Economia a Bologna ed è la segretaria territoriale: Imola e dintorni. È lei che fa teatro coi “Ragazzi di San Giacomo”, la compagnia dell’oratorio, Alessandro Gassman il suo idolo.
Cattolica, genitori comunisti, cresciuta nelle cucine delle Feste. «Mi sono iscritta quando è nato il Pd. Veltroni mi dava fiducia, mi piaceva quella visione. Ora però con Bersani è un’altra cosa: è come stare a casa. Ti parla e capisci quello che vuole, io sento che è sincero, ha a cuore le cose che dice, si ferma a parlare con tutti, è appassionato e forse un po’ timido».
Arrivano gli altri, Nicola Marco Jessy Elisa Eleonora Silvia, parte subito la discussione sulle regole che oggi di questo si parla, e poi anche d’altro, sicuro: anche di Renzi che è di destra e di Grillo che «rappresenta la crisi della democrazia», di Vendola che piace molto a tutti e di Casini che invece non piace a nessuno.
I ragazzi di Bersani – quelli di Imola, questi – sono, all’unanimità : «di sinistra» nel senso che è meglio Vendola di Renzi, non parliamo nemmeno di Casini. Europeisti, perchè «il futuro dell’Italia è nell’Europa» e dunque antigrillini viscerali.
Contrari al Monti bis perchè «è ora di tornare alla politica, i tecnici hanno dato, hanno fatto bene ma ora basta, grazie».
Alla domanda su quali siano i leader politici nei quali si riconoscono rispondono Matteo Orfini, Francesca Puglisi.
Marco Cavina, per esempio. 21 anni, perito elettronico («sono un patito delle scuole tecniche, saranno la nostra salvezza ») studia Giurisprudenza, fa il pr in discoteca, è responsabile Economia e Lavoro dei GD di Imola.
«Io seguo Fassina e Orfini, sono giovani e preparatissimi, quello che serve».
Silvia Pizzirani, anche: 21 anni, Storia contemporanea a Bologna e passione per l’ambiente, segretaria dei giovani di Castel San Pietro, in politica da quando aveva 14 anni: «I miei riferimenti politici sono i miei genitori, i miei nonni: è da loro che ho imparato il valore del lavoro e della responsabilità individuale.
Tra i dirigenti seguo Francesca Puglisi e quel che fa per la scuola».
Eleonora Lorenzi, 22, studia ingegneria edile, vuole occuparsi di ristrutturazioni sismiche, gioca a pallavolo, è responsabile Organizzazione.
Nicola Finocchiaro, 20, fa il boy scout e anche il segretario Gd del circolo di Mordano-Bubano. Elisa Camaggi, 24, si sta laureando in Lettere, vorrebbe insegnare. Jessy Simonini, 18, fa il liceo classico e nel tempo libero aiuta «i bambini non italiofoni a fare i compiti».
Da quando è responsabile scuola dei giovani emiliani ha lasciato il ciclismo, non ha più tempo. Vorrebbe fare l’insegnante di lettere.
Gli altri, nel cerchio, sorridono. Lui serissimo osserva che non c’è niente da ridere, non capisco cosa ci sia da ridere.
Dunque cerchiamo di capire se e quanto si debba limitare l’accesso alle primarie.
Non è che troppi passaggi burocratici possono dissuadere chi vorrebbe votare? Eleonora: «Bisogna imparare a usarle le primarie.
Sono uno strumento che stiamo imparando a utilizzare. Bisogna eliminare i disturbatori. Potrebbero voler far vincere il candidato più debole…».
Elisa: «…o cercare di spostare la coalizione verso la propria area». Francesca: «Conosco persone di destra che verrebbero a votare alle primarie solo per votare Renzi…». Silvia: «… anche io, tante di destra».
Ma conquistare elettori alla destra non sarebbe poi un male, no?
Francesca: «Si, ma sono gli elettori che devono venire da noi, non il partito da loro. Non possiamo spostare il partito a destra per conquistare gli elettori di destra. Deve accadere il contrario».
Silvia: «Non bisogna adeguarsi al clima di superficialità , ma al contrario educare alla responsabilità . Chi vuole decidere deve seguire delle regole, per ottenere le cose ci vuole fatica…».
Jessy: «…e poi un albo è un riconoscimento. Da importanza al gesto di chi va». Marco: «Se qualcuno rinuncia vuol dire che non gli interessa abbastanza ».
