Ottobre 7th, 2012 Riccardo Fucile
LA BLOGGER DISSIDENTE CUBANA: “MI HANNO TOLTO TUTTO E MI SONO RIFUGIATA NEI RICORDI”…”PER TRE ORE HO RIPETUTO UNA SOLA FRASE: ESIGO FARE UNA TELEFONATA PERCHE’ E’ MIO DIRITTO”
Hanno voluto impedire che raggiungessi il luogo dove si teneva il processo ad àngel Carromero.
Erano le cinque della sera del 4 ottobre, un ampio spiegamento di forze di polizia nei pressi della città di Bayamo ha fermato l’auto sulla quale viaggiavo insieme a mio marito e a un amico.
«Voi volete boicottare il processo», ci ha detto un uomo in divisa verde oliva poco prima di arrestarci.
Sembrava che stessero fermando una banda di narcotrafficanti o che fosse la cattura di un pericoloso serial killer.
In realtà eravamo solo tre individui interessati a seguire un processo, entrando da spettatori in un’aula giudiziaria.
Credevamo che l’udienza fosse davvero pubblica, come aveva scritto il Granma. Ma dovevamo saperlo che il Granma non dice mai la verità .
Nonostante tutto, arrestandomi, finivano per regalarmi l’altro volto della storia. Vivere le stesse sensazioni di àngel Carromero e la pressione che circonda un detenuto.
Conoscere sulla propria pelle le macchinazioni di un Dipartimento del Ministero degli Interni.
Prima di tutto si sono avvicinate tre donne in uniforme e mi hanno tolto il telefono mobile. Fino a quel punto si trattava di una situazione confusa, aggressiva, ma non aveva ancora niente di violento.
Dopo, quelle stesse robuste signore mi hanno fatto entrare in una stanza e hanno provato a denudarmi.
Ma esiste qualcosa di intimo che nessuno può toglierci di dosso.
Non so, forse è l’ultima foglia di fico alla quale ci aggrappiamo quando si vive sotto un sistema che sa tutto delle nostre esistenze.
Potrei citare quel cattivo e contraddittorio verso che dice «potrai avere la mia anima… non il mio corpo».
Per questo ho resistito e ne ho pagato le conseguenze.
Dopo quel momento di estrema tensione è arrivato il turno del poliziotto “buono”.
Uno che si è presentato dicendo di portare il mio stesso cognome – come se significasse qualcosa – e di amare il dialogo.
Ma l’inganno è fin troppo noto, si è ripetuto così spesso, che non ci sono caduta. Mi è venuto subito in mente Carromero sottomesso alla stessa tensione composta da un mix di minacce e “atteggiamenti comprensivi”… non è facile sopportare a lungo una simile situazione.
Nel mio caso, ricordo di aver fatto un respiro profondo e dopo una lunga discussione sulla illegalità del mio arresto ho cominciato a ripetere per più di tre ore una sola frase: «Esigo che mi facciate fare una telefonata, è un mio diritto».
Avevo bisogno di certezze e ripetere le stesse parole mi tranquillizzava.
Il ritornello mi faceva sentire forte di fronte a persone addestrate in accademia su come distruggere la volontà umana.
Tutto quello di cui avevo bisogno per affrontarli era un’ossessione.
Ed è così che ho finito per ossessionarmi.
Sembrava che la mia insistente cantilena fosse stata inutile, ma dopo le una del mattino mi è stato permesso di fare la chiamata.
Poche frasi con mio padre, anche se la linea era sicuramente controllata, e avevo già detto tutto.
Potevo passare alla tappa successiva della mia resistenza, che ho definito “ibernazione”, perchè quando si dà un nome a una cosa significa classificarla e crederci.
Ho rifiutato di mangiare e non ho voluto ingerire nessun tipo di liquidi; ho rifiutato di sottopormi ai controlli medici di alcuni dottori che volevano visitarmi.
Ho rifiutato di collaborare con i miei aguzzini, dicendoglielo chiaro.
Non potevo cancellare dalla mia mente la resa di Carromero in oltre due mesi di lotta con quei lupi che ogni tanto recitavano il ruolo delle pecore.
Per buona parte del tempo tutto quel che facevo veniva filmato dalla telecamera maneggiata da un sudaticcio paparazzo.
Non so se un giorno o l’altro trasmetteranno qualche sequenza alla televisione ufficiale, ma ho impostato le mie idee e la mia voce in modo tale che non potessero essere usate per colpire le mie convinzioni.
Possono scegliere tra mantenere le immagini con l’audio originale che contiene la mia domanda o ripetere il trucco di sovrapporre la voce di un doppiatore.
Ho cercato di rendere il più difficile possibile il montaggio successivo di quel materiale.
Ho fatto solo una richiesta in 30 ore di detenzione: devo andare al bagno. Io ero pronta a dare battaglia fino alla fine, ma la mia vescica no.
Dopo mi hanno condotta in una cella di lusso.
Avevo passato diverse ore in una prigione con le tende alle sbarre e all’interno faceva un caldo terribile.
Per questo trovarmi in una sala più ampia, con televisore e diverse sedie, che terminava in una camera munita di un letto confortevole è stato davvero un colpo basso.
Osservando il tessuto delle tende, ho avuto il presentimento che fosse lo stesso posto dove era stata fatta la prima registrazione circolata in Internet delle dichiarazioni di àngel Carromero.
Ho capito subito che non mi trovavo in una camera, ma in un set cinematografico.
Per questo non ho voluto sdraiarmi su quelle lenzuola pulite e ho rifiutato di mettere la mia testa su quei cuscini tentatori.
Ho raggiunto una sedia in un angolo della stanza ed è lì che mi sono raggomitolata.
Due donne vestite con abiti militari sorvegliavano ogni mia mossa.
Stavo vivendo il dejà -vu di un’altra persona, il ricordo dello scenario dove Carromero aveva trascorso i primi giorni di detenzione.
Non era facile, non tanto per le botte o per la tortura, ma perchè ero convinta che non mi potevo fidare di ciò che stava accadendo tra quelle pareti. L’acqua poteva non essere acqua, il letto sembrava una trappola e il premuroso dottore aveva le sembianze di una spia.
Non restava che immergersi negli abissi dell’“io”, chiudendo le porte al mondo esterno. È proprio quello che ho fatto.
La fase “ibernazione” si è conclusa in un letargo auto provocato.
Non ho più detto una parola.
Quando mi hanno riferito che stavano per trasferirmi all’Avana, mi è costato fatica aprire le palpebre e la lingua sembrava uscirmi dalla bocca per colpa della sete prolungata.
Ma sapevo di aver vinto.
