Ottobre 22nd, 2012 Riccardo Fucile
NEL 2011 IN ITALIA SONO STATI ORDINATI 63.000 SFRATTI, DI CUI BEN 56.000 PER MOROSITA’…. 28.000 SONO STATI ESEGUITI DALLE FORZE DELL’ORDINE
Tecnicamente si chiama “morosità incolpevole” ed è alla base della stragrande maggioranza degli sfratti.
Il rischio che diventi una vera bomba sociale.
Anche perchè sta crollando l’acquisto di immobili e crescendo sempre più la richiesta di affitti
Nel 2011 in Italia sono stati ordinati 63mila sfratti di cui ben 56mila per morosità .
Un dato impressionante se si pensa che oltre 28 mila di questi sono stati eseguiti dalle forze dell’ordine.
Una “bomba sociale”, come l’hanno definita i sindacati, che rischia di esplodere in un Paese già percorso da molte tensioni. E quelle relative alla casa possono diventare molto pericolose.
Il maggior numero di richieste di sfratto si verifica in Lombardia (12.922), il 20,2% del dato nazionale (dati del Ministero degli Interni).
Seguono Lazio (7.625), Emilia Romagna (6.532) e Piemonte (6.208).
Lazio a parte, ai primi posti tutte Regioni del Nord, quindi.
E il dato preoccupa sempre di più perchè dal 2010 al 2011 l’intervento delle forze dell’ordine è cresciuto dell’11%.
Se pensiamo che il 90% degli sfratti avvengono per “morosità incolpevole”, determinati cioè dal reddito insufficiente, significa che a fronteggiarsi nelle strade saranno sempre di più persone disperate contro polizia e carabinieri che eseguono ordini dati da istituzioni che non sanno come affrontare il problema.
“È in questo momento che il Governo deve urgentemente intervenire, – dice Guido Piran, Segretario Generale del Sicet, Sindacato Inquilini Casa e Territorio -. E deve farlo prima della fine della legislatura, perchè questa è una situazione che con la crisi economica e occupazionale si fa sempre più grave”.
Le proposte da parte dei sindacati di settore, uniti nella stessa richiesta, sono precise: “Serve una sospensione degli sfratti dopo il 31 dicembre -, continua Piran -. Poi è necessario ampliare l’offerta di edilizia residenziale pubblica. La strada è l’immediata disponibilità per gli IACP (edilizia popolare) di 70 milioni di euro giacenti al Ministero delle Infrastrutture”.
Questi fondi sono messi a disposizione per emergenze abitative, in particolare volti al recupero di alloggi inagibili per i quali bastano interventi dal costo inferiore ai 30mila euro ciascuno.
“Utilizzando questi fondi si potrebbero recuperare 3000 alloggi in tutta Italia da assegnare agli sfrattati. A questi immobili si aggiungerebbe la possibilità di poter usufruire delle detrazioni per le ristrutturazioni e l’efficientamento energetico. Questo per il pubblico. Sul versante degli affitti privati è necessario introdurre una fiscalità di vantaggio per i contratti concordati agendo sulla cedolare, abbassando l’aliquota dal 19 al 10% e sull’Imu con percentuali ridotte sulle locazioni”. Anche l’evasione è particolarmente florida negli affitti: “I canoni devono essere pagati con mezzi tracciabili e l’inquilino deve avere delle detrazioni su una quota del canone come per i mutui”.
Milano ha una delle situazioni peggiori per quanto riguarda gli sfratti e nel giro di pochi anni i dati sono peggiorati di molto: 10.372 sfratti emanati su 16.783 sentenze definitive. Il 30% delle esecuzioni presentate all’Ufficiale Giudiziario in tutta Italia arrivano dalla Lombardia e sono 4.731 quelle eseguite con la presenza dell’Ufficiale Giudiziario stesso.
Ogni giorno, sono 25-30 le richieste di intervento delle forze dell’ordine, 4-5 le esecuzioni. “Nel 1983, nel capoluogo lombardo la percentuale dei morosi era il 10%”, spiega Stefano Chiappelli, segretario del Sunia, Sindacato Unitario Nazionale Inquilini e Assegnatari. “Una delle motivazioni di questo aumento di morosità è sicuramente il caro affitti che ha segnato l’emigrazione di numerose famiglie verso città limitrofe, Novara su tutte. A Milano persino nelle periferie non si paga meno di mille euro al mese. Le fasce più deboli della popolazione, soprattutto giovani e studenti, trovano una sistemazione nella periferia della periferia”
Poi ci sono i tagli al Fondo sostegno affitti lombardo (che quest’anno cambia nome in Fondo sostegno disagio acuto).
Per il 2012, la quota disponibile è di 12 milioni di euro. Nel 2011 il fondo contava su 40,8 milioni e addirittura per il 2013 non è previsto nessun contributo.
Solo due domande di sostegno economico su dieci verranno soddisfatte.
Tagli da parte dello Stato, ma anche dalla Regione e dai singoli Comuni. Il risultato: delle 65 mila domande di sostegno che mediamente si raccolgono ogni anno, ne saranno accolte solo 14 mila.
“Il problema non sono le case che mancano ma i prezzi inaccessibili per la cittadinanza”, spiega Leo Spinelli del Sicet. Infatti sono 70mila gli alloggi sfitti a Milano e 4.500 gli occupanti abusivi sparsi in tutta la città .
