Ottobre 25th, 2012 Riccardo Fucile
IL PRIMO CORRERA’ IN FUNZIONE ANTI-LEGA, IL SECONDO SI SFILA, PRENDE TEMPO FORMIGONI
Giancarlo Galan ci sarà , Gianni Alemanno no.
Roberto Formigoni invece ci vuole pensare.
Sono queste le prime reazioni all’intenzione annunciata ieri da Silvio Berlusconi di non volersi ricandidare alla guida del centrodestra e di voler lanciare le primarie per la sua successione.
Annuncio su cui Umberto Bossi ha sparso oggi tutto il suo scetticismo. Berlusconi lascia? “Penso di no, ha un sacco di processi”, ha commentato l’ex leader della Lega.
Tempi e modalità della consultazione interna al Pdl, ha spiegato oggi Massimo Corsaro, vice presidente vicario alla Camera, saranno valutati nei prossimi giorni dall’ufficio di presidenza del partito.
“Credo si farà ragionevolmente i primi giorni della settimana prossima, perchè immagino che, in queste ultime 48 ore di campagna elettorale in Sicilia, il partito sarà occupato altrove”, ha spiegato Corsaro. “Spero che l’adesione alle primarie sarà la più ampia possibile – ha aggiunto – con una partecipazione di tutti quelli che possono costituire una coalizione di centrodestra”.
Per adesso l’unico ad essersi fatto avanti con chiarezza è l’ex ministro dei Beni culturali.
“Correrò – spiega Galan in un’intervista alla Stampa – per rappresentare un’area, quella liberale, che s’è stinta, avendo alle spalle 15 anni di buona amministrazione alla guida di una grande regione del nord come il Veneto”.
“Voglio credere – prosegue – che le idee e le riforme liberali specie al nord vadano oltre l’idea di cederlo in blocco al Carroccio, come sembra si voglia fare in Lombardia”.
Si tira indietro invece Gianni Alemanno. “Io faccio il sindaco di Roma, non so se ne avete sentito parlare. E non mi dimetto”, afferma.
Ancora incerto, il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. “Io candidato alle primarie? Me lo stanno chiedendo tutti”, dice il governatore la cui giunta è stta travolta dagli scandali.
“Al momento – precisa – devo continuare un lavoro in Lombardia, poi ci penserò. Nelle prossime settimane mi porrò anche il problema se parteciperò o meno alle primarie”.
“Mi vanto – ricorda poi Formigoni – di essere stato tra i primi a lanciare l’idea delle primarie perchè bisognava trasformare il Pdl in un partito democratico e bisognava tastare il polso degli elettori”.
La lista di chi ci sta pensando non si limita però al nome di Formigoni. “Se penso a candidarmi? Ci pensano tutti…”, commenta la presidente dimissionaria della Regione Lazio, Renata Polverini.
“Francamente ci sto pensando – dice anche Alessandra Mussolini – eccome se ci penso: l’idea mi affascina molto perchè mi piace la partecipazione, sempre intesa a essere funzionale al partito, una cosa che possa essere favorevole al Pdl, per stimolare delle aree che sono da stimolare”.
Da segnalare infine l’iniziativa di un gruppo di consiglieri regionali campani che hanno deciso di sostenere la candidatura alle primarie Pdl del presidente della Regione Stefano Caldoro.
“La impellenza delle primarie ci impone di individuare un candidato che sappia rappresentare l’ansia di riformismo, di moderazione, di onestà e di buon governo che sono nel dna del popolo moderato. Stefano Caldoro ha tutte le caratteristiche per essere il candidato del centrodestra alla presidenza del Consiglio”, sostiene Sergio Nappi, consigliere del Pdl Campania.
In attesa che il processo avviato con l’annuncio di Berlusconi si compia, il Pdl sospende la discussione sulle future alleanze.
“Fino al 16 dicembre, data in cui si celebreranno le primarie del partito, non ci occuperemo di alleanze. Il nostro unico compito è rafforzare il nostro partito”, afferma il segretario Angelino Alfano.
argomento: PdL | Commenta »
Ottobre 25th, 2012 Riccardo Fucile
LA PROCURA AVEVA CHIESTO LA SUA CONDANNA A 20 MESI PER ABUSO D’UFFICIO IN RELAZIONE ALLA NOMINA DI UN PRIMARIO DELL’OSPEDALE SAN PAOLO DI BARI
“Aspetto con assoluta serenità la sentenza, è del tutto ovvio che una sentenza di condanna, sia pure relativa a un concorso in abuso di ufficio per me sarebbe un punto di non ritorno, segnerebbe il mio congedo dalla vita pubblica”.
Così il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, al termine dell’udienza che lo vede imputato a Bari per abuso di ufficio e per il quale i pm hanno chiesto la condanna a 20 mesi.
La sentenza sarà emessa il 31 ottobre prossimo.
Vendola ha aggiunto: “Una sentenza ispirata a verità e giustizia credo che restituirà a me ciò che mi è dovuto cioè la mia totale innocenza”.
“Credo — ha aggiunto — che siano accadute diverse cose in questa fase del processo. E’ stata avanzata una richiesta esorbitante (di pena, ndr) rispetto a un teorema accusatorio che è stato in parte smontato dalla difesa della mia stessa accusatrice”.
La richiesta di condanna per il governatore pugliese si riferisce al concorso da primario di chirurgia toracica all’ospedale San Paolo di Bari vinto dal professor Paolo Sardelli.
