Ottobre 19th, 2012 Riccardo Fucile
STABILI UDC, LEGA, SEL … SCENDE LA FIDUCIA IN MONTI
Oltre il 20% a livello nazionale e un rotondo 14% in Sicilia.
I sondaggi continuano a preannunciare un successo del movimento di Beppe Grillo tale da scompaginare il tradizionale quadro politico.
Stando all’ultimo sondaggio realizzato da Swg per la trasmissione di Rai Tre Agorà il Movimento 5 Stelle avrebbe già sfondato quota 20% attestandosi appunto al 21%. Mentre alcuni sondaggi realizzati in Sicilia, seppure di dubbia attendibilità scientifica, preannunciano un clamoroso successo alle imminenti elezioni regionali del 28 ottobre dove il movimento di Grillo potrebbe risultare addirittura il primo partito anche se il candidato governatore Giancarlo Cancelleri viene visto comunque alle spalle dei candidati di Pdl Nello Musumeci di quello del Pd Rosario Crocetta e dello stesso Gianfranco Miccichè espressione di Mpa e Grande Sud.
A DANNO DI IDV
Tornando ai dati di Sgw fotografano una costante crescita del Pd che viene dato al 25,9% a livello nazionale, mentre prosegue la caduta libera del Pdl che ormai stenta a superare il 14%.
A quanto pare l’ascesa di Grillo va a danno dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro che è attestato al 4,3% con un significativo calo di un punto e mezzo rispetto al precedente sondaggio del 12 ottobre.
Stabili Lega, Sel e La Destra di Storace mentre non trova spunti per andare avanti l’Udc.
Cresce ancora invece l’esercito degli astenuti che passa dal 18 al 20% che si sommano ad un numero imprecisato, ma intorno al 30%, di indecisi che non rispondono alle sollecitazioni dei sondaggi.
CALA LA FIDUCIA IN MONTI
L’istituto Swg ha anche monitorato la fiducia degli italiani nel Presidente del consiglio Mario Monti, che risulta in calo di due punti (dal 39% di una settimana fa al 37% attuale) dopo la presentazione della legge di stabilità che, evidentemente, ha avuto un impatto negativo sull’opinione pubblica che sta calcolando gli effetti sui bilanci familiari di aumenti dell’Iva e tagli alle detrazioni.
Il sondaggio Swg è stato effettuato dal 15 al 17 ottobre 2012, tramite contatti telefonici e online su un campione di elettori di età superiore ai 18 anni.
(da “Il Corriere della Sera“)
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Ottobre 19th, 2012 Riccardo Fucile
DUE IPOTESI: ROTTURA CON LA COMPAGNA O PASSO INDIETRO IN POLITICA
Un uomo profondamente provato, come ha confessato lui stesso ieri mattina agli amici del suo entourage: «Stanotte non ho chiuso occhio».
In queste ore Gianfranco Fini è tormentatissimo, come mai gli era capitato in 35 anni di vita politica.
Anche stavolta ha deciso di non dimettersi da presidente della Camera, ma la pubblicazione delle carte che dimostrano come Giancarlo Tulliani, suo «cognato», fosse il proprietario di una società immobiliare a Santa Lucia (circostanza sempre negata e altamente sospetta circa il reale proprietario della famosa casa di Montecarlo) ha suscitato nel Presidente della Camera un profondo tormento interiore.
Perchè in questa vicenda si intrecciano intimamente entità diversissime tra loro: affetti familiari e vicende oscure.
Fini ai suoi lo ha ripetuto con un’energia che ha convinto chi lo ascoltava: «Io questa storia l’ho appresa leggendo le anticipazioni dell’Espresso, per me il principale problema resta sempre lo stesso: conoscere fino in fondo la verità ».
Un tormento che per tutta la giornata di ieri ha messo Fini davanti ad un bivio inconfessabile in pubblico.