“È inutile fantasticare su ceti medi che non esistono”, continua Spinelli.
“Se si guardano i redditi delle 23mila famiglie che hanno fatto domanda per una casa popolare, ci si rende conto che per loro è impossibile pagare anche un affitto di 500 euro al mese. Sono circa 16mila, infatti, le persone con un reddito Isee inferiore ai 7.500 euro. Questi non pagheranno mai, hanno bisogno di tutele”.
Otto famiglie su dieci fanno fatica ad arrivare a fine mese ma il costo della vita aumenta e con questo anche l’affitto.
Secondo l’Istat, dal 2002 ad oggi i salari medi annui sono diminuiti di 1500 euro pro capite, al contrario dei prezzi di mercato.
“Vogliamo che siano estese le tutele di chi ha difficoltà a pagare un mutuo anche a chi fatica con l’affitto”, riprende Chiappelli. “A questo si aggiunge la riforma nazionale della legge 431, ritornando all’affitto legato al reddito. La Regione invece dovrebbe aumentare la quota per il sostegno agli affitti, usando ad esempio i 6 milioni di euro destinati all’abbattimento degli interessi sui mutui”.
L’affitto di abitazioni probabilmente modificherà il mercato immobiliare.
La domanda di locazioni in affitto, come dimostrano i dati resi pubblici dal Sicet, cresce sempre di più: le transazioni relative all’acquisto della casa sono diminuite del 25% in pochi anni e i prestiti bancari del 50%, cioè si sono dimezzati.
Nello stesso tempo la richiesta di alloggi in affitto è aumentata del 20%. Un trend che lo Stato non può più ignorare.
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 22nd, 2012 Riccardo Fucile
DATI VIMINALE: OGNI ANNO NELLA CAPITALE EMESSE 8.000 RICHIESTE DI ESECUZIONE… UN’EMERGENZA SOCIALE CHE STA PER ESPLODERE
La signora Virginia D’Ippoliti, 80 anni, abitante in via Giovanni Miani, sotto San Saba, ha cerchiato in rosso un giorno sul suo calendario appeso in cucina: 16 gennaio. Perchè tutti gli anni il 16 gennaio ha un appuntamento.
Con l’ufficiale giudiziario.
“Sono quattro anni che arriva puntuale, racconta la signora, siamo diventati quasi amici. Certo, io confesso che spero sempre di non vederlo più anche perchè se la prossima volta si presenta con la polizia non so proprio cosa potrei fare. Vivo qui da quando avevo 3 anni e ho sempre pagato puntuale oggi mi chiedono 1300 euro e io come faccio? Avevo pensato ad una casa di riposo comunale ma non ho abbastanza soldi per pagarmi la retta e quindi la speranza è che quel signore non si presenti o venga con l’ennesima proroga. I primi anni, ci sono stata male con il batticuore, oggi vivo alla giornata e spero di morire prima di quella data”.
Ogni giorno a Roma dieci famiglie vengono sfrattate.
Secondo i dati diffusi dal Viminale (che riguardano il 2010), ogni anno nella capitale vengono emesse 8 mila richieste di esecuzioni di sfratto, 6710 diventano provvedimenti di cui 4638 per morosità e 1446 per finita locazione.
Un triste primato nazionale che vede nella sola capitale 2500 sfratti eseguiti con l’ufficiale giudiziario e l’intervento della polizia, questo significa che ogni 250 famiglie che abitano sul territorio romano, una ha ricevuto una sentenza di sfratto ed è obbligata a lasciare la casa in cui abita.
Duemilacinquecento famiglie che ogni anno perdono la casa e finiscono non si sa dove.
Che ci sia un disabile, un anziano, una condizione di estrema precarietà non importa per la legge, si deve lasciare la casa e in questo momento, denunciano l’Unione inquilini e i sindacati di base tra cui As.ia (Associazione inquilini e assegnatari) Usb, essendo bloccato il bando per le case popolari, tagliato e quasi azzerato il fondo di contributo per gli affitti, non ci sono possibilità da offrire agli sfrattati.
Quindi le alternative che si presentano a chi viene obbligato a lasciare la casa sono andare da amici, da parenti, in coabitazione, occupare o finire per strada.
Mario Colantonio, 83 anni è disabile al 100% e abita con la moglie a piazza Bologna, ha lo sfratto da 4 anni per finita locazione ed è rassegnato: “aspetto l’ufficiale giudiziario il 31 dicembre e non so che fine faremo se ci cacciano, qualcosa troveremo.
Una bomba sociale ad orologeria quella degli sfratti a Roma che sta per esplodere tanto che si è mobilitato anche il Sindaco Gianni Alemanno che dopo aver richiesto l’intervento del ministro Fornero, che non è arrivato, ha cercato di mobilitare anche il Parlamento.
Grazie al lavoro dei Sindacati Asia Usb, alle manifestazioni promosse in tutta Italia da sigle e realtà diverse legate al diritto alla casa come Action, e alle ripetute richieste di aiuto che arrivano da migliaia di cittadini, martedì in Parlamento saranno presentate tre proposte di legge firmate dai tre partiti di maggioranza per fermare la dismissione degli immobili degli enti previdenziali, chiedere una moratoria degli sfratti e arginare l’aumento esponenziali dei canoni di affitto che negli ultimi anni sono passati anche al 300% in più.
