Ottobre 17th, 2012 Riccardo Fucile
ECCO LE LETTERE CON CUI, A INIZIO AGOSTO, FRANCESCO BATTISTONI DESCRIVEVA AI VERTICI PDL LE SPESE ALLEGRE DI “ER BATMAN”
Silvio Berlusconi sapeva tutto sui soldi rubati da Franco Fiorito al partito e non ha preso alcun provvedimento per più di un mese.
Già il 6 agosto del 2012, quaranta giorni prima dell’esplosione del caso, il capo del suo gruppo in consiglio regionale, Francesco Battistoni, scriveva al Cavaliere per segnalargli le spese pazze, i bonifici all’estero sui conti personali e i prelievi in contanti dai fondi del gruppo, alimentati con i soldi dei contribuenti.
L’ex premier non era il solo a sapere.
Anche il segretario del Pdl Angelino Alfano e il coordinatore, Denis Verdini, hanno ricevuto la lettera sulla razzia di soldi pubblici in seno al Pdl laziale.
Eppure nè il leader nè il segretario nè il coordinatore del Pdl hanno preso le opportune iniziative politiche e giudiziarie. Anzi.
Dopo l’esplosione del caso Fiorito, il 20 settembre, sarà Battistoni a essere destituito da capogruppo.
Le lettere che il Fatto pubblica oggi sono state scritte e protocollate il 6 agosto 2012.
Il 24 luglio il consigliere regionale viterbese in quota Forza Italia era riuscito a diventare presidente del gruppo scalzando il ciociaro aennino Fiorito.
Appena insediato Battistoni prende in mano la contabilità bancaria scoprendo lo scenario inquietante che dilagherà sulle cronache solo molto tempo dopo.
Il capogruppo non porta le carte in Procura ma scrive ai suoi capi: “Caro presidente”, è l’incipit preveggente che apre la lettera diretta a Berlusconi “sono costretto, con estremo dispiacere, a portarvi a conoscenza di una situazione che è talmente grave da poter minare, in maniera pesante, sia la stabilità della Regione Lazio che la credibilità del nostro partito (…) l’esame, ancorchè superficiale della documentazione relativa ai conti correnti ha evidenziato una serie di “anomalie” tali che mi ha immediatamente indotto a
nominare dei consulenti al fine di poter esaminare a fondo tali riscontri e consigliarmi sulle scelte consequenziali. Nel frattempo, nonostante i ripetuti solleciti, non sono ancora riuscito a ottenere alcuna documentazione e l’on. Fiorito, oltre a disertare le riunioni di gruppo, assume di essere stato defraudato e addirittura accusa colleghi, peraltro sulla stampa, di poca chiarezza sui conti! La situazione è sconfortante! Al contrario delle sue asserzioni, dai primi riscontri contabili emergono anomalie gravissime dovute a pagamenti “non in linea” con le finalità istituzionali e politiche delle somme dallo stesso amministrate, come acquisti di autovetture, soggiorni lussuosi ingiustifìcabili, prelievi in contante, uso disinvolto di carte ricaricabili e da ultimo, ma non per ultimo, bonifìci personali su conti esteri”.
Battistoni denuncia l’uso dei fondi “non in linea” con le finalità pubbliche ma descrive soprattutto i bonifici dal conto italiano del gruppo (con finalità pubbliche) al conto straniero (e privato) di Fiorito.
In quella lettera protocollata e con tutta probabilità giunta a destinazione, Battistoni mette nero su bianco l’accusa che porterà Fiorito in carcere.
Secondo i pm romani proprio lo spostamento dei fondi all’estero sui conti privati configurerebbe il reato di peculato.
Il capogruppo in carica ha in mano la contabilità quando scrive con toni poco dubitativi: “Il riscontro che dovremo effettuare nei prossimi giorni potrà soltanto confermare, se non aggravare, gli indizi di una gestione poco chiara e illegittima dei detti fondi, tale da indurmi a prendere decisioni molto gravi nei confronti dello stesso on. Fiorito”.
Battistoni chiede anche a Berlusconi di intervenire: “credo non sia più tollerabile la presenza del collega nel nostro gruppo e nel partito (…) riservandomi comunque di illustrarVi, non appena possibile, le complete risultanze delle analisi dei miei consulenti”. Battistoni chiude con fiducia: “Certo di un Vostro immediato e concreto intervento, rimango in attesa per fornire tutti chiarimenti del caso”.
Il 27 agosto il capogruppo scrive anche al collegio dei probiviri del Pdl, perchè prenda provvedimenti contro Fiorito, segnalando anche la Bmw X5 acquistata in leasing con i soldi del partito.
Per giorni non accade nulla poi il caso esplode.
Non per merito dei leader del Pdl bensì per l’esuberanza di Fiorito che accusa a sua volta Battistoni di spese allegre per viaggi e cene.
Solo a quel punto arriva la denuncia del capogruppo contro Fiorito: a Viterbo per diffamazione, non a Roma per peculato.
Pochi giorni dopo Battistoni, mai indagato, è costretto a dimettersi dal diktat della Polverini, poi travolta anche lei dallo scandalo.
Di queste tre lettere non si è saputo mai nulla.
Abbiamo provato a contattare Battistoni per chiedergli se Berlusconi, Alfano e Verdini le abbiano ricevute e quali provvedimenti abbiano adottato.
Il consigliere, raggiunto tramite il figlio che risponde al suo telefonino, ha evitato di rispondere.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 17th, 2012 Riccardo Fucile
NEL MIRINO DEI RENZIANI CI SONO LA FINOCCHIARO E LA BINDI
Nel mirino ci sono anche loro, le due leader del Pd: Rosy Bindi, la presidente del partito, e Anna Finocchiaro, la capogruppo al Senato.
Esperienza politica e carisma.
