Ottobre 8th, 2012 Riccardo Fucile
APPELLO ALL’UDC PER NON CONSEGNARE IL PAESE ALLA SINISTRA… CASINI REPLICA: “CONOSCO LE GIRAVOLTE DI BERLUSCONI”
“Per unire il centrodestra Silvio Berlusconi è pronto a non ricandidarsi. Per non consegnare l’Italia alla sinistra occorre un gesto di visione e generosità degli altri protagonisti del centrodestra”.
Così il segretario del Pdl Angelino Alfano è intervenuto raggiungendo Pier Ferdinando Casini ed Enrico Letta alla presentazione del nuovo libro di Ferdinando Adornato.
“Abbiamo il compito di ricostruire il centrodestra italiano”, ha detto il segretario del Pdl.
“Se ne avremo le forze, la sinistra non andrà al governo e avremo uno Stato più leggero e meno tasse — ha assicurato — con la sinistra al governo avremo uno Stato più pesante e più tasse”.
Ma al di là delle affermazioni sul centrosinistra, le parole del segretario del Pdl sembrano sancire la fine del dominio politico di Berlusconi sul centrodestra.
Non più padre e padrone del partito, l’ex presidente del Consiglio sembra essere diventato l’ostacolo — in primis verso l’Udc di Cesa e Casini — per ricostruire una casa comune del centrodestra.
A maggior ragione ora che le indiscrezioni vogliono Silvio Berlusconi pronto ad “abbandonare” lui stesso il Pdl per virare su un soggetto nuovo.
Indiscrezioni, tentazioni.
Di certo c’è che lo stesso Alfano ha pubblicamente esortato Casini a unire le forze: “Se Berlusconi non si ricandida per favorire l’unità del centrodestra hai il diritto, la possibilità e il dovere di giocare questa partita per riunire l’area dei moderati”, ha detto il segretario Pdl rivolgendosi al leader Udc.
“Bisogna profondere ogni sforzo per unire una grande area moderata e alternativa alla sinistra”, ha insistito Alfano: “Caro Pier, sei chiamato a questa sfida”.
“Se come Pdl — ha proseguito — siamo disposti e pronti allo sforzo più generoso e importante, chiediamo agli altri di fare la stessa cosa. Noi ci stiamo e, caro Casini, spero che le nostre strade possano tornare a incrociarsi”.
Alle parole di Alfano, Casini ha risposto con una cauta apertura. “Alle sfide nella mia vita politica non mi sono mai sottratto, agli inganni ho cercato di sottrarmi — ha detto — poichè ho il dovere di ritenere che non porti inganni, con cautela però voglio verificare. Spero — ha aggiunto che quello che ha detto Alfano abbia un valore ma tutti quanti siamo abituati alle giravolte di Berlusconi quindi serve cautela e parsimonia nei giudizi. Se il Pdl fa un appello ai moderati — ha sottolineato Casini — significa che cerca di allargare il suo spazio elettorale o si pone realmente un problema di aggregazione che parte da un processo autocritico di come si è governato in questi 20 anni? Oggi qualunque processo di aggregazione dei moderati deve nascere sulla base della verità . Qui, si sta facendo una riflessione autocritica nel Pdl e sul perchè questa esperienza è finita? Perchè Fini ha tradito? No — ha proseguito il leader centrista — non è stato questo il problema, non c’è stato nessun tradimento, anzi va visto a parti invertite”.
Secondo Casini, “non si fa questo appello superando il chiarimento. Angelino — ha detto rivolgendosi ad Alfano — ti sei dimenticato di Monti che non è un incidente di percorso. Monti non appartiene a nessuno, eppure c’è per volontà di tutti noi. E’ un’anomalia da risolvere o bisogna ripartire dai contenuti dell’agenda Monti? E’ questo il macigno che vale non solo per il Pdl, ma anche per la sinistra”.
Già da stamattina le dichiarazioni dei colonnelli puntavano a un passo indietro dell’ex leader. In questa direzione le dichiarazioni di Giorgia Meloni, che vedrebbe bene Berlusconi a guardare la competizione dall’esterno.
”Io non ho fatto mistero che tra le ipotesi messe in campo da Berlusconi, mi piaceva quella del padre nobile e dell’allenatore. Per la scelta del leader io credo nel consenso e, anche se fosse Berlusconi, ne uscirebbe ancora più forte. Non vorrei leggere il nome del candidato su un comunicato dell’ufficio di presidenza. Berlusconi non è un uomo che ha paura di misurarsi col consenso e per questo non capisco la paura del partito a confrontarsi con un cammino di scelta. Vedendo il dibattito sui contenuti innescato dalle primarie del centrosinistra rischiamo di passare per un partito che ha paura di misurarsi con il consenso”.
Così l’ex ministro a Tgcom24. “E’ inutile — ha proseguito — scimmiottare Renzi, io contesto i criteri di selezione. Spesso c’è stata una selezione di una classe dirigente calata dall’alto di cooptati e raccomandati. Il problema non è cambiare il simbolo, ma i meccanismi”.
Cioè, “Primarie, preferenze, tutto. I partiti facciano scegliere ai cittadini perchè scelgono meglio dei partiti”.
Meloni ha parlato anche della sempre più scomoda posizione degli ex An nel partito: “La vicenda degli ex An è complessa. Loro differentemente a quanto si dice non sono un moloch che la pensa alla stessa maniera sul futuro del partito. In questi anni qualcosa non ha funzionato visto che oggi siamo distanti dal 38% degli anni scorsi. Noi abbiamo fondato un partito per normalizzare l’Italia ma poi l’abbiamo gestito come un partito da 2%. Io credo in questo progetto ma non bisogna cambiare solo le facce”.