“Se gli enti continuano con questa politica nei prossimi mesi a Roma avremo un disastro sociale – ha detto il Sindaco Alemanno – questo spingerebbe altre 10 mila famiglie fuori di casa e visto l’ostruzionismo in consiglio comunale che non ci ha permesso di andare avanti nella costituzione di 35 mila case dedicate all’housing sociale che avevamo in programma, questo sarebbe un contraccolpo insostenibile per la città .” “La situazione è drammatica – spiega Angelo Fascetti, coordinatore nazionale Asia Unione Sindacale di Base che a giugno ha fatto insieme ad altri sostenitori, dieci giorni di sciopero della fame davanti alla prefettura per sensibilizzare le istituzioni su questo tema – la crisi degli ultimi tre anni ha aggravato molto la situazione, la dismissione degli immobili degli enti previdenziali che si sono privatizzati, come Enasarco, Enpam, Enpaia, Cassa dei ragionieri, tanto per citarne alcuni, (che a Roma hanno il 90% dei loro immobili) sta producendo un massacro, questi stanno triplicando gli affitti che in alcuni casi passano da 600 a 1800 euro e le famiglie non ce la fanno, anche il ceto medio ormai non ce la fa più e allora scatta lo sfratto per morosità e poi si arriva allo sfratto esecutivo con ufficiale giudiziario e forza pubblica. Noi ogni giorno facciamo dei picchetti e cerchiamo di sostenere le famiglie che aspettano lo sgombero e denunciamo anche gli enti quando c’è da farlo. Ormai ci chiamano in tutta Roma e facciamo quindici, venti picchetti al giorno per aiutare le persone che altrimenti finirebbero per la strada.”
Oltretutto gli 80 mila alloggi popolari gestiti dal Comune di Roma sono bloccati perchè da tre anni il bando è sospeso come denuncia Fascetti “le case che si liberano che sono circa 1500 ogni anno non tornano ad essere gestite dal Comune ma finiscono nel mercato nero.”
“Quella italiana non è un’emergenza abitativa ma un problema strutturale della politica – aggiunge Massimo Pasquini dell’Unione Inquilini- abbiamo bisogno di edilizia popolare e invece qui stiamo dismettendo e gli inquilini non hanno gli stessi diritti dei proprietari quando invece in uno stato di diritto così dovrebbe essere. Gli errori macroscopici sono stati la liberalizzazione degli affitti e l’abbandono di politiche pubbliche per recuperare edifici da adibire ad edilizia popolare ed è su questi due temi che si deve intervenire.”
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 22nd, 2012 Riccardo Fucile
L’85% DEI CITTAFINI SEGUE LA DISCUSSIONE SULLA RIFORMA ELETTORALE… PREVALE PERO’ LA SFIDUCIA: IL 62% PENSA CHE NON SE NE FARA’ NULLA
Negli ultimi giorni si parla un po’ meno del progetto di riforma elettorale in esame al Parlamento.
Malgrado sembri passato di attualità , il provvedimento è tuttora considerato dai cittadini una priorità assoluta.
Lo afferma quasi metà dell’elettorato (45%), con un’accentuazione tra i laureati, i meno giovani e gli elettori del centrosinistra.
Solo una parte minoritaria della popolazione, attorno al 20% (con un’accentuazione tra i giovanissimi), reputa la riforma elettorale un provvedimento non così importante o che sarebbe meglio prendere comunque dopo le prossime elezioni.
La diffusa consapevolezza dell’urgenza di dare una nuova normativa al voto ha portato, inaspettatamente, a un maggiore interesse degli elettori verso le proposte che sono state sviluppate al riguardo.
Ben un italiano su tre dichiara di avere seguito attentamente il dibattito e di conoscere bene di cosa si tratta.
In più, oltre il 50% della popolazione afferma di avere sentito parlare della questione, pur non avendo compreso bene tutti gli aspetti tecnici.
Nell’insieme, quasi l’85% degli italiani è al corrente della discussione in atto.
I più giovani e chi segue poco le vicende politiche sembrano saperne di meno.
Naturalmente, trattandosi di una tematica assai complessa, molti elementi che la compongono sfuggono ai più, malgrado l’attenzione dedicata. In generale, la questione che ha più colpito è quella delle preferenze.
Come è noto queste hanno comportato rilevanti fratture tra le forze politiche.
Alcuni hanno sostenuto l’importanza di reintrodurle, poichè esse permetterebbero ai cittadini di riappropriarsi della possibilità di scegliere i candidati preferiti, oggi sottratta dal Porcellum (così è chiamato il sistema in atto) che affida di fatto alle segreterie dei partiti la scelta degli eletti.
Altri obiettano che in realtà le preferenze possono essere uno strumento di manipolazione e compravendita dei voti, che lo sono state certamente in passato e che, per questo, un referendum approvato dalla netta maggioranza dei cittadini ha di fatto provveduto ad eliminarle dal nostro ordinamento.
Cosa ne pensano gli elettori?
Un sondaggio condotto in questi giorni mostra come venga considerata prevalente l’esigenza di riconquistare, dopo l’esperienza del Porcellum, la possibilità di scegliere chi si elegge.