Quanto alla accusatrice del governatore, Lea Cosentino, la procura di Bari ha chiesto per l’ex direttore generale dell’Asl di Bari la stessa pena del governatore: un anno e otto mesi.
L’udienza si è svolta a porte chiuse davanti al gup Susanna De Felice. Il giudice scioglierà in chiusura d’udienza la riserva sull’ammissione degli ulteriori atti depositati dall’accusa.
Adesso la parola alla parte civile e poi ai difensori per le arringhe.
Presente in aula durante l’udienza lo stesso presidente della Regione Puglia.
Nell’udienza del 27 settembre scorso, Vendola aveva chiesto di essere processato con rito abbreviato. La stessa richiesta è stata avanzata oggi da Cosentino.
Gli inquirenti contestano a Vendola di aver istigato l’allora dg Cosentino a riaprire i termini per la presentazione delle domande per accedere al concorso, con l’ obiettivo — ritiene la procura — di assicurare a Sardelli l’assunzione quinquennale. I fatti si riferiscono al periodo compreso tra settembre 2008 e aprile 2009.
In apertura di udienza l’accusa ha depositato ulteriore documentazione probatoria contenente verbali di interrogatorio di Cosentino agli atti del processo in cui l’ex ‘Lady Asl’, come è stata ribattezzata dalla stampa, è imputata con il senatore Alberto Tedesco e altre 31 persone.
I difensori si sono opposti perchè, trattandosi di un processo con rito abbreviato, non dovrebbero essere ammessi atti ulteriori rispetto a quelli depositati al termine dell’indagine. Il gup si è riservato di decidere.
Per Vendola si tratta della seconda accusa per abuso di ufficio.
Il governatore è indagato, sempre dalla procura di Bari, con le accuse di abuso d’ufficio, peculato e falso nell’ambito dell’inchiesta su una transazione da 45 milioni di euro tra la Regione e l’ospedale ecclesiastico Miulli.
Il governatore si è sempre detto estraneo alla vicenda.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Vendola | Commenta »
Ottobre 25th, 2012 Riccardo Fucile
L’INTERROGATORIO DI GIUSEPPE BONO, DIRETTORE GENERALE DI FINCANTIERI
Ogni commessa di Finmeccanica che veniva trattata a livello internazionale prevedeva una «tangente» per i mediatori.
Le dichiarazioni dell’ex responsabile Relazioni istituzionali Lorenzo Borgogni, trovano conferma nei verbali di interrogatorio di altri manager che hanno partecipato in questi anni alle trattative con i governi stranieri.
E svelano come anche Silvio Berlusconi, quando era presidente del Consiglio, abbia sollecitato il pagamento di una percentuale sugli appalti per i suoi «emissari».
Lo racconta Giuseppe Bono, direttore generale di Fincantieri, nel suo interrogatorio di fronte ai pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock del 26 settembre scorso.
«Convocato a palazzo Grazioli»
Borgogni già ha svelato la richiesta presentata dal ministro Claudio Scajola «di una percentuale dell’11 per cento per la vendita di undici fregate al governo brasiliano».
A Bono viene dunque chiesto di chiarire che cosa accadde.
E lui dichiara: «Dopo le intese che c’erano state a livello governativo, Valter Lavitola venne in Fincantieri e sostanzialmente mi disse esplicitamente che riteneva di meritare un compenso per l’attività svolta nella firma degli accordi governativi dove, a suo dire, Berlusconi si era determinato grazie al suo intervento. Io gli feci osservare che l’intervento del presidente del Consiglio era doveroso, data la sua posizione istituzionale e quindi non ritenevo che l’azienda dovesse alcunchè a Lavitola, anche perchè non aveva mai ricevuto alcun incarico in tal senso. Successivamente fui convocato telefonicamente da Berlusconi a palazzo Grazioli nel 2011. Lavitola mi aveva preannunciato che mi avrebbe chiamato Berlusconi e quando mi arrivò questa telefonata pensai di recarmi accompagnato dall’avvocato Ioannucci.
Quest’ultima, per la verità , aveva ricevuto da Fincantieri un incarico per studiare la questione delle navi alla Guardia costiera di cui parlerò da qui a un attimo. Mi recai con Ioannucci a palazzo Grazioli e lì venivo ricevuto da Berlusconi e Lavitola. In quell’occasione Berlusconi mi disse, alla presenza di Lavitola, di tenere ben presente che Lavitola era il suo fiduciario per il Brasile. In quell’occasione ebbi la netta sensazione che Berlusconi era pressato da Lavitola. L’incontro non ebbe altro contenuto che quello ora descritto, a parte gli «sfoghi» di Berlusconi sulle vicende giudiziarie che lo coinvolgevano.
Mi riservo, consultando le mie agende di far conoscere con precisione la data dell’incontro avvenuto tra febbraio e marzo 2011. A partire da questo incontro non ho poi avuto più occasione di incontrarmi con il Lavitola per la questione del Brasile».
I 17 milioni alla Capitaneria
È lo stesso Bono a rivelare ai pubblici ministeri le procedure simili seguite per un altro affare che coinvolgeva Finmeccanica: la fornitura di navi alla Guardia costiera italiana.