Ma non saranno ricandidate in Parlamento, se non chiederanno la famosa deroga alla Direzione del partito, quella stessa che dovrà presentare D’Alema e che è al centro dello scontro con Bersani.
Il clima è surriscaldato. C’è aria di burrasca tra i Democratici, alle prese con la scelta di Veltroni — che darà l’addio al Parlamento — la “rottamazione” di Renzi e il pressing di Bersani per il ricambio.
Da qui, la ritrosia di Finocchiaro e l’insofferenza di Bindi. In un corridoio di Palazzo Madama, di corsa tra una giunta del regolamento e l’aula da gestire sull’anticorruzione, Anna Finocchiaro sorride: «Io non chiedo deroghe ».
La presidente dei senatori democratici è tranquilla, non vuole entrare nel gioco di chi si tira fuori e di chi no, di chi chiede e di chi pretende.
«Sono a disposizione del partito, saranno i suoi organismi a decidere se sarò utile o meno ».
Anche perchè «non ho mai chiesto di essere candidata a nulla in vita mia».
E scappa via, a fare quel lavoro parlamentare su cui ha accumulato 25 anni di esperienza.
A Montecitorio freme invece Rosy Bindi. Ha giurato a se stessa e alla madre Melfi che, prima di parlare, si calmerà un po’.
Racconta che la mamma l’ha svegliata dicendole: «Rosy, guarda che finora nessuno ha vissuto fino a 120 anni». E lei: «Cosa vuoi di’?». «Che tu hai sessant’anni e non ne vivi altri sessanta, quindi sta’ calma ».
Deve però mordersi la lingua, fumantina com’è, e convinta che non si cede a Renzi e alla rottamazione.
«Mi hanno chiesto persino se mi candido sindaco di Roma. Allora sì che sarei da trattamento sanitario obbligatorio».
Prova ancora a scherzare: «Sono un po’ ingrassata. Ora mi diranno: allora, va fuori». Intanto aspetta di discutere con Bersani.
Una rivoluzione generazionale è in atto nel Pd. Enrico Letta, il vice segretario annuncia: «Sono in Parlamento da nove anni e la prossima sarà la mia ultima legislatura ».
Lo scontro si fa sempre più aspro.
Roberto Reggi, il coordinatore della campagna del sindaco “rottamatore”, canta vittoria: «Sulla rottamazione abbiamo vinto, ora non ci resta che aspettarli a uno a uno sulla riva del fiume».
La reazione dei bersaniani è dura: «Le parole di Reggi sono squallide e inaccettabili, si cavalca l’antipolitica per qualche voto in più» (Fassina); «Indecorosa questa caccia all’uomo» (Boccia).
In serata i supporter di Bersani nella sfida per le primarie si riuniscono, non c’è D’Alema ma molti big.
Ci si aspetta che il segretario dica qualcosa su chi resta e chi va: «La rottamazione svilisce il confronto nel paese, non è così che si risolvono i problemi degli italiani», esordisce.
Franceschini, il capogruppo a Montecitorio, conclude: «Sulle deroghe per i parlamentari si valuti il lavoro che hanno svolto».
Oltre a Veltroni, Castagnettie Livia Turco, non si ricandiderà Arturo Parisi: «Dodici anni sono stati anche troppi specie se penso agli ultimi 4 passati a pigiare bottoni a comando».
Non chiederanno la deroga probabilmente Bressa, Treu, Garavaglia. Sarà la Direzione (120 membri più quelli di diritto, in tutto 180) a dover giudicare secondo l’articolo 21 dello Statuto, a decidere chi sì e chi no.
Le deroghe possibili sono una trentina; chi non ha fatto tre mandati pieni (ovvero 15 anni) è ricandidabile.
Antonello Giacomelli sottolinea l’importanza che i casi siano affrontati individualmente (nel 2008 ci fu il “listino” dei derogati).
Gianni Cuperlo vorrebbe una direzione ad hoc per un dibattito serio sul ricambio. Ettore Rosato scommette che le deroghe saranno assai meno del previsto.
«Ci vogliono per chi rappresenta la memoria storica e per chi ha competenze come Morando», afferma Tonini.
Luigi Zanda, vice capogruppo in Senato, difende Finocchiaro: «È la migliore parlamentare che abbiamo, questa discussione è assurda».
Ma Roberto Zaccaria, ex presidente Rai, ricorda: «Basterebbe una legge elettorale che consente di scegliere per risolvere i problemi ».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 17th, 2012 Riccardo Fucile
IL 21 OTTOBRE 40 CONSIGLIERI ANCHE ALLA PRIMA LEGISLATURA CONQUISTERANNO IL DIRITTO ALLA PENSIONE
La data clou per uno dei consigli regionali più indagati d’Italia sta per arrivare.
E non si tratta del giorno della caduta di Roberto Formigoni dai piani alti di Palazzo Lombardia.
Ma del prossimo 21 ottobre, un momento importante per metà dei consiglieri, quelli che sono al loro primo mandato.
Perchè questa data potrebbe far scattare per loro il diritto al vitalizio.
Potrebbe, visto che dieci giorni fa il governo Monti ha approvato un decreto taglia sprechi che per il momento cambia le regole del gioco: per il vitalizio non basteranno più due anni e mezzo di politica in regione, ma ce ne vorranno dieci.
Un decreto, però, va convertito in legge dal Parlamento e lì può succedere di tutto, così a qualcuno può venire il sospetto che a puntare a campare non siano solo i consiglieri di Pdl e Lega.
Ma anche quelli dell’opposizione, che da settimane sbandierano le dimissioni, già messe sulla carta ma mai protocollate.
“Senza quelle del Carroccio — dice la versione ufficiale — le nostre dimissioni sono inutili, il Consiglio regionale non verrebbe sciolto”.