La concatenazione di pensieri è questa: io da presidente della Camera non mi dimetto perchè non ho responsabilità di alcun tipo, ma a questo punto devo capire fino in fondo se in famiglia sono stato tenuto all’oscuro di alcuni passaggi e, se sì, ne potrei trarne le conseguenze; oppure, valutare se al di sopra di tutto ci siano gli affetti famigliari e anche in questo caso trarne le conseguenze, ritirandomi dalla vita politica, sia pure fra qualche mese.
Mai come stavolta i suoi collaboratori gli hanno sentito parlare con toni accorati del futuro delle due figlie, avute assieme ad Elisabetta Tulliani.
Naturalmente, della vicenda Montecarlo cosa sappia realmente Fini, lo sa soltanto lui.
Ma la storia ha messo a dura prova il rapporto con l’intera famiglia Tulliani, dalla compagna Elisabetta al «cognato» Giancarlo.
La vicenda nuda e cruda parla da sola: una volta che An decise di mettere in vendita il più «appetitoso» bene ricevuto in eredità , la casa di Montecarlo, si fece avanti la società Printemps con sede in un paradiso fiscale, che a sua volta rivendette ad un’altra società offshore, la quale – al termine di questo tortuoso giro – affittò l’appartamento proprio a Giancarlo Tulliani.
Non si è mai capito come il «cognato» di Fini sia venuto a conoscenza dell’opportunità e, a sua volta, quanto il giovane Tulliani abbia aggiornato il presidente della Camera di tutti i successivi passaggi.
Fini ha sempre detto di essere rimasto all’oscuro di tutto, promettendo: «Se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario della casa e che la mia buona fede è stata tradita, lascerei la presidenza della Camera».
Dalle nuove carte pubblicate dall’«Espresso», è emersa un’autostrada logica che porta a Tulliani, ma non che lui sia il proprietario della casa, e dunque Fini non è «costretto» a dimettersi.
Certo, il suo ennesimo arroccamento sulla poltrona più importante di Montecitorio completa la parabola di un leader, apparso 25 anni fa sulla scena politica da segretario dell’Msi come il profeta più credibile dell’antipartitocrazia e che da qualche tempo è diventato uno degli interpreti più coerenti della «casta», come dimostrano le immersioni sub in zone vietate, l’uso regolamentare ma generoso delle scorte, la scoperta, soltanto dopo pubbliche denunce, dei tanti privilegi dei deputati.
Ma il riaccendersi dei riflettori sulla vicenda di Montecarlo potrebbe riaprire l’interesse per una vicenda sulle quali finora si erano soffermati quasi soltanto i giornali ostili a Fini: i legami tra l’entourage del presidente della Camera e la società di slot machine e videopoker Atlantis dell’imprenditore Francesco Corallo, attualmente latitante.
Fabio Martini
(da “La Stampa“)
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Ottobre 19th, 2012 Riccardo Fucile
RIDOTTA LA PENA PER IL REATO DI CONCUSSIONE PER INDUZIONE… RIDUZIONE DEI TERMINI DI PRESCRIZIONE
Basta già guardarla. Ottantaquattro commi in un solo articolo monstre affastellati uno sopra l’altro. Tutto e il suo contrario. Molto diavolo e poca acqua santa.
Questa è la legge che chiamano “anticorruzione” approvata mercoledì in Senato.
E pure, come avvertito da ripetuti appelli del Capo dello Stato e della comunità scientifica, il groviglio normativo costituisce il pantano preferito per i caimani e i furbastri della corruttela.
Al paradosso della forma, corrisponde la beffa della sostanza, il pasticcio che a questo punto la Camera deve scongiurare.
Vediamoli i principali buchi neri che implorano rimedio.
1) Sino ad oggi un presidente o un consigliere regionale concussori perdevano il posto e non avevano più accesso a nessun altro incarico pubblico.
Da domani invece se questa legge venisse approvata, potranno tenerli ben stretti i loro posti e ottenerne anche di nuovi.
È l’effetto diretto della nuova fattispecie (“Indebita induzione”) uscita dal cilindro del compromesso al ribasso.