Racconta il manager: «Il bando – indipendentemente dal prezzo a cui si sarebbe aggiudicata la gara – prevedeva che nella determinazione del prezzo bisognava tenere conto di due navi usate della Guardia costiera che sarebbero state consegnate all’aggiudicataria. Il valore stimato dalla stessa Guardia costiera italiana era di 17 milioni di euro per tutte e due. Insomma nel prezzo bisognava tenere conto che per 17 milioni di euro avrebbero dato le navi e la differenza sarebbe stata pagata in monete. Devo aggiungere che in questo stesso periodo (siamo sempre nel 2011) Lavitola riprese contatto con me per comunicarmi che le due navi che avremmo dovuto ritirare Berlusconi le aveva promesse al presidente del Panama Ricardo Martinelli all’interno dell’accordo stipulato dall’Italia con quel governo. Io risposi che le predette navi usate facevano parte del prezzo che la Guardia costiera avrebbe dovuto pagare per la nuova fornitura a Fincantieri e quindi se la Guardia costiera italiana non ce le avesse dato indietro avrebbe dovuto corrisponderci i 17 milioni. In quel contesto dissi a Lavitola che se Berlusconi aveva promesso al governo di Panama le suddette navi, si sarebbe dovuto impegnare a far comunque confluire nella disponibilità della Guardia costiera i 17 milioni. In effetti così accadde, tant’è che di lì a poco vi fu un intervento normativo con il quale furono stanziati 17 milioni di euro alla Guardia costiera che la stessa Guardia costiera destinò a Fincantieri».
La tangente al 10 per cento
Il 4 giugno scorso viene interrogato Emilio Dalmasso, responsabile della vendita di elicotteri civili per AgustaWestland sin da quando l’azienda era guidata dall’attuale amministratore delegato di Finmeccanica Giuseppe Orsi.
E dunque si è occupato della fornitura al governo di Panama nell’ambito dell’accordo più ampio firmato dal governo italiano. I magistrati gli chiedono se è al corrente del «contratto collaterale con una società di diritto panamense».
Si riferiscono alla Agafia che, dice l’accusa, è riconducibile a Lavitola e al presidente Ricardo Martinelli ed è il veicolo che sarebbe stato utilizzato per il pagamento di «mazzette».
Il manager annuisce e svela i dettagli: «Fu Camillo Pirozzi, collaboratore di Paolo Pozzessere, con una mail inviatami qualche giorno prima della conclusione del contratto con Panama a segnalarmi che bisognava concludere anche il collaterale contratto con l’agente straniero che aveva favorito la conclusione degli accordi.
Pirozzi mi comunicò i dati relativi alla percentuale concordata del 10 per cento». È la cifra stabilita anche per tutti gli altri affari esteri.
Soltanto Scajola avrebbe chiesto un rialzo di un punto arrivando all’11 per cento.
Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera“)
argomento: Berlusconi | Commenta »
Ottobre 25th, 2012 Riccardo Fucile
DALLE FONDAZIONI IMMOBILIARI AI TESORETTI…E GLI ONOREVOLI NON VERSANO LE QUOTE
Questi onorevoli… Sono dei veri taccagni. Peggio di quell’Arpagone protagonista dell’«Avaro» di Molière.
Fargli scucire la manciata di euro che dovrebbero versare ogni mese al Popolo della Libertà è sempre più difficile.
Sarà per le sforbiciatine a stipendi e rimborsi, ma è diventato un bel problema.
Tanto che il tesoriere del partito, Rocco Crimi, ha dovuto richiamare tutti all’ordine: al 31 dicembre 2011 gli arretrati dovuti dai parlamentari (800 euro al mese) e dei consiglieri regionali (500) ammontavano a oltre 4 milioni 600 mila euro.
Il suo grido d’allarme è contenuto nel bilancio del Pdl pubblicato, insieme a quelli di altri 61 (sessantuno) partiti sulla «Gazzetta ufficiale» di martedì.
Gli ultimi della storia, senza i controlli più severi introdotti la scorsa estate. E quasi tutti venati da un sottile rimpianto.
Ma per una ragione più prosaica: il taglio dei rimborsi elettorali deciso con quella stessa legge che ha inasprito le verifiche e mal digerita pressochè ovunque, nelle segreterie.
Anche se c’è chi, nel bilancio, la rivendica come un proprio successo politico: il Partito democratico.
Provvedimento andato di traverso, soprattutto, per aver stabilito la rinuncia alla tranche di contributi che si dovevano incassare lo scorso mese di luglio.
Soldi che qualcuno si era già fatto anticipare dalle banche. E magari aveva speso.
Come l’Udc di Pier Ferdinando Casini.
Che non a caso prevede per quest’anno, causa taglio contributi, una «sopravvenienza passiva» di ben 9 milioni e mezzo, comprendente pure i 2,4 milioni «riferibili alla quota parte di credito non incassabile relativa alle elezioni di Camera e Senato ceduta a un istituto di credito nel corso dei precedenti esercizi».
Poco male: al 31 dicembre 2011 l’Udc denunciava un avanzo patrimoniale, generato dagli utili degli anni precedenti, di ben 18,6 milioni.
E aveva 5 milioni e mezzo depositati in banca
Lo stesso non può dire il Pdl, per cui la rinuncia alla tranche di luglio è stata davvero una brutta botta.
Più brutta della scoperta che moltissimi parlamentari non danno al partito i contributi dovuti. Il bilancio pubblicato sulla «Gazzetta ufficiale» spiega che i rimborsi elettorali «relativi agli anni 2009-2012 sono stati ceduti pro soluto nell’anno 2009 a un istituto bancario».