Oggi però c’è un consigliere che ha deciso di infischiarsi della versione ufficiale ed è passato ai fatti: “Non voglio che a dettare i tempi dell’uscita di scena sia Formigoni, un presidente ormai totalmente screditato — dichiara Gabriele Sola dell’Idv -. Io mi dimetto, in tempo utile per evitare il superamento del ‘giro di boa’ della legislatura e, con esso, il diritto a percepire il vitalizio”.
Sul vitalizio in realtà pende la scure di Monti, che ha posticipato a 66 anni l’età in cui consiglieri, assessori e presidenti regionali potranno percepire la ‘pensione’.
E ha imposto un limite minimo di attività pari a dieci anni.
Ma se il decreto non dovesse essere convertito in legge entro 60 giorni, in Lombardia tornerà a valere la legge regionale 12 del 20 marzo 1995, che a chi compie 60 anni garantisce un vitalizio (quello minimo è di 1.300 euro al mese), anche a fronte di soli due anni e mezzo al Pirellone, a patto di versare un contributo di poco più di 2mila euro mensili fino al termine naturale della legislatura.
Il decreto del governo presenta poi due incognite: non è chiaro quali siano le sanzioni per le regioni che non si adegueranno e potrebbe lasciare ai consiglieri la possibilità di avviare azioni legali per farsi riconoscere un diritto che ritengono ormai acquisito.
In Lombardia a fare i conti con il decreto sono 40 consiglieri su 80, tutti al primo mandato.
Non c’è solo Nicole Minetti, ma anche altri sette dei suoi 29 compagni del Pdl.
Nella Lega sono in 13 su 20.
Passando all’opposizione, qui i consiglieri che matureranno trenta mesi di mandato fra una settimana sono addirittura in maggioranza: due su tre nell’Idv di Sola, 13 su 21 nel Pd, Filippo Penati del gruppo misto, due su tre nell’Udc, tutti e due i consiglieri di Sel.
Il gesto di Sola ha colto di sorpresa anche gli alleati, proprio nel giorno in cui ogni sforzo era concentrato nell’organizzare la protesta sotto Palazzo Lombardia per chiedere sì delle dimissioni, ma quelle di Formigoni.
Secondo Chiara Cremonesi, capogruppo di Sel, l’iniziativa del quasi ex consigliere è inutile: “Il 21 ottobre non succede proprio nulla — dice — perchè è in vigore il decreto del governo. Nessuno, quindi, sta aspettando quel giorno per maturare il vitalizio. Sono disponibile alle dimissioni, ma se non le danno i consiglieri della Lega, io resto a fare opposizione fino alla fine”.
D’accordo con lei è il compagno di partito Giulio Cavalli, appena candidatosi alle primarie del centrosinistra: “Io ho rinunciato al vitalizio con una semplice lettera, non è necessario dimettersi — spiega -. Anche perchè così lasceremmo in mano a Pdl e Lega le modifiche alla legge elettorale”.
Analoga la posizione del gruppo del Pd, che in virtù del decreto Monti assicura in una nota: “Nessun consigliere del Partito democratico in carica percepirà il vitalizio da consigliere regionale”.
Ma Sola non ci sta e alle critiche ribatte: “Il momento di depositare le dimissioni secondo me è arrivato. Solo così è possibile dissipare ogni ombra sulla maturazione dei vitalizi, a prescindere dai tecnicismi che, troppo spesso, permettono alla ‘casta’ di mantenere i propri vizi”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 17th, 2012 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE, DOPO VENETO E PIEMONTE, DISPOSTO A CEDERE AI RICATTI LEGHISTI ANCHE LA LOMBARDIA, PUR DI RISTABILIRE L’ALLEANZA CON IL CARROCCIO ALLE PROSSIME POLITICHE… LE MOSSE DI DUE DISPERATI
“Formigoni si deve rassegnare, deve capire che non può dettare ancora le condizioni. Roberto Maroni è la soluzione migliore per la Regione”.
A quella via d’uscita Silvio Berlusconi ha lavorato sodo, nelle ultime 48 ore e non transige che ora possa saltare per le vendette consumate del presidente uscente.
Il filo diretto del Cavaliere col leader della Lega, sentito anche ieri, la mediazione di Angelino Alfano, quella sottotraccia di Maurizio Lupi.
C’è tutta una diplomazia che si muove dietro la candidatura di bandiera di Gabriele Albertini.
Col sacrificio del “Celeste” sembra spianarsi l’autostrada che porta dritta a un nuovo accordo politico col Carroccio per le politiche di primavera.
“Il vero problema adesso è convincere Formigoni ad accettare l’accordo e non è affatto impresa facile” racconta uno dei più alti dirigenti del Pdl.
Tanto per cominciare, Berlusconi e Alfano hanno convinto i leghisti ad abbassare i toni contro il governatore e così è stato.
Col presidente della Regione stanno invece trattando, nel tentativo di indurlo a più miti consigli.
L’approdo in Parlamento è una delle offerte poste sul tavolo.
Berlusconi considera la partita con Casini ormai persa e preferisce lavorare al “Piano B”: lancio della nuova lista col traino di una decina di imprenditori-manager e rampa di lancio per il progetto “volti nuovi”.
Il repulisti è imminente e getta nel panico i deputati uscenti.
Nel frattempo Maroni, dopo aver ribadito che la Lega non si è mai sognata di uscire dall’alleanza del Pirellone, abbassa i toni della polemica e si appresta al plebiscito in suo favore da parte degli elettori leghisti nei banchetti delle primarie interne.
Il primo obiettivo sarà spostare le elezioni il più in là possibile, magari ad aprile insieme alle politiche, e apre alle primarie di coalizione con il Pdl: “Il Pdl le vuole fare con noi? Sono d’accordo”.