È di questo avviso poco meno del 70% degli italiani, con una accentuazione tra le età (35-55 anni) e le professioni (lavoratori autonomi, impiegati) più centrali.
Non a caso, appare più affezionato alle preferenze chi rigetta il potere dei partiti e omette non solo di indicare la propria preferenza di voto, ma rifiuta anche di collocarsi nel tradizionale continuum sinistra-destra, sostenendo spesso che si tratta di categorie obsolete.
Vi è, d’altra parte, più di un italiano su cinque (22%) che rigetta l’introduzione delle preferenze: si tratta in particolare di ultrasessantacinquenni (che hanno una maggiore esperienza di voto), dei laureati e degli elettori dei partiti del centrosinistra.
C’è dunque una forte attenzione e un forte auspicio per la riforma elettorale.
Ma c’è al tempo stesso, come avviene ormai quasi sempre quando si parla di decisioni politiche, una estesa sfiducia che il mutamento dell’attuale sistema di voto vada davvero in porto.
Tanto che la maggioranza (62%) della popolazione ritiene che, alla fine, non se ne farà nulla, che il Parlamento non riuscirà ad approvare una nuova legge e che si finirà con il votare con il sistema attuale.
Sono particolarmente pessimisti, come sempre, i più giovani (in particolare gli studenti), coloro che posseggono titoli di studio più elevati e gli elettori dei partiti di opposizione (Movimento 5 stelle e Lega). Insomma, ancora una volta, alle aspettative degli elettori si contrappone la convinzione che i partiti in Parlamento non riescano (o non vogliano) realizzarle.
Renato Mannheimer
(da “Il Corriere della Sera“)
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Ottobre 22nd, 2012 Riccardo Fucile
IL SOLITO POLITICO CAMUFFATO DA TECNICO CHE SI DICE FELICE DEL GIUDIZIO POSITIVO SULLA SUA NOMINA DELLA PROGETTISTA ZAHA HADID, DIMENTICANDO CHE ERA LEI MINISTRO QUANDO LE PAGARONO LA PARCELLA
Nei giorni scorsi dopo la nomina di Giovanna Melandri alla presidenza del Maxxi, più che le proteste scontate della destra (ma a parti invertite cosa avrebbe detto o fatto la stessa Melandri se avessero nominato Bondi, in qualità di ex ministro «che ha aperto il museo»?), ha sorpreso l’arroganza della neo-nominata.
Un’arroganza che in alcune occasioni ha toccato punte surreali come quando ha sostenuto che quello che contava non era il giudizio di politici invidiosi ma di un’archistar come Zaha Hadid.
Ora la Hadid avendo ricevuto, grazie alla Melandri, una parcella immaginiamo cospicua per progettare il museo, ci mancherebbe altro che non fosse contenta. Oppure quando l’ex ministro per la Cultura dall’alto della sua competenza ha affermato che il presidente della Tate guadagna 300 mila sterline l’anno, confondendolo con il direttore (il presidente non becca un penny).
Certo la Melandri può dire che a sostenerla c’è stato il comunicato dell’Amaci (l’Associazione dei musei d’arte contemporanea).
Ma, come più volte si è scritto in questa rubrica, la vera debolezza dei musei d’arte contemporanea italiani è proprio quella di essere in balia dei capricci dei politici: in assenza di capitali privati che nessuno sa o vuole davvero cercare, sono gli assessori a permettere che la baracca vada avanti.
Quindi è naturale che l’Amaci appoggi anche questo capriccio-pasticcio di un politico camuffato da tecnico al vertice del Maxxi (museo che fa parte dell’associazione). Peraltro rimediando, come dicono a Firenze, una figura «cacina»: da sei mesi l’Amaci elemosina un incontro con Monti (Ornaghi li snobba pubblicamente non partecipando neppure alla presentazione delle giornate del contemporaneo promosse dalla stessa associazione) e loro che fanno?
Si congratulano con la Melandri per la nomina e con il ministro per avere rispettato la scadenza di fine commissariamento del Maxxi senza neppure fare un accenno alla latitanza del Governo nel campo del contemporaneo, e soprattutto senza chiedere criteri seri per la scelta dei vertici dei musei (la nomina scriteriata della Melandri al Maxxi fa il paio con quella di Giovanni Minoli a Rivoli, peraltro i due sono anche cugini).
Come direbbe Nanni Moretti, allora ve la meritate la Melandri.
Rocco Moliterni
(da “La Stampa“)
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Ottobre 22nd, 2012 Riccardo Fucile
TROPPO SICURO, MA NELLA SUA CITTA’ NON VINSE NEANCHE AL PRIMO TURNO”
Dall’altro capo del telefono risuona una risata sincera e fragorosa. Enrico Rossi, governatore della Toscana, bersaniano di ferro, uno di quelli che più erano contrari a cambiare lo statuto per far correre il sindaco di Firenze alle primarie, reagisce così quando sente che Renzi dice «con me il Pd va al 40% e con voi resta al 25%».
Perchè certo «il personaggio non difetta di sicumera, ma c’è solo un dato di riferimento reale, le elezioni al sindaco di Firenze, quando non vinse al primo turno… ».
E anche se ne è passata di acqua sotto i ponti, «l’atteggiamento è lo stesso, l’attacco verso la sinistra è identico, così come il desiderio di compiacere l’elettorato di centrodestra. Un conto sono i sondaggi compiacenti, un altro i voti reali. Una battuta un po’ presuntuosa, via».