Al quale adesso vanno restituiti i soldi: Quanto? Più di 20 milioni.
Immaginiamo i salti di gioia. Tanto più dopo la notizia che Silvio Berlusconi non si ricandiderà per il premierato.
Dal problematico bilancio di Forza Italia, formazione politica ancora esistente dal punto di vista contabile (al pari di An, Ds e Margherita) è chiaro che è stato lui a portare il peso finanziario di quell’avventura politica.
Negli ultimi cinque anni il partito ha accumulato perdite per circa 149 milioni e debiti per 61 milioni. Il tutto coperto da una sontuosa fideiussione bancaria di 177 milioni prestata «da terzi». Dove «terzi» sta, ovviamente, per il Cavaliere.
Succedeva anche questo, negli anni in cui il fiume dei rimborsi elettorali scorreva gonfio di denaro alimentando le casse di tutti i partiti al centro come in periferia.
Al 31 dicembre 2011 l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro aveva accumulato un avanzo patrimoniale superiore a 35 milioni. E sapete quanto ha incassato nel 2010, l’anno delle elezioni regionali, la sola lista della governatrice del Lazio Renata Polverini? Quasi 6 milioni di euro.
Non che non ci sia qualche tesoretto messo da parte, mentre tanti piangono miseria.
Ce l’hanno a destra, dove An, prima di essere messa in liquidazione, ha trasferito il patrimonio immobiliare valutato in 61 milioni a una Fondazione con un capitale di 10 milioni più un «fondo iniziale di gestione» di 45 milioni.
Ma ce l’hanno anche a sinistra, con le decine di fondazioni costituite dai Democratici di sinistra per blindare un numero enorme di immobili provenienti dall’eredità del Partito comunista.
Nella Margherita, invece, si leccano ancora le ferite causate dallo scandalo che ha coinvolto l’ex tesoriere Luigi Lusi.
Vicenda che merita una puntigliosa ricostruzione nel bilancio 2011.
Dalle «centinaia di assegni di piccolo taglio» per un totale di 869.793 euro «emessi dall’ex tesoriere», alle «spese di rappresentanza non idoneamente documentate per euro 95.653». Dalle «spese per euro 235.219 interamente riferibili a viaggi personali dell’ex tesoriere e/o di persone a lui riconducibili», a «servizi con conducente resi in prevalenza a favore dell’ex tesoriere per euro 167.309».
Fino alla cruenta stoccata finale: «Allo stato attuale risultano accertate operazioni illecite per un valore complessivo di circa 22 milioni di euro».
Nonostante ciò, sui conti correnti bancari della Margherita al 31 dicembre 2011 c’erano ancora più di 19 milioni. Nel bilancio della Lega Nord la storiaccia che ha portato all’espulsione di Francesco Belsito merita invece appena un fugace passaggio: c’è scritto soltanto che l’ex tesoriere «ha rassegnato le dimissioni» ed è stato sostituito.
Nulla, sul perchè.
Niente di niente.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Politica, radici e valori | Commenta »
Ottobre 25th, 2012 Riccardo Fucile
GIULIANO SANTORO, L’AUTORE DEL LIBRO “UN GRILLO QUALUNQUE”: “LUI PERSONAGGIO DELLA RETE? NO, UOMO DELLA TV CHE COLONIZZA IL WEB”
“Miti da sfatare. Luoghi comuni da evitare. Uno tra tutti è che Beppe Grillo stia rubando elettori al Pd. Non è così. O almeno non ancora. Una grande parte dei voti al M5S arriva dagli «orfani del Pdl e della Lega, frustrati dalla crisi di Berlusconi e Bossi e dalla condizione economica».
Solo così si «spiegherebbe l’accanimento di alcuni candidati a 5 Stelle su tematiche tipiche della Destra, come la chiusura dei campi rom o la protesta fiscale».
Ma non solo. «Un’altra parte proviene dall’astensione».
Senza contare che nel 2013 voteranno per la prima volta migliaia di giovani, gli stessi che «non hanno una provenienza definita, almeno dal punto di vista del pedigree elettorale».
Attenzione però, non è così vero che il sodalizio tra votanti e Grillo avvenga solo attraverso la Rete.
Se venisse confermato il successo in Sicilia questa relazione verrebbe a mancare. Dunque, Grillo piace.
Questo almeno è ciò che sostiene il giornalista Giuliano Santoro nel libro Un grillo qualunque (edito da Castelvecchi, pagine 176, 16 euro).
IL LIBRO
La campagna elettorale è cominciata, anche se non ufficialmente. Il 2013 è alle porte. E gli occhi sono puntati tutti su di lui, il comico genovese «contro tutto e tutti».
Il Movimento 5 Stelle, secondo i sondaggi, è diventato la terza forza politica del Paese. E potrebbe arrivare al 20 per cento.
Ma come è successo?
«L’unico modo di comprendere Grillo e il grillismo è accerchiarlo da diversi fronti e toccare i tanti livelli della comunicazione, della politica, della storia culturale e dell’innovazione dei media, che un attore -politico attraversa».
Per afferrare Grillo, secondo Santoro, bisogna intraprendere un viaggio attraverso «la società e la politica italiana» per raccontare come «un cabarettista che ha mosso i primi passi sui palchi della provincia, sia poi arrivato a fondare un movimento politico». Insomma, per comprendere davvero questo fenomeno bisogna cercare di osservare da una prospettiva «insolita».