Nelle stesse ore è stato un altro ex ministro, Franco Frattini, a chiedere ad Alfano uno sforzo per ricucire con l’Udc.
”Mi auguro — ha detto — che Alfano dica cose che facciano dire a Casini ‘siamo insieme, siamo dalla stessa parte’. Non possiamo stare fermi — ha aggiunto -abbiamo un’occasione”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 8th, 2012 Riccardo Fucile
LE SOLE PARTECIPATE AL 100% COSTANO 780 MILIONI…. DAI 15 MILIONI PERSI DALLO ZUCCHERIFICIO ALLE FILM COMMISSION DI CAMPANIA E CALABRIA
Finanziarie, società di gestione dell’acqua e delle fogne, zuccherifici, terme, film commission , società di consulenza e di informatica.
Sono quasi 400 gli organismi partecipati dalle Regioni con circa 10 mila dipendenti, costosi e spesso in «rosso».
La galassia delle «regionalizzate» è, secondo la Corte dei conti che lo ha censito per la prima volta in una relazione pubblicata lo scorso agosto, «un fenomeno poco noto», rispetto a quello delle «municipalizzate», su cui c’è «l’obiettiva necessità di indagare».
Obiettivo: verificare che non siano di ostacolo all’iniziativa privata e che diventino un mero strumento per sfuggire alla disciplina dei conti pubblici.
Una necessità che è diventata impellenza all’indomani delle numerose indagini che stanno coinvolgendo le Regioni, tra sprechi e vere e proprie ruberie.
Gli affidamenti
Si scopre così, scrive l’organo di controllo, che «le Regioni, al pari degli altri enti territoriali, hanno esternalizzato funzioni, servizi ed attività , costituendo società oppure entrando nel capitale di società esistenti». Non solo.
Alle società vere e proprie si affiancano «enti pubblici dipendenti» e «agenzie regionali», costituite in base agli statuti, «affidatarie di funzioni ed attività » proprie della Regione in quanto istituzione, assegnatarie di risorse organizzative ed economiche con direzione e responsabilità autonome. Rientrano a pieno titolo in questa modalità le società finanziarie regionali, «fenomeno di grande rilevanza».
Il capitalismo regionale
I dati affluiti alla Corte dei conti, che disegnano quello che è definito come «capitalismo regionale», riguardano il 2010 e in parte il 2011 e sono stati inseriti in una banca dati che verrà tenuta aggiornata.
Vi hanno contribuito tutte le Regioni e le Province autonome, tranne la Sicilia e la Sardegna perchè, come spiega la relazione, le Sezioni di controllo della Corte dei conti di quelle Regioni «hanno ritenuto di non inviare loro le richieste istruttorie».
Sono stati censiti 394 organismi partecipati di proprietà delle Regioni, di cui il 57,6% è costituito da spa e il 10,4% da srl: in tutto 268 società .
Il resto è costituito da fondazioni (7,6%), consorzi (3%) e altri organismi (21,3%).
La presenza dei privati nella compagine sociale è rilevata in 163 organismi partecipati (41% del totale), di cui 56% spa e 8% srl.
Il record del Lazio
La maggiore incidenza di spa partecipate si trova nel Lazio (9,7%), seguito dalla Toscana (8,4%) e dal Veneto, Emilia Romagna e Campania (6,6%).
Le srl sono presenti soprattutto in Liguria ed Emilia Romagna (12,2%).
In quest’ultima Regione le Fondazioni rappresentano il 60% del totale di tutte le Regioni.
Il valore delle partecipazioni detenute dalle Regioni nelle 268 spa e srl sfiora i 3,5 miliardi, la metà dei quali sta in capo a Regioni e Province autonome.
Il dato di maggior rilievo riguarda la Lombardia che possiede, nelle otto società di cui è azionista, partecipazioni per 322,74 milioni di euro, pari al 76% del valore del loro capitale sociale complessivo. Piemonte e Puglia che si collocano subito dopo detengono in valore assoluto quote di importi molto inferiori, pari rispettivamente a 78,49 e 58,94 milioni di euro. Colpisce la presenza frazionata in numerose società delle Regioni Lazio (23 società ), Toscana (20), Emilia Romagna (20), Campania (19) e Veneto (18).
I bilanci
Ma quali risultati conseguono queste regionalizzate?
I dati, in questo caso relativi alle spa e srl partecipate al 100% dalle Regioni, 75 in tutto, mostrano per l’esercizio 2010 un fatturato complessivo pari a 1.921,94 milioni di euro, ma il dato aggregato relativo ai risultati di esercizio evidenzia un «rosso» di -92,60 milioni di euro.
Un dato deludente se si pensa che le somme erogate dalla Regione, a titolo di corrispettivo e contributo in conto esercizio, ammontano a 780 milioni di euro.
I costi della produzione superano il valore della stessa, attestandosi a 2.008,95 milioni di euro, il 19% dei quali sono relativi al personale per un numero di occupati pari a 7.526 addetti.
Mai una gara
L’affidamento dei servizi avviene quasi nella totalità dei casi senza gara: 248 affidamenti diretti contro 19 tramite meccanismo competitivo.
Tra le società partecipate al 100% in Piemonte, la società Sviluppo Piemonte Turismo chiude il preconsuntivo 2011 con 3 mila euro di utile, L’Istituto per le piante da legno e l’ambiente, partecipato all’84%, ne perde 722 mila.
In Lombardia le quattro spa interamente della Regione, Cestec, Finlombarda, Infrastrutture Lombarde e Lombardia Informatica chiudono in attivo, mentre nel 2010 Expo è sotto di 10,5 milioni. In Veneto le Ferrovie, partecipate al 100% chiudono con utile risicato il 2011, perde invece un milione e mezzo la controllata Veneto Nanotech.
