Ottobre 6th, 2012 Riccardo Fucile
“BASTA ARRIVARE SECONDI: E’ UN GIOCO A PARATA DI CULO”… “HO CONTATTI CON IMPRENDITORI IMPORTANTI, SE I TERMOVALORIZZATORI SONO UTILI NON MI PONGO IL PROBLEMA SE TU CI GUADAGNI”…
La vittoria di Raffaele Lombardo nel 2008? ![](http://sphotos-a.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-snc7/375907_4105145779586_1362662404_n.jpg)
“C’era tutto un quadro che il signor Lombardo aveva garantito e dopo due mesi l’ha fatto saltare”.
Parole di Gianfranco Miccichè, ripreso da Gregorio Valvo, collaboratore di Grande Sud, che con il telefonino lo ha filmato di nascosto quest’estate.
È questo il famoso videotape che Rosario Crocetta, avversario di Miccichè nella corsa a Palazzo d’Orleans, aveva annunciato di possedere.
“E’ la prova che Miccichè vuole fare i termovalorizzatori” aveva tuonato l’ex sindaco di Gela, promettendo di mostrare il filmato dello scandalo.
Miccichè però lo ha anticipato. E con una mossa da scacchista, ha fatto convocare i giornalisti per mostrare lui stesso quel videotape che lo avrebbe dovuto incastrare.
Solo che alla proiezione del video dello scandalo, il protagonista assoluto, ovvero lo stesso Miccichè, ha preferito non farsi vedere.
Quella andata in onda al cinema Tiffany è una scena surreale.
I cronisti (tra cui si erano mimetizzati anche due membri dello staff di Crocetta), non potendo incontrare e intervistare Miccichè, si sono dovuti accontentare di vederlo proiettato in bianco e nero sul maxi schermo, mentre nel video rubato, arringa l’ex assessore all’agricoltura Titti Bufardeci (che non compare, ma di cui si sente la voce) nella sua casa di Cefalù.
Un cortometraggio di dieci minuti fatto di battute al vetriolo, analisi politica e retroscena inediti.
Un filmato rubato che nei mesi scorsi era stato pubblicato per poche ore da un blog di Siracusa. Lo staff di Miccichè se n’era accorto e lo aveva fatto rimuovere.
Poi però quel filmato era finito a Crocetta.
E prima che l’eurodeputato del Pd lo proiettasse domattina al Politeama, durante l’inaugurazione della sua campagna elettorale, il leader di Grande Sud ha deciso di fare outing.
“Se i miei avversari hanno deciso di iniziare una campagna fatta di falsi scoop e proclami sensazionalistici denigratori facciano pure” ha detto Miccichè nella nota, diffusa dal suo partito ai giornali.
In quel videotape, l’ex ministro fa effettivamente cenno ai termovalorizzatori. Ma parla anche di Cosa Nostra.
Il passaggio caldo è tutto contenuto nel racconto di un duplice incontro che l’ex ministro avrebbe avuto quest’estate con il senatore del Pdl Pino Firrarello e con il leader del Cantiere Popolare Saverio Romano.
Sullo sfondo stanno per iniziare a delinearsi le alleanze per le elezioni regionali.
“L’altro giorno venne Firrarello a parlare con me — racconta Miccichè nel video a Bufardeci – perchè io lo conosco Firrarello, e lo so che aveva bisogno di parlarne a solo e il signor Romano pure! Abbiamo messo sul tavolo, non abbiamo parlato di politica, per essere molto chiari. Gli ho detto: guardate io sarò impegnato nel funzionamento della macchina organizzativa. L’unica cosa che vi metto per iscritto è che non entra la mafia in questa macchina organizzativa. Mai si potrà dire che non si fanno i termovalorizzatori perchè c’è la mafia. Si fanno solo se non c’è la mafia. Poi per quanto mi riguarda faccio quello che volete, lo scriviamo prima: l’ho detto a lui e l’ho detto a Romano. Poi se sono utili non mi creo problema se tu ci guadagni e l’altro pure”.
Un passaggio delicato, che ha immediatamente scatenato la replica di Romano che ha invitato Miccichè “a smentire quanto ha riferito nei miei riguardi perche’ non ho mai incontrato Micciche’ insieme a Firrarello ne’ tantomeno ho mai parlato con lui di termovalorizzatori, sulla cui utilita’ mi sono sempre espresso, pubblicamente”.
Ma oltre al retroscena del presunto incontro con Romano e Firrarello (che oggi appoggiano la candidatura di Nello Musumeci) in quel video c’è anche dell’altro.
L’ex luogotenente di Silvio Berlusconi in Sicilia spiega ai suoi interlocutori i segreti della sua oratoria. “Io quando lavoravo in Fininvest ho fatto tre corsi importantissimi di vendita. Il corso si chiamava Keiser. Ti dicevano tutte le cose che serve dire per potere vendere. Se tu assisterai ad un mio comizio tu ti accorgerai che io oggi vado al naturale. Ma io ogni 12 minuti faccio una battuta. Perchè so che l’attenzione cala”.
Quindi racconta delle sue relazioni con l’ex presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo.