Una specie di esame, di prova-ostinazione? Eleonora: «Sì, però se magari uno al primo turno stava male e non è potuto andare? Allora si potrebbe fare che si iscrive all’albo anche chi vota per la prima volta al secondo turno…».
Elisa: «…si ma solo se sono davvero di centrosinistra, però. È giusta la Carta di intenti».
Renzi lo liquidano come un populista, conservatore.
Francesca: «La rottamazione e il merito non stanno insieme. Io non ho nessun merito ad avere 20 anni. Rispetto alle idee conta quanto essere biondi o essere mori». Vanessa: «Non mi è piaciuto su Marchionne». Sa dire solo io (Nicola), è un neoliberista conservatore (Silvia), è «subalterno alla cultura che ha inquinato la sinistra in questi anni» (Jessy, quello di 18).
Bersani invece ha un’ottica europea, lungimirante (Eleonora), un calibro diverso, le spalle larghe (Nicola) sa parlare di lavoro e di economia, ha ringiovanito la sua segreteria (Marco). Silvia: «Ha le tre doti principali di un politico: passione, lungimiranza e senso di responsabilità . È lui il nuovo, Renzi è il vecchio». Poi è credibile in Europa (Elisa).
Vendola piace a tutti, perchè è coerente (Nicola) di sinistra (Marco) anche se un pochino troppo populista (Silvia) e meno adatto di Bersani a governare (Elisa). Laura Puppato non la conoscono abbastanza.
Elisa: «Perchè non ne parlano? Non capisco, è una dirigente del partito, può portare contenuti molto forti».
Silvia apprezza anche Tabacci. In coro, tutti, disprezzano Grillo.
Che poi, dice Francesca, «Grillo cresce più tra gli adulti che tra i ragazzi. Se penso ai giovani temo più l’astensionismo ».
Di un Monti bis, della possibilità che si faccia un patto per sostenere politicamente un governo tecnico – ci fosse anche Bersani vicepresidente del consiglio – non vogliono sentir parlare.
«Basta coi tecnici, ora va al governo chi vince».
L’hanno detto anche Fassina e Orfini.
Regole per il ricambio dei ministri e dei parlamentari, e torni la politica.
Concita de Gregorio
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 5th, 2012 Riccardo Fucile
“QUEI SOLDI MI SPETTAVANO”… VIA DALLA CELLA MERENDINE E BIBITE GASATE
La spartizione dei fondi della Regione Lazio «avvenne grazie a un accordo tra il presidente del Consiglio regionale Mario Abbruzzese e tutti i gruppi che poi decidevano come spendere i soldi».
Non cambia linea Franco Fiorito.
Dalla cella di Regina Coeli l’ex capogruppo del Pdl arrestato tre giorni fa con l’accusa di peculato per essersi appropriato di un milione e 350 mila euro, conferma che tutti i suoi colleghi utilizzavano il denaro anche per spese personali.
E tenta di rilanciare.
Mentre il giudice ordina il sequestro della sua villa al Circeo, delle auto di grossa cilindrata (che saranno usate dalla Finanza) e dei conti correnti, lui si concentra su quella «doppia» e addirittura «tripla indennità » che si era attribuito quando aveva anche l’incarico di presidente della Commissione bilancio e di tesoriere. E dichiara: «Anche negli altri gruppi si faceva così».
L’inchiesta sulle ruberie e gli sperperi entra dunque in una fase cruciale.
E si arricchisce di nuovi dettagli.
Tra i documenti depositati in vista dell’udienza davanti al Tribunale del riesame c’è la relazione preparata dagli specialisti del Nucleo valutario guidati dal generale Giuseppe Bottillo.
Hanno individuato «quattro bonifici tra il quattro aprile 2012 e il 5 maggio 2012 per 23.140 euro accreditati da Fiorito su uno dei suoi conti personali e rimborsi giustificati come “pagamenti canone locazione sede Roma gennaio/febbraio/marzo/aprile 2012″» che potrebbero in realtà essere serviti per pagare gli affitti dei due appartamenti che lo stesso politico aveva ottenuto da due enti benefici in pieno centro di Roma.
Proprio per cercare di ottenere la restituzione dei soldi che avrebbe preso illecitamente, il giudice ha disposto un nuovo provvedimento contro Fiorito.