In Toscana, dove la Regione partecipa con un 76% alle società Terme di Casciana, si registra una perdita tra il 2010 e il 2011 di più un milione di euro.
Nel Lazio l’azienda di trasporti Co.Tral (99,9%) registra perdite intorno ai 30 milioni nei due anni considerati.
In Molise lo Zuccherificio (100%) risulta in rosso di più di 15 milioni nei due anni. In Campania la Astir (fognature, 100% della Regione) è sotto di 25 milioni nel 2010, la Caremar (traghetti) di 3,5, i bus dell’Eav ne perdono 82,5, la Film Commission 356 mila.
La stessa commissione in Calabria (100%) risulta sotto di 744 mila euro nel preconto 2011.
Antonella Baccaro
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 8th, 2012 Riccardo Fucile
A RICCIONE SALA MEZZA VUOTA PER L’EX MINISTRO: LA SUA LISTA SI PRESENTERA’ CON IL NOME “LAVORO E LIBERTA'”…. PRESENTE ANCHE IL FIGLIO DI LA RUSSA E L’EX SENATORE PSI RINO FORMICA
Riccione è il luogo scelto da Giulio Tremonti per il lancio del suo nuovo partito “Lista Lavoro e Libertà ”, nella rossa e cattolica riviera romagnola in un weekend caldo di ottobre.
È una sala di massimo quattrocento persone sulle oltre 1000 di capienza ad accogliere l’ex ministro del governo Berlusconi in grande spolvero.
Socialisti del passato e di nuova adozione, giovani rampanti ed ex Pdl, imprenditori e professori universitari.
È la platea che accoglie Tremonti: facce da tenere d’occhio come Marco Canon e pure il figlio di Geronimo La Russa.
E tra il pubblico compare Romano Bernardoni, rinviato a giudizio per il crac Parmalat.
Ma poi ancora Maurizio Casasco, Francesco Amadori, l’ex senatore Rino Formica. Ma se sabato l’incontro era rivolto ai giovani con un open space e scambi di idee, le facce pulite e per il cambiamento sono totalmente assenti la domenica mattina, in una sala mezza vuota che a tratti imbarazza lo stesso Tremonti.
“Siamo in guerra. Dentro una strana guerra: economica, non violenta, “civile” e per questo diversa da quelle del passato. Soprattutto una guerra economica. Ma pur sempre una guerra!”.
Comincia con “guerra” il manifesto politico di Giulio Tremonti, al punto zero, nel preambolo e poi giovani, spazio al nuovo e contro la colonizzazione delle banche. Sono le parole chiave che condiscono i due giorni di lancio di 3L, il soggetto politico fatto in casa che non vuole politici o casta o grandi nomi.
E pure il simbolo, dicono, è disegnato dallo stesse mani dell’ex ministro con una freccia che guarda al futuro. Il nuovo che avanza sembrerebbe voler dire, anche se a presentarlo è sempre lui, ex ministro dal vecchio volto della politica che tutti vogliono combattere.
E la soluzione a questa situazione di “malessere”, come la chiamano al convegno, è almeno secondo Tremonti quella di creare un nuovo partito.
“Intanto, — attacca l’ex ministro, — non mi pare che i partiti che ci sono adesso siano così fantastici, e poi quando dico una guerra dico una guerra economica, diversa da quelle del passato, ma pur sempre una guerra. Quello che sta succedendo è che ci vogliono colonizzare, non hanno interesse a farci saltare, vogliono ridurre i nostri beni, il nostro risparmio e le nostre imprese”.
Una colonizzazione economica in cui, secondo il professore, è giunto il momento di prendere la parola e reagire per evitare di fare la parte dei derisi e sottomessi.
“Se vai all’estero te lo dicono: siamo tra i più ricchi, abbiamo risparmi, siamo la seconda manifattura d’Europa. Poi però ci spiegano che siamo in crisi e noi andiamo in crisi con una politica di troppe tasse e troppa paura.”.
I nuovi, nuovi in politica e nuovi di dinamiche di partito.
Questo il casting del partito “3L, Avanti Insieme”.
Anche se domenica mattina, le facce sotto i 50 anni si faticano a trovare in platea.
“Io credo che sia il momento di metterci insieme. A me non frega nulla di tornare in parlamento, essere o no onorevole. Credo che sia giusto che i giovani vadano avanti con la difesa. Dobbiamo scegliere: vogliamo essere rassegnati, calpestati o derisi come dice l’inno o vogliamo tornare a essere padroni a casa nostra? Questo dipende dai giovani perchè è il loro futuro: saranno liste fatte soprattutto da loro.”
Il debito pubblico nazionale di nuovo nelle mani italiane; titoli pubblici esenti da ogni imposta presente o futura; costituzione di una banca nazionale di “Credito per l’Economia” sul modello tedesco della KFW; nuovo contratto di lavoro per la piccola e media impresa e blocco della riforma Fornero sul precariato.
Sono tante le misure economiche proposte dall’ex ministro Tremonti, in un programma politico già pronto e confezionato che potrebbe fare gola ad altri schieramenti politici che a pochi mesi dalle elezioni legislative ancora brancolano nel buio alla ricerca di candidati e punti fermi.
Pdl, Lega Nord, Berlusconi? “Non lo so, — continua stizzito Tremonti, — lo chieda a loro. Non mi sono incontrato con nessuno di questi signori da moltissimo tempo. Io spero che il mio documento sia sottoscritto da più persone possibili. Berlusconi? Provate a chiamarlo, so che oggi è in Russia, chiami la compagnia telefonica, qualcuno vi risponderà ”.