“Io devo fare passare il meccanismo — spiega – che sono le mie relazioni. Io ho tutta una serie di relazioni, che non ha nessuno. Perchè io ho Montezemolo che mi chiama e mi fa gli scherzi telefonici: pronto La Repubblica, ma lei è amico di Dell’Utri? E io gli dico: guardi io per ora con voi non parlo. No, dice lui, ci deve rispondere. Ed era lui che materialmente mi rompe la minchia”.
Poi. tra una risata e qualche altro aneddoto colorito, Miccichè inizia a parlare sul serio della sua corsa a palazzo d’Orleans.
“Ho un fratello che è il capo di Banca Intesa, che non lo posso sottovalutare. Non lo posso dire in campagna elettorale ma lo devo fare passare. Non è che lui piglia i soldi di Banca Intesa e mi li da: ma mi organizza un tavolo con i quattro principali imprenditori d’Europa. Il signor Crocetta non lo so chi si può mettere attorno”.
Quindi l’oggetto del discorso viene spostato sul fronte tutto interno al centro destra.
“Cascio? Lo faccio perdere, gli vado contro, è una questione di storie personali”.
Il video, infatti, è stato girato quest’estate, quando all’orizzonte sembrava delinearsi la candidatura del presidente dell’Ars Francesco Cascio.
“Se io mi candido ho subito mezzo Pdl con me, alla fine se la tagliano” spiega Miccichè ai suoi interlocutori.
Poi parla della mancata candidatura a presidente di quattro anni fa. “Ricordatevi — dice – che io non sono stato presidente, non perchè ho offeso Cuffaro: minchiate! Perchè non sarebbe intervenuto Calderoli per avere Lombardo presidente. Non sarebbe intervenuto Matteoli. Non gliene fotteva niente di Cuffaro. Ma perchè c’era tutto un quadro che il signor Lombardo aveva garantito e dopo due mesi l’ha fatto saltare. Il problema è tutto quello”. Quindi il leader di Grande Sud confida ai suoi sodali anche gli obiettivi che si è prefissato per le elezioni. “Il nostro competitor non c’è. Dobbiamo battere Cascio e arrivare secondi. Siccome maggioranza non ne può avere nessuno dobbiamo proporci come soluzione per avere la maggioranza”.
“E’ un gioco al massacro?” chiede uno degli interlocutori fuori campo.
“Non al massacro — spiega Miccichè — è un gioco a salvezza. E’ gioco a parata di culo”.
Più o meno come la mossa del video rubato, mostrato prima che lo facessero gli avversari.
Sicilia Live
argomento: denuncia | Commenta »
Ottobre 6th, 2012 Riccardo Fucile
“BASTA ARRIVARE SECONDI: E’ UN GIOCO A PARATA DI CULO”… “HO CONTATTI CON IMPRENDITORI IMPORTANTI, SE I TERMOVALORIZZATORI SONO UTILI NON MI PONGO IL PROBLEMA SE TU CI GUADAGNI”
Renzi ha fatto la sua parte, Bersani pure.
E grazie ad entrambi, malgrado i toni accesi degli ultimi giorni, il Pd ha evitato una rottura che avrebbe fatto male non solo a se stesso, ma anche al Paese e alla politica.
Onore al merito dei due sfidanti, allora.
Ma l’eroe della giornata è uno dei rottamandi per eccellenza, il canuto Franco Marini. Che malgrado la sua orribile e disgustosa senescenza ha avuto il coraggio di dire dal palco cosa pensa dell’assenza del sindaco di Firenze all’assemblea del partito che di fatto gli consente, cambiando lo statuto, di partecipare alla contesa.
“Una cosa inaccettabile, e qui mi fermo perchè sono troppo vecchio per criticare i giovani”.
Il sindaco di Firenze, da lontano, farà certamente spallucce.
Del resto sono parole di un vecchio arnese del sindacato e della politica.
Uno troppo poco pop per il raffinato conformismo dell’estetica renziana .
Uno che tanto anche lui finirà presto ai giardinetti a badare ai nipotini.
Eppure Renzi — che pure è intelligente — sottovaluta un particolare. Nel suo format a metà strada tra Blair e una session di Mtv tutto si può fare.
Portare frigoriferi vintage sul palco, indossare camicie bianche sapientemente stazzonate, sostituire il logo Apple a quello del partito.
Ma l’eleganza no.
Quella non la puoi rottamare.
Soprattutto quando non ce l’hai.
Marco Bracconi
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 6th, 2012 Riccardo Fucile
L’ACCUSA ERA DI TRUFFA E FALSO
Maria Grazia Laganà è stata condannata a due anni di reclusione, pena sospesa, dal
Tribunale di Locri per truffa, falso ed abuso.
La Laganà , vedova di Franco Fortugno, il vice presidente del Consiglio regionale calabrese ucciso 1 a Locri il 16 ottobre 2005, era imputata in qualità di ex vice direttore sanitario dell’Azienda sanitaria di Locri per una presunta truffa compiuta nell’estate 2005 ai danni dell’ente per forniture di materiale.