Sotto sigilli sono finiti, oltre alla magione del Circeo, la Jeep Wrangler comprata per affrontare la nevicata di Roma nel febbraio scorso, la Bmw e la Smart, tutte pagate con i soldi pubblici.
La Guardia di finanza hanno bloccato anche i 7 conti correnti aperti in Italia e i 4 in Spagna dove ha trasferito oltre 330 mila euro. Soldi che si era impegnato a restituire prima che fosse ordinata la sua cattura.
«È solo il caso di evidenziare – scrive il giudice Stefano Aprile motivando il sequestro – che si sono raccolte prove molto concrete che vanno ben al di là di quanto richiesto».
All’ora di pranzo lo stesso giudice entra in carcere per il cosiddetto interrogatorio «di garanzia».
Nella cella, per ordine dei medici del carcere, sono sparite le merendine e bibite gasate che aveva comprato in quantità allo spaccio del carcere, ma che sono ritenute «incompatibili» con la sua salute.
Fiorito ha ripetuto quanto aveva dichiarato il 19 settembre, ma ha aggiunto alcuni dettagli.
Nonostante nell’ordinanza di custodia cautelare gli sia già stato contestato che ben sei testimoni «smentiscono le sue confuse dichiarazioni difensive sull’erogazione di indennità multiple», lui ribadisce che «questa era la prassi» e si dichiara «pronto a provarlo con fatti e circostanze», confermano i suoi legali Carlo Taormina ed Enrico Pavia.
Poi entra nelle contestazioni. E cerca di scrollarsi di dosso una parte delle accuse, anche a costo di scaricarle sui suoi collaboratori.
ra le spese illecite c’è quella per la caldaia per la villa del Circeo. Si tratta di una fattura di 1.100 euro trovata durante la perquisizione nell’appartamento del suo segretario Bruno Galassi.
«Lui si occupava delle incombenze, non so davvero che soldi abbia utilizzato». Galassi sarà risentito, così come l’altro segretario Pierluigi Boschi.
E intanto si continuano a esaminare anche le fatture depositate da tutti gli altri consiglieri del Pdl.
Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera“)
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Ottobre 5th, 2012 Riccardo Fucile
GLI ENTI LOCALI SI RITROVANO CON MENO FONDI E MENO COMPETENZE
Comincia una fase di dimagrimento forzato: meno fondi, meno competenze, meno incarichi, e libertà di manovra seriamente ridotta.
L’accerchiamento degli enti locali che il decreto approvato ieri di Palazzo Chigi prefigura, chiude una fase durata oltre un decennio: da quando il centrosinistra impose al Parlamento con lo scarto di una manciata di voti una riforma costituzionale che ampliava a dismisura l’autonomia soprattutto delle Regioni.
Ma probabilmente, senza gli scandali emersi nelle ultime settimane nel Pdl laziale e altrove, l’operazione sarebbe stata meno facile; e la reazione del partito trasversale degli amministratori ben più determinata.
Oggi, invece, a pochi mesi dalle elezioni politiche e con la magistratura e la Guardia di Finanza che setacciano i conti e gli atti della nomenklatura di alcune Regioni, la politica appare disarmata e collaborativa.
Si mostra incapace di rivendicare comportamenti virtuosi anche lì dove il malaffare e l’inefficienza non sono stati dominanti.
Denuncia un filo di rassegnazione, oltre che il timore di ritrovarsi con un sistema di governo smantellato e di colpo sbilanciato.
La sensazione dominante ai vertici dei partiti è che anche il ridimensionamento degli enti locali si iscriva in una manovra tesa a dilatare la parentesi del governo di Mario Monti oltre il 2013.
Quello che le forze politiche sono meno disposte a riconoscere, è che con la confusione e l’inconcludenza a livello nazionale stanno fornendo ottime ragioni, o pretesti, a queste ipotetiche manovre.
La classe politica sembra rassegnata a farsi recapitare dal governo dei tecnici un messaggio di sfiducia perchè si rende conto che arriva non tanto da Monti ma dall’opinione pubblica; e riguarda tutti: municipi, province, governatori.
«Il decreto sul finanziamento degli enti locali», ha spiegato ieri il presidente del Consiglio, «riguarda un’Italia vecchia esistita fino ad ora, che preferiremmo non vedere più in futuro».