L’ex ministro propone referendum consultivi e propositivi perchè “è vero costano, ma costa di più un parlamento che sbaglia” e critica la banche, ma ci tiene a sottolinearlo, non è Beppe Grillo: “Queste cose le scrivo e le dico da vent’anni. Perfino la Commissione Europea sta cominciando a dire che il sistema bancario va cambiato. Allora cosa diciamo che Grillo copia la Commissione Europea?”.
L’attacco più duro è al governo nel 2011 quando non accettò i suoi moniti di prudenza del tipo “vula bass e schiva i sass”, come afferma e ancora ai tecnici: “Monti ha detto ai tedeschi “state tranquilli che stiamo lavorando” e io gli dico, ti prego Mario dì qualcosa di Made in Italy”.
Un obiettivo ambizioso di salvataggio dell’Italia che la Lista Lavoro e Libertà si propone di portare avanti.
E alla domanda perchè tutte queste misure e obiettivi non avrebbe potuto Tremonti metterle in pratica quando era al governo, risponde: “Cosa ho fatto io? Due anni fa dissi che chi governava le regioni erano dei cialtroni. Mi hanno dato del maleducato e invece non mi sbagliavo. E poi ancora, in tre anni il professor Monti ha scritto sul Corriere della Sera che ho salvato l’Italia e ho impedito all’Italia di diventare come la Grecia, almeno su questo sono d’accordo con Monti”.
Martina Castigliani
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 8th, 2012 Riccardo Fucile
I GIOVANI RISCHIANO DI LASCIARE A 70 ANNI… DAL 2013 AGGANCIAMENTO ALLE SPERANZE DI VITA
Più avara e più lontana. Perchè il vitalizio sarà più basso, in media del 3%.
E per avere la pensione si dovrà lavorare almeno tre mesi in più.
Ecco le novità – tutte improntate all’austerity – che scatteranno il primo gennaio 2013 sul fronte previdenziale.
La causa è il meccanismo che adegua alle aspettative di vita i coefficienti di trasformazione in rendita e i requisiti di età .
Le simulazioni sono state realizzate dalla società indipendente di consulenza in educazione e pianificazione finanziaria Progetica.
«Con questo sistema – spiega Andrea Carbone, partner di Progetica – a partire dal primo gennaio 2013 il quando e il quanto della pensione saranno agganciati in modo automatico alle statistiche sulla vita media. L’adeguamento sarà triennale sino al 2019, e successivamente diventerà biennale».
L’adeguamento dei coefficienti si applica al sistema contributivo (che si basa sui contributi versati durante l’intera vita lavorativa) e riguarda, in tutto o in parte, tutti i lavoratori.
Con la riforma Monti- Fornero, infatti, il contributivo è stato esteso a tutti per il periodo successivo al primo gennaio 2012.
«Il sistema pensionistico deve tener conto dell’allungamento dell’aspettativa di vita – sostiene Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza –. Altrimenti non è più sostenibile dal punto di vista finanziario».
I punti
La prima novità riguarda i coefficienti di trasformazione: le percentuali, cioè, che applicate al montante contributivo (la somma dei contributi accantonati) determinano la sua pensione.
Per esempio, per ogni 100 mila euro di montante, un sessantacinquenne riceverà 5.440 euro l’anno contro i 5.620 attuali e i 6.140 cui aveva diritto sino al 2009.
«Il primo taglio era stato più brusco perchè si riferiva a un periodo più lungo, mentre il prossimo sarà più contenuto – spiega Carbone –. Con l’allungamento della vita lavorativa previsto dalla riforma Monti- Fornero, anche nel sistema Inps sono stati previsti coefficienti propri anche per i lavoratori con più di sessantacinque anni. In questi casi, in precedenza venivano applicati quelli, più bassi, adottati per i sessantacinquenni: i coefficienti dai 65 ai 70 esistevano già per altre casse previdenziali, e nella tabella sono stati riportati per completezza di confronto».
Dal primo gennaio, inoltre, si staccherà più tardi, a causa dell’adeguamento dell’età pensionabile all’allungamento della speranza di vita.
«Per il primo incremento è stato applicato il limite massimo di tre mesi – spiega Carbone –. Anche se la vita media è aumentata di circa cinque».
Così, per esempio, dal primo gennaio 2013 un dipendente potrà staccare a 66 anni e tre mesi per avere la pensione di vecchiaia (rispetto ai 66 sufficienti sino al 31 dicembre prossimo) e una lavoratrice dipendente a 62 anni e tre mesi (le autonome addirittura a 63 anni e 9 mesi).
Per quella di anzianità , invece, ci vorranno 42 anni e cinque mesi, contro gli attuali requisiti di 42 anni e un mese per gli uomini (un anno in meno per le donne).
Sino al 31 dicembre 2015, per le donne rimarrà la possibilità di andare in pensione con 57-58 anni di età (rispettivamente per dipendenti e autonome) e 35 di contributi: in questo caso, però, il vitalizio sarà calcolato tutto con il contributivo.
I limiti
«La Monti-Fornero ha introdotto per i soli lavoratori che hanno cominciato dal 1996 una condizione aggiuntiva per il requisito di vecchiaia e un secondo requisito di pensione anticipata», spiega Carbone. Per avere la pensione di vecchiaia, l’assegno dovrà essere pari a 1,5 volte la sociale, che per il 2012 è di 5.577 euro. Se non accade, l’alternativa è pesante: staccare a settant’anni, con almeno cinque di contributi. Per il secondo requisito di pensione anticipata (63 anni e 3 mesi con 20 di contributi nel 2013), l’assegno dovrà essere almeno pari a 2,8 volte la sociale.
