Ottobre 21st, 2012 Riccardo Fucile
TRA PRESUNZIONE, BANALITA’, INCULTURA POLITICA E ARROGANZA: SE QUESTO E’ IL NUOVO, ALFANO E’ UN ENFANT PRODIGE
Matteo Renzi parla durante la registrazione della trasmissione “In mezz’ora” di Lucia Annunziata da Torino, dove si trova per il suo tour elettorale.
Riesce ogni tanto a non tenere la bocca aperta e spara perle di saggezza.
LA MODESTIA
“Il mio Pd arriva al 40 per cento, il loro Pd al 25 per cento”: Silvio gli avrà consigliato un sondaggista taroccatore, visto che il Pd attualmente è poco sotto il 30% e nessun esperto lo ha mai avvicinato alla soglia del 40%
L’ELEGANZA
“Se vinco, il passo indietro di D’Alema sarà definitivo”: ma vuole fare il premier o il giustiziere della notte?
IL GRANDE ECONOMISTA
“La crisi non è finita, e chi lo dice vi prende in giro”: il veggente che prevede il futuro economico mondiale ma che non ha previsto la condanna della Corte dei Conti nei suoi confronti per danno erariale di 50.000 euro.
LE BANALITA’ E LE FRASI FATTE
“Una sinistra che non ha paura, ma vuole affrontare il futuro a testa alta”.
“Chi la pensa diversamente da me non è un nemico ma un amico che ci arricchirà col confronto” (ma se vuole fare tutti i vecchi dirigenti…n.d.r.)
“Caro segretario, le regole fanno male a te. Sono dettate dalla paura e non dal coraggio, e allora coraggio ed entusiasmo ce li metteremo noi” (certo, lui vorrebbe vincere le primarie del centrosinistra facendo votare l’elettorato di centrodestra…n.d.r.)
“Sono arrivato in ritardo perchè avevo un aereo dalle Cayman” (non è necessario, solitamente usa jet privati per spostarsi, come i comuni pendolari per capirci…)
“Una certa sinistra è “ossessionata dal denaro” e la differenza fra buona finanza e cattiva finanza è la politica a doverla fare” (certo, la finanza prima chiede a Renzi le operazioni che puo’ fare e quelle no…)
“Sinistra è curiosità e ricerca”, chi non la pensa come te va ascoltato senza pregiudizi. Non può essere talebana e integralista, non può pensare che chi la pensa come me vada distrutto con tutte le armi” (frase riciclata)
“Le donne devono poter lavorare senza rinunciare ad essere madri” (massimo della originalità )
IL LAPSUS FREUDIANO
“l’unica cosa di cui farei volentieri a cambio con Grillo è il conto corrente in banca” ( e su questo gli crediamo…)
IL PROGRAMMA
Lo svelerà forse la Sciarelli a “Chi l’ha visto”, o in fondo è meglio non conoscerlo prima.
VENDOLA RISPONDE A RENZI
“Caro Matteo, il coraggio di cui c’è bisogno è quello dei ragazzi e delle ragazze che lottano per difendere la scuola pubblica. Quello di chi vuole rompere la gabbia della precarietà . I tuoi sponsor sono il mondo vecchio che si affida a te per riciclarsi”: replica così Nichi Vendola a Renzi e alla necessità di coraggio nella sinistra.
“Bisogna parlare con i finanzieri e con i banchieri? Intanto bisognerebbe farlo a porte aperte, non nella segretezza di un convivio privato”, dice in un’intervista all’Unità .
“A me sembra che coccolare i potenti che hanno fatto il bello e cattivo tempo, quelli che hanno cavalcato il puledro del berlusconismo, e che ora cercano nuovi puledri per continuare a vincere, descrive una prospettiva di trasformismo”.
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Ottobre 21st, 2012 Riccardo Fucile
MARCO TIZZONI AVEVA RIFIUTATO UN PACCHETTO DI VOTI DAI CLAN, DIMENTICANDOSI PERO’ DI SPORGERE DENUNCIA… PER MARONI E’ LA PERSONA ADATTA PER FARE PULIZIA AL PIRELLONE
Per il capo della Dda di Milano, Ilda Boccassini, non ha denunciato il tentativo di voto di scambio “per paura” di ritorsioni da parte delle cosche.
Lui invece cade dalle nuvole: “Non avevo consapevolezza che fosse la ‘ndrangheta, pensavo a dei voti di alcune famiglie poco serie”.
Chi è? Il nuovo eroe della legalità targato Lega Nord: Marco Tizzoni, consigliere comunale di Rho. L’uomo che Roberto Maroni vorrebbe a capo della futura commissione regionale antimafia, per “fare finalmente pulizia anche dentro Palazzo Lombardia”.
Peccato che, come ammette lui stesso, di criminalità organizzata non sappia un fico secco.
Ha un merito però: a differenza di Domenico Zambetti, alle elezioni comunali di Rho del 2011 rifiuta (inconsapevolmente, come dice lui) l’abbraccio mortale dei clan che controllano politica e affari all’ombra del Pirellone.
E alla richiesta di denaro in cambio dei voti risponde “no, grazie”. “Un atto encomiabile e doveroso — dice la Boccassini il 10 ottobre, durante la conferenza stampa in procura dopo gli arresti — Al quale però non è seguita una denuncia perchè intimorito. E anche questo è un dato inquietante”.
Non proprio un pedigree di alto profilo per presiedere la commissione antimafia di una delle regioni più infiltrate dai boss.