Piuttosto, Rossi si interroga sul perchè Renzi non si pronunci sulle scelte del governo: «Si potrebbe pensare ad una patrimoniale sulle grandi ricchezze, per una finanziaria più equa che rilanci gli investimenti e riduca i tagli a sanità e scuola. Che ne pensa Renzi? Non basta costruire suggestioni, bisogna entrare nel merito delle cose».
Certo il labirinto di regole per votare alle primarie può scoraggiare la partecipazione e limitare infine la capacità espansiva del Pd. O no?
«Penso che questo albo degli elettori vada fatto e costruito con serietà , anche per ricostruire un rapporto tra i partiti e gli elettori. E chi è deluso dalle politiche di Berlusconi e vuole partecipare alle scelte del centrosinistra, è giusto che ci metta la faccia».
Ma ad esempio, perchè non potersi iscrivere on line e andare a ritirare il certificato, pagare e poi votare negli stessi gazebo?
«Le regole è giusto che ci siano ed è giusto che chi decida di votare per il centrosinistra si esponga ma deve esser anche data la possibilità di cancellarsi dall’albo se si cambia opinione. Ma sarebbe singolare se qualche elettore, spinto dagli appelli venuti da Berlusconi e Santanchè, venisse a votare alle primarie e cambi opinione da qui alle elezioni. Vanno evitate furbizie e brogli, perchè i contraccolpi delle primarie di Palermo e Napoli hanno rischiato di mettere in dubbio la credibilità del partito. Detto questo, mi sembra che Renzi voglia uscire dall’angolo in cui si è messo con la rottamazione e con le frequentazioni con la finanza, ributtandola sulle regole che lo penalizzerebbero».
E secondo lei queste regole non penalizzano Renzi?
«In realtà l’assemblea nazionale del Pd si è riunita per concedere a lui questa modifica dello statuto ad personam: e uno non si aspetta di essere ringraziato per questo, anche se un po’ di educazione non guasterebbe. Doveva esser lì, chieder di parlare e ringraziare».
Ma alla luce di questi paletti così stringenti, si può dire che alla fineBersani sia stato condizionato dalla nomenklatura del Pd che vuole blindare lo status quo? In altre parole, il segretario ha voluto rassicurare al massimo tutte le correnti che lo sostengono?
«Credo siano lineari i comportamenti di Bersani e invito Renzi a non definire sleale il suo competitor che è il segretario del suo partito. Capisco il bisogno di essere al centro della scena e dello spettacolo, ma le parole si devono misurare: definire sleale Bersani che per primo si è impegnato ad avere primarie aperte, malgrado il parere di molti, non è proprio accettabile. E comunque certe letture derivano da una scarsa conoscenza del personaggio Bersani: un uomo pacato, ma così determinato che nei suoi propositi non lo smuove nessuno».
Carlo Bertini
(da “La Stampa”)
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Ottobre 22nd, 2012 Riccardo Fucile
SETTIMANA DECISIVA. IN PARLAMENTO IL DECRETO BALDUZZI
Abbiamo il diritto di parlare con chi ci governa. E di essere ascoltati.
Una voce è debole, ma migliaia, insieme, possono diventare potenti quanto quella delle lobbies. Dobbiamo scrivere a Mario Monti perchè ponga fine all’invasione delle slot machine.
Allo Stato biscazziere e alla criminalità organizzata che si riempie le tasche.
Dobbiamo farlo adesso che il Senato — dopo il via libera della Camera — si prepara a votare il decreto con le regole per il settore.
Erano gli anni Sessanta quando un grande uomo, Peter Benenson, fondò Amnesty International. Pochi volontari (oggi sono milioni) contro i tiranni.
Pareva follia, forse lo era. Benenson usò un’arma alla portata di ciascuno di noi: prese carta e penna e cominciò a scrivere. Invitò tutti a farlo.
Una, dieci, migliaia di punture che neppure i peggiori dittatori potevano ignorare. Lettere decise ma civili, perchè questa è la base del dialogo.
Ogni mese Amnesty adottava un prigioniero politico e ne chiedeva la liberazione. Spesso con successo.
Noi dobbiamo fare lo stesso. Una volta c’era la posta, oggi basta una email. Clic, il messaggio è partito.
Proviamo.
Scriviamo a Monti, chiediamogli di affrontare la piaga delle slot machine che sta intaccando la società italiana.
Non è facile, le lobby sono potenti e hanno amici anche tra i partiti che sperano di rimpolpare i bilanci. E i giochi sono sempre piaciuti alla politica, dai tempi del Bingo.
L’esecutivo Monti, a differenza dei predecessori, qualche timido passo l’aveva fatto.
Uno avanti, però, e due indietro: come per il limite, introdotto e svuotato, alle società intestate a parenti di inquisiti.
Poi l’addio alla tessera magnetica richiesta per giocare, che sarebbe stato un deterrente.
C’è aria di bandiera bianca.
Il decreto in esame al Parlamento rivela debolezze e ombre di condizionamenti: le distanze delle sale gioco dalle scuole erano stringenti e sono diventate inefficaci.