Sono novità sinora poco considerate, che interesseranno pochissimi fra i pensionati del 2013, ma con cui bisognerà cominciare a fare i conti.
«Con scenari di questo tipo – sottolinea Corbello – è impensabile che, sempre più spesso, siano espulsi dal sistema produttivo gli ultracinquantenni, che per ottenere pensioni adeguate dovrebbero invece lavorare ancora a lungo».
Roberto E. Bagnoli
(da “Il Corriere della Sera”)
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Ottobre 8th, 2012 Riccardo Fucile
MINISTERO NON COMPETENTE PER L’APPLICAZIONE DEL PROVVEDIMENTO E L’INDIVIDUAZIONE DEGLI ENTI NON COMMERCIALI E’ STATA FATTA SENZA UN CRITERIO UNIVOCO
Il Consiglio di Stato blocca il decreto del Tesoro per l’applicazione dell’Imu sugli enti non commerciali, e quindi anche sulla Chiesa.
Il decreto, secondo i giudici di Palazzo Spada, in molte parti “esula” dalle competenze che erano state affidate dalla legge e inoltre affida a criteri troppo eterogenei la determinazione delle attività che possono essere agevolate rispetto dall’imposta.
Non è dunque una pronuncia di merito sul fatto che anche la Chiesa debba pagare l’Imu, ma c’è quanto basta per fermare il percorso del decreto in attesa di “contromisure” e correttivi da parte del governo.
Nella sentenza si legge che “non è demandato al ministero di dare generale attuazione alla nuova disciplina dell’esenzione Imu per gli immobili degli enti non commerciali”. Il provvedimento del governo prevede l’estensione dell’imposta a tutti quei beni immobili di proprietà della Chiesa non destinati al culto in maniera esclusiva.
Il ministero dell’Economia, con il decreto sull’Imu per la Chiesa, è andato oltre i poteri regolamentari che gli erano conferiti espressamente dalla legge.
Questa è in sostanza la critica del Consiglio di Stato nel parere ufficiale reso noto oggi dopo le anticipazioni di Repubblica dei giorni scorsi.
Ora il Tesoro dovrà rispondere entro fine anno dal momento che la legge prevede il via alla applicazione dell’imposta dal 1° gennaio 2013.
“Trattandosi di un decreto ministeriale – si legge nel parere – il potere regolamentare deve essere espressamente conferito dalla legge e, di conseguenza, il contenuto del regolamento deve essere limitato a quanto demandato”.
Deve invece “essere rilevato – fa notare il Consiglio di Stato – che parte dello schema in esame è diretta a definire i requisiti, generali e di settore, per qualificare le diverse attività come svolte con modalità non commerciali. Tale aspetto esula – si sottolinea nel parere – dalla definizione degli elementi rilevanti ai fini dell’individuazione del rapporto proporzionale in caso di utilizzazione dell’immobile mista ‘c.d. indistinta’ e mira a delimitare, o comunque a dare una interpretazione, in ordine al carattere non commerciale di determinate attività “.
E ancora: “L’amministrazione – scrivono i giudici – ha compiuto alcune scelte applicative, che non solo esulano dall’oggetto del potere regolamentare attribuito, ma che sono state effettuate in assenza di criteri o altre indicazione normative atte a specificare la natura non commerciale di una attività “.
Il Consiglio di Stato, dunque, non solo solleva una questione di competenze violate, ma critica anche l'”eterogeneità ” dei criteri utilizzati per le convenzioni con lo Stato per le attività erogate dalle onlus in campo sanitario, culturale o sportivo.
Infatti, elencano i giudici dell’organo supremo della giustizia amministrativa, per stabilire i criteri di convenzione, “in alcuni casi è utilizzato il criterio della gratuità o del carattere simbolico della retta (attività culturali, ricreative e sportive); in altri il criterio dell’importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività svolte nello stesso ambito territoriale con modalità commerciali (attività ricettiva e in parte assistenziali e sanitarie); in altri ancora il criterio della non copertura integrale del costo effettivo del servizio (attività didattiche)”.
Non spetta al Consiglio di Stato stabilire se questo modo di procedere sui criteri sia corretto, ma “la loro diversità e eterogeneità rispetto alla questione dell’utilizzo misto”, secondo i giudici, “conferma che si è in presenza di profili che esulano dal potere regolamentare in concreto attribuito”.
Per i giudici amministrativi “tali profili potranno essere oggetto di un diverso tipo di intervento normativo o essere lasciati all’attuazione in sede amministrativa sulla base dei principi generali dell’ordinamento interno e di quello dell’Unione europea in tema di attività non commerciali”.
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 8th, 2012 Riccardo Fucile
IL NEFROLOGO RICHIAMATO NEL 2010: “IL CAPOGRUPPO PDL HA CREDUTO IN ME”… AI VERTICI DELLA SANITA’ A FROSINONE SISTEMATO ANCHE IL SEGRETARIO COMUNALE DI ANAGNI
«Sento il dovere di ringraziare il capogruppo del Pdl Fiorito per avere creduto nelle mie capacità »: il nefrologo Carlo Mirabella accoglie così, nel luglio del 2010, la nomina al vertice della Asl di Frosinone.
Evviva la sincerità .
Ma in certi casi dare un riconoscimento pubblico allo sponsor non è soltanto una carineria. È un dovere.
Per portare a casa quella nomina il peso massimo Franco Fiorito, «Er Batman» di Anagni, mette sul tavolo non solo tutto il volume delle sue 27 mila preferenze, ma anche la dolorosa rinuncia a un posto di assessore.