Carmelo Lopapa e Rodolfo Sala
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 17th, 2012 Riccardo Fucile
TUTTI I SONDAGGI DICONO CHE SE SI VOTASSE OGGI PD, IDV E SEL VINCEREBBERO CON QUALSIASI CANDIDATO
Un tempo il Celeste arrivava dal cielo in elicottero e si posava sulla nuvola dell’ufficio al trentacinquesimo piano, abbassando uno sguardo sovrano sulla «sua» regione.
Ma ora ogni giorno porta una nuova pena. L’ultima, l’inchiesta della procura di Bergamo sulle discariche di amianto.
Inchiesta che minaccia di aprire lo scrigno dei misteri, gli affari della Compagnia delle Opere.
Formigoni infila l’ascensore di corsa, per fuggire le telecamere, e si arrocca in un bunker. L’altra sera s’è affacciato appena per osservare il migliaio di formichine di sinistra, colorate e festanti, che lo contestavano nel piazzale della Regione.
Poi si è rimesso alla scrivania, ha acceso tutti i notiziari e si è messo al computer per ingaggiare l’ennesima furibonda collutazione via Twitter.
Raffiche di esclamativi: «Lei è un ignorante!». «Maleducato!». «Cialtrone! ».
Di rado s’avventura sul terreno per lui scivoloso dell’ironia.
«Sono state scritte tonnellate di falsità su di me. Diventerò milionario coi soldi delle querele». Risposta ¨ «Bravo, così al prossimo giro le vacanze te le paghi da solo».
Ma che guardi giù dalle finestre o accenda il televisore o si metta a twittare, Formigoni s’imbatte ogni volta nello spettro che più ferisce il suo narcisismo stellare. L’uomo che presto prenderà il suo posto e di certo non lo farà rimpiangere.
Già , ma chi sarà ?
Tutti i sondaggi dicono che se si votasse oggi col maggioritario il centrosinistra vincerebbe con qualunque candidato.
Ma l’esperienza aggiunge che potrebbe perdere con un candidato qualunque.
E’ la fotografia esatta di quanto accadeva a Milano prima che spuntasse a sopresa il nome di Giuliano Pisapia. La caccia al «Pisapia lombardo» è dunque aperta.
Tanto per cominciare ci sarebbe il nome preferito dal Pisapia vero, Umberto Ambrosoli.
Un nome che scalda i cuori di molti.
Oggi, 17 ottobre, Giorgio Ambrosoli compirebbe 79 anni, se non fosse stato assassinato l’11 luglio 1979 da un sicario mafioso di Michele Sindona.
«Se l’andava cercando» fu l’agghiacciante commento di Giulio Andreotti, simbolo dell’eterno grumo di potere, dalla P2 alla mafia alla banca vaticana, che Ambrosoli aveva osato sfidare.
Per un paio di generazioni di onesti lombardi, la sola ipotesi che possa essere il figlio dell’eroe borghese a porre fine alla stagione del potere formigoniano e alla vergogna in cui è precipitata la Lombardia, è semplicemente un sogno.
Ancora più importante, per i padrini della ‘ndrangheta, sarebbe un incubo.
Cognome a parte, la figura di Umberto metterebbe d’accordo mondi altrimenti distanti, vertici del Pd ed elettori, rottamatori e rottamandi, vendoliani e centristi, cattolici e laici.
L’uomo è pieno di qualità , brillante penalista, 38 anni, intelligente e colto, con un qualche impaccio timido, ma accattivante, che si perde quando si mette al computer. Ha scritto in ricordo del padre un libro bello e toccante fin dal titolo: «Qualunque cosa succeda ».
Dalla lettera del padre alla moglie Anna. «Pagherò a molto alto prezzo l’incarico. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai cosa devi fare. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto dei valori ai quali noi abbiamo creduto…».
Da mesi Umberto ha ingaggiato un duello proprio su Twitter con Formigoni, con battute mica male. «Dice il Celeste: ho revocato le deleghe a Zambetti. Uao! Chissà come avrebbe fatto a esercitarle agli arresti ». «“Nel 2010 non volevo candidare Zambetti perchè giravano brutte voci su di lui”. Sarebbe una difesa?».
Per la verità , Ambrosoli non le risparmia neppure alla sinistra lombarda: «S’avvicina il giorno in cui Penati potrà tradurre in fatti la promessa di rinunciare alla prescrizione. Attesa».
Il candidato ideale Ambrosoli ha un solo grave difetto: non vuole candidarsi.
«Avessi avuto due anni o anche uno per costruire una squadra di governo, sì. Ma così, in due o tre mesi non ci s’improvvisa candidato in una regione di dieci milioni d’abitanti che per vent’anni è stata occupata da un’infernale macchina di potere. La questione non è sostituire Formigoni con una brava persona, qui si tratta di smantellare un metodo e una colossale massa d’interessi che opporrà una resistenza feroce. Io non mi sento ancora adeguato ».
L’«ancora» suona un po’ ottimista, gli faccio notare.
Certo occasioni si presentano una volta sola.
«Ma io sono ottimista in ogni caso. Il vento è cambiato. Mettiamola così, la mia rinuncia porterà ancora fortuna. Quando ho rifiutato di candidarmi a sindaco di Milano, subito dopo è arrivato Giuliano Pisapia. Si troverà un Pisapia anche per la regione ».
Se l’insistenza di Pisapia e di Pierluigi Bersani non riusciranno a smuovere Ambrosoli, per cercare l’altro possibile candidato bisogna abbassare lo sguardo sulle formichine dell’altra sera e puntare su quella al centro del cerchio più grande,
Pippo Civati. Un Renzi lombardo e di sinistra, più colto e meno spaccone del sindaco di Firenze, del quale condivide l’età , 37 anni, ma non più le idee.