Gli sprechi folli del Lazio, abbinati agli scandali in Lombardia, Puglia e Sicilia e alle indagini che adesso toccano anche Piemonte ed Emilia-Romagna, offuscano le differenze.
Tendono a mettere in mora un sistema di potere sfigurato non da cesti di cosiddette «mele marce», ma da norme confezionate su misura per favorire l’irresponsabilità e comportamenti in qualche caso, come si è visto, da codice penale. Ma la bocciatura di uno schema di amministrazione che ha fatto il suo tempo lascia aperte le incognite sul futuro.
Rimane da capire se una stretta del genere permetterà di amministrare meglio; oppure se accanto ad una sacrosanta oculatezza nella spesa si registrerà un vuoto di potere.
Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, chiede di liquidare «la retorica federalista» e di rivedere il titolo V della Costituzione: quello modificato dal centrosinistra nel 2001.
D’altronde, ricorda, lo stesso segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, adesso ammette che fu un errore perchè concedeva alle Regioni un’autonomia sconfinata, con risultati esiziali.
Ma il punto interrogativo riguarda l’effetto dei controlli stringenti imposti a Regioni, Comuni e Province da Palazzo Chigi, attraverso il filtro della Corte dei Conti. Il timore è che per evitare errori o, peggio, guai giudiziari, le burocrazie locali si fermino.
In teoria, un simile pericolo non dovrebbe esistere, perchè le proposte del governo per ridurre i costi della politica ricalcano i suggerimenti delle stesse Regioni, ansiose di recuperare credibilità ; e perchè chi non si adegua nei tempi previsti ai tagli, si vedrà ridotti i fondi trasferiti dallo Stato.
Sebbene alcuni provvedimenti siano considerati troppo punitivi, il patto tacito è quello di non impugnarli contro il governo.
Ma è inevitabile porsi una domanda: che fine farà la filosofia dell’austerità espressa da questo decreto dopo le prossime elezioni.
Nelle intenzioni di Monti, si tratta di un’altra delle leggi destinate a «trasformare l’Italia».
La volontà comprensibile e legittima della politica di riprendere in mano il governo dopo il voto, tuttavia, allunga un’ombra sull’intera operazione.
C’è un blocco di interessi che per il momento si è piegato, ma non abbandonerà facilmente il campo.
Massimo Franco
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 5th, 2012 Riccardo Fucile
REGIONI, PROVINCE, MUNICIPALIZZATE: LA GRANDE CORSA ALLE POLTRONE…IL RACCOMANDATO NON USA I CONCORSI PUBBLICI
L’avanspettacolo comincia sempre il giorno dopo, a scandalo scoppiato. «Mia moglie assunta all’Atac grazie a me? Falso, all’epoca eravamo solo fidanzati».
A balbettare è l’assessore romano all’Ambiente Marco Visconti.
Ma quell’intercettazione compromettente con il consigliere del Pdl Francesco Maria Orsi? «Ma io so’ caciarone, scherzavo». Ah, ecco.
E Maurizio Lupi, consigliere piemontese dei Verdi Verdi che si scopre avere assunto in Regione figlia, moglie e due fratelli?
«Non sapete che faticaccia riempire la lista di un piccolo gruppo».
Certo, di questi tempi trovare qualche giovane preparato che voglia essere assunto è un’impresa. Meno male che si può sempre contare sulla famiglia.
E quando si parla di poltrone, assunzioni e favori, la famiglia italiana non è mai in crisi. È un’istituzione, basata sulla raccomandazione.
LE MOGLI SON SEMPRE MOGLI
La signora Visconti, Barbara Pesimena, oggi siede su una poltrona che val 73mila euro all’anno. Dirigente responsabile dell’area sanitaria di Atac, azienda municipalizzata del comune di Roma. E chi può mettere in dubbio la sua nomina, con quel curriculum da segretaria in un poliambulatorio medico e diversi contratti come cassiera in negozi di abbigliamento?
A volte basta saper usare tela e pennelli per essere assunti all’Atac.
L’ex pittrice Stefania Fois, compagna dell’onorevole romano del Pdl Marco Marsilio, è diventata direttrice delle relazioni esterne dell’azienda.
Ma a essere “un’opera d’arte” è il suo stipendio: 120 mila euro all’anno. Più del sindaco.
I “soliti cognomi” sono assai diffusi nelle municipalizzate romane.