E per farlo Santoro è riuscito a entrare nel cuore del movimento con interviste a socologi, politologi, sondaggisti e, soprattutto, grillini.
IL PERSONAGGIO
Un percorso che racconta luci e ombre di un movimento che si definisce trasversale, ma in realtà è tutto il contrario.
Spiega le contraddizioni di chi per anni si è presentato al grande pubblico anche con pubblicità (come quella dello Yomo) per poi insultare le stesse aziende.
E ancora gli incontri che hanno cambiato la vita (almeno quella pubblica) di Grillo. Da Antonio Ricci a Gianroberto Casaleggio.
Il primo lo ha lanciato nel mondo della televisione, il secondo gli ha fatto scoprire la Rete.
La stessa che lui ha demonizzato nei suoi spettacoli («Ho comprato il computer», dice. «Credevo che la tecnologia dei bit fosse una tecnologia leggera: un computer pesa quindici chili, per farlo occorrono quindici tonnellate di materiali e ogni sei mesi lo buttiamo nella spazzatura»).
Dice che i 5 Stelle sono «espressione della Rete» ma rappresenta «la televisione che colonizza i nuovi strumenti di comunicazione, è un sintomo della convergenza di vecchi e nuovi mezzi di comunicazione».
I GRILLINI
Per la prima volta, però, si parla anche di loro: i votanti a 5 Stelle.
Santoro divide la vita del movimento in due fasi.
La prima catalizza l’attenzione di una nuova generazione, composta dal popolo delle partite Iva, contratti precari.
Con una cultura tendenzialmente alta. E non solo: «Beppe Grillo è riuscito all’indomani del trauma generazione del G8 genovese, a tracciare arbitrarie relazioni di causa-effetto che a volte confinano nel complottismo ma che forniscono ai naufraghi della generazione perduta calpestata in piazza e vittima della sindrome di impotenza della politica tradizionale, uno scenario dentro al quale muoversi».
Poi la seconda fase. Quella che riesce a catalizzare i voti perduti dal centrodestra.
«La distribuzione del voto a Grillo è molto articolata, anche se negli anni del suo boom si è collocata soprattutto a Destra».
Il quadro è fluido e in continua evoluzione. Il libro questo, lo mette ben in evidenza. L’idea che lo muove è comunque quello di sfatare molti miti.
Benedetta Argentieri
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Grillo | Commenta »
Ottobre 25th, 2012 Riccardo Fucile
LA FAMIGLIA BORSELLINO DIVISA TRA IL SOSTEGNO A CROCETTA E QUELLO ALLA SINDACALISTA MARANO… DIVISA ANCHE LA CONFINDUSTRIA
In questa calda campagna elettorale siciliana, ad essersi diviso in mille rivoli non è come capita spesso il centrosinistra, ma anche il fronte dell’antimafia.
Ancor prima del via alla corsa alla poltrona di governatore, d’altronde, quest’area si era spaccata tra Rosario Crocetta, ex sindaco di Gela che ripete continuamente di “aver fatto arrestare 700 mafiosi”, e Claudio Fava, figlio del giornalista ucciso dalla mafia a Catania.
Adesso, invece, il fronte rimane diviso tra il sostegno a Crocetta e quello alla sindacalista Giovanna Marano, subentrata in extremis a Fava dopo il ritiro dell’esponente di Sel perchè non residente in Sicilia.
In questa campagna elettorale si sono spaccate famiglie, amicizie e compagni in nome della lotta a Cosa Nostra.
Perchè nella battaglia senza quartiere che si gioca nel centrosinistra, fin da quando il Pd ha deciso di sostenere il governo Lombardo nel 2011, non c’è scampo per nessuno e tutti devono in qualche modo schierarsi.
Un esempio emblematico delle divisioni interne dell’antimafia è la famiglia di Paolo Borsellino, il giudice ucciso in via D’Amelio il 19 luglio del 1992. Una famiglia molto unita, che in queste elezioni si è pubblicamente spaccata in nome del candidato “migliore” per la poltrona di Palazzo d’Orleans.
Da un lato c’è la figlia del magistrato, Lucia, dirigente regionale alla Sanità ,che ha lavorato in questi anni fianco a fianco con l’assessore del governo Lombardo, Massimo Russo, e che ha annunciato il sostegno a Crocetta, il candidato di Pd e Udc.
L’eurodeputato gelese ha già detto che in caso di sua elezione a Lucia darà la delega alla Sanità .
Di tutt’altra opinione Rita Borsellino, zia di Lucia e sorella di Paolo.
L’eurodeputata eletta nelle liste del Pd e lanciata dai democratici nelle fallimentari primarie per le elezioni del sindaco di Palermo, ha annunciato il suo sostegno a Claudio Fava, prima, e poi a Giovanna Marano.
Anche se Rita ha tenuto a precisare che non c’è alcuna divisione negli affetti.
Fava, comunque, adesso fa ticket con la Marano e giornalmente ripete che “Crocetta rappresenta la continuità del lombardismo e del cuffarismo”.
Critica che dal duo Marano-Fava viene lanciata anche nei confronti di Beppe Lumia, altro leader dell’antimafia siciliana.
Il senatore, sotto scorta, è stato tra i principali artefici dell’accordo del Pd con Lombardo e adesso della candidatura di Crocetta: “Per me Lumia è come un fratello, mi ha salvato la vita”, dice l’ex sindaco di Gela.