E’ però altrettanto abile a manovrare la rete, potrebbe incarnare la voglia di voltare pagina e intercettare qualche voto dalle truppe dei grillini, che in Lombardia viaggiano verso il 20 per cento.
Professore di storia con la passione di Giordano Bruno, piace anche alle signore che vanno a messa, per via dell’aria del «bravo fioeu».
Ha maturato una bella esperienza da consigliere regionale, non se la tira da intellettuale e da bravo brianzolo è uno sgobbone capace di macinare chilometri in campagna elettorale.
Piace però molto meno all’apparato del Pd lombardo, in gran parte nominato da Penati.
Non si può dire che fosse un amico dell’ex braccio destro di Bersani, il che naturalmente non è un difetto. Di fatto Civati si è già candidato alle primarie, se si faranno. «Ma vorrei farlo con il partito e non contro».
Gli altri due nomi in corsa, per ora, sono quelli di Bruno Tabacci e Alessandra Kustermann.
Tabacci era vicepresidente della Lombardia negli anni Ottanta. Formigoni twitta: «Se candidano lui, è fatta!».
Alessandra Kustermann è un grande medico, primaria di ostetricia alla Mangiagalli e fondatrice dell’associazione contro la violenza sulle donne.
Come assessore alla sanità lombarda, sarebbe la rivoluzione. Molto apprezzata dalla borghesia milanese di sinistra, avrebbe solo poche settimane per farsi conoscere oltre la cerchia dei Navigli.
Alla fine saranno le primarie a decidere.
Il segretario del Pd lombardo, Maurizio Martina, sbarazza il campo dagli equivoci: «Le faremo, dobbiamo farle, anche se non è semplice. Sono nel nostro Dna».
L’idea è quella di accorparle con il ballottaggio delle primarie nazionali, il 2 dicembre.
Il vincitore, più che con gli improbabili eredi del Celeste, Albertini o Maroni, dovrà fare i conti con la storia.
Quella che ha visto la Lombardia governata dal centrodestra per vent’anni e prima per quaranta feudo democristiano.
Dovrà vedersela anche con la consolidata abitudine della sinistra lombarda alla sconfitta.
Giorgio Ambrosoli amava una frase di Sant’Ambrogio: «Voi pensate: i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene e muterete i tempi».
Curzio Maltese
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 17th, 2012 Riccardo Fucile
NEL MOVIMENTO TANTI LAVORANO PERCHE’ NON NASCA UNA LISTA CON IL SUO NOME
Se proprio volessimo cercare una metafora dei rapporti tra Roberto Formigoni e Comunione e Liberazione potremmo scegliere quella legata al nuovo grattacielo della Regione Lombardia.
Optando per un palazzo di 39 piani il Celeste ha ribadito la sua propensione per la verticalità mentre la filosofia dei ciellini resta, nonostante tutto, ancorata a una visione orizzontale della vita e della società .
Il distacco tra Cl e Formigoni quindi non parte dagli ultimi episodi, si alimenta di un’insofferenza che data molto più addietro.
Oggi diversi esponenti di Cl arrivano a sostenere che se fosse stato per loro Formigoni sarebbe diventato presidente del Senato e non avrebbe dovuto ricandidarsi alla guida del Pirellone. Secondo questa ricostruzione sarebbe stato Silvio Berlusconi a volerlo ancorare a Milano e a precludergli la Capitale.
Sia opportunistico o meno ricordarlo, l’episodio è sintomatico perchè è rivelatore di una volontà di prendere le distanze dal Celeste che ormai sembra conoscere poche eccezioni.
Trovare un ciellino che tifi per Formigoni è difficile.
E non è certo un caso che intervenendo da Gad Lerner lo scorso lunedì sera Mario Mauro, capogruppo pdl a Strasburgo e ciellino onni-rispettato, non abbia minimamente preso in considerazione l’ipotesi di una lista Formigoni e abbia invece esplicitamente indicato come candidato al Pirellone un non ciellino, Gabriele Albertini.
Un modo per dire «noi abbiamo già dato e stare fermi un turno non ci può far che bene».
La verità , infatti, è che il movimento sta tentando disperatamente di non pagar dazio, di chiudere la parentesi formigoniana così come si licenzia un allenatore che ha vinto tanto ma è diventato ingombrante.
Tutti quindi in questi giorni lavorano per recuperare la giusta distanza.
Non solo dal governatore della Lombardia («che come Lucifero a un certo punto ha creduto di esser diventato il capo di Cl») ma anche da Berlusconi che se fosse per i ciellini non dovrebbe nemmeno pensare di potersi candidare alle politiche del 2013.
In questo affannoso recupero di autonomia la lettera di Julià¡n Carrà³n, il successore di don Giussani, uscita il 1 maggio su Repubblica è citata e stracitata. In molti la sanno a memoria.
Il passaggio chiave è laddove Carrà³n contrappone «testimonianza» ed «egemonia» e implicitamente accusa Formigoni di essere rimasto vittima della seconda.
La volontà di potenza che ha preso il posto dei legami orizzontali con la società .
Eppure la forza di Cl sta proprio nella sua capillarità , nelle reti di welfare minimo che ha saputo costruire. Se la globalizzazione ti lascia da solo, Cl no.
Se sei un avvocato troverai la tua associazione, se la tua famiglia è vittima del disagio troverai chi la soccorre.
Ma a differenza della Caritas i ciellini hanno sempre tramutato l’empatia sociale in una macchina capace di produrre preferenze e consenso da negoziare con il mondo politico per ottenere gli obiettivi del movimento.
Chi ha partecipato da dentro alla macchina elettorale di Cl racconta come fosse organizzata stile Pci vecchia maniera, tutti sapevano perfettamente le cinquine da votare e da far votare e quasi sempre i risultati confermavano le previsioni.