In un gesto finale, uno dei miei aguzzini mi ha teso la mano per aiutarmi a salire sul pulmino dove si trovava anche mio marito.
«Non accetto cortesie dai repressori», gli ho detto, fulminando con lo sguardo.
Il mio ultimo pensiero è stato per il giovane spagnolo che in quel 22 luglio ha visto cambiare la sua vita e ha dovuto lottare contro tutta quella serie di inganni.
Arrivata a casa ho saputo degli altri detenuti e che la stessa famiglia di Oswaldo Payà¡ non è stata ammessa nella sala del tribunale.
Ho saputo anche che il pubblico ministero ha chiesto sette anni di detenzione per àngel Carromero e che il processo di questo venerdì era ormai “concluso in attesa di sentenza”.
Il mio era stato solo un incidente, il vero dramma continua a essere la morte di due uomini e la reclusione di un altro.
Yoani Sanchez
(da “La Stampa“)
argomento: denuncia | Commenta »
Ottobre 7th, 2012 Riccardo Fucile
LA REGIONE SPOSTERà€ LA SEDE IN UN PALAZZO DI 205 METRI … COSTO DELL’OPERAZIONE? UFFICIALMENTE 262 MILIONI, MA NESSUNO CI CREDE
Il Piemonte ce l’ha più alto di tutti. Anche di Formigoni.
Il nuovo Pirellone della Regione Lombardia, infatti, con i suoi 161 metri di altezza, potrebbe impallidire di fronte alla torre della Regione Piemonte in costruzione a Torino in zona Lingotto: un grattacielo da 41 piani fuori terra per 205 metri di altezza (progettato da Massimiliano Fuksas) che sovrasterà i 168 metri della Mole Antonelliana e i 166 metri del grattacielo di Intesa San Paolo, in avanzato stato di realizzazione di fronte alla stazione di Porta Susa.
Un manufatto destinato ad alterare pesantemente lo skyline subalpino, ma la questione non è estetica (gli appassionati di questo tipo di costruzioni già lo considerano un gioiello) e nemmeno di opportunità .
Interrogarsi adesso sulla necessità che una delle Regioni più indebitate d’Italia si doti di una sede faraonica è abbastanza ozioso, dal momento che i lavori proseguono spediti, come si può ammirare da un’apposita terrazza sul cantiere inaugurata a luglio e da una webcam attiva 24 ore su 24 sul sito ufficiale della Regione Piemonte.
L’interrogativo riguarda i costi: possibile, infatti, che un manufatto di 205 metri che andrà ad occupare un’area di oltre 70 mila metri quadrati possa costare “soltanto” 262 milioni di euro, quando il nuovo Pirellone e il grattacielo Intesa San Paolo (entrambi più bassi e su una superficie inferiore) sono costati rispettivamente 400 e 500 milioni?
Non ci credono i pochi attivisti di “Non grattiamo il cielo di Torino”.
Chiedono che l’altezza venga dimezzata: “Anche perchè – dichiara l’ex assessore all’Ambiente di Torino Paolo Hutter – con la spending review, quindi meno dipendenti e meno metri quadri per impiegato, molti uffici potrebbero rimanere vuoti”.
Di una sede unica della Regione Piemonte (attualmente i circa 2.700 dipendenti sono dislocati in una trentina di sedi sparse per la città ) si parla dal 2003, quando la giunta dell’allora presidente Enzo Ghigo (Forza Italia) commissionò all’archistar Fuksas il progetto di un nuovo palazzo che in origine avrebbe dovuto essere un grattacielo più piccolo, 100 metri per 100 milioni, in zona borgo San Paolo.
Nel 2005 la nuova giunta guidata da Mercedes Bresso prima bocciò il progetto per una questione di opportunità economica, poi fece suo il sogno di Ghigo, fino a dare il via libera al progetto definitivo nel maggio 2009: non più 100 ma 200 metri, non più Borgo San Paolo ma il Lingotto, precisamente l’enorme area dismessa dell’ex Fiat Avio, pagata all’azienda di casa Agnelli 50 milioni di euro.
Nel 2010 la nuova giunta Cota protestò per la maxiparcella dello studio Fuksas (22,5 milioni di euro), ma alla fine anche il Piemonte targato Lega Nord si è impossessato del sogno di Ghigo.
Ed è stato proprio l’ex delfino di Bossi, il 30 novembre 2011, a inaugurare in pompa magna il cantiere.
Il sistema di finanziamento dell’opera è il “leasing immobiliare in costruendo”, ossia l’ormai collaudato project financing, un mutuo da 262 milioni di euro rateizzato per vent’anni in canoni semestrali da 12,6 milioni di euro l’anno.
La gara è stata vinta da Mps Leasing & Factoring (Monte dei Paschi), i lavori affidati a Coopsette, colosso delle infrastrutture che a Torino costruisce anche l’inceneritore del Gerbido.
La Regione Piemonte conta di far fronte all’impegno di spesa vendendo l’attuale sede della Giunta in piazza Castello e le altre sedi di proprietà tra le decine in uso in città (ricavo previsto 80-90 milioni di euro), risparmiando sui canoni di affitto delle sedi non di proprietà (circa 13 milioni l’anno), risparmiando sulle bollette (un milione) e – soprattutto – ricavando denaro cash della vendita dei diritti edificatori sui quasi 100 mila metri quadrati, un quartiere nuovo di pacca che si andrà ad aggiungere ai già numerosi insediamenti sorti un po’ dappertutto negli ultimi quindici anni (il rovescio della medaglia del “rinascimento” torinese pre e post olimpico).
Un meccanismo che portò l’ex vice di Mercedes Bresso Paolo Peveraro a parlare addirittura di “operazione a costo zero”, ma — fino a prova contraria — sembra davvero irreale che tutto possa risolversi con 262 milioni di euro.
Più facile che nel contratto di leasing ci sia la solita clausola che garantisce il privato: se il committente non sarà in grado di rimborsare le banche, lo Stato ci metterà una pezza.
E a pagare i sogni di grandeur ci penseranno i piemontesi di domani.
Stefano Caselli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Politica, Regione | Commenta »
Ottobre 7th, 2012 Riccardo Fucile
PROTESTE DI ASSESSORI E CONSIGLIERI REGIONALI, DALLA PUGLIA AL VENETO, CONTRO I TAGLI ANNUNCIATI DAL GOVERNO DELLE MAXI-INDENNITA’ FINORA PERCEPITE
Se non è rivolta poco ci manca.
Sono fortissimi i maldipancia degli eletti nelle Regioni di fronte al decreto con cui il governo intende dare una bella sforbiciata agli emolumenti dio consiglieri e assessori.
Tagli che arrivano addirittura «fino al 95 per cento» dei fondi oggi elargiti ai gruppi consiliari, come spiega il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà .
Da Nord a Sud c’è maretta, a cominciare dal caso monstre dell’assessore lombardo alle Infrastrutture, il pidiellino di osservanza ciellina Raffaele Cattaneo, che fa due conti e si lamenta perchè alla fine – dice – non riuscirà neppure a pagare il mutuo.
Prendendosi gli sberleffi del popolo di twitter, dove in molti gli rispondono con un sarcasmo velenoso: «Allora faremo una colletta in suo favore».
Nel Veneto, il governatore leghista Luca Zaia sente il bisogno di alzare gli scudi contro il malessere che serpeggia tra i consiglieri regionali, anche del gruppo del Carroccio (le Regioni entro il 30 ottobre dovrebbero adeguare gli emolumenti a quelli della Toscana, considerata la più virtuosa, e se non rispettassero il termine sarà il governo a decidere per loro entro il 30 novembre).
«Il decreto del governo – sbotta Zaia – va nella giusta direzione, se qualcuno si mette di traverso gli passo sopra, perchè sono io a metterci la faccia. Fischiano le orecchie al consigliere leghista (e iperbossiano) Santino Bozza, che interpreta così un “sentimento” assai diffuso: «Tagliare gli stipendi nelle Regioni? Si cominci dalla Sicilia, dove i consiglieri guadagnano 17mila euro al mese contro i nostri 8mila: i diritti acquisiti non si toccano».
In Puglia il consigliere del Pdl Lucio Tarquinio parla addirittura di «schiaffo» del governo: «Se lo accettassimo, riconosceremmo di essere Batman anche noi; non accetto che un Consiglio dei ministri in cui non c’è neppure un eletto dal popolo cancelli di fatto la Costituzione italiana; la dignità e le competenze del consiglio regionale non possono essere svendute».
In Piemonte, dove tre giorni fa il governatore leghista Roberto Cota ha minacciato di espellere dalla maggioranza il consigliere dei Pensionati Michele Giovine che faceva ostruzionismo contro i tagli decisi dalla giunta, c’è una forte preoccupazione per il destino del personale in forza ai gruppi consiliari, che addirittura si dice possa essere azzerato.
Aldo Reschigna, capogruppo del Pd: «Chiediamo una riflessione a governo e Parlamento, perchè sono coinvolte decine e decine di persone; la casta non c’entra, parliamo di gente spesso con un reddito limitato e anche di una certa età ».
Su questa linea pure Francesco Storace, consigliere nel disastrato Lazio: «Applaudiremo se a questi tagli si aggiungeranno quelli del numero dei parlamentari, di cui non si parla più, se i rimborsi ai partiti saranno finalmente aboliti, se anche le indennità di deputati e senatori subiranno un dimagrimento».
Via libera al decreto dal presidente della Toscana Enrico Rossi, che però non rinuncia a una puntuta precisazione: «Ci vuole il pugno di ferro, ma dev’essere selettivo, perchè non tutte le Regioni sin comportano allo stesso modo, e quelle virtuose vanno premiate».
E il capogruppo del Pd, sempre in Toscana, dice in chiaro ciò che in moltissimi sussurrano: «Bene il decreto, ma sarebbe stato meglio se le Regioni avessero presentato al governo una loro proposta; invece sull’onda dello scandalo del Lazio i governatori hanno delegato ogni scelta a Monti, e questo è stato un errore».
argomento: Regione, sprechi | Commenta »
Ottobre 7th, 2012 Riccardo Fucile
SARANNO L’AGO DELLA BILANCIA DELLE PROSSIME ELEZIONI….E FANNO GOLA A TUTTI
“Siamo vincoli o sparpagliati?” si chiedeva negli anni Sessanta Peppino De Filippo, il Pappagone televisivo.
Il piccolo schermo era in bianco e nero, il mondo era diviso a metà , di qua o di là del Muro, l’Italia con il partito comunista più grande d’Occidente non faceva eccezione, anzi.
Arrivò la tv a colori e poi la Seconda Repubblica, al muro di Berlino si sostituì il muro di Berlusconi, lo spettacolo non è cambiato: pro o anti Silvio, per vent’anni le tribù della politica si sono scontrate così.
Fino al 9 novembre 2011. Quando il muro di B. è caduto e ha lasciato il posto al governo di Mario Monti.
E i due popoli che erano uniti, vincoli, nei loro accampamenti, si sono sparpagliati.
Quattordici milioni. È il numero di potenziali votanti in transumanza dalle loro tradizionali appartenenze, destra, sinistra, centro, in cerca di casa politica.
Berlusconiani delusi, militanti del centrosinistra in uscita, tentati dall’astensione, indecisi.
Il 40 per cento del corpo elettorale (alle ultime consultazioni, nel 2008, votarono 38 milioni di italiani).
Elettori indignati, nauseati, furibondi per gli scandali, ultimo caso la mangiatoia dei consigli regionali.
Sempre meno propensi a votare per il loro partito tradizionale o semplicemente a tornare alle urne.
Voti nomadi, che abbandonano le vecchie frontiere per lanciarsi verso nuove terre promesse.
Gli Sparpagliati: saranno loro a fare la differenza: nelle primarie del centrosinistra e poi nel voto del 2013.
Indipendenti, li chiama con il distacco dello scienziato il politologo Roberto D’Alimonte, studioso di sistemi elettorali.
«Negli Stati Uniti sono definiti così gli elettori che non si schierano nè con i democratici nè con i repubblicani.
In Italia sarebbe meglio parlare di elettori disponibili, ma c’è il rischio di essere fraintesi», spiega l’editorialista del “Sole 24 Ore” con il pensiero rivolto ai tanti Scilipoti disposti a tutto. «Il primo grande disallineamento dell’elettorato italiano c’è stato quando dopo l’89, scomparso il pericolo comunista, una parte dell’elettorato del Nord si spostò dalla Dc alla Lega che ottenne nei primi anni Novanta il suo massimo storico. Ora c’è un nuovo scongelamento, il crollo di Berlusconi ha liberato un’area disponibile a scegliere qualcosa di nuovo. Ma gli indipendenti sono anche nel campo democratico. Il Pd è nei sondaggi il partito più grande con il suo 26-28 per cento, ma è un consenso misurato sulla metà degli intervistati che dichiarano di voler andare a votare».
La prima scossa c’è stata alle elezioni amministrative di primavera, quando il crollo del Pdl, la sconfitta della Lega nelle sue tradizionali roccaforti e l’ascesa del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo hanno rivoluzionato la geografia politica.
Risultato: lo spaesamento.
Mappe da riscrivere, bussole impazzite. E lo sconvolgimento è appena all’inizio.
