Ottobre 23rd, 2012 Riccardo Fucile
LE CARTE DIMOSTRANO CHE FURONO MANDATI DA BERTOLASO IN ABRUZZO PER MINIMIZZARE L’ALLARME, NESSUNO LI ACCUSA DI NON AVER PREVISTO IL TERREMOTO…LA TELEFONATA DI BERTOLASO: “DEVONO DIRE CHE LA SCOSSA NON CI SARA’”.
C’è persino chi tira in ballo Giordano Bruno e Galileo Galilei per commentare la sentenza contro i membri della Commissione grandi rischi per l’ormai famosa riunione indetta pochi giorni prima del terremoto in Abruzzo.
Lo fa il presidente della Toscana Enrico Rossi, che parla di una sentenza che “lascia sconcertati”, perchè la scienza “non si processa in tribunale”.
E agli esperti condannati a sei anni di reclusione arriva la solidarietà della comunità scientifica internazionale, in difesa dei colleghi colpevoli “di non aver previsto il terremoto”.
Accusa che giustamente appare assurda alla stragrande maggioranza dei sismologi, tutti concordi nel dire che allo stato attuale delle conoscenze fissare sul calendario la data anche approssimativa di un sisma è semplicemente impossibile.
Peccato che le cose non stiano affatto così, e probabilmente chi ha diffuso appelli per la libertà della ricerca non ha letto le carte dell’inchiesta.
A partire dalla memoria del pm dell’Aquila Fabio Picuti, depositata il 13 luglio 2010 e quindi ben nota, dove si legge: “L’intento non è quello di muovere agli imputati un giudizio di rimprovero per non aver previsto la scossa distruttiva del 6 aprile 2009 o per non aver lanciato allarmi di forti scosse imminenti o per non aver ordinato l’evacuazione della città ”.
Proprio perchè, è lo stesso sostituto procuratore a scriverlo, “la scienza non dispone attualmente di conoscenze e strumenti per la previsione deterministica dei terremoti”.
A inguaiare gli esperti capitanati dal presidente dell’Ingv Enzo Boschi non è stato il presunto oscurantismo dei giudici, ma l’esigenza tutta politica di “rassicurare” gli abitanti del capoluogo abruzzese, allarmati da una lunga sequenza di scosse e dai primi danneggiamenti di edifici, a partire da una scuola.
LE TESTIMONIANZE: “MORTE PERCHE’ RASSICURATE DA QUELLA RIUNIONE”
L’accusa è opposta a quella evocata negli appelli a difesa degli imputati: da quella riunione sono filtrati messaggi tranquillizzanti, tesi a escludere una scossa devastante.
Agli atti dell’inchiesta ci sono le testimonianze che raccontano come la vulgata mediatica di quella riunione abbia convinto molte future vittime a metter da parte ogni preoccupazione.
“Placentino Ilaria, deceduta nel crollo dell’abitazione di Via Cola dell’Amatrice n.17, e Rambaldi Ilaria, deceduta nel crollo dell’abitazione di Via Campo di Fossa n.6/B”, secondo le testimonianze dei parenti, “erano studentesse universitarie fuori sede che all’indomani del 31 marzo 2009 avevano scelto di rimanere a L’Aquila e di restare in casa la notte tra il 5 e il 6 aprile facendo affidamento sulle conclusioni della riunione della Commissione grandi rischi”.
La Commissione grandi rischi si riunisce a L’Aquila (scelta irrituale, dirà poi Boschi, visto che di solito gli incontri avvenivano a Roma) alle 18,30 del 30 marzo 2009, una settimana prima del terremoto notturno che avrebbe provocato più di 300 morti, devastando la città e diversi centri della provincia. Oltre al presidente dell’Ingv arrivano diversi pezzi grossi della Protezione civile e della sismologia nazionale, tra i quali Franco Barberi, presidente vicario della Commissione grandi rischi, Gian Michele Calvi, presidente dell’Eucentre di Pavia, anche loro condannati per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose.
LA TELEFONATA DI BERTOLASO: “DEVONO DIRE CHE LA SCOSSA NON CI SARA’”.
La ragione di quel vertice lo racconta Guido Bertolaso, allora capo della Protezione civile, dipartimento della presidenza del consiglio, con Palazzo Chigi occupato al tempo da Silvio Berlusconi:
“Ti chiamerà De Bernardinis, il mio vice, al quale ho detto di fare una riunione lì all’Aquila domani su questa vicenda di questo sciame sismico che continua, in modo da zittire subito qualsiasi imbecille, placare illazioni, preoccupazioni, eccetera”, spiega Bertolaso a Daniela Stati, assessore regionale abruzzese alla Protezione civile, in una telefonata intercettata per un’altra inchiesta (quella sugli appalti del G8).
Si tratta soprattutto di rintuzzare gli allarmi lanciati da Giampaolo Giuliani, un ricercatore che si diceva in grado di prevedere ulteriori scosse sulla base dell’analisi del gas radon, metodo noto ai sismologi, ma giudicato inaffidabile. “Io non vengo, ma vengono Zamberletti, Barberi, Boschi, quindi i luminari del terremoto d’Italia”, continuava Bertolaso.