Una macchina che finora ha conosciuto solo una defaillance, alle ultime comunali di Milano quando Cl non è riuscita a impedire all’arancione Giuliano Pisapia di vincere.
I dietrologi sostengono che non sia stato casuale e che il Celeste non amasse Letizia Moratti e preferisse non averla tra le scatole in previsione dall’Expo ma la verità non è stata mai acclarata e comunque al momento opportuno Pisapia non ha onorato la presunta cambiale.
Il rapporto di Cl con la politica ha conosciuto molti passaggi.
La venerazione per la figura di Giulio Andreotti, la creazione di un vero e proprio braccio operativo – il Movimento popolare – successivamente soppresso, l’appoggio incondizionato al Cavaliere e il lungo ciclo formigoniano.
Non si può dire che nessuna di queste esperienze si sia rivelata alla fine esaltante.
Certo ha permesso al movimento di consolidarsi, di ottenere prebende, di reclutare manager e professionisti ma alla fine ha obbligato Cl a un’ordinaria manutenzione del consenso che ne ha appannato l’immagine e ne ha logorato la capacità di produrre innovazione politica.
Lo stesso modello di organizzazione sembra conoscere dei limiti oggettivi tanto che alla fine produce buoni quadri ma non leader.
Non stupisca quindi che oggi nel mondo cattolico c’è chi monta il paragone con la comunità di Sant’Egidio per sostenere che il modello leggero dei romani è più efficace e li ha dotati di un leader più in sintonia con i tempi come il ministro Andrea Riccardi.
Nessuno dentro Comunione e Liberazione contesta i risultati della Lombardia, riconoscono tutti a Formigoni di aver governato bene e di aver dato seguito ad alcune idee-chiave del movimento come la sussidiarietà , la difesa della scuola privata, il sistema dei voucher, ma ciò non impedisce di aspettarne con trepidazione l’uscita di scena. Camillo Langone sul Foglio di ieri ha rivolto addirittura un appello a Carrà³n «a staccare la spina», a lasciare esplicitamente la Celeste Zavorra al suo destino.
In molti dentro Cl si vantano di lavorare perchè non nasca una lista Formigoni, giudicata un’autentica fesseria che poteva venire in mente solo a un uomo che ha dimenticato la testimonianza ed è carico di volontà d’egemonia.
Verrà il giorno in cui, senza che canti nessun gallo, anche i manager da lui nominati lo disconosceranno ma del resto è destino dei potenti che accada così. I primari ciellini in Lombardia sono almeno trenta e si parla di almeno 3 mila medici appartenenti al movimento. Come riusciranno a garantirli tutti?
onostante un ciclo politico di 17 anni al potere della più importante regione italiana non esiste un filone di «ciellelogi», come invece esiste una nutrita schiera di «legologi».
La spiegazione più semplice è che il Carroccio tutto sommato è un partito facile da interpretare mentre il singolare intreccio di fede, welfare e politica rappresentato dal movimento dei seguaci di don Giussani non si presta.
Nei confronti di Cl però non mancano i nemici giurati: c’è chi l’accusa di non avere una contabilità trasparente, c’è chi la paragona a una vera e propria setta con i suoi adepti e a Milano negli ambienti sanitari, bancari e universitari c’è una corrente di avversione che accusa Cl di pianificare le carriere, organizzare assunzioni ad hoc, far scivolare la pratica comunitaria in vero e proprio clientelismo molecolare.
«Siamo un ascensore sociale» ebbe a dire qualche tempo fa un giornalista ciellino.
«Se anche l’amicizia in Italia diventa un reato io emigro» gli fa eco un parlamentare, che per spiegare il funzionamento della rete di monitoraggio e assistenza racconta come don Giussani una volta si era recato in Sicilia e aveva conosciuto dei produttori di vino ad Alcamo.
Tornato a Milano aveva dettato i compiti ai suoi: «I nostri amici siciliani fanno un vino fantastico e noi dobbiamo aiutarli a venderlo».
A rendere stabile l’aiuto alle imprese è nata la Compagnia delle Opere che ha conosciuto nel tempo un discreto successo, si è imbattuta in più di qualche disavventura giudiziaria (come quella di ieri a Bergamo) ma non è quella macchina da guerra che spesso viene dipinta.
Solo per avere un termine di paragone aderiscono alla Cdo 36 mila imprese mentre l’associazione degli artigiani di matrice cattolica, la Confartigianato, ne rappresenta 700 mila.
Dario Di Vico
(da “Il Corriere della Sera“)
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Ottobre 17th, 2012 Riccardo Fucile
NUOVA INDAGINE SULLA GIUNTA FORMIGONI
L’aveva voluta Roberto Formigoni in persona, scavalcando quanto approvato dal Consiglio regionale.
Ora, quella delibera della giunta della Regione Lombardia che autorizzava la Cavenord di Pierluca Locatelli a smaltire amianto, è fulcro dell’inchiesta milanese che ha messo sotto accusa per corruzione i vertici bergamaschi della Compagnia delle Opere, braccio economico di Comunione e liberazione: il presidente Rossano Breno (anche membro del Cda della Banca Popolare di Bg) e il vicepresidente Luigi Brambilla per fatti “in data prossima al settembre 2011”.
Ieri, le società da loro amministrate, la Mediberg e la Custodia srl sono state perquisite dal nucleo tributario della Guardia di finanza su disposizione dei pm Paolo Filippini e Antonio D’Alessio, coordinati dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo.
Nel decreto si legge che la perquisizione è stata decisa sulla base della “deliberazione della Giunta Regionale della Lombardia n°1594 del 20 aprile 2011”, oltre che alla luce di un interrogatorio di Locatelli, secretato, del 31 gennaio scorso; della documentazione acquista presso la fondazione Imiberg; delle “fatture emesse da Custodia srl nei confronti di Locatelli in forza di obbligazioni contrattuali”.