La battaglia dell’antimafia ha travolto poi anche Confindustria e la triade Ivan Lo Bello, Antonello Montante, Marco Venturi, che nel 2007 ha portato alla svolta dell’associazione degli imprenditori contro il racket e il pizzo.
Fino a qualche giorno fa nella giunta regionale c’era Venturi, assessore alle Attività produttive che se n’è andato via sbattendo la porta al grido di “Lombardo aiuta la mafia”.
Il tutto a pochi giorni dal voto.
Venturi ha ammesso candidamente che a fare da tramite per il suo ingresso nel governo era stato Lumia, e che su questa scelta erano d’accordo anche Lo Bello e Montante.
I tre, oggi, sono i principali oppositori di Lombardo e non si sono espressi ufficialmente per un candidato governatore, anche se sono ottimi i rapporti con Crocetta. Meno con la Marano, battagliera sindacalista della Fiom.
In questa diaspora dell’antimafia, c’è poi un altro pezzo da novanta: il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando.
L’ex fondatore della Rete e oggi dirigente di Idv sostiene la Marano.
Ma, fino a oggi, non si è speso molto e non ha voluto tenere comizi in giro per la Sicilia.
Rimane alla finestra, forse sperando di raccogliere i cocci della sinistra e della stessa antimafia il 29 ottobre.
Antonio Fraschilla
(da “La Repubblica“)
argomento: elezioni | Commenta »
Ottobre 25th, 2012 Riccardo Fucile
AUMENTANO LE MAMME CHE RINUNCIANO ALLE PROPRIE AMBIZIONI SCHIACCIATE DAL “TEMPO MACHO” COME LO DEFINISCE ANNE SLAUGHTER CHE HA LASCIATO L’INCARICO AL DIPARTIMENTO DI STATO
Anne Marie Slaughter si è cullata nella promessa di un certo femminismo, soprattutto americano, secondo il quale bisognava avere tutto: realizzare ambizioni famigliari e professionali.
Poi un giorno, passati i cinquant’anni, ha deciso che non era più possibile. Il pentimento è arrivato dopo aver faticosamente raggiunto i suoi sogni.
Madre di due figli, lavorava al Dipartimento di Stato, prima donna nominata Director of Policy Planning, tra le collaboratrici più in vista di Hillary Clinton.
Orari massacranti, riunioni e trasferte continue, e il tormento di non essere mai davvero in pari con la vita.
Qualcosa che manca sempre, in ufficio ma anche a casa. “Ho detto basta e non me ne pento” racconta ora Slaughter che oltre a essersi dimessa con fragore dal suo incarico governativo ha deciso di fare un suo personale outing dalle colonne dell’Atlantic Monthly.
Non è la sola. “Faccio politica per migliorare la vita degli altri, non per peggiorare la mia” ha detto Axelle Lemaire, trentenne deputata socialista che ha rifiutato di diventare ministro nel governo francese perchè troppo indaffarata con i pargoli.
È come una controrivoluzione silenziosa, un movimento di donne in carriera che si arrendono, a metà corsa, schiantate da quello che Slaughter chiama “tempo macho”: l’organizzazione del lavoro ancora basata sui ritmi maschili.
“Credo che sia venuto il momento di essere sincere – spiega a Repubblica la professoressa di Princeton – e ammettere che, a certi livelli di responsabilità , la conciliazione tra professione e famiglia diventa impossibile “.
Una posizione iconoclasta, quasi una dichiarazione di resa, proprio mentre tante donne arrivano ai vertici politici e imprenditoriali. Il lungo articolo di Slaughter pubblicato a luglio, Why women still can’t have it all, è stato uno dei pezzi più letti e commentati nella storia del magazine statunitense, ripreso in decine di paesi, con reazioni spesso critiche.
“Mi aspettavo le critiche delle femministe della mia generazione sul fatto che sto dando un cattivo esempio oppure che propongo riforme irrealizzabili. Ma non avevo previsto che l’articolo sarebbe diventato “virale”, attraverso il web e altri giornali, scatenando una conversazione planetaria tra persone di ogni età “.
Persino Hillary Clinton si è schierata qualche giorno fa contro il “piagnisteo” di certe working women, anche se poi ha precisato che non si riferiva a Slaughter.
“Il mio obiettivo – spiega l’autrice – era dare voce alle donne che scoprono, dopo aver avuto bambini, di non poter diventare amministratore delegato o direttore generale, di dover ritardare una promozione”.
Una situazione colpevolizzante, che porta spesso a rinunciare alla proprie ambizioni. “È un tema politico che dovrebbe indurci a cambiare il nostro sistema economico e sociale “.
Slaughter è partita dalla sua esperienza, dalla difficoltà nell’accudire figli adolescenti mentre svolgeva un incarico pubblico prestigioso a Washington, per scrivere una sorta di manifesto.
Da una parte, racconta, c’è una pressione sociale sulla maternità , con vecchi stereotipi, e dall’altra una cultura del lavoro pensata per uomini d’altri tempi. Slaughter racconta di aver dubitato a lungo prima di scrivere le ragioni che l’hanno convinta a lasciare il Dipartimento di Stato.
Poi, parlando davanti a un gruppo di studentesse, si è convinta che fosse venuto il momento di “dire la verità “.
“Le giovani di oggi sono abbastanza coraggiose e intellettualmente preparate per sapere che non è tutto così facile “.