All’Agricoltura, vuole andare.
Invece Renata Polverini gli preferisce un altro. Chi è? Smacco terribile: il suo nemico numero uno Francesco Battistoni da Montefiascone.
Lo stesso che due anni e mezzo dopo gli farà le scarpe anche al partito, soffiandogli il posto da capogruppo, prima che tutto precipiti in un gorgo di ostriche e champagne. Un incubo, insomma.
Per digerire una botta del genere non basta la presidenza della commissione Bilancio. E neppure la nomina a capogruppo: che pure, a giudicare da bonifici e fatture, qualche piccolo vantaggio lo garantisce.
Ci vuole qualcosa di più. Per esempio la direzione di un’azienda sanitaria, la Asl di Frosinone.
Mirabella c’è già stato quando la giunta regionale era presieduta da Francesco Storace e Fiorito era «solo» il sindaco di Anagni.
Poi arriva Piero Marrazzo e lui salta come un tappo di spumante.
Ricorsi, appelli e controricorsi, finchè il Consiglio di stato lo reintegra.
La motivazione è ripresa da una sentenza della Consulta: lo spoils system, pratica di cui Mirabella è stato vittima, non si può applicare alle aziende sanitarie perchè «assolvono compiti di natura tecnica e lo sforzo di costituzione democratica deve tendere a garantire una certa indipendenza ai funzionari dello Stato per avere un’amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione di partiti». Tenete bene a mente queste parole. Perchè accade esattamente il contrario.
Mirabella resta fuori: non è messo nelle condizioni di rientrare.
Finchè Marrazzo va a casa e arriva Renata Polverini.
La notte dei lunghi coltelli nella sanità laziale è il 30 giugno 2010, mercoledì.
In meno che non si dica, la nuova governatrice commissaria le Asl piazzando al posto degli uomini scelti dal centrosinistra, i suoi.
Meglio, quelli che sono espressione dei nuovi equilibri politici.
E Mirabella torna alla Asl di Frosinone come il Conte di Montecristo, deciso a prendersi la rivincita.
Da vittima dello spoils system, ne diventa protagonista e carnefice.
Ha le spalle copertissime: si capisce dai ringraziamenti, che oltre a Fiorito vanno anche a Mario Abbruzzese.
È il presidente del consiglio regionale, nonchè ras del Popolo della libertà a Cassino. Sul Tempo , Cristiano Ricci scrive che «a sostenere la campagna elettorale in perfetto stile berlusconiano dell’homo novus cassinate» è l’eurodeputato del Pdl Aldo Patriciello: incidentalmente esponente della famiglia che controlla la Neuromed di Pozzilli, una struttura medica della provincia di Isernia.
Chi è il direttore sanitario? Mirabella in persona.
Renata Polverini sentenzia: «Mirabella è una persona capace». E il cerchio si chiude. Il cerchio politico, s’intende
Alla Asl di Frosinone, invece, ci sono tante partite aperte.
Appena scade il direttore amministrativo, ecco pronto il sostituto.
Si chiama Luca Di Mario ed è stato segretario comunale di Anagni, di cui era sindaco Fiorito.
Quando si dice la coincidenza.
Ma le norme non prescrivono che i direttori sanitari delle Asl devono aver svolto «per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione»? Boh…
Poi si devono riempire i posti da primario.
E subito partono gli avvisi interni per le selezioni, con la precisazione che ad affidare l’incarico sarà il direttore generale. Firmato: il direttore generale.
A Ostetricia-Ginecologia di Frosinone arriva Giovan Battista Mansueto.
Ex consigliere comunale di Frosinone con il centrosinistra, viene folgorato dal Popolo della libertà sulla via per il municipio ciociaro.
Si presenta da primario alle elezioni e riconquista il seggio. Stavolta, però, sui banchi del centrodestra. Non più da peone: si guadagna i gradi da presidente della commissione Lavori pubblici.
Per il reparto di Chirurgia di Cassino la spunta invece Ennio Manzi, consigliere comunale del centrodestra a San Vittore del Lazio. Piena zona d’influenza politica di Abbruzzese.
E il primario del Pronto soccorso di Frosinone? L’incarico viene affidato a Maurizio Plocco.
Per riuscirci, il direttore della Asl protetto di Fiorito deve solo superare un piccolo ostacolo.
Si partecipa alla selezione interna da primario soltanto essendo, appunto, «interni» alla struttura. Plocco invece è in servizio al Pronto soccorso di Alatri.
In più, a Frosinone c’è già un collega in pole position vincitore di concorso, che guida il reparto con una specie di interim, essendo già primario ad Alatri e Anagni. Particolare che renderebbe addirittura inutile la nuova nomina.
Che si fa, allora? Per prima cosa si rispedisce Fabrizio Cristofari, così si chiama il suddetto primario, ad Alatri. Poi però bisogna fare spazio a Frosinone.
Ecco allora che si trasferisce un medico dal Pronto soccorso di Frosinone a quello di Alatri e al suo posto si materializza Plocco.
Il doppio salto mortale carpiato scatena lì una mezza rivolta dei medici, ma finisce lì.
Maurizio Plocco appartiene a una famiglia di imprenditori molto in vista a Frosinone. Fra le varie aziende di cui è azionista insieme ai suoi congiunti c’è anche il grande centro dialisi Euronefro srl.