“Li faccio venire all’Aquila o da te o in prefettura, decidete voi, a me non frega niente, di modo che è più un’operazione mediatica, hai capito? Così loro, che sono i massimi esperti di terremoti diranno: è una situazione normale, sono fenomeni che si verificano, meglio che ci siano 100 scosse di 4 scala Richter piuttosto che il silenzio perchè 100 scosse servono a liberare energia e non ci sarà mai la scossa, quella che fa male”.
Quindi la conclusione: “Parla con De Bernardinis e decidete dove fare questa riunione domani, che non è perchè siamo spaventati e preoccupati, ma è perchè vogliamo tranquillizzare la gente“.
L’operazione mediatica per “tranquillizzare la gente” ha successo.
Sono presenti amministratori locali, a partire dal sindaco Massimo Cialente, e molti giornalisti attendono fuori dalla porta.
“La mattina del primo aprile incontrai in Piazza palazzo il sindaco”, spiega ai pm l’allora presidente della Provincia Stefania Pezzopane.
“Mi confermò che secondo la Commissione la situazione era sotto controllo e che sostanzialmente non c’erano pericoli imminenti. Tant’è vero che già dal primo aprile decidemmo di riaprire le scuole che erano state chiuse precauzionalmente un paio di giorni”.
Tra le tante dichiarazioni rasserenanti rilasciate dopo la riunione, i magistrati ricordano in particolare quella di Bernardo De Bernardinis, vicecapo settore tecnico operativo della Protezione Civile.
Intervistato da Tv Uno, parla di “una situazione favorevole“, dato lo “scarico di energia continuo”.
BOSCHI E IL VERBALE POSTDATATO.
Il risultato della riunione del 30 marzo è riassunto in uno stringato verbale, nel quale Boschi definisce “improbabile una scossa come quella del 1703″, pur rimarcando che “non si può escludere”.
Dal testo si deduce che i massimi sismologi italiani si riuniscono a L’Aquila per dirsi quel che per loro ovvio, e cioè che i terremoti non si possono prevedere.
Ma l’imprinting di Bertolaso ottiene il suo effetto, se all’opinione pubblica passa un messaggio rasserenante.
Ma c’è di più. Il 16 settembre Boschi denuncerà in una lettera che quel verbale è stato redatto e firmato non la sera dell’incontro, ma in una nuova riunione convocata a L’Aquila il 6 aprile, subito dopo il sisma.
E’ Mauro Dolce, capo dell’Ufficio rischio sismico della Protezione civile, anche lui condannato al processo, a mostrargli “un testo che riporta in maniera confusa cose dette nella riunione del 31 marzo”.
Qualcuno, continua Boschi, “corregge il testo alla meno peggio e Dolce ce lo fa firmare per ‘ragioni interne’”.
In quel momento il presidente dell’Ingv apprende anche che il 30 marzo e il primo aprile “dalla Protezione civile sono stati diramati due comunicati (recanti anche il mio nome) ‘tranquillizzanti’ di cui non sapevo niente”.
I successivi gradi di giudizio diranno se i condannati in primo grado sono davvero colpevoli di quei reati e se i sei anni di reclusione sono proporzionati ai fatti attribuiti a ciascuno.
Ma a trascinarli in tribunale è stato il pasticcio politico-mediatico di quella riunione, non certo il presunto attacco alla libertà scientifica da più parti evocato.
E’ la dolorosa consapevolezza espressa dopo la sentenza da Giustino Parisse, il caporedattore del Centro che alle 3.32 del 6 aprile 2009 ha perso due figli: “Sono io la causa prima della morte di Domenico e Maria Paola e non me lo perdonerò mai”, scrive sul suo blog.
“Certo fra le tante colpe che ho c’è anche quella di essermi fidato della commissione Grandi rischi credendo a una scienza che in quella riunione del 31 marzo del 2009 rinunciò a essere scienza”.
Mario Portanova
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 23rd, 2012 Riccardo Fucile
CONTESTATO DA LAVORATORI ALLO STREMO CHE NON HANNO TROVATO SOLLIEVO NELLE SUE TESI LIBERISTE
«Le noste famiglie sono allo stremo e il Sulcis anche».
Queste sono le parole che un operaio di Portovesme ha urlato in faccia a distanza ravvicinata al sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che nel pomeriggio ha cominciato da un hotel di Carbonia il suo tour elettorale in Sardegna in vista delle primarie del centrosinistra previste per il 25 novembre prossimo.
Una delegazione di operai dell’Alcoa e dell’Eurallumina l’aspettava davanti all’albergo, dove Renzi e’ entrato dal retro.
In sala e’ stato accolto da fischi e assordanti cori di contestazione.
«Il dramma che vivono il Sulcis, la Sardegna, e tutta Italia deriva da trent’anni di politiche fallimentari che hanno rinviato il problema e oggi portano a un contesto in cui le persone non si fidano piu’ della politica – ha detto Renzi ai cronisti — Bisogna tutelare non il posto di lavoro, ma i lavoratori, quindi aiutarli a cambiare e accompagnarli con il sostegno dello Stato».
Dopo Carbonia, Matteo Renzi è arrivato a Iglesias, seconda tappa del tour elettorale di due giorni in Sardegna in vista delle primarie del centrosinistra, ed è stato accolto dai fischi dei lavoratori del Sulcis Iglesiente.