Tanto che la procura sta indagando su 46 assunzioni sospette all’Atac, tra cui quella meravigliosa di Giulia Pellegrino, cubista-non-cubista («non ballo sui cubi, faccio l’hostess nei locali notturni di Roma»).
Le è stato chiesto come avesse fatto a diventare segretaria del direttore industriale Marco Coletti.
Risposta: «Mi hanno fatto delle domande, era un concorso. Ma non saprei dire dove e con chi, ho dei seri problemi con luoghi e nomi».
E mica sarà importante ricordare luoghi e nomi, per chi lavora in una segreteria.
A parole, tutti scandalizzati e innocenti. Ma poi così fan tutti se è vero, come racconta un’indagine Isfol, che quasi un italiano su tre trova lavoro proprio grazie alla spintarella di parenti e amici.
Prendete i territori leghisti. Anni a urlare contro Roma ladrona, poi si scopre che in Veneto Stefania Villanova, moglie del sindaco di Verona Flavio Tosi, è a capo della segreteria dell’assessore regionale alla sanità del Veneto.
Promossa senza concorso e stipendio triplicato, da 25 mila euro a 70mila.
GLI ACCHIAPPA-POLTRONE
C’è sempre un appetito da soddisfare, tra i parenti.
A Napoli i Pisacane-Vessella hanno messo in piedi, per ammissione dello stesso capofamiglia, Michele Pisacane, «una piccola ditta nel cuore delle istituzioni».
Lui è deputato dei Popolari Italia Domani.
Sua moglie, Annalisa Vessella, è stata prima “invitata” dal marito a diventare consigliere regionale della Campania (lui gestiva gli incontri elettorali mentre lei era incinta).
Poi le è piovuta addosso, già denunciato da Repubblica, la nomina ad amministratore delegato di Isa, Istituto per lo sviluppo agricolo.
Con stipendio da 140 mila euro all’anno, che si somma a quello da consigliere.
Il fatto che l’Isa faccia parte del ministero delle Politiche agricole guidato, al tempo della nomina, da Francesco Saverio Romano, amico strettissimo di Pisacane, è solo un caso. Certo.
LE MUNICIPALIZZATE
Ma è la municipalizzata, l’azienda dei trasporti o quella della raccolta dei rifiuti, il luogo ideale dove piazzare, sempre troppe difficoltà , amici e parenti senza troppe difficoltà .
Quelli stessi che poi restituiranno il favore sotto forma di voto.
Da nord a sud, da destra a sinistra, una costante italiana.
A Venezia le assunzioni spericolate dell’Actv, azienda di trasporti del comune, sono finite sotto inchiesta.
C’è l’ex sindacalista Cgil Romeo Sambo da Chioggia che nell’universo Actv ha figlio (marinaio, anche lui sindacalista), figlia e nuora.
E marinaio con contratto Actv è anche il figlio di Maurizio Mandricardo, coordinatore del Pd.
E in provincia della vicina Verona si scopre che moglie e sorella del sindaco di Sona hanno trovato posto all’Amia, azienda multiservizi dell’Igiene ambientale, così come la figlia del responsabile leghista locale, fratello del vicesindaco di San Giovanni Lupatoto, il nipote di un noto avvocato della lista Tosi, e la moglie del sindaco di Sommacampagna.
Alla E-servizi, ente regionale siciliano che si occupa di informatizzare gli uffici pubblici, sono stati assunti negli anni scorsi due e-raccomandati: i figli dell’ex sindaco di Palermo Diego Cammarata e del presidente della Provincia d’Agrigento Eugenio D’Orsi.
Negli uffici della ex Municipalgas lavora Cinzia Ficarra, moglie del deputato regionale Udc Alberto Campagna, all’Amg (gas) lavora il figlio del consigliere comunale dell’Mpa Leonardo D’Arrigo, all’Amap (acqua) c’è l’ingegner Giovanni Puleri, genero dell’ex parlamentare di An Guido Lo Porto.
A volte poi, c’è questo fastidio del concorso pubblico.
Bisognerebbe studiare e presentarsi con titoli validi, ma l’onesto raccomandato disdegna queste “scorciatoie”.
E finisce che in Puglia vengono assunti anche i bocciati. Come è successo a otto persone che nell’agosto del 2011 avevano partecipato al concorso di selezione del personale amministrativo della Sesta provincia, la Barletta-Andria- Trani.