Convenzionato, ovviamente, con il servizio sanitario nazionale di cui ora è uno dei primari.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 8th, 2012 Riccardo Fucile
“LA SITUAZIONE DEL TRASPORTO LOCALE NON E’ PIU’ TOLLERABILE”… “IL DIRITTO ALLA MOBILITA’ DEVE ESSERE GARANTITO DALLE ISTITUZIONI, NON DAI PRIVATI”
Tempi duri per i pendolari del treno. Secondo Assoutenti, l’associazione promotrice della prima assemblea nazionale dei comitati dei pendolari, le ferrovie regionali soffrono in Italia di scarsi investimenti, continui tagli di treni e servizi, gravi carenze di pulizia, di manutenzione e di scorte ai mezzi.
Tradotto: treni poco affidabili e poco puntuali.
alla legge del 1997, che delega alle Regioni l’organizzazione del trasporto locale, molta acqua è passata sotto i ponti.
Acqua che però è diventata marcia, almeno per i pendolari, se è vero (come è vero) che i trasferimenti di fondi alle Regioni per i treni sono sempre più difficili da attuare. E le Regioni ci mettono del loro, perchè i comportamenti sono i più vari: c’è chi per la ferrovia spende di più e chi di meno (qualcuno addirittura zero euro). Trenitalia, da parte sua, insegue l’Alta Velocità , ma è anche vero, come ha chiarito l’amministratore delegato Vincenzo Soprano, che i contratti sono accordi tra due parti. Se una delle due si rivela inadempiente il castello cade.
Da qui l’allarme lanciato dei comitati per una più strenua, ma coordinata, difesa del trasporto ferroviario regionale e, più in generale, del diritto alla mobilità .
Assoutenti vuole riunire tutte le associazioni di consumatori in campo, per rivolgersi al Governo, alle Regioni, al Gruppo Fsi e agli attori del trasporto pubblico nella loro totalità . In sostanza, si chiede di ammodernare e potenziare i treni nelle grandi città e nelle aree metropolitane, renderli più capillari integrandoli con gli altri mezzi pubblici (bus, tram, metro).
E di rivedere il concetto di “servizio universale”, riformulando l’offerta dei treni a lunga percorrenza, specie quelli notturni sull’asse nord-aud, ma anche di quelli interregionali e delle tratte internazionali.
Sempre vivo, inoltre, l’interesse per le ferrovie dismesse da recuperare nel segno della mobilità sostenibile.
I problemi dei pendolari sono uguali un po’ su tutta la rete ferroviaria. A Milano i treni sono sporchi, maleodoranti, con pareti imbrattate e bagni inservibili.
Per giunta, viaggiano in ritardo per sovraffollamento delle linee e per tagli di infrastrutture.
Secondo Luca Cossutti, presidente dei pendolari della Lombardia, dal 1931 a oggi il nodo di Milano ha perso quasi tutte le sue linee di “cintura”, che garantivano un migliore smistamento del traffico, alleggerendolo.
Oggi c’è solo il Passante, ma se arrivano le imprese private non basterà più, ce ne vuole un secondo.
Nel Lazio fioccano le class-actions contro Trenitalia.
Ne hanno intentata una i pendolari della linea Roma-Nettuno, dove si può viaggiare su carrozze con tutte e quattro le porte guaste, che però anzichè restare chiuse vengono comunque messe a disposizione dei viaggiatori.
D’estate, da quando hanno tolto le carrozze a doppio piano con i finestrini apribili, bisogna restare in apnea per almeno 40-50 minuti, il tempo che il treno si svuoti un po’.
E chi non vuole soffrire, rinuncia al treno e sale in macchina.
Sulla Roma-Cesano-Viterbo può succedere di fare tre chilometri a piedi, lungo i binari e sotto il sole (è capitato a luglio), perchè il treno si rompe.
E non si sa dove comperare i biglietti perchè i punti vendita scarseggiano mentre i controlli si intensificano.
Su alcune tratte della Sicilia, come la Siracusa-Comiso, circolano solo pochissimi treni al giorno e inesorabilmente lenti.
La percorrenza di un convoglio regionale da Siracusa a Comiso, di due ore e 40, è assimilabile a quella di un Frecciarossa da Milano, mettiamo, a Firenze.
Oltre due ore per recarsi da una provincia a quella confinante dove in altre parti d’Italia, nello stesso intervallo di tempo, si attraversano tre regioni.
E’ bene chiarire che stiamo parlando di servizi diversi, con obiettivi e caratteristiche completamente diversi. E di geografie, tecnologie e sistemi di trasporto diversi.
Il paragone però sottolinea la persistenza di un’Italia a due velocità . In Calabria, sulla Reggio-Lamezia Terme, nell’estate da 40 gradi, un treno può viaggiare con una carrozza guasta e chiusa, con i viaggiatori stipati per intero sull’unica disponibile, alla faccia della sicurezza.
Superata una certa stazione, come per incanto, il vagone chiuso riprendere miracolosamente a funzionare e peggio per chi è sceso prima.
Di chi la colpa? “Bisognerebbe prendersela non tanto con Trenitalia quanto con la politica”, suggerisce Edoardo Zanchini, Legambiente.
“Oggi mancano all’appello 700-800 milioni di euro da stanziare per il trasporto ferroviario regionale. Di questo, sono responsabili il governo centrale e le Regioni”.
Il numero uno di Trenitalia, Vincenzo Soprano, cerca di fare un po’ di chiarezza, sia pure mettendo alcuni punti fermi. “Noi, come impresa, non possiamo garantire il diritto alla mobilità . Quello deve farlo un’istituzione. E non riceviamo fondi pubblici. Come impresa, abbiamo l’obbligo di stipulare contratti che stiano in piedi e che siano produttivi”.
Cioè: tutti i treni che viaggiano devono garantire un ritorno economico.
Con l’Alta Velocità è facile, con i convogli regionali più difficile. Sono le Regioni a decidere le tariffe.