Il tribunale ha poi condannato, a un anno e quattro mesi per falso e abuso, Pasquale Rappoccio, ex titolare della Medinex, la ditta fornitrice di materiale sanitario che avrebbe beneficiato degli appalti illeciti e l’ex dirigente dell’Asl di Locri, Maurizio Marchese.
Assolti, invece, altri due ex dirigenti dell’Asl di Locri, Albina Micheletti e Nunzio Papa.
Il pm Giuseppe Adornato, nella sua requisitoria, aveva chiesto la condanna di Maria Grazia Laganà a tre anni, quella di Marchese e Rappoccio a due anni e l’assoluzione di Papa e Micheletti.
“Le accuse che mi sono state rivolte non sono vere”. aveva detto la deputata, facendo dichiarazioni spontanee ai giudici del Tribunale di Locri.
Ha sostenuto, in particolare, che non sono vere le accuse mosse nei suoi confronti dall’ex dirigente sanitaria dell’ospedale di Locri, Albina Micheletti, che ha riferito in aula di essere stata chiamata, nell’estate del 2005, dalla Laganà alla presenza di Fortugno, per parlarle di una fornitura per il pronto soccorso. La teste aveva anche detto che una volta constatata la quantità del materiale aveva fatto denuncia.
“Non sono vere – ha detto stamani la Laganà – le accuse della Micheletti. Non l’ho costretta a fare quell’ordinativo. Io e mio marito non abbiamo mai avuto rapporti con lei nè sul piano personale nè su quello professionale. E non abbiamo avuto rapporti neanche con Pasquale Rappoccio che tra l’altro è di una parte politica distante dalla mia”.
Rappoccio è l’ex titolare della Medinex, la ditta fornitrice di materiale sanitario che avrebbe beneficiato degli appalti illeciti, ed è anche lui imputato nel processo.
La deputata del Pd ha quindi parlato del marito per dire che “ha sempre pagato per gli alberghi nei quali alloggiava in occasione di convegni o di manifestazioni e come primario del pronto soccorso era una persona costante e seria sul lavoro. Come medico e come politico è stato anche autore di una serie di denunce sulla gestione della Asl di Locri che poi sono finite nel nulla”.
La parlamentare, dopo le dichiarazioni spontanee ha lasciato l’aula per impegni personali e professionali.
L’inchiesta che ha portato al processo fu avviata nel 2006 dopo la relazione del prefetto Basilone, nominato commissario all’Asl di Locri in seguito allo scioglimento dell’Azienda disposto all’indomani dell’omicidio di Fortugno.
argomento: radici e valori | Commenta »
Ottobre 6th, 2012 Riccardo Fucile
L’ORDINE DESTINATO A SODDISFARE I “BISOGNI” DEL COMANDANTE DELLA SQUADRA NAVALE ITALIA, L’AMMIRAGLIO DE GIORGI
“Ogni mattina, in particolar modo quando il Signor Cinc è in base Navale a Taranto, l’ufficiale in Comando di ispezione dovrà accertarsi della effettiva presenza in quadrato Ufficiali di una idonea bottiglia di spumante/champagne tenuta in fresco in riposto Ufficiali, nonchè biscotti al burro e mandorle da tostare al momento a cura del cuoco di servizio addetto al Quadrato Ufficiali/quadrati Unificati”.
Potrebbe sembrare un documento ripescato dagli archivi storici del Regno delle due Sicilie, se non fosse per la data che porta in calce: l’8 settembre 2012.
Ossia mentre l’Italia tira la cinghia, è schifata per gli sprechi della politica, la disoccupazione ha superato il 10 per cento e chi un lavoro ce l’ha paga il 44 per cento di tasse, c’è chi usa le nostre imposte per pasteggiare con vini francesi e tartine.
Per capire di chi stiamo parlando bisogna innanzitutto tradurre dal burocratese militare la sigla Cinc.
Si tratta del Comandante in capo della Squadra navale italiana, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi.
Ossia il comandante delle navi militari del nostro Paese. Ammiraglio che lavora nella sede di Santa Rosa, sulla Cassia a Roma.
Ma che spesso prende il suo bell’elicottero e fa visita alle imbarcazioni della squadriglia, dislocate nei vari porti italiani.
A Taranto è ormeggiata la portaerei Cavour, che assieme alla Garibaldi rappresenta il fiore all’occhiello della Marina.
Subito dopo arrivano gli incrociatori: la Francesco Mimbelli è la nave da guerra che ci interessa.
Nel settembre scorso il comandante in seconda ha diramato la “Comunicazione di servizio permanente numero 17”, che alla voce “argomento” recita: “Organizzazione di bordo per la visita del signor Comandante in capo della squadra navale”.
Il documento entra subito nel merito: “L’Unità dovrà essere in ogni momento in grado di gestire eventuali visite del Sig. Comandante. Pertanto la presente è tesa a strutturare una organizzazione tale da permettere di accogliere adeguatamente l’Autorità in argomento” .
Poi si passa all’inchino a suon di champagne, fresco ovviamente, e biscottini al burro e mandorle.