«Nel Lazio rischiamo di ripetere in grande il caso Parma», spiega ad esempio il senatore del Pdl Andrea Augello. «Lì il Pdl fu spazzato via dagli scandali, il Pd pensò di vincere facile per assenza di avversario. E invece ha vinto Grillo».
E in vista del 2013, i leader di sempre sono impegnati a indossare un abito nuovo.
Al centro c’è la coppia formata da Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, entrambi in Parlamento dal 1983, che si propone come alfiere del Monti bis: la riproposizione dopo il 2013 di un governo guidato dall’attuale premier, in testa in tutti i sondaggi di gradimento e in crescita nelle ultime settimane, sostenuto da una lista che rivendica il suo programma.
Il tentativo di colmare il vuoto provocato tra i moderati dal crollo del berlusconismo, simboleggiato plasticamente dal pubblico che accorre agli eventi dei leader centristi, i Mille di Fini ad Arezzo, il raduno dell’Udc a Chianciano: poche facce note, platee anonime selezionate per dare l’impressione di una società civile disposta a impegnarsi, facce e giacche tipiche di un convegno di rappresentanti di categoria più che di una kermesse politica.
La stessa tipologia sfoggiata dalla Lega di Roberto Maroni al Lingotto di Torino.
E che affollerà i prossimi appuntamenti: l’assemblea di Riccione del nuovo movimento di Giulio Tremonti, la convention di Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo.
Cinquanta sfumature di grigio, con l’illusione di mimetizzare i precedenti fallimenti politici e di intercettare la voglia di montismo.
«Ma il gradimento di Monti va al di là del suo governo», spiega Roberto Weber, presidente della Swg.
«Un conto è Monti, altro è il profilo di quelli che vorrebbero richiamarsi al montismo: Casini, Fini, Corrado Passera… Non sarà facile per loro vendere il prodotto Monti senza la certificazione del Professore».
«La lista Monti sarebbe un’offerta politica nuova, ma non si può fare con il trucco. E non ci sarà », prevede D’Alimonte.
E dunque, in assenza di Monti, l’elettore spaesato e sparpagliato guarda con curiosità al big match nel campo democratico: le primarie per scegliere il candidato premier del centrosinistra, la gara tra Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola, Bruno Tabacci e soprattutto il sindaco rottamatore Matteo Renzi.
Con il Pdl in via di scioglimento (quotato 15 per cento dopo lo scandalo Fiorito, a rischio scissione tra ex forzisti e ex An), è nei gazebo del Pd che possono formarsi i nuovi schieramenti, mescolarsi i vecchi popoli, come i tedeschi dell’Est e quelli dell’Ovest dopo la caduta del muro di Berlino.
Per la prima volta nel Pd si è fatta drammatica la battaglia sulle regole delle primarie, con il tentativo della dirigenza bersaniana del partito di limitare la possibilità di voto agli elettori del centrosinistra.
Albi degli elettori, raccolte di firme, primo e secondo turno, obbligo di registrazione on line. Obiettivo: impedire che la partecipazione alle primarie di ex elettori del Pdl condizionino il risultato, a favore dello sfidante, il sindaco Renzi, che in tutte le piazze d’Italia invita esplicitamente gli ex berlusconiani ad affollare i gazebo del Pd, a sconfinare nelle primarie del centrosinistra.
Un corteggiamento che sta producendo il suo effetto.
«Voterò alle primarie della sinistra e darò la mia preferenza a Renzi. E lo farò anche se dovrò recarmi in qualche sezione di partito per iscrivermi in qualche albo», ha scritto sul “Foglio” la politologa Sofia Ventura, intellettuale liberale, che in realtà berlusconiana non è mai stata.
Il prototipo dell’elettrice indipendente.
Eppure, racconta la studiosa, «su Twitter sono piovuti gli insulti di alcuni militanti e perfino di qualche dirigente del Pd: avamposto delle truppe cammellate della destra, ghost writer di Fini, berlusconiana, fascista… Hanno scritto che non era legittimo che il mio voto, che non viene da sinistra, contasse quanto il loro, che sono nel partito da sempre».
Una reazione benedetta dal quotidiano del Pd.
«Ogni soggetto politico, dinanzi a manovre di sabotaggio, deve aggrapparsi all’istinto di sopravvivenza. Ogni campo ha il diritto di organizzare i suoi confini identitari senza incursioni corsare», ha tuonato su “L’Unità ” Michele Prospero.
Campo, perimetro, confine, nel Pd si sprecano le metafore per segnalare la preoccupazione di tenere unite le truppe al riparo dalle invasioni avversarie.
«La nostra gente», la chiama Bersani. Matteo Orfini, leader dei giovani turchi postcomunisti, la butta sul teologico. «Extra ecclesiam nulla salus», ha dettato sul “Manifesto”, come se il Pd fosse una chiesa.
«Ma è proprio questo il problema», reagisce Weber. «Il Pd di Bersani esprime un voto di conservazione dell’esistente, ma è incapace di uscire dal suo recinto, non travalica, non recupera gli italiani “anomici” che esprimono una richiesta di cambiamento radicale.
E senza intercettare quei voti lì non si vince».
Chi potrebbe farlo? «Monti, se fosse protagonista in prima persona», risponde Weber. «Quella di Casini e Fini è un’operazione di basso profilo: vorrebbero che Monti ci mettesse la faccia, loro portano i parlamentari», concorda Sofia Ventura.
«La gente non vuole più vedere le solite facce. E le novità per ora sono Renzi e Grillo», conclude D’Alimonte.
In attesa di nuovi arrivati, sono loro i campioni di questa inedita, irriconoscibile Italia elettorale senza frontiere.
Sparpagliata.
Marco Damilano
(da “l’Espresso”)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 7th, 2012 Riccardo Fucile
ALLARME TRA I DIRIGENTI… MA LA RUSSA, GASPARRI, ALFANO E CICCHITTO NON HANNO ALCUNA INTENZIONE DI FARSI ROTTAMARE
Berlusconi vuole sbaraccare il partito. No, vuole lasciare la politica e nemmeno si candiderà in Parlamento…
In queste ore nel Pdl le voci si rincorrono e tra i dirigenti l’allarme è massimo.
Quali siano le reali intenzioni del Cavaliere, nessuno sa dirlo perchè nelle riunioni (sempre più rare) lui ascolta, tace, sbadiglia, al massimo annuisce con scarsissima partecipazione.
Da quando è esploso lo scandalo del Lazio, Silvio è diventato ancor più una sfinge.
E la fibrillazione dei suoi colonnelli aumenta.
Lo avevano convinto (così loro credevano) che al Pdl basterebbe un rinnovamento serio ma senza rivoluzioni, un cambio di nome e una grande assemblea ai primi di dicembre per darne l’annuncio.