2) I processi per concussione dei colletti bianchi se non dovranno ricominciare da zero, andranno comunque tutti o quasi in prescrizione, accorciata di ben cinque anni. E nessun cittadino concusso (ora “indotto”) avrà più interesse a denunciare, dissuaso da una pena assai severa e senza alcuna riduzione per la collaborazione.
Qui siamo davvero al pro-concussione.
La fiducia messa al Senato ha per questo dato l’impressione di un patto tacito per sfuggire alle irrinunciabili correzioni, più che un modo per mettersi al sicuro da margini di peggioramento che davvero non ci sono.
I danni qui sono irreversibili perchè basterà un solo giorno di vigore della nuova legge, per rendere definitivo il colpo di spugna che su questo giornale segnalammo già in giugno.
3) Anche i nuovi reati sono stati ridotti a specchietti scarichi, per allodole sfinite.
Il cosiddetto “Traffico di influenze” che dovrebbe punire l’intermediario dell’illecito pubblico, prevede una pena persino inferiore al millantato credito.
Con il paradosso che l’illecito mediatore è punito di meno se ha sfruttato davvero la conoscenza, i favori del pubblico ufficiale (per intenderci, lo schema lombardo dei Daccò).
Del resto che altri sarebbero dovuti essere i necessari obiettivi, lo si capisce dalla stessa relazione governativa che accompagna la legge.
Si parla infatti di “un deciso inasprimento delle pene” senza nulla aggiungere e precisare.
È purtroppo un falso bello e buono, atteso che proprio per il peggiore dei reati la pena è fortemente diminuita, ed una relazione di accompagnamento ne avrebbe dovuto spiegare ragioni, giustificazioni e impatto sui processi in corso.
E non affermare il contrario che ha il sapore della coda di paglia. Il punto è che non siamo in una situazione ordinaria dove poter discettare di un eventuale disegno organico di riforma del codice penale, magari di stampo libertario.
Se fosse questo il tema, non starebbe all’ordine del giorno di un governo di emergenza nazionale a fine mandato.
Si è in presenza invece di un allarme corruttivo che rende urgente rafforzare gli strumenti di contrasto. Quanto meno per i reati già esistenti, che sono quelli compiuti da Fiorito e colleghi.
Ed invece per il più odioso di questi la pena viene abbassata e abbreviata la prescrizione; mentre per gli altri si sta bene attenti a non allungarla e a impedire l’uso di adeguati mezzi di indagine.
E così la beffa sulle misure di contrasto offusca anche quello che di buono c’è nella norma con riguardo alla futura opera di prevenzione.
Ma qui il malato è agonizzante, non si tratta di prevenire ma di intervenire con cure da cavallo.
Basterebbe una norma secca: come stabilito dalla commissione europea per la corruzione internazionale, sarebbe sufficiente prevedere l’interruzione della prescrizione con il rinvio a giudizio o con la condanna in primo grado.
Eccola qui una norma semplice e degna del titolo “anticorruzione”.
Un comma solo, al posto di ottantantaquattro. Se non è possibile, è forse meglio archiviare la pratica. Almeno resta la possibilità di rivolgere al prossimo governo l’istanza corale dei cittadini tra cui gli oltre trecentomila che hanno firmato l’appello di Repubblica.
Comunque si eviti di fare danno e di allestire il banchetto per concussori e loro avvocati che ovviamente già si fregano le mani.
Mario Monti non dovrebbe farsene molto di un’etichetta da portare in Europa.
Il plauso sarebbe effimero perchè quando capiranno cosa c’è sotto, rischiamo che ci ridano dietro. Ma soprattutto è il sistema paese che resterebbe spossato dalla beffa e dall’incapacità di migliorare.
Sempre preda di appiccicose e interessate resistenze, che sia politico o tecnico il suo governo.
Gianluigi Pellegrino
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 19th, 2012 Riccardo Fucile
IL CENTROSINISTRA: “SOTTOVALUTATI I NOSTRI ALLARMI”… IL PDL CONTESTA L’ASSESSORE ALLA SANITA’ MOFERINO CHE AVEVA LANCIATO L’ALLARME
«Se la Regione è tecnicamente fallita. è fallita anche la giunta: Cota vada a casa e si imbocchi subito la strada delle elezioni anticipate».