Ma al segretario del Carroccio e al presidente del consiglio regionale lombardo, Fabrizio Cecchetti, quell’ignaro “no grazie” basta e avanza: sarà Tizzoni l’alfiere padano della lotta al crimine organizzato.
Il 10 ottobre, giorno del blitz, il diretto interessato ribadisce di non aver dato minimamente “peso alla vicenda” e ricostruisce l’accaduto: “Dopo il ballottaggio, la mia lista (Gente di Rho, ndr) si apparenta con la Lega. Al quel punto vengo avvicinato da un certo Marco Scalambra (finito agli arresti il 10 ottobre assieme a Zambetti, ndr) che era compagno di ballo di una ragazza in lista con me. Mi dice che lui è in possesso di un pacchetto di voti veri che possono essere direzionati a suo piacimento e di andare a parlare con queste persone. Io gli rispondo che non se ne parla neanche”.
Un netto rifiuto, insomma.
Nonostante Tizzoni senta puzza di bruciato, derubrica l’episodio come “le solite persone che ti avvicinano in campagna elettorale”.
Non solo si guarda bene dallo sporgere denuncia, ma decide di non dire niente nemmeno al candidato sindaco della sua coalizione (quel Cecchetti che lo vorrebbe a capo dell’antimafia lombarda).
Le carte della procura di Milano riportano un sms che Scalambra invia a Tizzoni: “Ho cercato di portarti i voti della lobby calabrese ma purtroppo sono già impegnati. Ne rimangono circa 300, quelli avuti da Zambetti alle regionali, fai sapere a Monica entro domani mattina se ti interessano come elettori”.
Secondo gli inquirenti, i voti di Zambetti, sono quelli controllati da Eugenio Costantino, il presunto referente lombardo della ‘ndrangheta al quale si rivolge Scalambra.
C’è anche il prezzo: per 200 voti sono 20mila euro, 5mila da sborsare subito, durante la campagna elettorale. 100 euro a voto, il doppio di quanto speso dall’assessore per le regionali del 2010.
Ricevuto il messaggio, Tizzoni — con fare un po’ stupito, annotano gli investigatori — chiama Scalambra per riferirgli di aver ricevuto, nella stessa giornata, l’offerta di sostegno elettorale (da lui non richiesta) di Rossana Valvassoro, referente di Zambetti nel territorio di Rho.
Il presunto amico dei padrini prende la palla al balzo per fargli capire che dietro l’operazione c’è il suo zampino: “L’azione non è casuale, hai capito?”. Ma Tizzoni oppone il suo rifiuto: “Non ti preoccupare andiamo avanti da soli senza aiuti di lobby e gruppi strani! incrociamo le dita e w gente di Rho!!”.
Secondo gli investigatori, Scalambra sa benissimo che “lobby” e “gruppi strani” sono composti da “precisi elementi della criminalità organizzata calabrese”.
Il candidato di Maroni all’antimafia lombarda, al contrario, non si immagina nemmeno che le “strane famiglie” possano avere qualcosa a che spartire coi clan e, nel dubbio, si guarda bene dal fare anche solo una telefonata ai carabinieri per segnalare quei contatti sospetti.
Ma, anche in assenza dell’aggravante mafiosa, la compravendita di voti è di per sè un reato. E un amministratore pubblico dovrebbe saperlo.
Resta infine da chiarire il ruolo di Monica, la fantomatica compagna di ballo di Scalambra che milita nella stessa lista di Tizzoni.
Secondo i pm è lei che, con insistenza, cerca di spingere la coalizione Gente di Rho — Lega Nord nelle braccia della ‘ndrangheta. I due al telefono si scambiano opinioni risentite sul suo niet: “Il Tizzo è un idealista”, dice lei.
“Un errore grossolano. Da dilettante”, sentenzia lui.
Un “errore” che però oggi fa tirare un bel respiro di sollievo ai vertici del Caroccio.
“Mai sconfitta fu così bella, perchè maturata rifiutando i voti della ‘ndrangheta”, si felicita Cecchetti.
Peccato che il candidato all’antimafia padana non abbia mai fatto nessun collegamento (e, ripetiamo ancora, nessuna denuncia) fra “lobby calabresi”, “strane famiglie”, compravendita di voti e le cosche.
Lorenzo Galeazzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 21st, 2012 Riccardo Fucile
L’UDC D’ALIA DICEVA “GRANDE OPERA”… POI: “UN FLOP”
«Viva il ponte!». «Abbasso il ponte!»
Quando il senatore Gianpiero D’Alia, capogruppo dell’Udc al Senato, cambiò di colpo idea sul ponte sullo Stretto diventando più talebano degli ambientalisti, i messinesi ci restarono secchi: questa poi!
Sorpresa: aveva comprato a prezzo stracciato una villa sul mare dove dovrebbe sorgere uno dei giganteschi piloni del gigantesco viadotto.
Un idealista.
Si dirà , come ricordava ridendo Cossiga, che anche San Paolo lasciando la schiera dei persecutori di cristiani per diventare un padre della Chiesa, fu un voltagabbana.
E voltarono la gabbana, nobilissimamente, anche Maria Maddalena e fra Cristoforo e Bartolomeo de las Casas che dopo essere stato uno schiavista diventò l’appassionato paladino dei diritti degli indios.
Per non dire di tanti altri.
La folgorazione «sulla via di Damasco» è arrivata per Gianpiero D’Alia il giorno in cui mise gli occhi con la moglie Antonella su una villa sul mare a Torre Faro, a un quarto d’ora di macchina dal cuore di Messina.