Alfano ha pure fatto filtrare, tutto soddisfatto, la svolta su qualche giornale.
Invece poi Berlusconi, incontrando gente, ha detto che non condivide il percorso, di questo partito così com’è lui non sa che farsene, vuole l’azzeramento totale e in fretta, un paio di settimane al massimo per renderlo operativo.
Ha vagheggiato una grande alleanza tra tutti i moderati, da Casini a Montezemolo, nell’ambito di un nuovo contenitore politico. E, a quanto pare, ha prospettato in questi suoi colloqui nientemeno che il proprio ritiro dalla politica, se il passo indietro fosse necessario per ottenerne uno in avanti dai possibili alleati.
Al momento non si direbbe che Casini, tantomeno Montezemolo, siano minimamente interessati all’offerta del Cavaliere.
Però, casomai lo fossero, non c’è ombra di dubbio che l’attuale Pdl con tutte le sue correnti e i personaggi più o meno usurati sarebbe d’impaccio e non di aiuto al parto della nuova alleanza.
Per potersi fondere in un nuovo progetto, Berlusconi deve prima disfarsi della sua creatura politica.
E ricostituirla a propria immagine e somiglianza.
Inutile dire che i vari La Russa, Gasparri, Cicchitto, e lo stesso Alfano, non hanno la minima intenzione di farsi rottamare.
Alcuni di loro in privato si dichiarano pronti ad alzare le barricate e addirittura, se occorre, a mandare avanti il Pdl senza il suo Fondatore.
Nella speranza che alla fine lui receda e torni a più miti consigli.
Ma Silvio tornerà sui suoi passi?
Dalle parti di Arcore qualcuno sostiene che nemmeno lui ha deciso, sta vagliando tutte le soluzioni. Al momento l’unica certezza è che il Pdl tra due mesi al massimo chiuderà i battenti.
Il resto è nebbia.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
argomento: Berlusconi, PdL | Commenta »
Ottobre 7th, 2012 Riccardo Fucile
Il “MANIFESTO PER IL BENE COMUNE DELLA NAZIONE”: IN DIFESA DELLA VITA E DELLA FAMIGLIA
«Manifesto per il bene comune della Nazione». È questo il titolo del documento «neoconservatore» proposto da Gaetano Quagliariello e Maurizio Sacconi della Fondazione Magna Carta, Maurizio Gasparri di Italia protagonista, Roberto Formigoni di Rete Italia, Mariastella Gelmini di Liberamente e Gianni Alemanno della Nuova Italia.
L’obiettivo dei sei promotori è quello di sostenere con quest’iniziativa i temi tradizionali come la difesa della vita, della famiglia e della comunità .
Contribuendo, si legge nella presentazione, «alla rielaborazione delle idee liberali e comunitarie per declinare alla luce delle sfide del presente e del futuro i valori della nostra tradizione nazionale. Solo dai conservatori delle cose buone, infatti, può venire un’autentica spinta al cambiamento e alla modernizzazione».
Ma il testo è anche un’occasione per suscitare il dibattito in vista del convegno, tra credenti e non credenti, che ogni anno la Fondazione Magna Carta organizza a Norcia, e che, in questa ottava edizione, sarà intitolato «A Cesare e a Dio».
Questo manifesto di intenti si propone di contribuire alla rielaborazione delle idee liberali e comunitarie, per declinare alla luce delle sfide del presente e del futuro i valori della nostra tradizione nazionale.
Solo dai conservatori delle cose buone, infatti, può venire un’autentica spinta al cambiamento e alla modernizzazione. Il presente documento è aperto all’adesione e al contributo di tutte le altre associazioni e fondazioni dell’area di centrodestra.
Le sfide della società post-moderna
Le grandi trasformazioni del nostro tempo richiedono una capacità di governo che sappia coniugare competenza e visione, sostenute da principi morali e da una coerente intelaiatura intellettuale.
Per vincere la sfida, la rappresentanza politica dei “liberi e forti” costruttori di benessere per sè e per gli altri, dovrà rivelarsi attrezzata non solo per l’assunzione di decisioni efficaci ma anche per l’affermazione di una cultura di riferimento.
A fronte di una compressione della dimensione assistenzialistica dello Stato, sono infatti i valori e la conseguente visione della persona e della società a mobilitare quest’ultima verso obiettivi di crescita.
Si tratta di risvegliare nel corpo vivo della nazione quel principio di verità e di responsabilità che deriva dalla tradizione dei padri, rifiutando quel pensiero debole in nome del quale la sinistra, nel tentativo di tenere insieme ciò che insieme non può stare, relativizza la dimensione dell’uomo e coltiva la pretesa giacobina di poter tutto risolvere nello Stato.
E’ nel riferimento alla tradizione che credenti e non credenti possono rintracciare una verità condivisa sulla quale fondare il laico esercizio delle funzioni pubbliche.
La grave crisi che ha investito l’Occidente origina proprio da una perdita di senso che ha causato il declino demografico, la riduzione della capacità innovativa delle giovani generazioni e l’illusione di poterla sostituire con la finanza virtuale e con la perpetuazione di sistemi di protezione sociale ormai insostenibili.
E se questa è la genesi della crisi, è evidente che la risposta ad essa non può essere meramente tecnocratica. L’esperienza ci insegna che il sistema capitalistico ha funzionato quando ha fondato il perseguimento del benessere dei più — e potenzialmente di tutti – su quella base etica che considera la persona fine ultimo e misura di ogni azione umana.
E la persona nella nostra tradizione non è un’entità isolata, portatrice di desideri privati che si fanno illimitatamente diritti pubblici.
Al contrario, la persona è naturalmente portata alle relazioni con le altre persone e in esse trova il senso della vita: dalla famiglia alle infinite forme comunitarie – inclusa l’impresa, spesso di origine familiare – ove condivide interessi e valori con gli altri.
Una antropologia positiva in luogo dell’homo homini lupus.
A fronte di una tendenza nichilistica al declino, è la promozione della centralità della persona e del valore della vita dal concepimento alla morte naturale il presupposto per lo sviluppo della società , per la sua vitalità economica e demografica, che si nutre della difesa della famiglia naturale, del principio di sussidiarietà , della libertà delle scelte educative.
L’Occidente, l’Europa, l’Italia e la sfida della sovranità
Una nuova fase dello sviluppo richiede anche una sua equa distribuzione in un quadro di stabilità geopolitica e finanziaria.
L’Occidente ha ancora molto da offrire al mondo se ritrova le proprie radici e le afferma nel dialogo con le altre culture.
Al binomio identità – incontro si devono ispirare gli stessi processi di integrazione indotti dai flussi migratori.