Ci si prepara ad aprire 2000 nuove sale. Il ministero dell’Economia, con il via libera del Consiglio di Stato, vara il betting exchange , la Borsa delle scommesse, a rischio oasi per i riciclatori di denaro sporco.
No, non si possono fare altri regali ai signori delle slot.
Non si può ignorare che le slot, come la droga, sono una delle principali fonti di radicamento e di arricchimento della criminalità organizzata.
Grazie alle macchinette le mafie riciclano denaro sporco con profitti esponenziali. In quel mondo è labile il confine tra economia legale e criminale.
Un business che, soprattutto in tempi di crisi, specula su un bene raro: la speranza. Gli italiani con le tasche ormai vuote sacrificano 44 miliardi l’anno in giocate.
Soprattutto i ceti deboli, disoccupati e pensionati.
Le macchinette hanno contagiato gli italiani con la ludopatia, la febbre del gioco, che intacca il tessuto sociale indirizzando all’azzardo.
Un tumore, il termine è duro, visibile dove bar e circoli sono sostituiti da migliaia di locali con i vetri oscurati, per nascondere ipocritamente la scena dell’interno.
Serve rigore, subito.
Bisogna far pagare alle società concessionarie le penali miliardarie (2,5 miliardi in primo grado) stabilite dalla Corte dei Conti.
Perchè i cittadini devono pagare le multe e i signori delle slot no?
Queste somme tornino nelle casse pubbliche: parliamo di miliardi che eviterebbero sacrifici alla gente comune.
Bisogna fissare regole nuove, senza compromessi.
Evitando la vergogna del recente passato: consulenti dei signori delle slot erano gli stessi scelti dallo Stato per scrivere le leggi. Il governo può cambiare rotta.
Avrà l’appoggio dei cittadini, ma non solo: tra gli altri, anche della Chiesa, che sta combattendo questa battaglia.
Scriviamo subito a Monti, all’indirizzo:
segreteriadelportavoce@governo.it
Perchè abbiamo il diritto di essere ascoltati, ma il dovere di parlare. Adesso.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 22nd, 2012 Riccardo Fucile
MICHAELA BIANCOFIORE: “CARI MASCHIETTI DA NOMENKLATURA, IL PARTITO E’ FINITO…GLI EX AN? AL 5%”
Onorevole Michaela Biancofiore, lei è una delle cosiddette «Amazzoni azzurre» del Pdl, giusto?
«Sì… però, guardi, le do un consiglio: non la consideri una sciocca iniziativa di quattro donnette nostalgiche di Forza Italia che non si rassegnano al disastro in cui è precipitato il partito, come vorrebbero far credere in giro certi maschietti della nostra nomenklatura…».
Continui, è interessante.
«Sono gli stessi maschietti che hanno deplorato le parole di Daniela Santanchè, la quale ha suggerito a tutti e tutte di dimettersi, considerando conclusa l’esperienza del Pdl. Si tratta di una decina di deputati che non accettano la realtà e lavorano per difendere le proprie posizioni di potere… ma gli altri 250 deputati che siedono alla Camera?».
Gli altri che pensano?
«Ecco, il punto è questo: pensano che Daniela abbia ragione, che non si può far finta di niente se i sondaggi, nel volgere di qualche mese, sono crollati e dal 22% siamo ormai intorno al 15%».
Cominci lei a non far finta di niente: di chi è la colpa?
«Intanto io dico che questo partito ha pagato e paga l’arrivo degli ex An, che nel Pdl hanno portato un modo di fare politica a noi forzisti sconosciuto. Per noi la politica è sempre stata fondata sul merito e non sulla clientela, sull’amico dell’amico, sulle correnti che, a lungo andare, hanno infatti scavato il Pdl nella pancia».
Ignazio La Russa sostiene che..
«Trovo irriverenti e irriconoscenti i discorsi di La Russa quando propone a Berlusconi di andarsene per la sua strada e di lasciargli il Pdl. Ma scherziamo? Precisato questo, gli ex An sono liberi di rifarsi il loro partito. Anche se mi sa che…»
Mi sa che?
«Beh, qui nessuno ha ancora avuto il coraggio di dirlo. Ma la verità è che il gruppetto che sappiamo, da La Russa ad Alemanno, dalla Meloni a Gasparri, per qualche settimana ha pensato seriamente di rimettere insieme i cocci di Alleanza nazionale, magari riabbracciando pure il vecchio camerata Storace. Poi però hanno fatto fare qualche sondaggino e cosa hanno scoperto? Hanno scoperto che una nuova An starebbe, sì e no, intorno al 5%. Così adesso cincischiano. Ma è inutile. Ormai è chiaro che il Pdl è una roba vecchia. Perciò vadano pure a farsi il loro partito, magari con la Meloni leader, perchè tra l’altro Giorgia è giovane e brava».
Stiamo parlando da un quarto d’ora, e lei non ha ancora nominato Angelino Alfano, che pure annuncia grandi novità .
«Vede: Alfano, un anno fa, aveva il partito genuflesso, eravamo tutti lì ad aspettare fiduciosi… purtroppo non ha avuto coraggio, il partito gli si è sgretolato tra le mani e ora che ha capito come e quanto Berlusconi si senta distante e distinto dal Pdl, tenta dei colpi di coda. Brutta scena, sì».
Colpi di coda?