Una contestazione con urla e cori, in un territorio particolarmente colpito dalla crisi economica con realtà come Alcoa ed Eurallumina le cui vertenze sono ancora in atto.
(da “il Corriere Fiorentino”)
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Ottobre 23rd, 2012 Riccardo Fucile
IL REGOLAMENTO, DA LUI ACCETTATO A SUO TEMPO, PREVEDE SEMPLICEMENTE CHE SIA PUBBLICO L’ELENCO DI CHI SOTTOSCRIVE L’APPELLO A SOSTEGNO DEL CENTROSINISTRA E CHE RESTI RISERVATO INVECE L’ALBO DEGLI ELETTORI
Regole per le primarie, Renzi passa alle vie legali. Ci mancava solo quello.
È stato depositato il suo ricorso sull’albo degli elettori e sull’intero regolamento.
Lo conferma il presidente dell’Autorità per la Privacy, Antonello Soro.
“Il ricorso è di oggi – spiega -, vediamo di decidere in tempi brevi”. Il sindaco di Firenze chiede al Garante di giudicare se la pubblicità degli iscritti all’albo del centrosinistra viola le norme sulla riservatezza dei dati personali.
Nel testo si domanda di “valutare la legittimità del regolamento” e “indicare quali correttivi” siano possibili per rendere il testo “rispettoso della legge”.
Inoltre si propone la possibilità di potersi registrare online.
Pronta la risposta del segretario del Pd. “Sono regole che abbiamo deliberato all’unanimità – dice -. Adesso ci sono i garanti che devono farle rispettare. Le regole non le ho io, sono in mano ai garanti”.
In pratica sarà pubblico l’appello di sostegno al centrosinistra (che dovrà essere sottoscritto per iscriversi al voto) e non l’albo degli elettori (che sarà composto da chi ha effettivamente esercitato il diritto al voto ed è sottoposto alle norme sulla privacy). 4
Fonti interne al Pd, inoltre, hanno fatto notare che nel regolamento approvato dai garanti delle primarie, la partecipazione alle primarie “è aperta a tutte le elettrici e gli elettori, in possesso dei requisiti previsti dalla legge, che sottoscrivono il pubblico Appello di sostegno della Coalizione di centro sinistra ‘Italia Bene Comune’ e dichiarano di riconoscersi nella sua Carta d’intenti”.
Sarà invece tutelato dalle norme sulla privacy, hanno spiegato dal Pd, l’albo degli elettori che sarà ricavato dopo le operazioni di voto visto che non è automatico che chi sottoscrive l’appello pubblico e ha diritto di voto poi effettivamente lo eserciti.
Distinzione tra appello pubblico e albo su cui però il comitato Renzi vuole vederci chiaro: “E’ un ricorso a tutela di tutti, ora ci aspettiamo un intervento celere del Garante”
Commenta la decisione di Renzi anche Alessandra Moretti, portavoce del comitato Bersani. “Sono liberi di fare tutti i ricorsi che vogliono – dice – è un altro modo di non parlare di programmi, di come fare uscire l’Italia dalla crisi, di non affrontare seriamente le cose che interessano agli italiani”.
Secondo la Moretti “svuotata la rottamazione – insiste -, adesso andremo avanti 15 giorni sulla questione delle regole, è un altro modo per non affrontare i problemi seri”.
Mentre Roberto Speranza, coordinatore del comitato per Bersani,chiede: “Perchè nascondersi? Perchè si è contro la trasparenza? Di cosa si ha paura?”.
Sulla questione intervengono anche i sostenitori di Nichi Vendola .
“Il ricorso del comitato Renzi al garante della Privacy – dice il coordinatore del comitato del governatore della Puglia, Nicola Fratoianni – ci lascia stupefatti. Probabilmente dopo la cena con banchieri e finanzieri a porte chiuse, Renzi si è innamorato della segretezza più assoluta”.
Per Fratoianni “le primarie sono una grande occasione di partecipazione per il popolo del centrosinistra, per uomini e donne che non hanno bisogno di nascondersi e non si vergognano di dichiararsi elettori della coalizione”.
Poi la stoccata al sindaco di Firenze: “A meno che – conclude il coordinatore – il problema non sia quello di garantire una presenza ‘discreta’ a chi di centrosinistra non è “.
In particolare, nell’esposto, si pone l’accento sul fatto che il regolamento “si presta ad essere interpretato ed applicato” nel senso di “imporre a chi desidera partecipare alle primarie il rilascio di un consenso alla diffusione o pubblicazione dei nomi dei sottoscrittori del pubblico appello e degli iscritti nell’albo degli elettori”.
Questo, si sottolinea ancora, significherebbe “chiedere come condizione vincolante per la partecipazione il consenso alla diffusione o pubblicazione di un dato personale certamente sensibile”.
Perchè “legato alla messa in atto di comportamenti che implicano la manifestazione di opinioni politiche o consistono essi stessi in manifestazione di opinioni politiche”.
È ormai da settimane che il “rottamatore” Renzi non perde occasione per criticare le regole con cui si sceglierà il candidato premier del centrosinistra.