Siamo verso Cariddi, in faccia alla costa calabrese di Scilla. Luogo bellissimo, di magici ricordi letterari.
Ricordate lo scoglio descritto nell’Odissea di Omero? «… e sotto Cariddi gloriosamente l’acqua livida assorbe / Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe».
E l’Eneide di Virgilio? «Il fianco destro di Scilla, il sinistro Cariddi implacabile tiene, e nel profondo baratro tre volte risucchia l’acqua…»
Fino a quel momento, l’uomo forte di Pier Ferdinando Casini in Sicilia dopo il tragico tramonto di Totò Cuffaro e l’addio di Raffaele Lombardo, era schieratissimo: «Il Ponte sullo Stretto, mentre costituisce l’elemento di saldatura del corridoio infrastrutturale che collega il nord Europa alla Sicilia, si pone altresì come catalizzatore dello sviluppo di una città -regione lineare di circa 100 chilometri di estensione che ha, ai suoi estremi, due importanti realtà del Mediterraneo: il porto di Gioia Tauro e l’aeroporto di Catania», tuonava nel 2003.
«Si ritiene che la stessa attività di costruzione del ponte costituirà per Messina una importante occasione che la città , ricca di risorse umane ben preparate, non si lascerà sfuggire».
«A sottolineare l’importanza di quest’opera» ricordava nell’ottobre 2006 polemico col governo di centrosinistra, «ci sono le parole dello stesso presidente Prodi: nel 1985 sostenne che il ponte avrebbe recuperato una cultura delle grandi opere pubbliche svanita negli ultimi anni, e che la Sicilia era fortemente ostacolata da questa barriera naturale».
Come osava, ora, mettersi di traverso? «Questa scelta condanna i territori interessati a una situazione di disagio, di disarticolazione di carattere economico, sociale e ambientale».
Insomma: «Demolisce senza costruire».
Non li sopportava, i traditori del progetto.
Al punto che quando Lombardo presentò alle «comunali» del 2008 Fabio D’Amore, polemizzò sarcastico: «Prendiamo atto che a Messina il Mpa ha chiuso l’accordo con un candidato a sindaco che ha messo al primo punto del suo programma il “no” al Ponte sullo Stretto.
Peraltro il suo vicesindaco sarebbe un prestigioso professionista messinese, l’avvocato Carmelo Briguglio, legale delle associazioni ambientaliste che hanno proposto ricorsi anche alla Corte costituzionale contro questa grande opera».
Puah, questi ambientalisti…
Nel 2009, oplà , la svolta.
Il senatore e la moglie avviano l’acquisto della villa a Torre Faro.
Bella casa, posto splendido, tre piani, 476 metri quadri catastali, giardino abbastanza grande per ospitare una piscina.
Ma soprattutto ottimo prezzo: 220 mila euro. Un affarone.
Dovuto al fatto che proprio in quel luogo stanno per cominciare di lì a qualche mese i carotaggi preliminari per costruire uno dei due piloni che devono reggere il ponte sul versante messinese.
Due bestioni enormi con una spropositata base rettangolare di 12 metri per 20 e alti 399.
Quando venga fatto il preliminare tra la venditrice, Flavia Rosa, e la moglie di Gianpiero D’Alia, Antonella Bertuccini, non si sa.
Probabilmente qualche settimana prima del rogito, firmato il 14 dicembre 2009 nello studio del notaio Salvatore Santoro e accompagnato dal versamento di due assegni circolari, il primo da 20 mila euro e il secondo da 200 mila, emessi dall’agenzia del Banco di Napoli di Montecitorio, cioè della Camera dei deputati.
Fatto sta che a cavallo di quelle settimane in cui la sua signora acquista la villa a Cariddi il politico messinese ribalta completamente la sua opinione.
E partendo dai temi posti dalla tragica alluvione di quei giorni attacca a sparare a palle incatenate: «Parlare del ponte oggi è pura follia. In un momento come questo non è serio parlare di questa grande opera, che peraltro non ha perfezionato il suo iter progettuale, non è finanziata integralmente e che soprattutto dovrebbe sorgere in un contesto ambientale degradato come quello siciliano e calabrese. Sarebbe come affondare un coltello in un panetto di burro».
«Le dichiarazioni di Brunetta sul ponte di Messina rasentano il surreale», rincara un paio di settimane dopo furente con le promesse del ministro sulla infrastruttura.
«Non ci sono soldi, non c’è un vero progetto, non sarà apposta nessuna pietra». Insomma: «Siamo di fronte all’ennesimo annuncio d’un governo allo sbando. Il Ponte è come il taglio dell’Irap, è un flop mascherato da bugia».
Ai primi di gennaio del 2010 è sempre più indignato: «Continuare a parlare di Ponte sullo Stretto e di opere compensative è solo una follia di fronte a una città che cade a pezzi giorno dopo giorno devastata dalle mareggiate e sottoposta a frane continue alla prima pioggia. Anche il sindaco e il comune di Messina non possono sacrificare la sicurezza del nostro territorio, ignorando il fenomeno del dissesto idrogeologico, in nome di un’opera inutile come il Ponte di Messina, che non vedrà mai la luce».
E via così, invettiva dopo invettiva: «Viste le risposte del tutto insoddisfacenti del governo chiederemo con gli altri capigruppo di opposizione, un’inchiesta parlamentare sui lavori del Ponte».
«Alle prime piogge ci ritroviamo sempre e comunque in stato d’emergenza. Mentre le persone devono lasciare le loro case, il governo fa orecchio da mercante e pensa solo al Ponte sullo Stretto».