Bocciati ad agosto nella prova d’esame, ripescati come per magia a dicembre, superando in graduatoria tutti quelli che avevano davanti.
Perchè non erano “mister nessuno”, tra loro c’era per esempio Francesco Patruno, assessore di quel comune di Canosa che ha per sindaco il presidente della provincia Bat.
Una vicenda finita all’attenzione della Corte dei Conti. Ma sicuramente è soltanto un caso.
E per caso, prima o poi, qualcuno riesce a essere assunto perchè se lo merita davvero.
Fabio Tonacci
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 5th, 2012 Riccardo Fucile
IL PARTITO COSI’ COM’E’ NON FUNZIONA… L’EX PREMIER INCONTRA NUMEROSI PROTAGONISTI DELLA NASCITA DI FORZA ITALIA
Silvio Berlusconi è pronto ad archiviare l’esperienza del Popolo delle Libertà . Secondo diversi retroscena, nel partito già profondamente scosso da lotte intestine, scandali e perdita di consensi, c’è la conferma che presto bisognerà fare i bagagli e traslocare in un nuovo progetto.
Al quale Silvio Berlusconi non ha nascosto ieri sera ai vertici del Pdl di lavorare da tempo.
Una conferma che preoccupa alcuni — ex An in testa — ma entusiasma altri.
Anche se le incognite sul futuro sono ancora tante e per capire la sorte dei molti esponenti pidiellini bisognerà attendere ancora un po’.
Sì, perchè il Cavaliere allo stato maggiore del Pdl non ha offerto ulteriori spiegazioni, non è sceso nel dettaglio, limitandosi a dire che così com’è adesso il Pdl non funziona più.
Quindi, avrebbe spiegato l’ex premier, bisogna cambiare.
Scontato che il cambiamento a cui pensa Berlusconi è sì rivolto verso il futuro ma con un occhio che guarda anche al passato, a quell’ormai famoso 1994, vale a dire la nascita di Forza Italia.
Sarà un caso, ma nelle ultime ore il Cavaliere ha incontrato diversi protagonisti di quel momento storico, come Stefania Prestigiacomo, Antonio Martino, Claudio Scajola e, secondo alcune fonti pidielline, Beppe Pisanu, da tempo in ‘contatto’ con i centristi.
E proprio Prestigiacomo oggi, in una nota, conferma che è allo spirito del ’94 che Berlusconi guarda con attenzione.
Certo, ieri sera, dopo il lungo sfogatoio a cui ha assistito durante il vertice fiume a Palazzo Grazioli, il Cavaliere si è anche premurato di rassicurare i suoi: nessuno sarà mandato via, avrebbe garantito, non ho intenzione di procedere con nessun repulisti.
Non sarà presa l’accetta, non saranno fatti ‘tagli lineari’, avrebbe ancora spiegato, ma bisogna andare oltre il Pdl, archiviare questa esperienza, perchè solo così il centrodestra potrà avere nuove chance.
Nessuno, però, deve aspettarsi un annuncio imminente, un ‘predellino’ a breve, tutto sara’ studiato nei minimi dettagli e a tempo debito, perchè — è la convinzione di Berlusconi — ora è ancora presto, troppe le questioni ancora in ballo che alimentano una indeterminatezza che sconsiglia annunci e lanci di nuovi progetti.
Al momento il timing è comunque entro dicembre.
C’è da capire, innanzitutto, quale sarà la nuova legge elettorale e, di conseguenza, quale assetto dare al nuovo progetto e all’area che adesso farà riferimento: lista civica, nazionale, ‘scissione dolce’ e poi federazione? Addii traumatici?
Molte le opzioni in campo.
Una cosa viene spiegato, però è certa: quando scatterà l’ora x’, allora tutto sarà preparato con cura, l’annuncio sarà fatto ma non sarà nulla di già visto, nulla che potrebbe suonare come la riproposizione di un qualcosa di vecchio stampo.
Sì, perchè nel progetto berlusconiano non c’è la creazione di un partito tradizionale, bensì di un qualcosa di snello, aperto alla società civile e caratterizzato da volti nuovi.