Ha avuto un peso, inoltre, un’intercettazione ambientale di Locatelli, nell’ottobre 2011 “nel corso della quale si apprendeva che la Cavenord costata 7 milioni di euro per il gruppo Locatelli, grazie alla discarica di amianto avrebbe consentito l’erogazione di un mutuo di 15 milioni di euro”.
Breno e Brambilla, della Compagnia delle Opere, per l’accusa sono dei mediatori tra Locatelli e funzionari regionali, un po’ come, per il settore sanità , Piero Daccò e Antonio Simone, coindagati di Formigoni per presunti grandi favori alla Fondazione Maugeri.
Emerge un “diretto coinvolgimento di Breno e Brambilla affinchè gli amministratori della Regione Lombardia con cui erano ‘in contatto’ favorissero con atti contrari ai doveri d’ufficio gli interessi imprenditoriali di Locatelli e l’ottenimento dell’Autorizzazione regionale per l’apertura di una discarica di amianto…”.
Gli uffici della Mediberg e della Custodia, si legge ancora nel decreto, li hanno utilizzati “per stringere accordi criminosi con Locatelli nonchè per emettere documentazione contabile e contrattuale con cui giustificare il pagamento di illecite somme di denaro da parte di Locatelli, ovvero per incassare denaro contante quale pagamento delle promesse corruttive”.
In cambio del loro “pressing” sulla Regione, i vertici bergamaschi della Compagnia delle Opere avrebbero ricevuto da Locatelli “centinaia di migliaia di euro” e lavori gratuiti alla scuola ciellina della Fondazione Imiberg.
Locatelli è stato arrestato nel novembre 2011 per aver dato una mazzetta da 100 mila euro all’allora vicepresidente del Consiglio regionale Nicoli Cristiani( Pdl) anche lui finito in carcere insieme al funzionario dell’Arpa, Giuseppe Rotondaro.
Locatelli, in un interrogatorio, secondo quanto ci risulta, sostanzialmente ha anche dichiarato di aver dato una tangente a Nicoli per non avere problemi con funzionari regionali.
Nel testo della delibera regionale a favore di Cavenord, si legge che fu approvata “su proposta del presidente Roberto Formigoni”.
Un provvedimento che ha letteralmente aggirato i limiti posti dal Consiglio regionale sui materiali inertizzanti, quando ha approvato il piano cave in provincia di Cremona. Quei “paletti”, dunque, non avrebbero consentito l’autorizzazione di cui aveva assoluto bisogno Locatelli.
Ma il governo lombardo, su input di Formigoni, ha approvato quell’autorizzazione firmata dal dirigente competente Dario Sciunnach, con un parere positivo, a quanto pare, dell’ufficio legale del Pirellone.
Non senza il travaglio, però, di alcuni funzionari dell’ufficio dell’assessorato all’Urbanistica e al Territorio.
Secondo quanto risulta al Fatto , un dirigente in particolare, sentito in procura come testimone, ha riferito di aver dato parere negativo: a suo avviso non poteva essere concesso il via libera a Locatelli, senza passare attraverso un nuovo voto del Consiglio regionale.
Quel dirigente ha cambiato ufficio prima del sì della Giunta.
E la delibera, contrariamente al regolamento che ne prevede la divulgazione, non è stata pubblicata sul sito della Regione.
Antonella Mascali
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 17th, 2012 Riccardo Fucile
IL TESTO DEL DRAMMATICO VOLANTINO DISTRIBUITO DAVANTI ALLA FABBRICA
Siamo donne del movimento operaio. Mogli degli operai della Fiat di Pomigliano. Molte tra noi sono operaie.
E siamo stanche di vedere i nostri uomini tornare a casa cupi in volto e con lo sguardo perso nel vuoto e fisso alle scadenze di fine mese.
Noi che con i nostri figli e le nostre famiglie siamo costrette a fare i conti e a vivere con 750 euro al mese.
Siamo stanche di vivere la sensazione di rassegnazione e sconfitta che comincia a far presa sui nostri mariti.
E addolorate da quanti urlano dai tetti la loro disperazione, si tagliano le vene o, addirittura, si tolgono la vita.
Siamo stanche di assistere a programmi tv che mostrano famiglie operaie raccolte in cucina con la pentola che bolle e poco da cucinare e, di contro, le interviste ai “professori” che vorrebbero convincerci che “abbiamo vissuto finora al di sopra delle nostre possibilità mangiandoci il futuro dei nostri figli”!
Ma chi… noi…?!
Con 750 euro al mese quando va bene?!
Vero è che sono sempre e solo i loro “bamboccioni” che continuano a sperperare in una notte di “vizietti” quello che un operaio (quando gli andava bene) guadagnava in un anno.
I loro “rampolli” che, oggi come ieri, vengono accompagnati a scuola con la “fuoriserie” guidata dall’autista.
Mentre noi per i nostri figli, tra poco, non potremo più mettere nemmeno il piatto a tavola.
Tutto questo non è più tollerabile.
Ed è ancora più intollerabile anche considerato il “massacro operaio” in atto in tutte le fabbriche della Fiat di Marchionne e realizzato con un fiume di finanziamenti pubblici e gravi connivenze politico-istituzionali e sindacali.
Proprio quei sindacati — i confederali — che oggi sembrano scesi da Marte, come se non fossero stati proprio loro a sottoscrivere gli accordi più infamanti per i lavoratori. Eppure, siamo convinte che se la Fiat ha da sempre rappresentato il “potere forte” per eccellenza (lo Stato nello Stato), i suoi operai hanno sempre saputo tenere alta la testa. E oggi è innanzitutto da “questi operai” (e sono ancora tanti) che può ripartire un credibile segnale di unità e di lotta.