Per non lasciare nulla al caso viene spiegata per filo e per segno come si deve organizzare l’evento, un altro paragrafo da Marina “borbonica”: “Il capo reparto logistico, avvalendosi del Capo Gamella (ossia del sottufficiale che comanda la Mensa, gamella significa gavetta, ndr) dovrà accertarsi che sia prontamente reperibile dal personale addetto al quadro Ufficiali il materiale di consumo sopra indicato”.
Non sia mai che si resti senza. Quando il comandante sale a bordo scatta la chiamata. A quel punto “il personale addetto dovrà essere in tenuta di rappresentanza pronto a servire mandorle tostate e spumante/champagne” . Ma non è tutto: “La cucina dovrà approntarsi, nel caso in cui il Sig. Cinc sia in Base Navale, a preparare bruschette e pizzette calde da servire in Quadro Ufficiali”.
A fine settembre il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, Luigi Binelli Mantelli, aveva sottolineato “la necessità di mantenere l’operatività delle forze armate pur in un periodo di ristrettezze economiche. C’è un livello al di sotto del quale non si può scendere, in materia di risorse, tagli e spending review”. Qualche idea su dove poter risparmiare c’è.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: la casta, sprechi | Commenta »
Ottobre 6th, 2012 Riccardo Fucile
IN POCHI ANNI LE BANCHE HANNO PESCATO OLTRE CINQUE MILIARDI DI EURO TRA EVASIONE FISCALE E FINANZIAMENTI DI STATO
Dagli al Fiorito. Tutti addosso al politico ciccione che s’è fatto i comodi suoi con i soldi
pubblici.
Bersaglio facile, er Batman, e non solo per la corporatura a dir poco massiccia.
La lista della spesa è lì, sotto gli occhi di tutti. Case, auto, oggetti di lusso, segno tangibile delle ruberie che hanno portato in carcere l’ex capogruppo Pdl alla Regione Lazio.
I soldi delle banche, invece, si perdono nell’alto dei cieli della finanza.
Difficile vedere. Difficile capire. Ma il conto finale è ben più pesante.
Un conto miliardario a carico della casse dello Stato e quindi dei cittadini.
Questione di tasse. E di marchingegni contabili studiati da professionisti specializzati in quella che con soave eufemismo viene definito “ottimizzazione fiscale”.
Se prendiamo i tre maggiori istituti nazionali, Intesa, Unicredit e Monte dei Paschi, si scopre che negli ultimi tre anni l’Agenzia delle Entrate ha contestato qualcosa come 2 miliardi di euro tra imposte non pagate, sanzioni e interessi.
Una montagna di denaro, che in tempi di spending review avrebbe fatto davvero comodo.
Se poi paragoniamo questa somma alle ruberie contestate nello scandalo della Regione Lazio, perfino il corpulento Fiorito diventa un topolino.
Può anche capitare che le banche, a causa di una gestione alquanto discutibile, finiscano in cattive acque, tra perdite, debiti e prestiti a vanvera.
Niente paura: arriva il pronto soccorso di Stato.
Una bella iniezione di denaro fresco giusto in tempo per evitare guai ammonta a 1,7 miliardi.
Come dire che per rispettare i parametri fissati dall’ente di controllo, bisogna fare il pieno di capitali freschi al più presto.
Solo che il Monte in questi anni ha già chiesto denaro più volte ai suoi azionisti, l’ultima nel 2011.
E così, nell’impossibilità di trovare nuovi volonterosi sostenitori, saranno le casse pubbliche a farsi carico del salvataggio.
Verrà rinnovato il prestito di 1,9 miliardi già concesso nel 2009 (i cosiddetti Tremonti bond) a cui si aggiungerà un’altra tranche di obbligazioni da oltre 1,4 miliardi. Il totale, appunto supera i 3,3 miliardi.
E per effetto del regolamento di questi prestiti lo Stato nei prossimi mesi potrebbe rilevare una partecipazione vicina al 4 per cento nel capitale della banca.
Non c’erano alternative. I soldi, maledetti e subito, erano indispensabili per evitare guai peggiori.
I conti del 2011 si sono chiusi con perdite per 4,6 miliardi di euro, dovute in gran parte alle svalutazioni miliardarie di attività , a cominciare dalla Banca Antonveneta, comprate a prezzi d’affezione negli anni del boom della finanza. Insomma, acquisti incauti. A cui vanno aggiunti investimenti colossali, oltre 27 miliardi, in titoli di stato italiani. Non proprio il massimo, con l’aria che tira.
Adesso tocca al governo tappare i buchi.
Chi ha guidato la banca negli anni in cui è stato messa in atto questa strategia suicida si gode invece un nuovo incarico di prestigio. Giuseppe Mussari, presidente del Monte da aprile 2006 fino alla primavera scorsa, tre mesi fa è stato riconfermato alla guida dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana, in pratica la Confindustria del credito. Domanda: chi ha preso il posto di Mussari sulla poltrona di presidente dell’istituto toscano?
La primavera scorsa si è insediato al vertice Alessandro Profumo con il mandato preciso di rilanciare la banca, tagliando, tra l’altro, migliaia di posti di lavoro.
A giugno Profumo è stato rinviato a giudizio per dichiarazione fraudolenta dei redditi. Una storia che risale agli anni in cui il banchiere guidava Unicredit, lasciato nel settembre del 2010.