«Chissà per quanto tempo ancora saremo costretti a dover sopportare bugie e falsità sulla realizzazione del ponte!».
«La passerella messinese fatta dal governo oggi è offensiva per i messinesi e per tutti i meridionali. Dopo la finta apertura dei cantieri il 23 dicembre scorso in Calabria, assistiamo oggi all’ennesima stucchevole parata…».
Tuoni, fulmini e saette: «Il Ponte sullo Stretto è un’illusione pericolosa per il Sud e per la Sicilia. Immobilizza risorse senza che l’opera si possa fare e alimenta un circuito torbido di affari come quelli delle polizze fidejussorie fasulle…».
«La costruzione del ponte è diventata solo la gallina dalle uova d’oro per alcuni gruppi imprenditoriali del nord Italia i quali, in tempi di crisi, sono ansiosi di guadagnarsi le penali che scatteranno in caso di mancata realizzazione della mega opera».
«La società Ponte sullo Stretto va sciolta». «A questo punto sarebbe opportuna un’inchiesta parlamentare sul ponte, per aiutare il governo a decidere definitivamente su una questione che è ormai chiusa. È chiaro che l’infrastruttura non si costruirà , come è altrettanto chiaro che non serve affatto al territorio e tantomeno allo sviluppo dell’area integrata tra Messina e Reggio Calabria…».
Tutte cose sensate e condivise dagli ambientalisti e da buona parte dell’opinione pubblica italiana, siciliana, messinese.
Se non venissero, appunto, dal pulpito di una villa a Cariddi.
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)
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Ottobre 21st, 2012 Riccardo Fucile
MA I PRIMI SONDAGGI LA COLLOCANO AL 4-5%
Credeva di aver trovato la soluzione, «ho trovato un coniglio nel cilindro», diceva Berlusconi, convinto di poter rovesciare le sorti avverse mettendosi alla testa di imprenditori, di giovani e persino di intellettuali: «L’Italia che lavora, così si chiamerà la mia lista».
Perciò voleva far saltare l’intesa sulla riforma della legge elettorale, in modo da scegliere chi nominare in Parlamento, per questo aveva affidato ad alcune fedelissime deputate il compito di costituire un gruppo alla Camera.
L’avanguardia berlusconiana in Parlamento non avrebbe avuto solo il compito di testimoniare la nascita del progetto, sarebbe servita anche a evitare – grazie proprio alle norme del Porcellum – la macchinosa raccolta di firme in giro per l’Italia per la presentazione della lista.
Il Cavaliere pensava davvero di aver risolto così ogni problema e di poter tornare a vincere, ricostruendo il fronte con la Lega e lasciando al Pdl gli oneri passivi insieme all’apparato.
Era convinto che, trasformando il partito di cui è fondatore in una bad company, si sarebbe liberato dai debiti di una stagione fallimentare culminata con la caduta del suo governo.
Ma l’eugenetica non può essere applicata alla politica, non basta una lista dell’«Italia che lavora» per competere con le novità di Renzi e Grillo.
Ancor più banalmente, non è cambiando l’ordine (e il nome) degli addendi che può cambiare la somma dei voti nelle urne.
Anzi, è una regola che certe operazioni abbiano un saldo negativo. A
nche perchè i debiti finiscono comunque per ricadere sul leader e lo inseguono.
L’aveva avvisato per tempo Gianni Letta, «guarda Silvio che così non prenderesti più del 15%».
E i sondaggi hanno dato ragione all’antico consigliere di Berlusconi, siccome la lista non raccoglierebbe più del 4-6%, e sarebbe superata persino dal Pdl, quotato in caso di spacchettamento tra l’8 e il 10%.
Sono numeri che raccontano il paradosso di un Cavaliere che rottamerebbe il Cavaliere, condannandosi all’irrilevanza politica, «a una triste uscita di scena», come dice Matteoli.
Di più: quei numeri evidenziano come il Pdl riuscirebbe a sopravvivere al suo leader, che continua a marcare la distanza dal suo partito.
Per questo motivo il gruppo dirigente ha deciso di sfruttare l’intervista della Santanchè al Foglio come casus belli: per quanto i rapporti tra Alfano e Berlusconi siano tesi, l’offensiva non va infatti interpretata come un gesto ostile verso il Cavaliere, semmai come un appello a rompere gli indugi, per farsi interprete e protagonista del rilancio del Pdl.
«Bisogna portarlo a ragionare, senza mai rompere», spiegava sere fa Verdini nel corso di una riunione.
Nessuno lavora a un 25 luglio, tuttavia c’è una bella differenza tra l’idea di «rottamare» e quella di «resettare» il Pdl.
Il fatto è che il capo per ora non ci sente e continua a cercare ispirazione nei colloqui con persone estranee alla politica.
Nei giorni scorsi gli sono brillati gli occhi quando un imprenditore suo ospite lo ha esortato a un «grande gesto»: «Berlusconi deve fare Berlusconi».
«E come?», gli ha chiesto il Cavaliere.
«Tu devi denunciare il patto che ha portato alla nascita del governo Monti, dire che sei stato costretto ad appoggiarlo».
«Ma così perderei le elezioni».
«Sì, ma saresti coerente».
Avanti un altro.
Perchè c’è sempre qualcuno che è pronto a vellicarne l’ego, perciò l’ex premier non si cura dei suggerimenti di chi lo segue da decenni.