Il punto più critico, secondo il sindaco di Firenze, è proprio la pubblicità dell’albo degli elettori del centrosinistra.
Infatti, chi vorrà votare il 25 novembre alle primarie, oltre che sottoscrivere un appello per sostenere la coalizione dovrà anche iscriversi a un albo.
Per Renzi è un paletto inaccettabile che impedirebbe una larga partecipazione alla consultazione.
Dal Pd però fanno notare che sarà pubblico l’appello di sostegno al centrosinistra, che dovrà essere sottoscritto per iscriversi al voto, e non l’albo degli elettori, che sarà composto da chi ha effettivamente esercitato il diritto al voto ed è sottoposto alle norme sulla privacy.
Altra norma che non va giù al sindaco di Firenze è la scelta del ballottaggio, previsto per il 2 dicembre, se nessuno dei candidati ottenesse il 50% più uno dei consensi al primo turno. Stando alle regole scritte dal Collegio nazionale dei garanti, potrà votare al secondo turno solo chi ha espresso la sua preferenza anche nella prima tornata.
A meno che non si dichiari un impedimento e ci si iscriva in due giorni – ancora da fissare – compresi tra il 27 novembre e l’1 dicembre.
Intanto su Twitter arrivano le polemiche.
La direttrice di YouDem, Chiara Geloni, ripubblica un tweet di un altro utente in cui, rivolgendosi al sindaco di Firenze, si chiede “ma fai ricorso su un documento votato all’unanimità in assemblea? Ma tu sei fuori di testa”.
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Ottobre 23rd, 2012 Riccardo Fucile
NON SOLO IL DUELLO SULL’ALTA FINANZA… LE DIVERSE “SINISTRE” DEL SEGRETARIO E DEL SINDACO
Anime. O correnti. Indipendentemente da come le si voglia chiamare, in questo momento nel Pd si stanno fronteggiando due diversi modi di intendere la sinistra che è e che verrà .
Capirle non è complicato, anche perchè a incarnarle sono Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi.
Il segretario che non vuole farsi rottamare e il sindaco aspirante premier.
E i loro sostenitori, renziani e bersaniani. Categorie politiche che raccontano lo scontro nel Pd: tra chi vuole rottamare anche un passato considerato ingombrante e chi invece proprio quella storia vuole difendere come valore.
Divisi più o meno su tutto, dagli slogan fino al concetto di denaro: «La sinistra ha una strana idea di denaro» dice il sindaco di Firenze.
E pensare che se fosse solo per le tesi di laurea, qualcosa in comune i due sfidanti ce l’avrebbero: quella di Renzi in Giurisprudenza, sul «Sindaco Santo» di Firenze, il dc Giorgio La Pira. Quella di Bersani in Filosofia, su papa Gregorio Magno.
Poi, però, le strade si separano: post ideologico versus ideologico.
Matteo Renzi è uno che chiama tutti per nome, un ex segretario provinciale Ppi che cita Blair e Miliband, che usa parole chiave come «adesso» e «rottamazione».
Che dell’esperienza di Botteghe oscure vuol sapere poco, e alla fotografia di Enrico Berlinguer preferisce quella di Barack Obama.
Pier Luigi Bersani invece si affida a termini più tradizionali come «coraggio», «Italia» e «legalità ».
Ricorda uno per uno i nomi dei volontari delle ex feste dell’Unità oggi del Pd, cita Reichlin, crede nell’uso della parola «compagni» e mostra con orgoglio l’Unità .
Figlio di un benzinaio di Bettola, in provincia di Piacenza, racconta ancora oggi con orgoglio quando organizzò lo sciopero dei chierichetti contro il parroco per un’ingiusta suddivisione delle mance.
Renzi invece, figlio di un ex consigliere comunale dc di Rignano sull’Arno, da scout si firmava Zac quando dirigeva la rivista nazionale Camminiamo insieme.
Ed è cosa nota che ancora diciannovenne, nel 1994, per cinque puntate consecutive partecipò come concorrente a «La ruota della fortuna», vincendo 48 milioni di lire. Stile più da manager che da capo di partito, iperattivo e stakanovista ai limiti della sopportabilità , ha puntato sul restyling della sua immagine (passando da abiti dozzinali a Ermanno Scervino), su suggerimento del suo spin doctor, il produttore tv Giorgio Gori.
Guai invece a chiedere a Bersani del suo stilista preferito: «Se devo confrontarmi su queste cose, preferisco perdere…», o a parlargli di spin doctor.
Il segretario non ha un vero staff per la comunicazione.
Piuttosto un «Tortello magico» (copyright Mario Adinolfi) nel quale gli uomini di punta sono quasi tutti «di sinistra», legati alla comune esperienza giovanile nella Fgci (Errani) e storici collaboratori (Di Traglia e Seghetti).
A un brainstorming con gli scrittori di punta preferisce fare due chiacchiere con il consigliere regionale Miro Fiammenghi, vecchio amico di Ravenna, canale di collegamento in Emilia tra i bersaniani e i dalemiani, e mediatore con il mondo di piccoli e grandi poteri locali (da Hera, alle Coop, a Unipol).