Da qui anche l’ipotesi che a guidarlo non sia Berlusconi in persona, bensì una personalità esterna, slegata dal mondo politico di oggi. Insomma, riferisce chi ha partecipato ieri al vertice notturno, anche se le varie questioni — compreso il destino della Regione Lazio e del Campidoglio — restano ancora tutte aperte e ci si è riaggiornati per metterle a punto, quello che è certo è che il cavaliere del Pdl a breve non ne vorrà piu’ sentir parlare: basta, bisogna cambiare, prendere atto — è il ragionamento — che così non va più, azzeriamo tutto e ripartiamo, è l’input lanciato dall’ex premier.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 5th, 2012 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI ROMA SI RICANDIDA MA AVVERTE: “TROPPI SEGNALI NEGATIVI, BISOGNA PRESENTARSI CON UNA SITUAZIONE RINNOVATA”
“Non sarebbe opportuno presentarsi, almeno su Roma, con la lista Pdl. Soprattutto nel Lazio ci sono segnali negativi e quindi bisogna presentarsi con una situazione rinnovata”. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno si prepara alle prossime elezioni comunali.
E durante l’intervista alla trasmissione ‘Un caffe’con..’ in onda su Sky spiega quali saranno le sue prime mosse per ricandidarsi come primo cittadino della capitale.
Definendo il presidente del Consiglio ”un uomo culturalmente di centrodestra”, Alemanno si è augurato che faccia “una scelta politica di centrodestra”.
Ha precisato che ”non si tratta di tirare la giacca di Monti da una parte o dall’altra, perchè già altre forze politiche lo hanno fatto e sono rimaste spiazzate. L’importante – ha aggiunto – è che ci sia un confronto tra le forze politiche, soprattutto di tipo programmatico, così che Monti possa fare una scelta politica”.
Poi è tornato a ribadire: “Il Pdl va azzerato per avere un vero rinnovamento e senza quel rinnovamento, il centrodestra può scomporsi. Dobbiamo ricominciare da capo e non fare solo operazioni di lifting. O si fa sul serio o oguno per conto proprio”. Riferendosi alle misure varate dal governo per abbattere i costi della politica, il sindaco ha ricordato che ”i comuni hanno pagato tantissimo dal punto di vista dei tagli, ma nessun passo indietro sulla responsabilità personale. Siamo strettissimi, dobbiamo approvare il bilancio ma il Comune di Roma non è a rischio dissesto grazie all’intervento dell’allora governo Berlusconi nel 2008. Roma è solida, ormai da quattro anni”.
Casi Fiorito in Campidoglio? “Certe volte si scoprono sempre dopo, ma direi proprio di no, perchè nel Comune non ci sono quei meccanismi troppo autonomi che esistono nelle regioni italiane”, ha concluso Alemanno.
Immancabile un riferimento alla candidatura di Nicola ZIngaretti alla Regione Lazio. “Ho telefonato al presidente della Provincia, gli ho fatto i miei auguri e gli ho detto: ‘Mi lasci solo al Comune’, e la battuta è stata: ‘Così vinco per abbandono’.
Il suo ritiro dal Comune dimostra che non “è vero che Zingaretti avrebbe sicuramente vinto la sfida per la poltrona a sindaco di Roma”, perchè secondo Alemanno ”se Zingaretti fosse stato vincente non sarebbe stato ritirato dal Pd. Dietro questa scelta credo ci sia il tentativo, da parte del Partito democratico, di combinare qualche papocchio su Roma: quella di Zingaretti era una candidatura data per scontata, già in campo da molto tempo, e se è stato spinto sulla Regione è perchè credo ci sia qualche tentativo a tavolino di rimescolare le carte. Ma non credo – ha concluso Alemanno – che i romani apprezzeranno molto questi tentativi calati dall’alto”.
Tornando al Pdl, il sindaco di Roma ha aggiunto che “siamo in una fase di scomposizione e ricomposizione. Quella della lista del centro-sud è solo un’ipotesi. Ma la principale soluzione rimane la rifondazione del Popolo delle Libertà in un nuovo soggetto politico. E vedo che anche Silvio Berlusconi sta lavorando in tal senso. Ci sono ulteriori opzioni – ha continuato il primo cittadino – la scomposizione geografica, anche con una lista per il nord, e anche quella ideologica tra destra e centro. Ma quest’ultima è l’ipotesi meno probabile. Domani da Bari comincio un tour per avere un confronto con i diversi contesti territoriali”.
(da “La Repubblica”)
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