Gianni Letta più volte lo ha esortato a fare i conti con la cruda realtà , una settimana fa lo ha invitato a prendere per esempio in considerazione l’ipotesi di puntare sull’ex sindaco di Milano Albertini come candidato a Palazzo Chigi: sarebbe un modo per sfidare i centristi di Casini. Niente.
E siccome Berlusconi non ha bloccato l’opera di demolizione del Pdl da parte dei suoi fedelissimi, Alfano ha deciso di reagire.
Perchè era ormai chiaro il disegno: se è vero che il voto siciliano rappresenta un test politico, com’è possibile che il partito venga screditato dai suoi stessi dirigenti mentre è in corso la campagna elettorale?
L’obiettivo era (e resta) quello di scaricare sul segretario la responsabilità dell’eventuale sconfitta, per chiederne poi la testa.
Si vedrà se il candidato del centrodestra Musumeci riuscirà a battere anche quanti dovrebbero stargli al fianco nella sfida con Crocetta.
Intanto è stata preparata la contromossa, di cui peraltro Berlusconi è a conoscenza.
È il progetto che Alfano aveva già presentato al Cavaliere, un po’ modificato. Il segretario è pronto a varare il programma del partito, le nuove regole e una nuova squadra, nel segno di un «profondo ricambio».
Non ha ancora deciso se muovere il passo già prima del voto in Sicilia, per giocare d’anticipo, ma la road map – concordata con il resto del gruppo dirigente – porterà il Pdl alla convention del 2 dicembre, quando si discuterà anche il cambio del nome e del simbolo.
«Il partito non si scioglie», su questo Alfano è stato chiaro con Casini, che mira a un patto solo con una parte del Pdl, depurata dagli ex An.
Un’opzione scartata da Alfano, che ha fissato i confini della sua forza politica, «ancorata all’europeismo e al Ppe» e che non accetta «analisi del sangue».
In attesa del risultato in Sicilia, sono a sua volta evidenti le difficoltà del progetto centrista, incapace di sfondare elettoralmente e ora colpito dal «caso Montecarlo» in cui è coinvolto Fini.
Il leader di Fli si è rattristato per il modo in cui Casini lo ha invitato a dimettersi da presidente della Camera.
È un ulteriore segno dello sgretolamento di un’area che un tempo fu maggioranza nel Paese.
Difficile immaginare una ricomposizione nel rassemblement dei moderati, è certo che il Pdl vuole giocarsi la partita della sopravvivenza.
Con o senza Berlusconi, questo è il rebus tuttora irrisolto.
Ma se il Cavaliere non ha ancora dato il via al suo progetto, c’è un motivo: all’operazione «Italia che lavora» manca il quid.
Francesco Verderami
(da “Il Corriere della Sera”)
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Ottobre 21st, 2012 Riccardo Fucile
LA CRITICA VA DAL DIMEZZAMENTO DELLE PENE NEL CASO DI CONCUSSIONE PER INDUZIONE ALLA DIFFICOLTA’ DI INDAGINI AD HOC AL MANCATO INSERIMENTO DEL REATO DI AUTORICICLAGGIO
Altro che brodino, come il Financial Times ha definito la legge anticorruzione.
Per Piercamillo Davigo, consigliere della Corte di Cassazione, “se uno è rigoroso, fa le cose diversamente”.
A partire da un certo regalino che il magistrato di Mani Pulite proprio non si spiega.
Dottor Davigo, cosa la stupisce di più di questa legge?
Direi il fatto che hanno dimezzato le pene previste nel caso di concussione per induzione.
Perchè l’hanno fatto?
L’Ocse chiedeva da tempo all’Italia di punire il privato che paga il pubblico ufficiale, cioè il concussore, e questa legge lo prevede.
Non basta?
No, perchè così si aggira soltanto l’obbligo di punire chi dà denaro al funzionario pubblico, traendone vantaggi. Il concessore alla fine la fa franca. Viene punito, ma la pena è ridotta. E le norme favorevoli sono retroattive. Con il risultato che molti processi in Cassazione verranno annullati.
Meglio eliminare la retroattività ?
No, meglio non ridurre le pene!
Quanto ci manca per essere conformi alle richieste dell’Europa?
Non so cosa fosse ottenibile, ma di certo l’Italia è ancora molto indietro rispetto agli altri Paesi europei. Se solo ci fosse la volontà , basterebbe procedere in modo molto più semplice, copiando le convenzioni internazionali. Così saremmo conformi di sicuro.
Cosa cambia per quanto riguarda il traffico di influenze, cioè quando i potenti si mettono d’accordo per darsi un aiuto (illecito) reciproco?
In questo caso il vero problema è che la pena edittale prevista per questo reato (cioè la reclusione a tre anni) non consente le intercettazioni telefoniche. Ma come pensano di scovare questi reati? Li scopriremo solo se ce li verranno a raccontare.
Almeno, però, hanno aumentato i termini per la prescrizione da 7 anni e mezzo a 11 per i reati di corruzione, concussione per induzione e traffico di influenze. Basterà per terminare in tempo i processi?
C’è un equivoco di fondo. Non sono i termini di prescrizione a essere necessariamente troppo brevi, il problema è che in Italia la prescrizione comincia a decorrere non dalla scoperta del reato, ma da quando il reato è stato commesso. E di solito non si becca il criminale in flagrante. E’ ridicolo: in altri paesi, una volta che il processo comincia, i termini per la prescrizione non decorrono più. Poi c’è un’altra questione.
Quale?