Diverso invece l’universo finanziario di riferimento di Matteo Renzi. Del golden boy Davide Serra e del suo fondo di investimento Algebris (compresa la polemica sulle Cayman) in questi giorni si è scritto molto.
Ma tra i finanziatori a lui vicini vanno ricordati almeno altri due nomi: Nerio Alessandri, patron di Technogym e sponsor dell’incontro (poi saltato) con Bill Clinton a Firenze, e Sebastiano Cossia Castiglioni, proprietario dell’Azienda Agricola Querciabella ma pure unico italiano nello Humane and Animal Rights Advisory Board della «Sea Sheperd»: la temuta flotta che protegge le balene.
Insomma, l’obiettivo di Renzi sembra quello di cancellare la parola «comunista» dal Pd.
Mentre Bersani non intende rinunciarci.
Una decisione confermata dalla scelta di quella foto di famiglia accanto alla pompa di benzina del padre, simbolo di un’estetica operaista e malinconica. In pieno contrasto con le parole che sua madre Desolina, quando già lui muoveva i primi passi in politica, gli sussurrava: «Se vuoi essere comunista, almeno non raccontarlo in giro».
Angela Frenda
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 23rd, 2012 Riccardo Fucile
IL DECRETO TOGLIE LA GALERA MA PèREVEDE MULTE DA 5.000 A 100.000 EURO
La commissione Giustizia del Senato ha approvato il disegno di legge sulla diffamazione, dando all’unanimità mandato al relatore per la presentazione in Aula. Le multe restano da 5 mila a 100 mila euro, ma è stato approvato un emendamento secondo cui sono commisurate alla gravità dell’offesa e alla diffusione della testata.
Il ddl, nato dopo la condanna a 14 mesi di reclusione per Alessandro Sallusti, abolisce la pena del carcere per i giornalisti, prevedendo invece pene pecuniarie.
Il relatore Filippo Berselli del Pdl ha riferito, al termine della riunione, di aver proposto una rimodulazione dell’entità delle pene portando il massimo della multa da 100 mila a 50 mila euro, ma la maggioranza della Commissione ha bocciato la modifica lasciando il tetto massimo a 100 mila euro.
Prevista in caso di recidiva la sospensione dalla professione e dall’attività fino a sei mesi e poi come ulteriore aggravante, fino a tre anni.
È stata approvata inoltre un’ulteriore ipotesi di aggravante in caso di coinvolgimento dell’editore nella diffamazione dolosa.
La disciplina viene estesa non ai blog, ma solo alle testate giornalistiche diffuse anche per via telematica.
Non è infatti passato l’emendamento presentato da Vita e D’Ambrosio (Pd) che chiedeva la non applicazione della normativa ad internet.
Cancellata inoltre la riparazione come pena accessoria.
Ritirato infine l’emendamento Caliendo, battezzato `anti Gabanelli’, che prevedeva la nullità delle clausole contrattuali che lasciavano solo in capo all’editore gli oneri derivanti da una condanna per diffamazione.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 23rd, 2012 Riccardo Fucile
LA TV NELL’ERA DEL POPULISMO: ELIMINAZIONE VIA WEB DEI CANDIDATI PREMIER
Brillante idea: la “defilippizzazione ” di Michele Santoro.
Ossia, in una società “liquida” dominata dai format, non è poi così strano se è il televoto l’ultima frontiera dell’infotainment politico.
Giusto, sbagliato? Chissà : quel che conta è che Santoro torna sulla televisione generalista, dopo la stagione sabbatica passata un po’ sul web un po’ a ricerca libera su Sky, ed approda a La7 (da giovedì, ore 21.30).
La quale emittente Telecom — refugium peccatorum delle migliori menti televisive della nostra era — l’accoglie come il figliol prodigo.
Un po’ ingombrante, per la verità , ma lui decide di muoversi con cortese eleganza: «Chi mi segue da tempo sa — esordisce messianico, con a fianco i fidi Sandro Ruotolo, Giulia Innocenzi e Vauro — che ho sempre considerato La7 come una delle chiavi per un possibile cambiamento dell’assetto televisivo italiano».
Paolo Ruffini, direttore di rete, annuisce soddisfatto, anche se poi Michele parlerà per buona parte della mattinata dell’odiata-amata Rai, anche quella «così ben vestita e pettinata della signora Tarantola, che va a letto subito dopo il Carosello».
Ovviamente non è un caso se il titolo del ciclo di Servizio Pubblicodi quest’anno è “La ricerca del leader che non c’è”.
Non solo e non tanto perchè gli ospiti della prima puntata sono Matteo Renzi, Gianfranco Fini e Diego Della Valle, ma perchè la vera novità di rilievo è l’invenzione di un segmento che si chiama “Partito liquido”, affidato a Giulia, la bella, intelligente e giovane della famiglia santoriana: ossia, attraverso il web il pubblico potrà scegliere, via via, il proprio candidato premier — confrontando anche programmi elettorali — con un meccanismo mutuato dai talent show alla Amici eX Factor.
Oh yeah: con tanto di televoto ed eliminazioni progressive tra i vari politici.
Il trionfatore finale sfiderà Mario Monti nell’ultima puntata, sempre a suon di televoto, ormai unica cifra del consenso popolare nella democrazia catodica, con o senza i coriandoli a fiotti degli show targati De Filippi.