Da questa concezione, oltre che da una nozione identitaria dell’Italia e dell’Europa, deriva una idea di cittadinanza ben diversa da quell’attribuzione meccanica e burocratica di diritti che tanti guai ha provocato nei Paesi che hanno ceduto all’abbaglio del multiculturalismo.
Ne discende, piuttosto, una idea della cittadinanza quale risultato di un libero e motivato percorso di ingresso nella comunità nazionale della quale, fermi restando i diritti fondamentali di ogni persona in quanto tale, si conoscano e riconoscano gli elementi fondativi.
Le degenerazioni fondamentaliste e il terrorismo richiedono risposte ferme sotto il profilo culturale e sul piano della sicurezza.
Ma la sconfitta di questi fenomeni si realizza anche rinnovando in termini di trasparenza e responsabilità quegli assetti capitalistici che si sono rivelati fonte di instabilità e di incertezza per le persone.
Il rischio e’ componente necessaria del capitalismo ma diventa azzardo nella opacità e nella irresponsabilità .
L’integrazione europea può essere fonte di stabilità e di crescita solo se fondata sulle culture da cui originano le comunità nazionali e conseguita attraverso un percorso nel quale il nostro legittimo interesse nazionale possa trovare rappresentazione.
La cessione di sovranità nazionale all’Unione nelle materie della moneta, della spada e della feluca si deve accompagnare non solo con la concreta adozione di strumenti comuni di sicurezza ma soprattutto con una visione geopolitica condivisa delle relazioni strategiche con l’Europa dell’Est, con il bacino mediterraneo e con la dimensione transatlantica che impediscano al continente di circoscrivere la propria traiettoria di sviluppo verso il Baltico.
La politica energetica è componente essenziale di questa visione, così come l’Unione ha il compito di semplificare la propria regolazione interna e di negoziare regole eque del commercio globale in modo da salvaguardare le proprie imprese dalla ingiusta competizione con attività sregolate.
L’Italia, infine, può e deve recuperare sovranità abbattendo il suo debito attraverso la valorizzazione finanziaria del suo patrimonio pubblico mobiliare e immobiliare.
Ne deriverebbe una minore dipendenza dall’esterno per le ridotte esigenze di collocamento dei titoli di Stato e l’avvio di un significativo contenimento della pressione fiscale.
La crisi e la sfida dell’economia sociale di mercato
I valori della tradizione proiettano verso l’idea di una economia sociale di mercato fatta di meno Stato più società , più efficienza pubblica meno tasse, meno diritto pubblico più diritto privato, meno leggi più contratti, meno giustizia pubblica e più disponibilità alle soluzioni stragiudiziali.
Nè le ragioni di rigore indotte dall’emergenza possono in alcun caso condurre alla desertificazione della diffusa vitalità locale.
Più che con interventi generalizzati, la conservazione dei fattori di dinamismo e il superamento delle inefficienze si conciliano applicando criteri di responsabilità .
Il federalismo fiscale, in particolare, sostituisce con parametri equi di buon governo il riferimento alla spesa storica, e introducendo il principio di responsabilità consente di addebitare il fallimento politico agli amministratori incapaci.
Lo stesso sistema di protezione sociale può risultare più efficace ed efficiente se privilegia le dimensioni comunitarie, meno onerose e più inclusive rispetto alla dimensione statuale in quanto fondate sulle relazioni fra le persone.
Lo dimostrano già le buone pratiche sussidiarie in materia di integrazione socio-sanitaria (con le quali si evitano i ricoveri ospedalieri inappropriati), di lotta alla povertà , di pluralismo educativo. La sconfitta di ogni solitudine non si realizza attraverso le fredde burocrazie ma si compie attraverso il cuore degli uomini e il calore delle comunità .
Anche l’impresa, che in Italia è spesso di origine familiare, può valorizzare ulteriormente il suo carattere comunitario attraverso accordi aziendali prevalenti sugli stessi contratti nazionali, con i quali imprenditori e lavoratori concordano gli obiettivi, distribuiscono in proporzione i risultati, adattano la regolazione dei rapporti di lavoro dall’assunzione al licenziamento, organizzano forme di protezione sociale rivolte alla tutela del valore reale del salario, ai servizi di cura dei minori, allo studio dei figli, alla salute dei nuclei familiari, alla previdenza complementare, al sostegno assicurativo della non autosufficienza.
Quanto alla ricerca del lavoro, essa dovrebbe essere supportata mediante servizi non solo dalle funzioni pubbliche o dalle attività private ma dalle stesse parti sociali, in modo da conferire a ciascun territorio quella valenza comunitaria che non abbandona nessuno nelle transizioni difficili della vita. Il diritto di ciascuno alla occupabilità si realizza integrando scuola e lavoro, rivalutando lo studio della matematica ed il lavoro manuale, collegando università ed imprese.
La sfida delle istituzioni
Nessuna reale innovazione potrà tuttavia compiersi in assenza di un quadro istituzionale efficiente e di una organizzazione dello Stato che assicuri una legittimazione adeguata alla sfida della sovranità che la crisi ci ha posto di fronte.
In questo quadro, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica rappresenta l’unica innovazione in grado di garantire unità della nazione, oggettivazione del fattore carismatico, autorevolezza nelle sedi delle decisioni sovranazionali, autonomia e responsabilità dei territori, e un viatico per la faticosa conciliazione della questione settentrionale con quella meridionale.
Ma prima ancora, vi è una riforma decisiva per il superamento della fragilità politico-istituzionale del nostro Paese: la riforma della giustizia e del suo rapporto con la politica, in assenza della quale nessun governo sarà mai pienamente legittimato a operare per il bene del Paese.
Ne sono contenuto necessario una effettiva operatività dei principi costituzionali del giusto processo; una più compiuta responsabilizzazione del magistrato rispetto all’applicazione di norme e procedure spesso disattese; una autentica parità fra le parti, presupposto della terzietà del giudizio; un recupero della centralità del processo quale luogo di formazione della prova nel contraddittorio fra le parti; una forte promozione della mediazione, della conciliazione e dell’arbitrato nella giustizia civile e del lavoro; una maggiore deterrenza nei confronti delle liti temerarie.
La stabilità istituzionale e la certezza dei rapporti giuridici sono un bene primario per ogni società impegnata a crescere nel nuovo contesto competitivo.
La giustizia giusta, efficiente e imparziale è peraltro componente necessaria dell’impegno istituzionale contro il crimine, caposaldo per la sicurezza delle comunità .
Si riconducono infatti alle forze liberali e popolari di governo le discipline e le pratiche più efficaci per il contrasto della criminalità organizzata, mentre in altre coalizioni sono emerse propensioni al cedimento e al compromesso direttamente proporzionali all’uso della giustizia come strumento di lotta politica.