Un obiettivo non facile, tenendo conto del fatto che chi sindacalmente e politicamente dovrebbe stare dalla parte dei lavoratori si attiene al motto che “dividere è meglio (e più proficuo) che unire” ostinandosi nel tentativo di separare tra loro le lotte dei lavoratori delle singole fabbriche.
Ed è proprio oggi che ci troviamo precipitati in un preoccupante arretramento della condizione operaia, oggi che Monti e i suoi ministri benestanti si riuniscono con Marchionne (e con Riva per citare ad esempio il “cul de sac” in cui hanno cacciato gli operai dell’Ilva di Taranto) e con Cgil-Cisl-Uil per accordarsi come al solito a danno dei lavoratori Fiat e dell’indotto, oggi più che mai dobbiamo mobilitarci a fianco degli operai come donne, come compagne, come mamme e come mogli perchè questa è una lotta esemplare per tutti.
Perchè quello che succederà nelle fabbriche Fiat ricadrà sulle nostre famiglie sui nostri figli e, se sconfitti i lavoratori, con il governo Monti (come per i pensionati) ricadrà sui lavoratori del pubblico e del privato, sulle loro famiglie e sull’intera società .
Ma veramente oggi c’è chi può ancora credere e rivendicare gli investimenti di Marchionne se non quanti, con l’approssimarsi della campagna elettorale, sono interessati solo a creare nuove illusioni ?
Noi che a Pomigliano già subimmo le prediche anche dai pulpiti delle chiese, con politici e sindacalisti che magnificarono la Fiat per il suo “piano di investimenti e sviluppo” vogliamo gridare a tutti che la Fiat in Italia non c’ è più e che con quest’andazzo a breve i pochi presidi esistenti non assicureranno più lavoro nemmeno per una piccola parte degli operai.
Ed oggi lo diciamo con forza e prima dell’annunciato disastro industriale e sociale, anche perchè dopo sarà troppo tardi: la Fiat deve restituire i finanziamenti pubblici ad oggi incassati ed usati in danno sociale e per interesse privato e restituire al pubblico le fabbriche, tutte già abbondantemente strapagate dalla collettività .
Comitato Mogli Operai Pomigliano
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Ottobre 17th, 2012 Riccardo Fucile
L’ OBIETTIVO E’ BLOCCARE OGNI NOVITA’
Lunedì 8 aprile, tarda sera. Quasi notte.
Prima le proiezioni, poi i risultati danno all’alleanza Pd-Sel, candidato premier Pier Luigi Bersani, il 30 per cento.
Seguono il Movimento 5 Stelle e la destra berlusconiana spacchettata in più liste.
Democratici e sinistra vincono le elezioni politiche del 2013 e si prendono il premio di maggioranza del 12,5. Arrivano al 42,5.
Non è la maggioranza assoluta dei seggi.
Che succede?
Si spalancano le porte alla Grande Coalizione, il famigerato Monti- bis.
Uno scenario senza vincitori e con un premier che ancora una volta cade dall’alto.
Il paradosso è che alle elezioni tutti i competitor per Palazzo Chigi hanno corso inutilmente.
In base alla bozza Malan, approvata giovedì scorso dalla commissione Affari costituzionali del Senato, questo potrebbe accadere dopo il voto del 7 e 8 aprile, al momento il fine settimana più accreditato per andare alle urne nel prossimo anno.
Dopo mesi di estenuanti trattative su modelli spagnoli, tedeschi e francesi, compreso il tentativo di correggere il Porcellum, l’antica maggioranza di centrodestra, cioè Pdl più Udc più Lega più finiani di Fli, ha partorito la bozza Malan, dal nome del senatore berlusconiano che l’ha presentata.
Il testo, su cui la discussione comincerà mercoledì nella commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, prevede uno schema proporzionale con queste caratteristiche: due terzi dei seggi assegnati con le preferenze, il resto con le liste bloccate dei nominati; un premio di maggioranza del 12,5 per cento alla coalizione vincitrice; una soglia di sbarramento al 5 per cento adattata però ai ricatti della Lega.
Se il Carroccio (ma anche un altro partito, ovviamente) si allea, il quorum scende al 4, oppure ha ancora un’altra possibilità : raccogliere il 7 per cento in circoscrizioni che coprono un quinto della popolazione.
Facile il calcolo: Lombardia, Veneto e Piemonte, roccaforti dei leghisti.
Il Pd non l’ha votato perchè contrario alle preferenze (meglio i collegi per Bersani) ma nelle trattative si era accordato sul premio di coalizione, dopo aver a lungo insistito su quello al primo partito.
Ma l’ostacolo principale sul percorso della bozza Malan l’ha gettato venerdì scorso il capo dello Stato.
Pur soddisfatto per i primi passi avanti sulla riforma del Porcellum, preceduti da otto mesi di moniti sulla legge elettorale, napolitano non vuole un premio di coalizione, seppur al 12,5 per cento.
Il suo timore è che per raggiungere la maggioranza assoluta si mettano su alleanze ancora più vaste ed eterogenee di quelle previste dal Porcellum.
Da un lato di nuovo Bersani, Vendola e Di Pietro insieme.
Dall’altro il Pdl e la Lega.
In pratica il sistema greco, secondo la similitudine notata da Stefano Ceccanti, senatore del Pd e costituzionalista, non è propedeutico al pantano della Grande Coalizione, in cui le estreme dovrebbero stare all’opposizione.
Ma il sospetto che circola tra Montecitorio e Palazzo Madama è che alla fine il nuovo risiko sulla legge elettorale potrebbe nascondere una melina tra partiti per arrivare all’obiettivo iniziale: mantenere il Porcellum.
A Bersani conviene perchè vince sul serio, a Berlusconi anche, perchè manterrebbe ancora il diritto di nomina dei parlamentari.
La partita è solo all’inizio.
Fabrizio D’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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