Una storia di imposte evase per circa 245 milioni grazie a una complicata operazione col nome in gergo di Brontos.
Questa l’accusa della Procura di Milano, che ha chiesto e ottenuto il processo anche per altri 19 manager di Unicredit.
In pratica, secondo i magistrati, i vertici dell’istituto avrebbero camuffato gli utili in dividendi riuscendo così a spuntare un’imposizione più leggera. E questa è soltanto la parte penale di un’indagine ben più ampia sulle acrobazie della banca milanese ai tempi della gestione Profumo.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, Unicredit avrebbe versato quasi 450 milioni di tasse in meno rispetto a quelle dovute, di cui poco più della metà legate alla cosiddetta operazione Brontos.
Alla fine, con l’obiettivo dichiarato di non restare a lungo sulla graticola delle indagini e senza ammettere alcuna responsabilità , la banca ora guidata dall’amministratore delegato Federico Ghizzoni, ha versato al fisco circa 190 milioni.
Una scelta analoga a quella compiuta dagli altri grandi istituti finiti nel mirino degli ispettori tributari.
Il Monte ha sborsato 260 milioni.
Intesa invece ha chiuso le sue pendenze con una transazione per 270 milioni. Sul piano amministrativo l’inchiesta si è così chiusa.
Resta da chiarire la posizione dell’ex numero uno Corrado Passera. Il banchiere ora ministro è indagato dalla procura di Biella per alcune operazioni fiscali sospette varate da una controllata di Intesa con sede nella cittadina piemontese.
Vittorio Malagutti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: economia | Commenta »
Ottobre 6th, 2012 Riccardo Fucile
I FONDI PER AIUTARLE NON CI SONO PIU’… OGNI GIORNO 5 NUCLEI FAMILIARI FINISCONO SULLA STRADA… IL REDDITO MASSIMO PER AVERE UN SOSTEGNO E’ DI 4.000 EURO L’ANNO
Senza lavoro, senza stipendio, senza soldi per pagare l’affitto.
In rapida successione e in un rapporto di causa-effetto a cui manca solo l’epilogo: lo sfratto.
È la sorte che pende sul capo di oltre diecimila famiglie di Milano e provincia (la cifra esatta è 10.372), il 90 per cento di quelle che hanno un procedimento di sfratto convalidato, i due terzi di coloro per i quali il procedimento è esecutivo, con la concessione della forza pubblica per eseguire lo sgombero coatto dell’alloggio.
Solo quindici anni fa, a fine anni Novanta, gli sfratti per morosità erano appena uno su 10.
Ma la crisi economica ha costretto a diventare inadempienti anche le famiglie che hanno sempre pagato l’affitto con regolarità , portandole sull’orlo del baratro rappresentato dalla perdita del tetto.
L’allarme arriva da Sunia, Sicet e Uniat, i sindacati inquilini di Cgil, Cisl e Uil, che hanno diffuso le ultime statistiche relative ai 16.783 sfratti esecutivi pendenti.
«È una situazione che si aggrava ogni anno di più e che fa a pugni con il dato degli 80mila alloggi sfitti in città , di cui 45mila di proprietà pubblica – spiega Stefano Chiappelli del Sunia Cgil – Chiediamo un incontro col prefetto per arrivare al blocco degli sfratti, considerando che a luglio ne erano già stati eseguiti 2.118 e si va avanti spediti al ritmo di 4-5 al giorno. Le famiglie, oltre a non avere lavoro, si trovano in strada da un giorno all’altro».
Un quadro drammatico che stride con il taglio dei fondi per il sostegno all’affitto, risorse delle quali nel 2011 avevano beneficiato 7.537 famiglie milanesi.
«Quest’anno – denuncia Leo Spinelli, segretario regionale del Sicet – lo Stato ha eliminato il 93 per cento delle risorse, la Regione il 41. Il risultato è che si crolla dai 40,8 milioni disponibili l’anno scorso per la Lombardia ai 12 odierni».
Per legge ogni Comune deve integrare il fondo regionale con una quota proporzionale: dai complessivi 6,4 milioni del 2011 si passa a 4,8.
I sindacati aggiungono che al taglio delle risorse è seguita anche la decisione di abbassare la soglia di accesso al contributo una tantum di 1200 euro: potranno presentare domanda con qualche speranza di essere accettati solo i nuclei con reddito Isee (reddito complessivo, al netto dell’Irpef e delle spese mediche, diviso per il numero dei componenti della famiglia e rapportato alle aggravanti del disagio familiare o personale) non superiore a 4mila euro annui.
«A Milano in questo modo – continua Spinelli – resteranno escluse 6.400 famiglie che per mancanza di requisiti non potranno più presentare domanda: soprattutto pensionati soli con la minima, genitori separati con figli a carico e i single in difficoltà che sono in forte aumento».
I sindacati sono già passati al contrattacco e dal Comune di Milano hanno ottenuto la promessa che oltre un milione e 100mila euro verrà destinato a finanziare, in tempi brevissimi, un nuovo bando per il sostegno all’affitto con requisiti meno draconiani.