I role model che scoraggiano le nuove leve, ribatte, sono altri. “Ad esempio, vedere donne che hanno scalato il potere accettando di pagare un prezzo personale.
Molte ragazze, e ormai anche ragazzi, non vogliono più sacrificare la loro vita privata”.
Proprio mentre usciva l’articolo sull’Atlantic Monthly, Marissa Mayer veniva nominata alla guida di Yahoo con il suo bel pancione.
Un caso che non è rappresentativo, secondo Slaughter. “Negli Usa ci sono solo il 15% di dirigenti donne e tra le prime 1000 aziende della classifica di Fortune appena 35 società hanno una leadership femminile”.
Il “tempo macho”, spiega l’autrice, è una trappola insidiosa non solo per le donne. “Alcuni padri mi hanno contattato per dirmi che anche loro si sentono vittime” spiega Slaughter.
“Dobbiamo insieme ripensare le aspettative fondamentali su dove, come e quando viene svolta l’attività lavorativa”.
La professoressa di Princeton invita alla “creatività ” per sviluppare strumenti di flessibilità , come il telelavoro, il coworking o il part-time.
“Sia uomini che donne avrebbero tutto da guadagnare se si incominciasse a misurare la produttività sui risultati e non sulle ore in ufficio”.
Oggi il picco di carriera coincide con il momento nel quale i figli sono ancora piccoli e i propri genitori cominciano a essere anziani.
È l’Exhausted Generation, la generazione esausta battezzata dall’Economist, schiacciata da doveri privati che non si possono rimandare. “Bisognerebbe immaginare percorsi professionali meno intensivi e più lunghi” propone Slaughter. “Anzichè una parete verticale da scalare, la carriera deve diventare una serie di gradini, con soste e persino lievi cadute”.
Anche nella coppia bisogna dare prova di immaginazione.
“Non esiste un unico modello. Alcuni genitori cercano di dividere le responsabilità equamente, bilanciando i compromessi, com’è capitato a me e mio marito. Altre coppie agevolano uno dei due genitori, magari perchè guadagna di più, è più coinvolto, ha migliori opportunità di avanzamento. L’eguaglianza di genere significa che queste scelte devono essere libere e non condizionate da vincoli sociali o stereotipi”.
Avere o non avere tutto.
Dopo la pubblicazione dell’articolo, Slaughter ha ricevuto molte critiche per l’uso di questa espressione assolutista.
“Per la mia generazione – ricorda – era scontato che si potesse avere il meritato successo professionale senza dover rinunciare ai figli. Viste le reazioni al mio articolo mi sembra che l’ideale per cui tre generazioni di femministe si sono battute è ancora molto popolare “.
La possibilità di rinunciare a un incarico di alto livello o di “dosare” l’impegno professionale è un lusso che molte donne non si possono permettere. “Certo – risponde Slaughter – so che i problemi di cui parlo appartengono a un’èlite fortunata che può decidere come e quanto implicarsi nel lavoro. Ma io mi occupo di come agevolare la vita delle donne che aspirano ai vertici di aziende o incarichi governativi. Il cosiddetto “soffitto di vetro” è qualcosa di molto più complesso di quel che sembra”.
Sono ormai tre mesi che Slaughter passa le sue giornate a rispondere a messaggi, è invitata a trasmissioni, e arringa le folle sulla “conciliazione impossibile” tra famiglia e professione.
Nel frattempo, continua a insegnare a Princeton, pubblica articoli in riviste specializzate, partecipa a conferenze e dibattiti televisivi per parlare di Siria o di elezioni americane.
Ma il suo lavoro accademico è passato quasi in secondo piano. Sta preparando un libro sulle donne che sarà pubblicato in Italia da Sperling&Kupfer.
Polemica e felice di esserlo. “Non mi posso lamentare”.
Anais Ginori
(da “La Repubblica”)
argomento: Lavoro | Commenta »
Ottobre 25th, 2012 Riccardo Fucile
PER FAVORIRE GLI ESODATI SAREBBE STATA APPLICATA SOLO SUI REDDITI OLTRE I 150.000 EURO… MA ANCHE IL PD DIVENTA PRUDENTE
“C’è già aliquota del 3% su questi redditi, aggiungerne un’altra sarebbe alquanto iniquo: quella è la fascia di popolazione che è l’unica che spende e c’è il problema di consumi interni”.
Lo dice il vice presidente di Confindustria Aurelio Regina, bocciando la proposta della commissione Lavoro della Camera di una tassa del 3% sui redditi altri per finanziare maggiori tutele per gli esodati.
Anche Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera del Pdl, si dice contrario. “Malgrado ci siamo occupati più volte del tema perchè sinceramente impegnati nel trovare soluzioni ragionevoli al problema degli esodati, nessuno ha consultato la presidenza del gruppo del Pdl prima dell’ultima riunione della commissione Lavoro dedicata al tema”.
E aggiunge: “Sostenendo in generale la via dell’abbattimento del debito per diminuire una pressione fiscale insostenibile per tutti, non condividiamo il ricorso a forme di finanza straordinaria per una copertura delle risorse necessarie sul tema”.
D’accordo invece il segretario della Cisl. Sugli esodati “una soluzione bisogna trovarla – spiega Raffaele Bonanni – e il Parlamento ha dato un’indicazione credibile”.
Il leader della Cisl poi aggunge che “l’importante è che si trovino i soldi per questa operazione”.