Da noi ci sono 35 mila fattispecie di reati penali, e invece di ridurle, questa legge le ha ulteriormente aumentate. Rendiamoci conto che anche se abolissimo il 90 per cento dei reati, ne resterebbero ancora migliaia.
Forse però andrebbe introdotto il reato di autoriciclaggio. Oggi quelli che, ricevute le mazzette, usano i soldi per acquisti e investimenti, non vengono puniti.
Il ministro Severino ha detto che non voleva ritardare i tempi del disegno di legge, che se ne occuperà a parte. Forse ha ragione. Però noto che l’autoriciclaggio è stato inserito nella lista dei reati persino in Vaticano…
Hanno anche evitato di reintrodurre il falso in bilancio, cancellato dal governo Berlusconi.
Lasciamo stare, l’elenco di quello che manca è infinito.
Cosa pensa invece dell’incandidabilità ? I condannati in via definitiva a pene superiori ai 2 anni dovranno mollare la poltrona.
Già . Peccato che oltre il 90 per cento delle condanne, anche quelle per concussione, tra rito abbreviato e attenuanti generiche vanno pesantemente sotto i due anni. E poi basta che uno patteggi per evitare la condanna.
E quindi l’incandidabilità .
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 21st, 2012 Riccardo Fucile
A SAN GIUSEPPE VESUVIANO IL PDL RICANDIDA IN CONSIGLIO COMUNALE L’EX SINDACO DELLA GIUNTA AZZERATA
A San Giuseppe Vesuviano – comune in provincia di Napoli e feudo del clan Fabbrocino, camorra di impresa e di sangue — si vota.
Le elezioni del 28-29 ottobre decideranno la nuova compagine amministrativa che dovrà guidare il Comune dopo la gestione della triade commissariale.
La giunta, infatti, è stata sciolta per condizionamento camorristico nel 2009, decisione confermata dal Consiglio di Stato.
Il sindaco dell’ente azzerato per collusioni era Antonio Agostino Ambrosio, detto Tonino o’ biondo, una vita in politica.
Era sindaco nel 1992. L’anno dopo, con un diverso primo cittadino, San Giuseppe fu sciolto per camorra, era il 1993.
Un ventennio fa.
Dopo l’ultimo scioglimento, dopo la condanna, con patteggiamento (pena sospesa) per concussione (1997), dopo aver girovagato diversi partiti, Ambrosio è tornato nel Pdl che ha deciso, nonostante tutto, di ricandidarlo nella lista a sostegno di Antonio Ambrosio, solo omonimo, che nella giunta sciolta per camorra nel 2009 era assessore al bilancio.
Nelle liste a sostegno del candidato sindaco anche altri esponenti della compagine sciolta per infiltrazioni della camorra.
Tutti pronti a tornare in sella.
Alla presentazione del candidato Antonio Ambrosio c’era anche il deputato Paolo Russo, presidente della commissione agricoltura, indagato in passato dalla distrettuale antimafia di Napoli e poi archiviato, così come il consigliere regionale Fulvio Martusciello, fratello del commissario Agcom Antonio. “Siamo gli uomini del cambiamento e del rinnovamento” il refrain della presentazione a cui ha preso parte anche Antonio Agostino Ambrosio che ha fatto gli onori di casa.
Nella proposta di scioglimento dell’allora prefetto di Napoli Alessandro Pansa, che trova ampio spazio nella relazione allegata al decreto di azzeramento dell’ente firmato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si leggeva: “Nello stesso periodo in cui il sindaco (Antonio Agostino Ambrosio) si presentava pubblicamente come uomo della legalità impegnato a difendere le istituzioni nei processi di camorra, egli, in via decisamente più occulta e riservata, stringeva patti e accordi, secondo quanto emerge dall’attività di indagine, con gli esponenti anche di spicco dei gruppi criminali”.
Nella relazione c’è spazio anche per la vicenda dei rifiuti con l’affidamento dell’appalto ad una società “risultata positiva ai controlli antimafia”.
Altro capitolo quello dell’abusivismo edilizio: 1154 abusi accertati nel periodo 2000-2008 a San Giuseppe, con il silenzio di fronte alla devastazione messa in atto dal clan Fabbrocino. “L’accondiscendenza — si leggeva nella relazione — dell’apparato amministrativo e burocratico a tale stato di cose ha assunto livelli di particolare gravità avvantaggiando soggetti direttamente legati ad organizzazioni criminali, come nel caso della villa edificata in piano centro cittadino nelle vicinanze della casa comunale (a duecento metri, ndr) e nella disponibilità di un noto camorrista locale”.
Il camorrista è Franco Ambrosio, detto ‘o scoccatore, detenuto all’ergastolo, uomo di spicco del clan. Lo scioglimento è un atto amministrativo e non ha comportato indagini penali neanche sul sindaco.
La nuova legge, però, consente di proporre l’incandidabilità dell’amministratore responsabile dello scioglimento che salta un turno, una misura di natura preventiva. Il Tribunale di Nola, sezione civile, ha applicato la sanzione ad Antonio Agostino Ambrosio, ma il tempo e le tornate elettorali trascorse, secondo un pronunciamento della Corte d’Appello, hanno consentito all’ex sindaco di candidarsi.
A sostenere Antonio Ambrosio ci sono cinque liste, quella del Pdl, dove troviamo l’ex sindaco Antonio Agostino Ambrosio, e altre quattro.
La prefettura ha dovuto cancellare due candidati che avevano riportate condanne passate in giudicato.