Conclusione
L’Italia è insomma a un bivio. Può ancora avere un grande futuro se lo costruisce con il cuore antico della sua tradizione e con la modernità di un progetto fondato sulla efficienza di una dimensione pubblica essenziale e, soprattutto, sulla vitalità della sua società .
(da “il Corriere della Sera “)
argomento: PdL, Politica | Commenta »
Ottobre 7th, 2012 Riccardo Fucile
NEL PDL SI AGITANO EX AN E NEOCON…. IL CAPOGRUPPO CHIEDE “DI ROMPERE GLI ORMEGGI”, PER LA SANTANCHE’ “IL DADO E’ TRATTO”… TUTTI PENSANO A “UNA COSA NUOVA CHE NASCA DAL BASSO”
Che siano centripete o centrifughe ci sono più forze che stanno premendo sul Pdl; i fedelissimi che scalpitano, gli ex An che puntano alla riorganizzazione, quelli che si definiscono “neoconservatori” che scrivono il manifesto della Nazione.
E infine quelli e quelle che sperano che il Caimano torni in pista o sul predellino pronto ad azzerare tutto per fondare un nuovo partito. Intanto quello vecchio, già Forza Italia, si sta dissolvendo ai piedi di un Capo che, nell’impasse, va in vacanza in Russia per festeggiare il compleanno del suo amico Vladimir Putin.
E così mentre Silvio Berlusconi temporeggia il suo partito si frantuma.
Il fedelissimo Cicchitto: “I voti non li prende solo lui”.
Il capogruppo Pdl alla Camera scalpita, vede che gli altri, pur nel confronto come il Pd si organizzano e scendono in campo come Vendola, mentre la sua formazione non fa nulla.
”Il Pdl si deve autorinnovare, non essere bombardato” spiega alla Stampa.
Certo “sono necessari un nome nuovo e nuovi volti, ma poi bisogna prendere i voti” e “i voti oggi per il Pdl e il centrodestra sono la somma di ciò che porta Berlusconi, ma anche il frutto del lavoro sul territorio di deputati, senatori, consiglieri regionali e comunali e dei giovani del movimento giovanile”.
Insomma, se mister B. pensa che da solo vale il 9% come detto in una delle ultimissime riunioni, anche altri sono in grado di portare gli elettori del centrodestra alle urne.
Lo scandalo dei fondi nel Lazio, con l’arresto del capogruppo alla Pisana Franco Fiorito, “ha complicato le cose, ma non si può buttare tutto dalla finestra per eliminare Fiorito”.
Nel partito argomenta Cicchitto “esistono giovani bravissimi compressi da anziani prepotenti ma anche personalità mature che hanno un loro prestigio e sono in grado di dare contributi positivi”.
Ma “il punto vero è riprendere l’iniziativa sul piano politico e definire la leadership: la mancanza di questi elementi ci pesa moltissimo: se avessimo Berlusconi in pista, o Alfano scelto con le primarie, la nostra situazione sarebbe migliore. Invece siamo spettatori delle primarie del Pd e dei tatticismi di Casini, fermi in una situazione contemplativa. O Berlusconi rompe gli ormeggi o Alfano si cimenta insieme agli altri, giovani o anziani, che siano, nelle primarie”.
Il Cavaliere, insomma, deve decidere se scendere in campo o meno: “Sono mesi che aspettiamo Godot” e “non si può rimanere ad aspettare fino a cinque giorni prima delle elezioni”.
Non importa se sarà Berlusconi o Alfano “a guidarci alle elezioni.Però dobbiamo decidere subito”.
Il tempo passa e le elezioni saranno in primavera.
Comunque, non ho nessuna posizione pregiudiziale sul cambio del nome, si chiami Centrodestra d’Italia o in qualsiasi altro modo. Ma tutto deve essere accompagnato da regole. Basta con le logiche verticistiche e la cooptazione. Nel partito facciamo votare gli iscritti”.
Alemanno, Gasparri e gli ex An.
Ci sono poi quelli che stavano con Fini, nella ex Alleanza Nazionale, e a scissione definita tra il presidente della Camera e l’ex presidente del Consiglio, hanno scelto di stare dalla parte del secondo.
Il sindaco di Roma però ha già fatto sapere di pensare che sia inopportuno presentarsi almeno a Roma sotto l’egida del Pdl e Maurizio Gasparri chiede “più decisioni che riunioni. Alfano ne ha proposte di concrete a Berlusconi. Le attuino”.
Oggi al coro si unisce Marcello De Angelis, ex An, deputato Pdl e direttore del Secolo, che in alcune interviste, dà quasi un aut aut al Cavaliere.
”Berlusconi pensa sempre di incarnare il valore aggiunto.
Benissimo, faccia la sua lista che prenderà magari il 10, 25%.
Ma anche noi possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo — dichiara al Messaggero — raccogliendo, che so, il 10-15% dei voti. Saremo la bad company del centrodestra? Bene ma spesso le bad company nelle mani giuste danno risultati insperati”.
E poi “ho letto che Berlusconi se ne vuole andare dal Pdl — ragiona con Repubblica — a me, a noi, il Pdl non fa affatto schifo, se a lui non interessa più ce lo lasciasse”.
Per De Angelis “può anche convenire a tutti fare due partiti, da una parte lui con chi vuole e dall’altra noi “non solo gli ex An” ma “tutti quelli che vogliono che la macchina vada avanti”. Come diceva Mao Tse Tung: marciare divisi per colpire uniti”.
Santanchè: “Il dado è tratto”.
Per l’ex sottosegretario Daniela Santanchè, invece, Berlusconi non è incerto o stanco, ma ha già deciso tutto.
“Ormai il dado è tratto e Berlusconi ha deciso — sostiene la deputata fuoriuscita dalla La Destra — ritiene conclusa l’esperienza del Pdl perchè non riesce a cambiarlo”.
Quindi l’idea, pare, sia quella di “darsi da fare per costruire una cosa nuova”. Una “entità che dovrebbe nascere dal basso, dalla società , dovrò rifiutare il finanziamento pubblico e affidarsi alle donazioni dei privati attraverso meccanismi di trasparenza”.
E in questa ottica lo stesso Cavaliere sarebbe pronto a guidare di nuovo il centrodestra. Insomma deciso a ricandidarsi con un nuovo simbolo e nome nuovo.
I neoconservatori del manifesto per la Nazione.
C’è poi l’iniziativa che accomuna molte anime sotto un unico ombrello di valori.
