Destra di Popolo.net

LA SIGNORA LONGARI CADDE SUL PISELLO, CASINI SCIVOLA SULLO SKIPASS DELLA FIGLIA

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

SULLE PISTE DI CORTINA IL SEGRETARIO UDC SI FA BECCARE CON IL PASS DELLA FIGLIA: MULTA, RITIRO DELLO SKIPASS E FIGURACCIA

Brutta figura quella rimediata da Pierferdinando Casini a Cortina durante le ultime festività ; specie dopo tutto quello che è stato detto e fatto per sensibilizzare i politici ai problemi dei paesi di montagna.
E invece il leader dell’Udc, un habituè da queste parti, immancabile ospite di Cortina In-Con-Tra, è incappato un un passo falso che avrebbe tranquillamente potuto evitare: ha utilizzato lo skipass della figlia per andare a sciare.
Nulla di che, intendiamoci.
Però… Veniamo al fatto.
Casini si steva allenando sugli sci sulle piste del Cristallo in vista della 7 ª “festa sulla neve” che si svolgerà  a Sestola a fine mese.
Conclusa una discesa, l’ex presidente della Camera è stato prima fermato e poi riconosciuto da uno degli ispettori dell’impianto di risalita in uno dei controlli che scattano quando qualcosa non quadra.
Sul monitor interno alla cabina di controllo l’immagine di una ragazza non combaciava evidentemente con chi aveva oltrepassato il cancelletto.
E l’ispettore che in quel momento era al lavoro non ha potuto fare altro che ritirare lo skipass intestato alla figlia del leader Udc.
«Casini stava per salire sulla seggiovia», racconta Enrico Ghezze, del “Superski Dolomiti”, «quando, sui monitor che segnalano al personale chi oltrepassa il cancelletto, è apparsa la foto di una ragazza, quando invece era evidentemente un uomo la persona che stava salendo sull’impianto.
In più lo skipass era intestato ad una certa Benedetta Casini, che tutti quassù sappiamo essere la figlia dell’onorevole. Abbiamo quindi fermato il “sospetto”, e abbiamo subito visto di chi si trattava. I nostri ispettori effettuano monitoraggi a campione, e naturalmente arrivano a sorpresa sugli impianti, visto che sarebbe impossibile controllare migliaia e migliaia di passaggi tutti i giorni. Pier Ferdinando Casini, dunque, non ha avuto dalla sua neanche la fortuna. Da tempo comunque i controlli si sono perfezionati», aggiunge Ghezze, «ed è difficile farla franca. E questo lo diciamo naturalmente a beneficio di tutti coloro che vengono a sciare qui da noi. Comunque Casini si è comportato in maniera assolutamente educata e collaborativa, dicendo che la figlia era ammalata e che quindi pensava di potere usare quello skipass. Naturalmente ha dovuto comprare uno skipass pomeridiano e pagare la multa di 30 euro che applichiamo in questi casi».
Poi Ghezze parla del fenomeno in generale.
«La legge parla chiaro: sciare non col proprio skipass è reato. Naturalmente non possiamo essere fiscalissimi e portare tutti davanti a un giudice. Sopratutto quando chi è in difetto si rende disponibile e non protesta. Si cerca sempre di applicare il minimo della multa e il ritiro dello skipass, che comunque ha un suo valore. Abbiamo peraltro già  vinto molte cause contro chi non ha voluto pagare dopo essere stato beccato in difetto. Sono cose sgradevoli», dice ancora Ghezze, «ma la percentuale di questi casi è diminuita notevolmente negli anni visto che sono stati fatti degli investimenti grandissimi proprio in tema di skipass. E non solo per una questione di controlli, ma anche per la comodità  degli utenti che ora non devono più esibire o timbrare nessuna tessera. Tutto è computerizzato e quindi, quando scattano i controlli, è difficile che chi è in difetto la faccia franca».

Andrea Gris
(da “il Corriere della Alpi“)

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SONDAGGIO IPR TG3: LISTA MONTI AL 10% DIVENTA DETERMINANTE

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

PD 31%, PDL 16,5%, CINQUESTELLE 14%,   LISTA MONTI 10%, LEGA NORD 5,5%, SEL 4,5%, ARANCIONI + IDV 4,5%, UDC 3.5%, FLI 2,5%