È populismo questo?
Di certo l’abilissimo Santoro sa collocarsi esattamente al suo confine.
Parla di «delusione e repulsione» dei cittadini rispetto alla politica, teme per l’Italia una situazione alla Weimar se i Renzi e i Grillo non incanaleranno lo scontento generale e sottolinea come i «maggiori supporter» dell’antipolitica siano stati i partiti tradizionali, incapaci di comprendere e di veicolare la spinta al cambiamento.
Le primarie? Manco dipinto lui si recherà a votare: «Che vinca il migliore».
Per il resto, un po’ di terremoto per tutti: «Se non ci fossero Renzi e Grillo l’Italia sarebbe ancora preda della stagnazione: hanno agitato le acque e provocato uno shock nel sistema. Niente può essere più come prima».
Idem per quel che riguarda il sistema televisivo: «Entro tre anni sarà tutto cambiato… Rai, Canale5, La7, lo scenario non sarà come lo conosciamo oggi».
Giustamente ce l’ha, il Santoro, con il «furto di fiducia» da parte delle istituzioni nei confronti dei cittadini.
E lui lo sa bene, visto che viene universalmente riconosciuto — egli ci rivela — come uno dei rottamatori (non usa questo termine ma il senso è quello) della prima repubblica.
Oggi come allora uno dei pochi argini all ‘antipolitica, così pare, è guardare i programmi di Santoro: «È quando non si guarda più, quando si diventa passivi, quando non si partecipa, che il vuoto prende il sopravvento».
Verissimo.
Così com’è vero che quando il Caveliere scese in campo, «io ero più famoso di lui».
Grillo? Beh, non ci fosse stato Annozero che mandava in onda i suoi “vaffa”, non avrebbe avuto tutto questo seguito.
E sarà altrettanto vero che è stato lui, il Sancta Santorum, a inventare la piazza (televisivamente parlando, s’intende), ad inventare i citofoni (avete presente i giornalisti molesti che si attaccano ai citofoni dei personaggi che non vogliono farsi intervistare?), a inventare i talk show all’italiana (e non è mica colpa sua, sottolinea veemente, se oggi gli ospiti si sono un po’ usurati), nonchè a “inventare” Riccardo Iacona e Corrado Formigli («che orgoglio quando li vedo in tv…», si commuove ruvidamente).
Al proposito del secondo, e della famigeratissima “staffetta” tra i due (ora che comincia lui, al conduttore di Piazzapulita tocca sospendere fino a inizio gennaio), il mitico Michele previene ogni domanda: «Ma se sono stato io il primo a dire che avrebbe potuto andare in onda con un programma suo e che avrebbe avuto successo anche senza di me…».
E poi: «Ci pensate? Cinquantaquattro trasmissioni di approfondimento nello stesso anno: possono portare anche un aumento di un punto di share in media. E sapete quanto vale? 20 milioni di euro. Vi pare una cosa negativa?»
È fatto così, il mitico Michele, è un generoso: si fa le domande da solo e si dà le risposte da solo.
Ed essendo che tutte le innovazioni della tv degli ultimi trent’anni portano la sua firma, ammette di essere un po’stanco.
«Vorrei che questo fosse l’ultimo anno in cui conduco questo tipo di programma», sospira. «Sapete, il mio format è nato quando dall’altra parte c’era Mike Bongiorno. Ora bisognerebbe fare qualcosa di diverso. Ma per avere idee nuove, devi staccare la spina, per un anno o due». Intanto, prendiamo in prestito da Amici il televoto.
Non l’ha inventato Michele, in effetti. Ma la politica, quella non aspettava altro.
Roberto Brunelli
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Ottobre 23rd, 2012 Riccardo Fucile
DOPO IL VERDETTO, LA NUOVA COMMISSIONE LASCIA… BOSCHI: “SCOPO DELL’INCONTRO A L’AQUILA ERA DIRE CHE NON SI POTEVA PREVEDERE LA SCOSSA. L’HO CAPITO DOPO”
Dopo il verdetto, gli equivoci e le polemiche arrivano le dimissioni.
Contro quella sentenza, definita choc, per i componenti della commissione Grandi rischi, che rassicurarono gli aquilani prima del terremoto che poi fece 300 morti.
Ieri gli imputati ieri sono stati condannati a sei anni.
Ha lasciato l’incarico l’attuale presidente della commissione, il fisico Luciano Maiani: ”Non vedo le condizioni per lavorare serenamente”. E con lui hanno consegnato le dimissioni tutti i vertici dell’organismo: il vicepresidente Mauro Rosi e il presidente emerito, onorevole Giuseppe Zamberletti.
Anche il professor Mauro Dolce, ieri condannato, dice addio alla direzione dell’Ufficio III — Rischio sismico e vulcanico.
La decisione del Tribunale dell’Aquila è finita sui giornali di tutto il mondo e oggi, dopo quelli di ieri, non sono mancati i commenti forti e le riflessioni critiche sul verdetto.
Anche in virtù di un equivoco: il giudice, però, non ha condannato gli scienziati perchè non sono stati capaci di prevedere il terremoto, ma perchè hanno fornito informazioni sbagliate alla popolazione rassicurandola sui rischi.