Ma se a quelle tariffe corrisponde un servizio inadeguato quando non pessimo, è pure perchè l’età media del materiale rotabile Fs è di 35 anni, la qual cosa rende più complicate sia la manutenzione che la pulizia.
Quindi, treni scadenti, che la gente non prende dando alle Ferrovie un motivo per sopprimerli. Il cane che si morde la coda.
Fino a quando i governi non spingeranno una volta per tutte sul trasporto ferroviario come motore dell’economia (non è un caso che nell’ultimo governo, Sviluppo Economico e Trasporti siano stati accorpati in un unico ministero).
E fino a quando le Regioni, tra montagne di soldi sprecati o letteralmente finiti nelle loro pance, non decideranno la grande svolta.
Vincenzo Foti
(da “la Repubblica“)
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Ottobre 8th, 2012 Riccardo Fucile
IN FUTURO IL SUCCESSORE DI BERLUSCONI LO NOMINERANNO GLI ELETTORI DI CENTROSINISTRA? ….E ANCHE I SEGRETARI DI PARTITO VERRANNO ELETTI DAGLI AVVERSARI POLITICI?
Partiamo da una constatazione iniziale: il “modello primarie” è stato importato in Italia dagli Stati Uniti dove sono gli elettori democratici e repubblicani, regolarmente iscritti nelle liste dei rispettivi partiti, a indicare chi dovrà essere il “competitor” e il loro paladino alle elezioni presidenziali americane.
Se nessun candidato è di tuo gradimento puoi non dare alcuna indicazione, se cambi idea sull’area di riferimento basta che ti fai cancellare dalla lista e sei libero di votare chi ti pare.
Nello specifico: un conto è che un candidato alla presidenza, dopo essere stato nominato come candidato ufficiale alla Casa Bianca, cerchi di portare via voti all’area avversa, anche corteggiandola, altra cosa che chieda aiuto alla stessa prima, ovvero di essere votato alle primarie contro uomini del suo stesso partito, incidendo quindi su una scelta che non li riguarda.
Quanto sta accadendo in Italia dovrebbe farci riflettere su quanto siano patetiche le nostre “primarie alla puttanesca”, espressione del taroccamento politico cui è ridotto ormai il nostro Paese.
Non entriamo nel merito delle strategie interne alla coalizione di centrosinistra, ma nella coerenza sostanziale.
Renzi ha perfettamente diritto (come Bersani, Vendola e tutti gli altri canddiati minori) ad ambire al ruolo di candidato premier, ma si faccia votare dal proprio elettorato, non dalle truppe cammellate di centrodestra che potrebbero avere interesse a manipolare il risultato.
Pensa di non vincere coi soli propri voti? E chi gli ha detto di presentarsi?
Di questo passo, vi immaginate se un domani il centrodestra indicesse le primarie per il dopo Berlusconi?
Visto che non sarebbero certo milioni i cittadini che si recherebbero alle urne basterebbe che l’elettorato di centrosinistra partecipasse, convergendo su un nome a loro provocatoriamente gradito, e magari il Pdl si ritroverebbe la Minetti in corsa per palazzo Chigi.
Il fatto che Renzi non si vergogni neppure a insistere su questa tesi rappresenta uno spaccato del livelllo cui è giunta la politica italiana.
Renzi deve solo dimostrare che le sue tesi “liberal” sono condivise dalla maggioranza degli elettori del centrosinistra: semplicemente questo.
Non ci riesce? Resti minoranza interna.
Questo dice la logica e il buon senso.
Oppure aspetti il dopo-Berlusconi e si candidi per il centrodestra, magari nessuno si accorgerebbe della differenza.
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Ottobre 8th, 2012 Riccardo Fucile
LA STORIA DI ANTONIO PALLADINO, AUTORE DI UN CAMBIO DI CASACCA PRIMA DEL VOTO: DA MICCICHE’ A CROCETTA SENZA CAMBIARE NEANCHE IL MANIFESTO
Se ne potrebbe fare un giochino da settimana enigmistica. Della serie: «Trova le differenze».
Perchè il faccione è lo stesso, la giacca e la camicia azzurra pure, ma la «ragione sociale» è cambiata nel giro di una notte.
Le elezioni in Sicilia sono ormai un festival di alleanze che si scompongono e ricompongono rapidamente.
E allora può succedere che un candidato cambi casacca dalla sera alla mattina ma restando sui manifesti elettorali con due magliette diverse.
FOTO E SLOGAN
Antonio Paladino, 49 anni, commercialista che opera a Catania, per qualche giorno è stato candidato nella lista di Grande Sud che sostiene il candidato governatore Gianfranco Miccichè.
Ma qualche giorno dopo era già arruolato nell’Udc e di conseguenza era schierato a sostegno di un diverso candidato governatore , l’esponente del Pd Rosario Crocetta.
E probabilmente visto che bisognava fare in fretta non si è preso neppure la briga di cambiare nè la foto dei manifesti, nè lo slogan «sosteniamo sviluppo e lavoro».
Poco importa se a distanza di qualche giorno l’impegno di Paladino è stato messo a servizio prima di un candidato governatore e poi del suo avversario.
LE DIFFERENZE
Dicevamo le differenze tra il prima e il dopo.
Quella più evidente è chiaramente il cambio di casacca. Ma a ben vedere Antonio Paladino non si è accontentato solo di schierare il suo faccione per due presidenti diversi.
Nel secondo manifesto ha evitato di far pesare la sua laurea, levando il titolo di dottore.
Vuoi mettere che qualcuno non avesse una buona ragione per votarlo.
Alfio Sciacca
(da “Il Corriere della Sera“)
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