Nell’ultimo sondaggio Ipr Marketing realizzato per il Tg3 rileviamo diversi elementi molto interessanti, che aiutano a capire gli effetti sull’opinione pubblica delle ultime vicende politiche.
Il dato più rilevante è la percentuale del M5S, che perde il 2,5%   rispetto all’ultima settimana.
Il calo è netto, molto evidente e, in termini percentuali, il Movimento 5 Stelle guidato di Beppe Grillo si colloca dietro il Pdl perdendo la seconda posizione all’interno dello scenario partitico-elettorale.
Perde 2 punti percentuali anche il Pd che rimane comunque il primo partito con il 30% dei consensi stimati; tale perdita elettorale non è certamente drammatica ma rafforza i dubbi sulla potenziale instabilità  che potrebbe caratterizzare il prossimo Esecutivo, specialmente al Senato.
Appare invece — sempre secondo il sondaggio Ipr -, poco rilevante la campagna elettorale del Cavaliere visto che il Pdl non arriva al 17% dei consensi: si evidenzia un piccolo recupero del partito guidato da Berlusconi, che non risulta comunque competitivo per la vittoria finale.
Il movimento Arancione guidato da Ingroia sconta un oggettivo ritardo nella campagna elettorale: sarà  quindi indispensabile aspettare le prossime settimane ed i prossimi sondaggi elettorali per testare l’efficacia del messaggio politico dell’ex Procuratore Capo di Palermo.O
Ottimo il risultato che il sondaggio Ipr attribuisce alla lista Monti, che da sola ottiene il 10% dei consensi e raggiunge insieme a Fli e Udc oltre il 15% dei consensi.
Questo dato è cruciale per la formazione della prossima maggioranza parlamentare e non certo per la Camera, dove Monti & Co non possono vincere, ma per il Senato, dove il Centro potrebbe aiutare Bersani in assenza di una maggioranza pre-elettorale larga.
Per quanto breve, la campagna elettorale potrà  ancora spostare gli equilibri, ma è ormai chiaro da diversi sondaggi politici che la vera partita per il Governo del Paese si giocherà  all’indomani delle elezioni.

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LISTA RENZI AL SENATO: NEL PD STANNO PREPARANDO LA SORPRESA

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

L’OPERAZIONE STUDIATA DA BERSANI PER CONTRASTARE LA FUGA DEI CONSENSI MODERATI VERSO MONTI… UNA LISTA RENZI GARANTIREBBE TRA IL 6% e il 10% DI VOTI, PARI A 7-9 SEGGI

Una Lista Renzi al Senato, apparentata con il Pd, per contrastare la fuga dei consensi moderati verso Monti.
È l’idea di Pier Luigi Bersani, che nei giorni scorsi ha mandato in avanscoperta alcuni collaboratori ma ancora non ha chiesto ufficialmente al sindaco di Firenze di impegnarsi in vista delle elezioni del 24 e 25 febbraio.
Il Rottamatore per ora tace, valutando i possibili scenari mentre si riposa sulla neve con la famiglia.
Una telefonata di Bersani, che equivarrebbe a riconoscere pubblicamente a Renzi un ruolo di primo piano nel partito, potrebbe convincere il sindaco.
Ad accelerare le manovre è stato il repentino cambio di scenario dettato dalla «salita» in politica di Mario Monti.
Una lista unica, solo al Senato, è la strategia dei montiani.
E proprio a Palazzo Madama, dove secondo gli ultimi sondaggi il Pd potrebbe contare su 170 senatori, un buon successo della Lista Monti potrebbe mutilare la vittoria di Bersani, con gli spettri della caduta, proprio al Senato, del governo Prodi che ancora aleggiano.
Ecco perchè qualcuno avrebbe suggerito a Bersani la carta della Lista Renzi.
Una sorta di lista civica nazionale senza la candidatura del sindaco, solo con il suo «marchio» (già  alle comunali il sindaco affiancò la Lista Renzi e Facce Nuove alla lista del Pd), per coinvolgere soprattutto quel 40 per cento di elettori che lo ha votato al ballottaggio contro il segretario e ora sono rimasti «orfani».
L’ultimo sondaggio arrivato a Palazzo Vecchio dice che, se Renzi si candidasse a premier con una propria lista, incasserebbe tra il 6 e il 10 per cento dei voti.
Uno scenario impossibile, ma le rilevazioni restano una bussola sul peso politico post primarie del sindaco.
A una eventuale Lista Renzi, apparentandosi con un partito o coalizione che raggiunga il 20 per cento, basterebbe il 3 per cento per superare la soglia di sbarramento al Senato.
Grazie al «marchio Renzi» (con un buon risultato si conquisterebbero 6-9 seggi), il Pd contrasterebbe sì una pericolosa emorragia dei moderati verso Monti, ma il sindaco non è convinto.
Tra i suoi consiglieri sono in tanti a spronarlo, sia per tornare ufficialmente sulla scena nazionale, sia per rimotivare le migliaia di volontari ed elettori dei comitati renziani di tutta Italia, che dopo la sconfitta alle primarie (e il ritorno di Renzi a Palazzo Vecchio) si sono ritrovati senza punto di riferimento.
Tutti, dopo un silenzio che dura da ormai un mese, chiedono al sindaco di battere un colpo.
«Non vogliamo certo mettere a repentaglio un patrimonio come i comitati. Quello di Matteo non è un silenzio di resa – dicono i suoi – lo scenario è complesso e, al momento opportuno, tornerà  a battersi».
E quella di una lista al Senato potrebbe essere un’occasione importante.
Anche perchè a chiederla sarebbe Bersani.
Un «sì» nobiliterebbe il sindaco, che si spenderebbe in prima persona per aiutare il partito, magari per poi strappare al segretario più spazio nel listino blindato, dove oggi Renzi avrebbe assicurati 17 posti.
Nella lista per Palazzo Madama finirebbero esponenti della società  civile e non uomini del Pd, perchè altrimenti sarebbe una mossa vana.
Per candidarsi al Senato occorre però aver compiuto 40 anni, e nelle giovani truppe renziane trovare i nomi giusti non sarebbe poi così facile.