Del resto è ormai nota l’intercettazione dell’ex capo della Protezione Civile Guido Bertolaso che il giorno prima al telefono diceva: “Quella di domani è un’operazione mediatica”.
Oggi anche Enzo Boschi, fino al 2011 presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e membro di quella che si riunì sei giorni prima del terremoto dell’Aquila, ammette: ”Lo scopo della riunione era quello di dire che non si potevano prevedere i terremoti, l’ho capito dopo”.
L’esperto lo dice proprio in riferimento alla riunione del 31 marzo 2009 alla quale partecipò convocato da Guido Bertolaso.
Alla domanda se si senta di essere stato strumentalizzato Boschi ha detto: “Non lo so, devo rifletterci. Certamente la commissione grandi rischi come era stata fatta da Zamberletti funzionava benissimo. Ai tempi le due sezioni, quella scientifica e quella di chi doveva prendere decisioni su eventuali rischi o evacuazioni, erano separate”.
Intanto questa mattina gli scienziati Usa della Union of Concerned Scientists, una influente Ong statunitense, hanno emesso un comunicato schierandosi a favore dei sette imputati.
“Quando il forte sisma ha colpito, causando vittime, gli scienziati sono stati messi sotto processo. In quell’occasione l’American Geophysical Union ha messo in guardia sul fatto che le accuse potevano mettere in crisi gli sforzi internazionali per capire i disastri naturali, perchè il rischio di un contenzioso scoraggia gli scienziati e i funzionari dall’avvisare il proprio governo o anche lavorare nel campo della previsioni rischi in sismologia. Immaginate se il governo accusasse di reati criminali il metereologo che non è stato in grado di prevedere l’esatta rotta di un tornado. O un epidemiologo per non aver previsto gli effetti pericolosi di un virus. O mettere in carcere un biologo perchè non è stato in grado di prevedere l’attacco di un orso. Gli scienziati devono avere il diritto di condividere ciò che sanno e ciò che non sanno senza la paura di essere giudicati criminalmente responsabili se le proprie previsioni non si avverano — continua il testo -. Ciò arriva dalla terra natale di Galileo. Crediamo che alcune cose non cambieranno mai”.
Anche dal Giappone arrivano rilievi e critiche: ”Se fossi stato io lì avrei dettole stesse cose perchè non è possibile stabilire quando può verificarsi una forte scossa sismica” fa sapere Shinichi Sakai, professore associato dell’Earthquake Research Institute di Tokyo, che non nasconde i dubbi per la condanna.
Sakai rileva che “non è chiaro se la sentenza debba essere imputata ai componenti del comitato perchè avevano la responsabilità di dare informazioni su provvedimenti e misure da prendere o perchè i componenti sono colpevoli di valutazioni sbagliate come scienziati”.
Resta il fatto che “in Giappone (che registra annualmente il 20% delle scosse pari e superiori a magnitudo 6 in tutto il mondo, ndr) non ci sono mai stati processi simili”. La previsioni dei terremoti, conclude, “sono considerate attualmente molto difficili, come ha del resto ribadito l’ultima e recente riunione della Seismological Society of Japan (Nihon jishin Gakkai, ndr)”.
Il giornale francese Le Monde sulla vicenda pubblica una doppia vignetta: ”Lourdes peines pour lesscientifiques italiens” (Pene pesanti per gli scienziati italiani) e “Lourdes peine à rèamènager la grotte” (Lourdes fatica a restaurare la grotta).
Il disegnatore, Plantu, “scherza” paragonandolo con l’inondazione del santuario sui Pirenei.
Nella prima vignetta, si vede il giudice che condanna sullo sfondo di palazzi crollati all’Aquila e lo scienziato che ammette: “avrei dovuto prevedere il terremoto!”. Nella seconda, un operaio al lavoro con i piedi nell’acqua e la Vergine di Lourdes che confessa: “avrei dovuto prevedere l’inondazione”.
Sull’argomento è intervenuto anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini: “Mi auguro che venga corretta in secondo grado. E’ una sentenza che sta facendo il giro del mondo — ha aggiunto Fini a margine dell’incontro al Cefpas di Caltanissetta — e con tutto il rispetto per chi l’ha emessa, contrasta con un dato scientifico: è impossibile prevedere la gravità di un sisma. Ne stanno parlando negli Stati Uniti e in Giappone. Mi auguro — ha concluso il presidente Fini — che venga corretta in secondo grado”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 23rd, 2012 Riccardo Fucile
MONTI ACCETTA L’INVITO DEI PARTITI: IL PDL NON VUOLE L’AUMENTO DELL’IVA, DIETROFRONT SULLE ALIQUOTE… IPOTESI SCONTO MAGGIORE PER FIGLI E REDDITI BASSI
Si va verso l’eliminazione dell’intero pacchetto Irpef dal disegno di legge di Stabilità che oggi debutta alla Commissione Bilancio della Camera.
Il taglio delle due aliquote più basse (dal 23 al 22 fino a 15 mila euro e dal 27 al 26 tra 15 e 28 mila euro) è stato oggetto, in pochi giorni, di una sventagliata di critiche che hanno dimostrato come l’operazione, sommata all’aumento dell’Iva, penalizzi i redditi più bassi e non avvantaggi più di tanto i medi.