I deputati e senatori del Pdl, durante il mandato di Antonio Agostino Ambrosio (biennio 2007-2009), avevano presentato numerose interrogazioni parlamentari per chiedere l’azzeramento dell’ente e denunciare le infiltrazioni dei clan.
A distanza di pochi anni con il ritorno nel partito del biondo, tutto è rientrato come per incanto.
Nello Trocchia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 21st, 2012 Riccardo Fucile
L’AVVOCATO, FIGLIO DI GIORGIO AMBROSOLI, SCRIVE: “RINGRAZIO QUANTI MI RITENGONO ALL’ALTEZZA, MA LA TEMPISTICA IMPEDISCE DI REALIZZARE L’UNICO PROGETTO NEL QUALE RIESCO A IMMAGINARE UNA MIA CANDIDATURA”
L’annuncio era atteso per domani, ma l’avvocato Umberto Ambrosoli ha deciso di rinunciare, oggi, alla candidatura a presidente della Lombardia per il centrosinistra.
E la comunicazione avviene tramite Twitter.
Umberto, penalista stimato, è figlio di Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, ucciso su ordine del banchiere Michele Sindona l’11 luglio 1979.
In molti contavano su una risposta positiva perchè sembrava il nome giusto su cui si sarebbero convogliati anche i voti della società civile.
“Servire la collettività , vivere la responsabilità politica — ha scritto — è la più nobile delle ambizioni; ringrazio quanti mi ritengono all’altezza. Tuttavia, la tempistica oggi disponibile impedisce di realizzare l’unico progetto nel quale riesco a immaginare una mia candidatura”.
Ambrosoli che ieri sera aveva incontrato il sindaco di Milano (e anche avvocato) Giuliano Pisapia.
E oggi è arrivato il no ad accogliere la sfida di andare al Pirellone squassato negli ultimi mesi da uno scandalo dopo l’altro e decimato dagli arresti di assessori. I tempi, voto a dicembre per il presidente uscente Roberto Formigoni e in aprile per il segretario della Lega Roberto Maroni, sembrano troppo stretti al professionista per creare un progetto che preveda la “creazione di un gruppo di persone estremamente competenti sulle principali tematiche regionali; l’elaborazione di un programma concreto da proporre ai cittadini lombardi e intorno al quale impegnare una coalizione ampia; condivisione con i partiti aderenti circa i criteri selettivi (estremamente rigidi e severi) dei candidati al Consiglio; condivisione dei meccanismi di trasparenza, a partire dalla campagna elettorale”.
L’avvocato ha chiuso la sua comunicazione su Twitter con un ringraziamento: “Grazie ha tutti coloro che mi hanno incitato (rendendo intenso il …mumble mumble di questi giorni)”.
Al tweet del mancato candidato hanno riposto in tanti chiedendo un ripensamento.
“Massimo rispetto per le sue valutazioni — si legge in un cinquettio — triste vedere chi è competente aspettare mentre incompetenti ladri e truffatori sgomitano”.
In un post, però, c’è chi lo invita a riflettere: “E se si votasse in aprile? Il tempo penso che ci sia per costruire”.
Nell’invito ad un ripensamento c’è anche chi lo informa: “Io prenderei la residenza per poter andare con orgoglio a votare!!”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 21st, 2012 Riccardo Fucile
CON RENZI I DEBITI DEL COMUNE DI FIRENZE SONO AUMENTATI DEL 20%: L’ ASSESSORE AL BILANCIO SI E’ PERSINO DIMESSO PER DIVERGENZE SULLA GESTIONE… COME PRESIDENTE DELLA PROVINCIA DI FIRENZE HA SUBITO UNA CONDANNA DELLA CORTE DEI CONTI PER DANNO ERARIALE DI 50.000 EURO, DI CUI 14.000 PER SUA DIRETTA RESPONSABILITA’…LE SOCIETA, GLI AMICI , LA COORDINATRICE DEI COMITATI… I RAPPORTI CON CL E L’OPUS DEI
Cayman è la parola della settimana. La stilettata di Pier Luigi Bersani a Matteo Renzi, per le sue frequentazioni milanesi, è diventata il terreno di scontro dei due contendenti alle primarie del 25 novembre.
Ma Renzi ha molte altre spine, ben più concrete, a cui far fronte.
La Corte dei conti continua ad interessarsi alle mosse del boy scout di Rignano sull’Arno.
Dopo una condanna già inflitta alla sua amministrazione provinciale (danno erariale per 50 mila euro), adesso gli ispettori si occupano del Comune: sotto la lente di osservazione un aumento dell’indennità a otto dirigenti municipali. Riscontrata una “carenza di idonea istruttoria e mancanza di provvedimento collegiale nell’applicazione dei parametri e nell’effettuazione della ‘ripe-satura’” oltre al “mancato rispetto del divieto posto dall’articolo 9 del decreto legge 78 del 2010”, che pone dei tetti di spesa per il risparmio nella pubblica amministrazione.
Gli argomenti che il sindaco dovrebbe spiegare cominciano ad essere troppi e ben radicati a Firenze, altro che Cayman: queste le domande che meriterebbero risposta.
1. Dal 2009, anno del suo insediamento a Palazzo Vecchio, i debiti del Comune di Firenze sono aumentati del 20 per cento.
Sono state approvate ben cinquantadue delibere senza il parere di regolarità contabile, motivo per cui l’assessore al bilancio Claudio Fantoni si è dimesso parlando di “insanabili divergenze sulla gestione economico finanziaria”.
2. La gestione della Provincia di Firenze, di cui è stato presidente dal 2004 al 2009, è già valsa una condanna della Corte dei conti per 50 mila euro di danno erariale, di cui 14 per sua diretta responsabilità .