Ecco quindi il “manifesto per il bene comune della Nazione”, titolo del documento “neoconservatore” proposto da Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario dei senatori Pdl, dall’ex ministro Maurizio Sacconi della Fondazione Magna Carta, da Gasparri di Italia protagonista, dal presidente della Lombardia Roberto Formigoni di Rete Italia, dall’ex ministro Mariastella Gelmini di Liberamente e Alemanno della Nuova Italia.
Con l’obiettivo di sostenere i temi tradizionali “come la difesa della vita, della famiglia e della comunità ”.
Contribuendo, si legge nel documento, “alla rielaborazione delle idee liberali e comunitarie per declinare alla luce delle sfide del presente e del futuro i valori della nostra tradizione nazionale. Solo dai conservatori delle cose buone, infatti, può venire un’autentica spinta al cambiamento e alla modernizzazione”.
Ma nel frattempo tutto sembrare restare uguale in un immobile limbo.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Berlusconi, PdL | Commenta »
Ottobre 7th, 2012 Riccardo Fucile
NEL VOLUMETTO DI 50 PAGINE DECANTAVA VIZI E VIRTU’ DELL’EX CONSIGLIERE REGIONALE DELLA LEGA…CONDANNATO A 1.000 EURO DI MULTA E 5.000 EURO DI RISARCIMENTO
Mille euro di multa, 5000 di risarcimento e l’obbligo di rifondere 2500 euro di spese legali. Tanto dovrà pagare Michel Abatangelo, il blogger italo francese che nel 2009 aveva pubblicato “il diario segreto del Trota” un volumetto di 50 pagine scaricabile in pdf e diffuso a puntate sul suo blog “100 cose così” nel quale decantava vizi e virtù dell’ex consigliere regionale lombardo.
La sentenza è stata pronunciata dal giudice monocratico di Varese Anna Giorgetti, a fronte di una richiesta da parte del Pm Monica Crespi di 30 mila euro di risarcimento e 7 mesi di reclusione.
Le motivazioni della sentenza ancora non si conoscono.
Il giudice ha infatti dato lettura del dispositivo di condanna, ma il deposito avverrà solo tra qualche giorno.
Nel frattempo Gianmarco Beraldo, l’avvocato difensore di Abatangelo, che in aula aveva invocato il diritto di satira, ha già annunciato di voler ricorrere contro questa decisione, come si legge nel commento del legale postato sul blog del condannato: “Abbatangelo ha solo esercitato il suo diritto di critica”, inoltre: “non si può certo imputare ad Abatangelo se Renzo Bossi sia oggetto da tempo di ironie”.
Secondo la difesa, infine: “la satira è sempre contro il potere e non può essere elegante”.
Anche il blogger non ha tardato a postare la sua opinione sulla sentenza di condanna, senza perdere la caustica ironia che contraddistingue i suoi scritti: “Perchè ho come l’impressione che si tratti di una tirata d’orecchi?! Sarei curioso di leggere la sentenza, diffamazione… una barzelletta padana senz’altro!”.
E poi conclude: “La scrittura satirica non è uno sport, cioè, non chiede eleganza e rispetto delle leggi, chiede soltanto la forza di una sopraffazione. E a questo punto tutti i mezzi sono buoni”.
In tutto questo il “Diario segreto del Trota” oggetto della condanna è ancora disponibile in rete si tratta di una serie di novelle satiriche che prendevano di mira il figlio del Senatur, dallo stesso battezzato “Trota”, che evidentemente si è sentito leso nella reputazione e nella dignità .
Questo anche se lo stesso autore aveva palesato lo spirito del suo scritto fin dal principio: “Una letteratura satirica, iconoclasta, dissacrante, disincantata e surreale con episodi gustosissimi a due passi dalla realtà e talvolta più veri della Realtà stessa quando ispirano l’oggetto stesso della satira Renzo Bossi. Ebbe a dire una volta Pablo Picasso: Per dire la verità talvolta ci si deve servire della menzogna”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Bossi, Costume, denuncia, Giustizia | Commenta »
Ottobre 7th, 2012 Riccardo Fucile
MIRACOLOSAMENTE ILLESO MONTEZEMOLO: ERA ANDATO A COMPRARE 50 CRAVATTE PER MOSTRARSI PIU’ CENTRISTA… RUTELLI PENSA ALLA SCISSIONE: IL SUO PANCREAS RESTERA’ NEL PD…SPAVENTOSA NOTA SPESE DI FINI: DA SALO’ AL CENTRO C’E’ ANDATO IN TAXI
“In un’immaginaria linea retta che va da A a B, lunga anche migliaia di chilometri, il centro rappresenta un solo punto equidistante dagli estremi”.
Fa eccezione, come rileva la prestigiosa rivista Science, il centro della politica italiana, che comprende alcune decine di migliaia di esponenti politici.
Una costatazione che ha aperto un poderoso dibattito scientifico nella comunità internazionale, con tanto di sanguinose polemiche tra studiosi, guru della geometria, e studiosi di fama mondiale.
“Ribadisco che il centro può essere uno solo — dice Peter Nowmitz, decano dei docenti di geometria ad Harvard — quindi è semplice: uno tra Casini, Fini, Montezemolo mente”.
Vero, rispondono da Oxford, ma essere al centro di uno schieramento non ha valenze qualitative: si può essere al centro anche con un frullato di banana al posto del cervello”.
“E questo — scrive la prestigiosa pubblicazione Politics Analysys — include anche Francesco Rutelli”.
Altra cosa, puntualizzano i ricercatori della Shanghai University è dichiarare di essere al centro, ma essere pronti a spostarsi dove più conviene.
E’ il caso di Corrado Passera, come si legge in un lungo studio dell’istituto di studi matematici di Bogotà , significativamente intitolato “Centristas y paraculos, el caso italiano”.
In ogni modo, la teoria di un centro variabile con molti punti che si spostano al centro, anche urtandosi e rompendosi i coglioni a vicenda è appassionante. Fini, per esempio, spostandosi da destra al centro, ha urtato Casini, che ha travolto Montezemolo, spostando l’asse del centrismo verso la componente cattolica del Pd, che a sua volta è franata su Giovanardi che stava dormendo in Transatlantico.
Risultato: due contusi.
Verso il centro, ma da sinistra, si muove invece Matteo Renzi, che tenta di coprire tutta la linea: a sinistra a parole, a destra per proposta politica e al centro come ex boy-scout.
Secondo molti analisti, invece, il centro del centro sarebbe un ipotetico Monti-bis sostenuto dai vari centristi più o meno perfettamente centrati, il cui motto sarebbe “se stiamo molto al centro prima che ci prendano a legnate passerà del tempo”.
Alessandro Robecchi
(da “Il Misfatto“)
argomento: Costume, Politica | Commenta »