«Temo che Alfano si stia facendo influenzare dalla nomenklatura del partito e non si stia muovendo d’intesa con Berlusconi. Ma senza Berlusconi non va da nessuna parte».
Questo è anche il pensiero del Cavaliere?
«Beh… da qualche tempo, in Transatlantico, una sua collega giornalista dice che tra me e Berlusconi c’è una sintonia che andrebbe studiata in psichiatria…».
E ad Alfano, lei, certe cose le ha mai dette?
«È impossibile parlare con Alfano. La prego di non scriverlo… ma… ma davvero sta lì, chiuso al quarto piano di via dell’Umiltà , ha trasformato il suo ufficio in un bunker… quattro porte blindate con quattro telecamere».
Sta lavorando alla squadra con cui rilancerà il Pdl.
«E sbaglia, povero Angelino! Ma cosa vuol rilanciare? La gente pensa al Pdl e, automaticamente, ormai pensa a Fiorito, la tragica figura del nostro ex capogruppo alla Regione Lazio che rubava facendosi chiamare Batman. Il Pdl è fi-ni-to… E cambiargli nome, badi bene, non basta. Serve una rifondazione totale, con facce nuove, dove non ci sia più spazio per un modo di fare politica alla… alla Gasparri… ecco, l’ho detto!».
Perchè, scusi: Gasparri com’è che fa politica?
«Cercando di mettere da Aosta a Lampedusa sempre e comunque un suo uomo, senza badare se è bravo, se ha qualità . Come tanti ex di An, Gasparri vive la politica come controllo del territorio e, quindi, del potere. Il Pdl è stritolato da queste logiche».
Come finirà ?
«Io scommetterei forte che, alla prossime elezioni, Berlusconi finirà con il presentarsi con una sua lista. E credo che possa stare ancora tra il 18 e il 20%. Noi, cioè le cosiddette “Amazzoni”, stiamo lavorando proprio a questo progetto: e non siamo sole. Ci sono anche personalità come Galan e Martino, giovani docenti universitari e tipi come Laura Marchese, capo ufficio stampa Fiction di Mediaset, l’esperta in comunicazione che dovrebbe fare quello che Giorgio Gori fa a Matteo Renzi».
(A intervista conclusa, la Biancofiore – 41 anni, da Bolzano – racconta: «Poi sabato mi sono sentita con Berlusconi, e lui che mi ha detto? Mi ha detto: “Visto che ormai sei un’amazzone, mi toccherà regalarti un cavallo”» ).
Fabrizio Roncone
(da “Il Corriere della Sera“)
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Ottobre 22nd, 2012 Riccardo Fucile
MORTALITA’ SUPERIORE DELL’11% RISPETTO AL RESTO DELLA PUGLIA… CASI QUASI RADDOPPIATI PER LE DONNE
Peggiorano da più 10 a più 11 per cento i dati della mortalità a Taranto secondo il Progetto Sentieri dell’Istituto superiore della sanità sui siti inquinati.
Mentre nelle donne i tumori aumentano a seconda del tipo dal 24 al 100 per cento rispetto alla media della provincia e nei bambini crescono le malattie nel primo anno di vita.
“Dai risultati presentati emerge con chiarezza uno stato di compromissione della salute della popolazione residente a Taranto”, scrive il ministero della Salute.
Si apre dunque con un serio allarme la settimana cruciale per il futuro dello stabilimento Ilva.
Dovrebbe infatti essere questione di ore la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia) per l’esercizio dell’attività industriale, che potrebbe avvenire martedì 23 ottobre facendo entrare in vigore il testo, approvato con molte osservazioni e critiche, dalla Conferenza di servizi il 18 ottobre scorso.
Intanto il ministro della Salute Renato Balduzzi ha incontrato le associazioni ambientaliste per presentare lo studio compiuto dall’Istituto superiore della sanità con l’Oms, denominato progetto Sentieri, che si riferisce ai dati aggiornati al 2009 sull’analisi della mortalità , del biomonitoraggio e del rischio sanitario connesso alla qualità dell’aria.
Il più 11 per cento si riferisce all’eccesso di mortalità rilevato a Taranto rispetto alle aspettative di morte di tutti i cittadini residenti in Puglia.
Si tratta di un dato ricavato dalla media tra l’eccesso di mortalità del 14 per cento registrato tra gli uomini e quello dell’8 per cento rilevato nelle donne nel periodo tra il 2003 e il 2009.
GLI UOMINI
Per gli uomini l’eccesso di mortalità per tutte le cause nel periodo che va dal 2003 al 2009 rispetto alla media regionale è del 14 per cento.
Per tutti i tumori è più 14, per cento malattie circolatorie 14 per cento, malattie respiratorie c’è un eccesso del 17 per cento, per i tumori polmonari si raggiunge il più 33 per cento e c’è un più 419 per cento di mesoteliomi pleurici.
Rispetto al resto della provincia, invece, per gli uomini che vivono tra Taranto e Statte si registra un più 30 per cento di tumori.
Nel dettaglio c’è un più 50 per cento del tumore maligno del polmone, più 100 per cento per il mesotelioma e per i tumori maligni del rene e delle altre vie urinarie (esclusa la vescica), più 30 per cento per il tumore della vescica e per i tumori della testa e del collo, più 40 per cento per il tumore maligno del fegato, del 60 per cento per il linfoma non Hodgkin, del 20 per cento per il tumore maligno del colon retto e quello della prostata e al 90 per cento per il melanoma cutaneo.