A giorni si riaprirà anche il bando per le case popolari: oggi in graduatoria ci sono 23mila nominativi (34mila domande presentate) ma le assegnazioni non sono più di 800 all’anno.
Metà delle quali vanno a famiglie finite in strada dopo lo sfratto.
Zita Dazzi
argomento: casa | Commenta »
Ottobre 6th, 2012 Riccardo Fucile
GLI ENTI FANTASMA CANCELLATI DAL REFERENDUM STANZIANO CENTINAI DI MIGLIAIA DI EURO… CARBONIA INVESTE SULLA LIBERTA’ DI INTERNET IN CINA, OLBIA ELARGISCE SOLDI ALLE SAGRE
In primavera sembravano morte dopo il plebiscito del referendum sardo, poi sono state
tenute in vita fino a febbraio del 2013 per evitare il caos amministrativo. In pratica per le otto Province dell’isola, quelle storiche e quelle cosiddette ‘nuove’ citate nei quesiti abrogativi (Ogliastra, Carbonia-Iglesias, Olbia-Tempio e Medio Campidano) non è cambiato nulla.
Gestiscono fondi pubblici non in vista di una loro ‘liquidazione’, ma programmano per gli anni a venire, assumono personale, assegnano incarichi e distribuiscono contributi a sagre e fiere.
E ricevono ingenti finanziamenti dalla stessa Regione.
Così c’è chi solleva un dubbio di legittimità sul loro operato.
Così questa mattina è stato presentato un esposto alla Corte dei conti in “quanto inadempienti al dettato regionale 11/2012 del 25 maggio e all’indicazione del voto referendario”.
Lo hanno fatto alcuni membri del comitato referendario “Sardegna si cambia”, anche appartenenti ai Riformatori sardi, partito si è speso per la campagna di una consultazione, sostenuta anche dal governatore Ugo Cappellacci, e per cui sono stati stanziati 6 milioni di euro. Allegate varie delibere provinciali “quelle pubblicate sui siti istituzionali, ma molte non lo sono”.
In particolare si contesta la non coerenza con la legge regionale di maggio sul riordino delle autonomie locali.
La scaletta prevede che entro il 31 ottobre il consiglio approvi una legge e che entro l’anno, 31 dicembre, ne venga data attuazione. La data di fine è sempre la stessa: 28 febbraio dell’anno prossimo, intanto c’è la gestione “in via provvisoria” per “provvedere alla ricognizione di tutti i rapporti giuridici, dei beni e del personale dipendente ai fini del successivo trasferimento”
Che vale soprattutto per le cosiddette ‘nuove’, ma anche per le storiche, su cui i sardi si erano espressi con un semplice quesito consultivo.
Ma nonostante tutto si procede con gli acquisti anche con la copertura finanziaria del bilancio di previsione 2012.
Piccole e grandi spese.
La giunta della provincia di Carbonia-Iglesias, per esempio, il 23 luglio delibera lo stanziamento di mille euro per “un congruo numero di copie, scontate rispetto al prezzo di copertina” del saggio “Il controllo politico di internet in Cina” — pubblicato da Ex Libris.
Da distribuire agli studenti delle scuole superiori perchè “spunto di riflessione, perchè abbia ricaduta nella scuole”.
La stessa provincia gestisce ovviamente anche cifre più consistenti. È l’unica che ha avuto un presidente dimissionario nelle ore calde del referendum, Salvatore Cherchi (Pd) ex parlamentare Pci, poi subito tornato sui suoi passi.
Per il progetto “Welfare to work” la stessa provincia colpita da una grave crisi e dalla chiusura delle fabbriche, manovra risorse per un milione e 115mila euro, coperta dai bilanci degli anni passati.
Il contributo è di 15mila euro per ogni nuova azienda e ci sono voucher formativi e bonus assunzionali per 651mila euro.
La provincia d’Ogliastra, 58mila anime appena, chiude i conti con il Progetto terre civiche che prevede l’istituzione di un Osservatorio e vista l’”urgenza” il 23 agosto si stanziano 30mila euro al Dipartimento di Sanità pubblica dell’Università di Cagliari. Altra provincia in bilico, altre spese.
Nel Nord Sardegna quella di Olbia-Tempio punta tutto comunicazione e su un apposito piano 2012 e sulle sagre.
A cui la giunta provinciale dà l’ok il 2 agosto. Ci sono soldi a pioggia per “valorizzare le produzioni vitivinicola”: 10mila euro alla Confraternita del Nebiolo di Luras, 12mila alla Cantina del Vermentino, 20mila all’Agrimercato Gallura Onlus.
E poi le feste: 10mila per la “Grande Danza di San Pantaleo” e ancora 10mila al’Associazione culturale Fidale di Tempio.
E via discorrendo, somme da versare dopo apposita rendicontazione. E poi pubblicazioni varie.
Ma il fatto che le province non si considerino in dismissione arriva dal capitolo pianificazione.
Sempre quella di Olbia-Tempio il 2 agosto deliberava il “conferimento di un incarico per il Pup/Ptcp” ossia il Piano Urbanistico Provinciale/Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale.