Questa, in sintesi, la reazione dell’opposizione alle parole dell’assessore alla Sanità : il quale, intervenuto in Commissione Bilancio, ha detto fuori dai denti che l’ente è al capolinea: «Tutti devono rendersene conto e trarre le conseguenze».
Quel che è peggio, il “buco” supererebbe i 900 milioni (a fronte di un debito complessivo che avrebbe raggiunto i 10 miliardi): soldi che le Asl hanno speso negli anni, soprattutto nel biennio 2008-2009, contando su trasferimenti regionali mai arrivati e oggi nemmeno iscritti a bilancio. Nella conferenza stampa odierna, convocata da Cota e da Monferino, si potrà saperne di più.
Le reazioni
«Tutti devono trarre le conseguenze», ha detto l’assessore. Questione di punti di vista.
Per il manager prestato alla politica, che nei mesi scorsi era arrivato a minacciare le dimissioni, i consiglieri devono smetterla di remare contro alla riforma sanitaria, l’architrave dell’azione di governo: vale per la minoranza e la maggioranza di Pdl-Lega in Consiglio regionale, irritata dal mancato rimpasto di giunta e disciplinata nel fare le pulci al pupillo del governatore. Per l’opposizione Cota e la sua squadra devono sbaraccare.
Meno scontati i malumori nel centrodestra, che con il super-assessore ha un rapporto non meno conflittuale.
Se il capogruppo della Lega Nord Mario Carossa contrattacca il Pd lancia in resta – «Si vergogni di criticare la riforma della sanità piemontese, salvo votare a Roma nuovi tagli sulla pelle della gente» – Vito Bonsignore, europarlamentare del Pdl non fa sconti nemmeno al suo partito: «Anche chi ha guidato il centrodestra in Regione non è estraneo a questa situazione e non può chiamarsi fuori. Mentre ci si sofferma sui rimborsi ai consiglieri, si perde di vista il vero problema, che è la crescita del debito e della spesa denunciati dalla Corte dei Conti: già ad agosto segnalava come la Regione abbia tagliato gli investimenti del 44% riducendo la spesa corrente ad appena il 5%».
Il Pdl diviso
A stretto giro di posta la replica di Enzo Ghigo, che ha tenuto le redini della Regione dal ’95 al 2005: «Le dichiarazioni di Bonsignore mi lasciano indifferente. Quanto alle affermazioni di Monferino, le trovo irresponsabili e fuori luogo».
Perchè? «La situazione delle finanze regionali è preoccupante ma la soluzione dei problemi non passa tramite allarmismi. Mi auguro che Cota sappia rimodularli».
Parole chiare, che si accompagnano al silenzio altrettanto eloquente di altri esponenti del centrodestra.
Il centrosinistra
Non è il caso dell’opposizione. «L’allarme sui conti lanciato dal Pd ormai da molti mesi è stato sottovalutato – commenta Aldo Reschigna, il capogruppo -. Ora la situazione, a tutti effetti drammatica, impone di ascoltare le nostre ricette e di cambiare governo regionale».
Concetto ribadito da Roberto Placido: «Da oggi il Piemonte è una Regione fallita non solo tecnicamente ma politicamente. È naufragata ogni velleità di riorganizzazione della macchina sanitaria. Sono naufragati tutti gli annunci che si sono susseguiti in questi due anni».
«Quello che è stato definito un buco da 900 milioni deriva dal disallineamento dei bilanci della Regione e delle Asl – interviene Monica Cerutti, Sel -. È l’ulteriore prova dell’inadeguatezza del governo regionale, al quale chiediamo di fare un passo indietro».
Il capogruppo dell’Italia dei Valori Andrea Buquicchio, auspica persino il commissariamento della sanità piemontese: «L’unica soluzione, ormai, a fronte del palese fallimento di Monferino».