La Corte dei conti sta accertando anche la situazione di Florenze Multimedia, la mega struttura di comunicazione, in capo alla Provincia, che lei ha creato nel 2005; perchè, come segnalato dal Tesoro, ha autorizzato “contratti, convenzioni, affidamenti al lordo, il cui importo triplica quello dei contratti di servizio di base”: per una spesa totale di 9.213.644 euro.
Se queste sono storie del passato, si arriva anche all’oggi; sempre la Corte dei conti indaga sugli aumenti decisi lo scorso giugno, tra le 100 e le 200 euro nette, per otto dirigenti e direttori d’area.
Si può parlare di gestione disinvolta di soldi pubblici?
3. Matteo Spanò è il presidente dell’associazione Museo dei ragazzi, a cui il Comune versa un contributo annuo di 600 mila euro.
Il Museo dei ragazzi organizza, ad esempio, la notte tricolore, il 16 marzo 2011, e affida la comunicazione alla Dotmedia.
Ma la Dotmedia è dello stesso Spanò e di Alessandro Conticini, quest’ultimo socio della famiglia Renzi.
4.Maria Elena Boschi è contemporaneamente coordinatrice dei suoi comitati elettorali per le primarie e consigliere d’amministrazione di Publiacqua, una partecipata del Comune di Firenze.
5. Lei piace a destra, non si fa problemi a chiedere anche quei voti: “Così si vincono le elezioni”.
Ma potrebbe apparire eccessivo aver piazzato proprio Carlo Bevilacqua (il capo del Pdl in Provincia quando Renzi era presidente) alla guida di Firenze Parcheggi.
6. Recentemente ha detto che “Sergio Marchionne ha tradito gli operai”, scatenando una guerra a distanza contro il manager Fiat, che ha risposto goffamente: “Renzi è sindaco di una piccola e povera città ”.
Ma nel 2010 proprio lei spiegò a Enrico Mentana che, “senza se e senza ma”, avrebbe votato a favore dell’accordo sottoscritto da Fim e Uilm, accordo peggiorativo delle condizioni di lavoro e di vita degli operai Fiat.
Non ha mai detto una parola in solidarietà alla Fiom e ai lavoratori tesserati a quel sindacato che Marchionne, senza se e senza ma, ha discriminato.
La sua idea di liberismo prevede la rottamazione di Marchionne, ma anche della Fiom?
7. A Firenze era pronta la delibera per realizzare un cimitero per i feti.
Opera che lei ha deciso di congelare in vista delle primarie. Infatti evita di esprimersi sui diritti civili come si eviterebbe la peste.
Si sente condizionato dai suoi legami con Comunione e liberazione e con l’Opus dei?
Se così non fosse, potrebbe spiegare agli elettori cosa pensa della legge 40, dell’aborto, dei matrimoni tra persone dello stesso sesso e dell’adozione da parte di genitori omosessuali?
Giampiero Calapa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 21st, 2012 Riccardo Fucile
IL NUOVO CHE AVANZA: CACCIARE I VECCHI PER DIVENTARE VECCHI NELLE LORO POLTRONE
Dicono i bene informati che Matteo Renzi stia cambiando ideuzzologo di riferimento: da Giorgio Gori (L’isola dei famosi) a Fausto Brizzi (Notte prima degli esami, Maschi contro femmine).
Si tratta di una svolta che avrebbe lasciato di stucco Max Weber e Eric Hobsbawm, ma che può contare sulla convinta approvazione di CandyCandy e di Jonathan del Grande Fratello.
Del resto, la scelta dell’ideuzzologo è determinante per sembrare moderni e innovatori.
In economia, ad esempio, ci si può affidare alle cristalline tesi di Luigi Zingales, l’aitante economista da talk show, ideuzzologo anche lui: siccome il capitalismo ci ha messo un po’ nella merda, la sua ideuzza è che serve più capitalismo, anzi, una rivoluzione liberale.
Sono sinceramente stordito dalla novità : credo anzi che abbiamo bisogno di molti oggetti altrettanto nuovi, come il mangiadischi, il cercapersone o la lampada a petrolio.
Naturalmente la lezione della modernità non può prescindere da significativi endorsement e altrettante significative marce indietro.
Prima gli elogi a Marchionne, poi la delusione.
Prima la raccolta fondi dai signorotti degli hedge funds e delle holding alle Cayman, poi l’imbarazzato bofonchiare difensivo.
L’arrabattarsi valoriale di Renzi pare far breccia tra molti renzini assai devoti, sgomitanti e rottamatori (del capufficio se c’è da prenderne il posto, del caporedattore se si ambisce a quella scrivania, ecc. ecc.), per i quali l’ideuzzologia è assai importante.
Vogliono innovare, ma tenersi il liberismo, cacciare i vecchi, ma diventare vecchi sulle loro poltrone, parlare di merito (va assai di moda, fa chic) ma senza dire che il merito senza eguaglianza è una truffa schifosa.
Essi giungono al punto, davanti al loro leader che si fa finanziare dagli speculatori con sede nei paradisi fiscali, di difenderlo comunque.
Se non vi piacciono le Cayman siete vecchi, noiosi, pauperisti.
Se vi piacciono siete moderni.
Ammirevoli davvero, usi a ubbidir tacendo, tipo un segretario di sezione ai tempi di Togliatti.
Ecco, per dire il nuovo che avanza, e la sua ideuzzologia.
Alessandro Robecchi
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