Per le assunzioni sbaraglia tutti la Provincia di Cagliari, illesa dai quesiti referendari, il 25 settembre procede attraverso una determina di un dirigente con la gara semplificata per l’affido a un’agenzia interinale.
L’Adecco Italia spa si aggiudica il piano di tre anni per l’assunzione di lavoratori interinali: si tratta di 4 milioni e duecentomila euro, iva inclusa.
Anche la Provincia di Nuoro ha bisogno di altro personale, così tra luglio e agosto diventa esecutiva una delibera che prevede vari incarichi co.co.co.: uno per un esperto di politiche ambientali, e quattro per esperti di lingua sarda parlata e scritta.
Ma anche per la Regione si va avanti come se nulla fosse.
Tanto che a inizio settembre, il 4, approva un disegno di legge che trasferisce alle province ben 12 milioni di euro.
Sono i soldi necessari per il funzionamento dei Cesil (Centri servizi inserimento lavorativo) e dei Csl (Centri servizi per il lavoro), una vertenza che va avanti da anni, con centinaia di precari che lavorano nelle pubbliche amministrazioni.
Ebbene, finora, come recita la stessa delibera, la sistemazione e il finanziamento erano stati più volte cassati dalla Corte Costituzionale.
Ora si è trovata una soluzione tampone, ancora, “per la prosecuzione dell’attività lavorativa del personale in servizio”.
Ma che fine faranno, poi, questi dipendenti?
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Provincia | Commenta »
Ottobre 6th, 2012 Riccardo Fucile
GLI STATI UE HANNO TAGLIATO I FINANZIAMENTI AL FONDO SOCIALE
L’Unione Europea ha finito i soldi per il programma Erasmus. Segno dei tempi.
Il Fondo Sociale è al lumicino e a soffrirne saranno anche programmi storici e simbolo dell’Europa.
La commissione bilancio del Parlamento europeo ha approvato in extremis gli emendamenti per evitare che il programma per gli studenti sparisca nel 2013, ma intanto i soldi per finanziare gli ultimi tre mesi del 2012 non ci sono.
Spetta all’Ue erogare i finanziamenti per avviare i programmi Erasmus, ma non ha fondi per farlo, perchè i Paesi membri hanno tagliato i contributi al budget. Non ci sono, perciò, le risorse per pagare le richieste avanzate per il periodo settembre-dicembre, maggiori del previsto, mentre l’accordo raggiunto in extremis ieri ha ridimensionato il progetto per la mobilità degli studenti del 2013.
Le difficoltà dell’Erasmus sono le più eclatanti, vista la popo-larità del programma che, lanciato nel 1987, ha permesso a oltre due milioni di giovani europei di studiare in 33 Paesi, tra cui anche stati non membri dell’Unione come Islanda, Liechtenstein e Turchia.
A soffrire del taglio di quattro miliardi nel budget sarà però, più in generale, l’intero Fondo sociale europeo, uno dei più importanti strumenti finanziari dell’Unione Europea, indispensabile per finanziare i progetti per lo sviluppo e la promozione della coesione tra i diversi stati membri. La ricaduta per i singoli Stati è disastrosa, perchè i progetti non finanziati corrispondono a 900 milioni di euro per la Spagna, 600 per l’Italia e la Grecia, 400 per la Francia e circa 150 milioni per la Gran Bretagna.
Ad azionare la scure dei tagli, oltre alle difficoltà economiche, anche la diffidenza di alcuni stati membri a proposito della regolarità dei rimborsi chiesti dalle singole nazioni, ritenuti esosi o immotivati.
A questo proposito, l’eurodeputato francese Alain Lamassoure ha chiesto che siano rese pubbliche le cifre spese da ciascuno stato e si stabilisca che l’Unione Europea paghi soltanto le fatture certificate.
I cordoni della borsa si chiudono, insomma, anche per stimolare comportamenti più virtuosi e una gestione più oculata, che eviti in futuro la situazione attuale di un Fondo sociale europeo senza più un euro.
“L’allarme Erasmus”, lanciato tre giorni fa da alcuni eurodepu-tati, ha messo in luce anche l’incoerenza, come spiega Patrizio Fiorilli, portavoce del Commissario europeo al bilancio, Janusz Lewandowski, dei capi di governo che «negli ultimi consigli hanno tutti e 27 dichiarato unanimemente che per uscire dalla crisi bisogna investire sui giovani e sulla ricerca» salvo poi tagliare proprio le risorse ai progetti per finanziare innovazione e studio.
Nell’immaginario europeo i giovani che hanno usufruito in questi 25 anni dell’Erasmus sono gli spensierati goliardi di film come “L’appartamento spagnolo”, ma in realtà gli scambi tra università sono stati una promozione formidabile del modello europeo e hanno contribuito più di ogni altra cosa a far crescere cittadini che si sentono a casa a Siviglia come a Roma e a Parigi.
Cristina Nadotti
(da “La Repubblica“)
argomento: economia, scuola | Commenta »
Ottobre 6th, 2012 Riccardo Fucile
FORSE STAVOLTA E’ DAVVERO FINITA
Addio alla politica. Addio al Parlamento.