Claudio Bozza
(da “Corriere fiorentino“)

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DIRETTI AL CENTRO: LE STRATEGIE DI CHI CERCHERA’ DI FARSI CANDIDARE NELLA LISTA MONTI

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

TRA ANSIE E PATTI DELLA MOZZARELLA, SPERANDO DI SUPERARE IL VAGLIO DI BONDI

Via dei Prefetti, angolo via Metastasio. Un ristorante specializzato in succulenti menù a base di mozzarella.
Una tavolata di politici che, un tempo, furono di strettissima osservanza berlusconiana.
C’è Isabella Bertolini, una forzista della prim’ora, all’epoca davvero una dura e pura, e poi ci sono Gaetano Pecorella e Roberto Tortoli, Alfredo Mantovano e Giorgio Stracquadanio (se si esclude Mantovano, sono tutti componenti di «Italia libera»: il movimento che dieci ex pidiellini hanno costituito nel gruppo misto alla Camera)
Si stanno scambiando gli auguri per il nuovo anno? No.
Stracquadanio fa un po’ il vago. «Ci sarebbe ancora un po’ di burrata?».
Ma poi le facce e il tono della voce basso (siamo a due passi da Montecitorio, e non puoi mai sapere chi è seduto nel tavolo dietro al tuo) sono piuttosto eloquenti.
«Okay, va bene: stiamo ragionando, riflettendo, ipotizzando su cosa sia più opportuno fare nei prossimi giorni», ammette alla fine Stracquadanio (che mollò Berlusconi già  a luglio, esausto e deluso, lui che pure l’aveva difeso sempre, persino nei giorni cupi dei bunga bunga).
Può essere più preciso?
«Allora: noi siamo usciti dal Pdl sperando in una rifondazione del centrodestra e, a questo punto, siamo tutti con Monti e con la sua Agenda. L’abbiamo spiegato in un comunicato e scritto nel blog che abbiamo sull’ Huffington Post . Ora però c’è il problema delle liste».
Prosegua.
«Monti stesso sostiene che per lui la lista unica anche alla Camera sarebbe la soluzione più efficace. Solo che Casini vuole andare per conto suo, e al massimo, come sappiamo, può accorparsi con Fini… poi c’è la lista di Montezemolo…».
Insomma voi rischiate di restare fuori dai giochi.
«No, guardi: che noi si resti tagliati fuori è escluso. Primo: perchè dopo le elezioni il Pdl tirerà  le cuoia definitivamente, e quindi uno spazio politico da ricostruire non solo c’è, ma ci sarà  anche dopo a maggior ragione. Secondo, perchè magari possiamo dar vita noi stessi a una lista di sostegno a Monti…».
Non fosse che suona male, si potrebbe titolare dicendo che stanno stringendo «il patto della mozzarella» (o della burrata).
Il gruppetto spiega che il loro pontiere tra i montiani è Mario Mauro, e che ai dieci di «Italia libera» è opportuno aggiungere oltre a Mantovano, che è già  qui attovagliato (cit. Dagospia ), anche altri ex pidiellini, a cominciare da Frattini e Cazzola, «con i quali ci teniamo in contatto strettissimo».
La Bertolini ci mette un filo di polemica.
«No, ecco… vorrei solo dire che non siamo dei poveri profughi, come qualche giornale della famiglia Berlusconi tende a definirci… siamo invece gente che fa politica sul territorio da vent’anni e non ci spaventa il rischio di non essere rieletti: perchè a noi interessa ricostruire il centrodestra e aiutare Monti. E per questo siamo pronti a metterci la faccia. Sia con una lista nostra, sia in un listone unico alla Camera, che sarebbe la soluzione più strategica».
Quest’idea di un listone alla Camera continua a piacere proprio tanto tra quelli che, vedendo arrivare la carrozza di Monti, e non in familiarità  con i tre cocchieri (Casini, Montezemolo e Fini) temono di non riuscire a salir su.
Piace, per dire, anche a quattro che, pur di farsi trovare pronti al passaggio della carrozza, non hanno esitato a lasciare il Pd.
Sono: Lucio D’Ubaldo, Benedetto Adragna, Giampaolo Fogliardi e Flavio Pertoldi (avrebbero persino registrato un logo: «Popolari democratici»).
D’Ubaldo (viene dalla Margherita) ha quel modo pratico di ragionare che lascia nella melassa dialettica molti suoi colleghi.«Sa cosa farei io se fossi Monti?».
Cosa farebbe?
«Io conterei le liste che, intorno a lui, si stanno formando. Allora: ci siamo noi, perchè è chiaro che noi una lista siamo pronti a farla. Poi c’è quella di Casini, quindi c’è quella di Fini, posto che Fini non pensi di accorparsi con Casini… poi ancora c’è Montezemolo… A quante liste siamo?».
A quattro: ma ha dimenticato la lista che sono pronti a varare pure gli ex pdl, come Bertolini e Stracquadanio
«Eh… Insomma: se Monti si mette a contare, io credo che finirà  anche con il ragionare sul rischio pratico, concreto, che una eccessiva frammentazione può comportare».
Quindi lei pensa che…
«Guardi, io e Adragna l’abbiamo spiegato con chiarezza in un articolo pubblicato dal Foglio : Monti cita De Gasperi, no? Ebbene, al pari di De Gasperi egli ha la responsabilità  di chiamare a raccolta uomini e donne di questo Paese che intendono concorrere alla ricostruzione di un’Italia civile e moderna…».
Le parole sono queste, in un miscuglio diffuso (tra ex pdl ed ex pd) di ansia, speranza e timore. I bacilli che alimentano il terribile virus dell’incertezza.
Nelle ultime ore, il virus si sarebbe diffuso anche nel corpo molle (ed elettoralmente debole) di Fli.
C’è infatti questa voce che Fini, volentieri, andrebbe in lista con l’Udc (chiedendo di portarsi solo quattro, cinque dei suoi).
Italo Bocchino, lei è sicuro di esserci? Teme che…
«Io non temo proprio niente!».