Alessandro Mondo
(da “La Stampa”)
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Ottobre 19th, 2012 Riccardo Fucile
SOLO UNA SETTIMANA FA LA LEGA SEMBRAVA PRONTA A STACCARE A SPINA ALLA GIUNTA FORMIGONI E CHIUDEVA AD INTESE CON IL PDL
Solo una settimana fa la Lega sembrava pronta a staccare la spina alla giunta lombarda guidata da Roberto Formigoni, nuovamente privata di un assessore finito in manette.
Poi l’ipotesi di un effetto domino sulle regioni governate dal Carroccio con l’appoggio del Pdl, Veneto e Piemonte, avevano riportato le camice verdi a più miti propositi.
Il consiglio federale aveva poi deciso che no, Formigoni doveva andare avanti visto che la giunta sarebbe stata azzerata.
Il segretario regionale Matteo Salvini, però, già il giorno dopo si era messo sul piede di guerra e Roberto Maroni, ex ministro dell’Interno, giurava di sentirsi onorato di diventare governatore. Pronto quindi a candidarsi.
Anche il segretario Pdl, Angelino Alfano, prima di un vertice chiarificato aveva chiesto di rispettare l’alleanza.
Ma oggi, mentre Salvini ipotizzava l’importazione del modello veneto in Lombardia proprio sotto la guida del segretario, Maroni rispondeva “Sì” alla seguente domanda: “Se Pdl e Lega si presentassero divisi alle regionali c’è il rischio sarebbe di consegnare la Lombardia al centrosinistra?”
Parole che sono una nuova apertura al Popolo della libertà .
Maroni ha anche ribadito l’intenzione della Lega di votare quando ci saranno le politiche, in aprile quindi.
C’è una legge dello scorso anno, approvata dal Governo Berlusconi, che dice che, dal 2012, quando ci sono le elezioni amministrative e nazionali, si fanno in un unico giorno”.
Insomma nonostante Formigoni abbia annunciato lo scioglimento della giunta il prossimo 25 ottobre e la possibilità di voto il 16 o il 23 dicembre la Lega vuole attendere, come già Maroni aveva detto chiaramente ieri.
Sui possibili sfidanti, tra cui l’ex sindaco dio Milano Gabriele Albertini, Maroni nicchia. “Non sto dietro al gossip: se si vogliono fare le primarie, si facciano, e chi vuole partecipare, partecipi”.
”Noi non poniamo condizioni, non chiediamo niente se non la disponibilità a discutere per continuare un’esperienza che è stata positiva. Siamo disposti a continuare, semplicemente abbiamo preso atto di una situazione. Vediamo se ci sono le condizioni per continuare. Io penso di sì, sono ottimista, perchè l’esperienza di governo Lega-Pdl in Lombardia è un’esperienza di successo e sarebbe sciocco buttarla alle ortiche”.
Ma anche il Celeste sembra puntare i piedi sulla data e gela l’ipotesi di elezioni ad aprile 2013: ”Caro Maroni, altro che election day! Per la Lombardia si vota nel 2012, per le politiche nel 2013“ scrive via Twitter.
Un paio di giorni fa poi a Montecitorio c’era stata una colazione a sorpresa tra alcuni deputati ‘bossiani’ e Maroni.
Alla buvette di Montecitorio, il neo segretario del Carroccio si è intrattenuto con Marco Reguzzoni, ex capogruppo della Lega e considerato il suo nemico ‘numero uno’, e Paola Goisis, l’unica esponente del Carroccio che votò contro l’elezione di Maroni al congresso.
Presenti anche i deputati Massimo Polledri ed Erica Rivolta.
Poco prima, in Transatlantico, Maroni e il gruppetto di fedelissimi del Senatur si erano intrattenuti con Umberto Bossi e Manuela Dal Lago.
Poi la colazione ristretta, inusuale tra esponenti dello stesso partito considerati però come separati in casa.
Prove di dialogo in vista della corsa in Lombardia.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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