Per adesso è solo un’ipotesi, l’ha confidata a pochi «intimi» prima di lasciare l’Italia per volare a Mosca ai festeggiamenti del fine settimana per i sessant’anni dell’amico Putin.
Solo un’ipotesi che, però, Silvio Berlusconi sta prendendo in seria considerazione.
Un passo di lato, più che indietro.
Destinato a favorire uno scenario impensabile fino ad oggi e ignoto alla quasi totalità dei dirigenti di quella barca alla deriva che è ormai il Pdl.
Il Cavaliere pensa a rinunciare non solo alla corsa alla premiership, per la quale sa di non avere chance, fosse pure alla guida di una formazione con simbolo e nome nuovi di zecca. Ma anche alla candidatura in Parlamento, a un seggio alla Camera o al Senato.
Lasciare il campo, va da sè, non vorrebbe dire rinunciare alla tutela degli interessi personali, degli ingenti affari del suo impero, e neanche alla protezione dalle grane giudiziarie che ancora lo insidiano.
La sua è una mossa tattica – racconta in queste ore chi è di casa a Palazzo Grazioli – destinata a spiazzare e a terremotare tutto il quadro politico.
A cominciare da chi lo circonda, dai big di un partito che, per restare alle sue parole, «non è da resettare, ma è da sciogliere, da azzerare».
E la ricetta individuata non sarebbe affatto quella che gli ha sottoposto con uno schemino in dieci punti il suo segretario Angelino Alfano.
Quel documento, che prevedeva tra le altre “novità ” una sorta di assemblea-congresso da one day da tenersi ai primi di dicembre, l’ex premier l’ha già piegato e riposto nel cassetto. «Continuano a propormi palliativi quando qui occorre uno shock» ha confidato nelle ultime ore.
Preoccupato dai sondaggi e indispettito dal coro di dichiarazioni di tutti i pidiellini che da ieri si dicono pronti a saltare sulla scialuppa del nuovo soggetto politico.
In procinto di dire “basta”.
«Ve lo immaginate Berlusconi che, per smantellare la baracca, convoca una platea affollata da politici di cui intende liberarsi?».
Il “Presidente” assieme ai bozzetti del nuovo simbolo e del nuovo nome pensa dunque ad altro.
Prepara la soluzione «shock», appunto.
Nell’ultimo vertice, a coordinatori e capigruppo Pdl ha ripetuto di aver provato in tutti i modi a convincere Montezemolo, senza successo.
Il ragionamento esposto successivamente solo ai più fidati trae le conseguenze: «Farmi da parte è l’unico modo per convincerlo, per consentire a Luca o a uno come Corrado Passera di accettare la guida di una grande coalizione dei moderati. Con me in prima fila non lo faranno mai».
Nella prospettiva del Cavaliere, a quel punto – e solo a quella condizione – rientrerebbe in partita Pier Ferdinando Casini con l’Udc. E con lui perfino Gianfranco Fini.
Al di là delle scintille ancora recenti e delle querele di queste settimane al presidente della Camera, tutto – col ritiro di Berlusconi – sarebbe destinato a rientrare.
In nome di un grande, unico partito centrista.
E di un solo slogan: «fermare i comunisti».
Con il Pd costretto ad allearsi «solo» con Vendola e Di Pietro.
La mossa del cavallo, quindi, per consentire la nascita della costellazione del nuovo centrodestra.
Nella quale potrebbero pure trovare posto una sigla post-An di La Russa piuttosto che le liste civiche che ha in mente Alemanno, quella berlusconiana dei giovani o degli imprenditori. Dettagli.
Quel che conta, per l’inquilino di Palazzo Grazioli, è che il Ppe in salsa italiana che nascerebbe dalle ceneri, o quanto meno un suo zoccolo duro berlusconiano, continui a tutelare i molteplici interessi del «padre nobile» fattosi da parte per «il bene di tutti».
Questo balena negli ultimi giorni nella mente di Berlusconi, mentre fino a ieri sera dirigenti e peones del Pdl confidavano paure e incertezze sul futuro in un giro vorticoso di telefonate. Tra i più preoccupati, neanche a dirlo, proprio gli ex An.
Sventato da Matteoli e Gasparri e Augello lo strappo al quale puntavano soprattutto La Russa e Corsaro, resta l’enorme problema del «tesoro» di An.
I fondi milionari ancora congelati dalla disputa giudiziaria che va avanti ormai da anni con gli avversari di Fli.
I “colonnelli” berlusconiani stanno riaprendo le trattative, quei soldi servono e servono subito, con la campagna elettorale che incombe e una prospettiva non ancora tramontata di dar vita a un qualcosa di «destra».
Minaccia accantonata per ora (anche per mancanza di risorse, appunto) ma pronta – raccontano – a essere rispolverata dopo il voto.
Se gli ex An riusciranno davvero a far eleggere e salvare quella «riserva» indiana di 25 parlamentari.
Intanto tremano loro e trema tutto l’esercito pidiellino, in attesa di capire come il generale giocherà la partita della sopravvivenza.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
argomento: Berlusconi, PdL, Politica | Commenta »