Fabrizio Roncone
(da “il Corriere della Sera”)

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PECORELLA, EX LEGALE DEL CAVALIERE: “CON VOTO SU RUBY TOCCATO IL FONDO”

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

“GRAZIE AL PARTITO, PERSONE HANNO SVOLTO RUOLI PER CUI NON AVEVANO ALCUNA PREPARAZIONE”…”SONO DIVENTATI MINISTRI SOGGETTI SENZA STORIA POLITICA E CON VICENDE PERSONALI INCOMPATIBILI CON LE ISTITUZIONI”

“Il giorno che la Camera dei deputati della Repubblica italiana ha votato una mozione nella quale si sosteneva che Ruby fosse la nipote di Mubarak, non ce l’ho fatta più, la mia coscienza si è ribellata. Esiste un limite, quel limite si era varcato. Anche perchè fino a quel momento avevo già  dovuto mandare giù troppe cose”.
Gaetano Pecorella, parlamentare ed già  avvocato di Silvio Berlusconi nei processi storici come Sme e Imi-Sir, in una intervista al Corriere della Sera, spiega i motivi per cui si è allontanato dal Cavaliere e appoggerà  l’agenda Monti.
“Non è certo una scelta di oggi questo mio passaggio politico … la mia critica al partito di Silvio Berlusconi è cominciata oltre un anno fa. Lo avevo detto al Cavaliere: serviva più democrazia interna, altrimenti il partito si sarebbe logorato”.
Una democrazia che non è mai arrivata con la cancellazione delle primarie del Pdl e il ritorno a tutto campo del leader, che in questi giorni rilascia interviste e si fa ospitare in tutte le trasmissioni.
Pecorella, già  presidente della Commissione Giustizia alla Camera, riflette che è stata anche questa assenza di democrazia a lacerare il suo rapporto con il Pdl: “Anche. Ma questo è stato semplicemente un elemento logorante. È stato tutto il resto che lo ha devastato. E la verità  è che io sono rimasto nel Pdl cercando di trattenermi, di volta in volta. Il più possibile. Fino a quando possibile non mi è stato davvero più”. L’avvocato parla di “escalation.
Ad un certo punto nel Pdl si erano concentrati troppi procedimenti penali a carico di persone che venivano protette all’interno del partito”.
Insomma un affastellarsi di inchieste, indagini in cui si era chiamati, Cavaliere in primis, a infilarsi troppe volte la toga: “Intanto vorrei precisare che io sono diventato avvocato di Berlusconi quando già  ero diventato parlamentare. Non viceversa. E che ho difeso Berlusconi fin quando ho creduto nelle idee che il partito ci aveva propugnato. Avremmo dovuto cambiare la giustizia, dare al paese più libertà , più libertà  economica … Sulla giustizia come presidente della commissione della Camera ho seguito e fatto approvare i vari lodi (il cosiddetto lodo Alfano, ad esempio). Tutti quelli che ha voluto Berlusconi, in ogni caso. Erano indispensabili per continuare a governare, mi dicevo. Ho eseguito. Poi è venuto meno il presupposto politico del partito e tutto è crollato. Le riforme vere non si sono più fatte. Intendo le riforme costituzionali. E ad un certo punto abbiamo toccato il fondo”.