Senza contare che il doppio effetto di tetto e franchigia su detrazioni e deduzioni sembrerebbe vanificare ogni beneficio del taglio di aliquote.
“La manovra riduce le tasse e non le aumenta”, si è difeso ancora una volta ieri il ministro dell’Economia Grilli che con il taglio delle aliquote intendeva dare il segno numerico, anche all’estero, di una riduzione della pressione fiscale.
Tuttavia il titolare del Tesoro ha ripetuto di essere disponibile a “discutere” con il Parlamento, naturalmente a “saldi invariati”.
La strada che maggioranza sta imboccando è tuttavia diversa e, secondo indiscrezioni emerse ieri dopo il vertice Monti-Casini, il presidente del Consiglio non sarebbe contrario alla modifica del pacchetto Irpef.
Il responsabile economico dell’Udc Galletti, che ha partecipato all’incontro, parla di “eliminazione dell’intervento sulle aliquote Irpef”.
Fassina responsabile economico del Pd ha detto ieri che bisogna “cancellare l’intervento sull’Irpef”; mentre Brunetta del Pdl e relatore alla legge di Stabilità ha definito l’intervento sull’Irpef uno “specchietto per le allodole”.
Naturalmente mancano ancora nove giorni alla presentazione degli emendamenti, cui sta lavorando il relatore Baretta, e la questione tasse potrebbe essere costantemente esposta a sorprese.
L’operazione che sembra prospettarsi al momento è quella di smontare la riduzione di aliquote e recuperare 4,2 miliardi.
Da questa cifra uscirebbero i 2,5 miliardi – dei quali sono a caccia governo e maggioranza – destinati ad eliminare le questioni sociali più “spinose”: tassazione Tfr, aumento Iva no profit, pensioni di guerra, tassazione imprese agricole, esodati, scuola. Circa un miliardo andrebbe a compensare le maggiori entrate previste dai tetti alle detrazioni che uscirebbero di scena portandosi dietro polemiche e malumori.
Sgombrato il campo dalla manovra sulle aliquote Irpef, dalle detrazioni e recuperate le risorse per “riparare” le norme meno accettabili sul piano sociale, resterebbero 1,6 miliardi.
Dove indirizzarli?
Per l’Udc, ma anche per il Pd (ieri Monti ha visto Enrico Letta), la destinazione dovrebbe essere quella dell’aumento delle detrazioni per figli e coniuge a carico, legate al reddito e in grado di compensare per stipendi più bassi l’impatto dell’aumento dell’Iva.
Non è escluso invece che il Pdl punti direttamente ad un ulteriore intervento di sterilizzazione dell’Iva.
La proposta di mediazione, sulla quale potrebbe convergere anche il governo, sarebbe quella di introdurre una nuova “clausola di salvaguardia” in base alla quale ci si impegni a trovare le risorse per scongiurare l’aumento dell’Iva previsto per luglio 2013 con un intervento selettivo sulle detrazioni fiscali e rimettendo in campo il piano Giavazzi per rivedere gli sconti fiscali alle imprese.
Le ipotesi restano tuttavia tutte aperte: e ieri Boccia (Pd) per salvare l’operazione Iva-Irpef ed eliminare il taglio alle detrazioni ha rilanciato l’ipotesi di una patrimoniale.
Roberto Petrini
(da “la Repubblica“)
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Ottobre 23rd, 2012 Riccardo Fucile
LA DIFFERENZA DIVENTA DI 10.000 A FINE CARRIERA… UN DOCENTE DELLE SUPERIORI APPENA ENTRATO GUADAGNA 1.136 EURO AL MESE, MOLTO MENO DI UN MANOVALE
Quattromila euro in meno netti all’anno: questo sarebbe all’incirca il divario tra lo stipendio di inizio carriera di un insegnante italiano e quello medio dell’Ue.
A fine carriera poi, il divario arriva a 10 mila euro in meno all’anno, una cifra ragguardevole.
Nel dettaglio, e considerando soltanto gli insegnanti di scuola media superiore a inizio carriera (ma i colleghi delle medie hanno uguale contratto d’ingresso, salvo poi restare un poco più indietro nel corso della vita professionale), in Italia la busta paga iniziale prevede un lordo mensile di 1.747 euro e 75 centesimi (annuale di 20.973) che al netto sono 1.136 euro al mese con in più la tredicesima che divisa per i dodici mesi farebbe superare di poco lo stipendio netto di 1.200 euro.
In pratica, compresa la tredicesima, un professore che ha appena messo piede nella scuola prende 1.230 euro netti al mese.
Dopo 8 anni, lo stipendio lordo annuo del professore di liceo o di altro istituto superiore supera di pochi spiccioli i 24 mila euro (c’è poi sempre da aggiungere la tredicesima), dopo i 20 anni siamo a quota 29 mila 394 e a fine carriera, 35 anni, il traguardo è di 32.912 euro lordi all’anno, più tredicesima.
Gli insegnanti di scuola media superiore attualmente in Italia lavorano 18 ore settimanali (come i colleghi delle medie).
Mariolina Iossa
(da “il Corriere della Sera“)
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