Per risolvere la questione degli esodati “mi pare positiva l’indicazione di un meccanismo di solidarietà , di chiedere a chi ha di più in questo paese di contribuire. Poi bisogna trovare le soluzioni tecniche”.
A dirlo Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. Il voto di ieri in commissione, per la sindacalista, “è il segno di una necessità che il Parlamento conferma che si dia una soluzione al problema degli esodati, che è una profonda ingiustizia che continua a permanere e che non può trascinarsi”.
“Aspettiamo che il governo maturi una posizione più aperta rispetto a quella che ha manifestato ieri”.
Sono queste le parole del responsabile economico del Pd, Stefano Fassina.
“È stato approvato un emendamento dalla commissione Lavoro della Camera ed è una posizione che verrà valutata anche dalla commissione Bilancio – spiega l’esponente democratico -: mi pare ci sia la possibilità di portare in porto un intervento sulla platea degli esodati”.
Questo “affinchè nessuno di coloro che sarebbe dovuto andare in pensione nel 2013- 2014 – conclude Fassina – rimanga intrappolato nel segmento dell’età pensionabile e quindi rientrino nei salvaguardati”.
(da “la Repubblica”)
argomento: denuncia | Commenta »
Ottobre 25th, 2012 Riccardo Fucile
ALLO STUDIO LA POSSIBILITA’ DI RECUPERARE 4,2 MILIARDI PREVISTI CON IL TAGLIO DELL’IRPEF E FAR CONVERGERE SUL LAVORO DIPENDENTE TUTTE LE RISORSE
Il “cuneo fiscale”, il peso di tasse e contributi sulla busta-paga che appesantisce il costo del lavoro, debutta nel cantiere della legge di Stabilità 2013: in Parlamento si sta studiando un intervento per alleggerirlo.
Ieri Bersani, dopo l’incontro con Monti, lo ha fatto capire esplicitamente: il governo, ha detto, è “affezionato a dare qualche segnale sul tema del cuneo fiscale”.
Scontato ormai, come è emerso dagli incontri degli ultimi due giorni con gli altri leader della maggioranza “Abc”, che Palazzo Chigi è disponibile a modificare la manovra, si studia lo “smontaggio” del taglio dell’Irpef di due punti e si cerca una destinazione più efficace per i 4,2 miliardi che si renderanno disponibili.
Se il governo è costretto a rivedere le sue posizioni sulla manovra, anche sul fronte degli “esodati” ieri ha dovuto subire un severo altolà in Commissione Lavoro. L’organismo parlamentare ha approvato all’unanimità , contro il parere del governo, un emendamento (firmato dal presidente della Commissione Silvano Moffa) che “salva” gli esodati del biennio 2013-2014 e introduce, per coprire la misure, un contributo di solidarietà del 3 per cento sull’Irpef per la parte di reddito che supera i 150 mila euro. Naturalmente la norma dovrà essere votata dalla Commissione Bilancio nell’ambito dell’esame della legge di Stabilità .
Gli occhi sono tuttavia tutti puntati sulla modifica del pacchetto fiscale.
A catalizzare l’attenzione ieri è stata l’audizione del direttore di Confindustria Marcella Panucci che ha di fatto “bocciato”, aggiungendo la propria voce alla lunga serie di critiche politiche ed istituzionali giunte nei giorni scorsi, la riduzione delle aliquote Irpef: “Si distribuisce su un amplissimo numero di soggetti con effetti unitari modesti”, ha detto sobriamente.
Confindustria avanza una proposta che sembra in assoluta sintonia con le intenzioni del governo alle prese con la modifica del testo: “E’ essenziale che tutte le risorse vadano al taglio del cuneo fiscale, senza disperdere le scarse disponibilità della finanza pubblica su troppi fronti”, ha chiesto Marcella Panucci.
Confindustria ha osservato che il “cuneo” nel 2011 è risultato il secondo più elevato tra i 34 paesi Ocse, pesando per il 53,5 per cento del costo del lavoro contro una media Ocse del 35,4 per cento .
La proposta di Confindustria e l’apertura di Monti sono state prese al balzo dal relatore Renato Brunetta: “Concordo pienamente sul tema del cuneo” e anche dal Pd arrivano segnali di interesse.
L’operazione alla quale si sta pensando è quella di rinunciare alla riduzione Irpef, recuperare i 4,2 miliardi, eliminare tagli e tetti alle detrazioni, e far convergere sul lavoro dipendente tutte le risorse.
Un iniziativa analoga fu fatta dal governo Prodi nel 2007: il cuneo, ovvero la quota di costo del lavoro che va in tasse e contributi e che determina la differenza tra retribuzione lorda e netta, fu ridotto mediate un taglio all’Irpef, all’Irap e un aumento differenziato delle detrazioni per figli e coniuge.
Allora il cuneo fu abbattuto, attraverso la fiscalizzazione degli oneri sociali, del 5 per cento: il 2 aumentò la retribuzione netta e il 3 per cento ridusse il costo del lavoro attraverso un taglio dell’Irap.
Infine non va dimenticato che in molti, soprattutto dal fronte del Pdl, spingono per utilizzare le risorse ex-Irpef per una completa sterilizzazione dell’Iva.
Del resto il ministro dell’Economia Grilli è tornato a definire “ottimale” quello che la Corte dei Conti nel documento presentato in Parlamento definisce sinteticamente “la scelta più Iva/meno Irpef”.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica“)
argomento: economia | Commenta »