LE DONNE
Per le donne a Taranto invece è stato rilevato un eccesso di mortalità rispetto al resto della regione per tutte le cause nel periodo tra il 2003 e il 2009 dell’8 per cento.
I decessi legati ai tumori sono più 13 per cento, per le malattie circolatorie più 4 per cento, per i tumori polmonari più 30 per cento e per il mesotelioma pleurico più 211 per cento.
In particolare, rispetto però stavolta ai dati della provincia nel sito di Taranto e Statte si registra un incremento totela dei tumori del 20 per cento e nello specifico dei tumori al fegato (+75%), linfoma non Hodgkin (+43%), corpo utero superiore (+80%), polmoni (+48%), tumori allo stomaco (+100%), tumore alla mammella (+24%).
I BAMBINI
Per i bambini si registrano incrementi significativi di contrazione malattie per tutte le cause nel primo anno di vita.
“La situazione a Taranto è indubbiamente complessa. Credo sia necessario uno sforzo, anche da parte della sanità ‘ pubblica per un monitoraggio sanitario costante e un piano di prevenzione nei confronti dei lavoratori, dei bambini, di tutti, con iniziative mirate”. Lo ha detto il ministro Baluduzzi.
“I dati su Taranto sono allarmanti e ricalcano quelli già ‘ circolati: bisogna partire da questo dato di fatto per intervenire”, è stato invece il commento dell’assessore alla Sanità della Regione Puglia, Ettore Attolini, dopo l’incontro con il ministro.
Domani, martedì 23, Clini e Balduzzi saranno a Bari dove parteciperanno a una tavola rotonda sul “Caso Ilva” dopo l’illustrazione della relazione al Parlamento sulla gestione dei rifiuti nella Regione Puglia, elaborata dalla commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti presieduta da Gaetano Pecorella.
Oggi e domani l’Ilva è anche al centro di due appuntamenti giudiziari.
Oggi ci sarà in Tribunale l’udienza sull’appello presentato dalla Procura di Taranto per far sospendere l’immediata esecutività dell’ordinanza del Tribunale del 28 agosto con la quale, tra l’altro, venne disposto il reintegro del presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, nella funzione di custode giudiziario degli impianti sequestrati.
L’appello è stato proposto in attesa della decisione sul ricorso presentato in Cassazione dalla procura contro la stessa ordinanza.
Il 23 ottobre il Tribunale del riesame esaminerà il ricorso dei legali dell’Ilva contro il secondo no del gip Patrizia Todisco alla rimessione in libertà di Emilio Riva, del figlio Nicola e dell’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, tutti agli arresti domiciliari dal 26 luglio nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale a carico dei vertici dell’azienda.
(da “La Repubblica“)
argomento: denuncia, sanità, Sicurezza | Commenta »
Ottobre 22nd, 2012 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE AL GOVERNO: “SIAMO SOTTO ELEZIONI, NON E’ TEMPO DI FARE RIFORME”
Le reazioni degli insegnanti alle “sei ore in più a parità di salario” sono state rabbiose, sorprendenti nella loro rapidità e via via organizzate in protesta fuori e dentro le scuole.
Pier Luigi Bersani, ha contato almeno 400 mila voti a rischio dentro quel bacino protestante e per due volte ha detto che questa legge di stabilità non l’avrebbe votata. Così il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo al suo staff ha detto: «Sulle sei ore fermiamoci, siamo troppo vicini alla campagna elettorale. I 183 milioni da tagliare cerchiamoli nelle singole voci di spesa, non c’è tempo per fare grandi riforme».Con l’arresto della riforma dell’orario a scuola si ferma anche il risiko delle cattedre che avrebbe espulso dall’insegnamento 6.400 precari (fonti Pd) o 30 mila (fonti sindacali). Viene annacquato anche il riordino dei dodici enti di ricerca pubblici.
Negli ultimi giorni, infatti, Profumo ha congelato l’ipotesi di un unico Centro di ricerca nazionale per tutelare i brevetti, segnalare i bandi migliori, rappresentare gli interessi italiani a Bruxelles.
Il ministro – e qui l’opposizione è arrivata da destra, con il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri deciso a tutelare l’amico Enrico Saggese alla guida della traballante Agenzia spaziale italiana – non taglierà più i dodici consigli d’amministrazione preferendo chiedere ai singoli presidenti di portare in tempi brevi una loro proposta operativa.
Ieri a Roma, autoconvocati, senza bandiere sindacali, cento docenti sono andati a ritmare la loro protesta sotto le finestre di un ministero dell’Istruzione chiuso.
L’onda dell’opposizione alle “sei ore in più” porterà alla riduzione dell’attività didattica in molti licei: stop a interrogazioni, compiti in classe, gite scolastiche.
La riforma dell’orario è riuscita a ricompattare tutti i sindacati, che hanno indetto uno sciopero generale della scuola per il 24 novembre.
Il ministro Profumo ora fa sapere: «Spero che le mie indicazioni servano a rimettere la scuola al centro dell’agenda del paese coniugando tradizione e modernità e agganciandosi alle migliori esperienze sperimentate in Italia e in Europa».
(da “La Repubblica“)
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