Con quel voto che di Montecitorio e con quei 315 deputati che hanno detto di essere convinti che una ragazzina marocchina, ospite delle serate ad alto tasso erotico di Arcore secondo la Procura di Milano, fosse parente dell’ex presidente dell’Egitto.
Il processo, che vede imputato l’ex presidente del Consiglio per concussione e prostituzione minorile, è ormai agli sgoccioli e il prossimo 14 gennaio Ruby dovrà  testimoniare.
Non c’è solo la marocchina nel cahier de doleance di Pecorella.
Grazie al partito ci sono state persone hanno svolto ruolo e incarichi per cui non avevano nè curriculum nè preparazione: “… Persone che senza nessuna storia politica e con storie assolutamente non compatibili con la politica arrivassero in Parlamento e avessero poi anche incarichi importanti. Non faccio nomi. Diciamo comunque che erano cariche da ministro”.
Quindi Pecorella ora guarda avanti e oltre: “Ho la sensazione che con la figura di Mario Monti potrò finalmente recuperare i valori nei quali avevo creduto. La capacità . Il merito. L’onestà . E, perchè no? Il rigore”.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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PRIMARIE PD E SEL: NELLA PRIMA GIORNATA BENE LA BINDI, SCONFITTO IL RENZIANO GORI

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

IERI HANNO VOTATO 400.000 ELETTORI: BENE I 30-40ENNI E LE DONNE… SPICCANO I SUCCESSI DELL’EX MINISTRO DAMIANO, DI PIPPO CIVATI E DI BARBARA POLLASTRINI

L’obiettivo raggiungibile – dicono in casa Pd – è quota un milione.
Ieri, nelle nove regioni in cui si è votato, sono andati alle urne per le primarie 400 mila elettori (su una base elettorale di un milione di persone che hanno preso parte al ballottaggio del due dicembre).
“Sarebbe un ottimo risultato – dice il segretario Pierluigi Bersani – dai dati che stanno arrivando vedo delle cose francamente impressionanti: di questo passo arriveremo sicuramente a un milione di partecipanti e questo la dice lunga sulla volontà  di militanti ed elettori di partecipare”.
Oggi seggi aperti fino alle 21 in Veneto, Trentino, Friuli, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna (per Sel fino alle 20).
Ma dalle urne di ieri arrivano già  i primi importanti verdetti.
Rosy Bindi ha superato lo scoglio delle primarie in provincia di Reggio Calabria (insieme al consigliere regionale Demetrio Battaglia).
Battuta d’arresto invece per il renziano Giorgio Gori a Bergamo. Non ce l’ha fatta a vincere le primarie per la scelta dei parlamentari del Pd.
Nella circoscrizione di Bergamo, infatti, dove si era candidato, è arrivato solo quarto, con il 12 per cento delle preferenze (prima Elena Carnevali, capogruppo del Pd in Comune con il 31,18% dei voti. Secondo si è classificato il deputato Giovanni Sanga con il 20,47%).
Alla fine, con un tweet, ha ringraziato chi lo ha sostenuto.
Questo mentre il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, va alle urne oggi in Toscana: “Vado a votare alle primarie parlamentari Pd e faccio un grande in bocca al lupo a tutti i candidati che si sono messi in gioco”, ha scritto su twitter.
A sorpresa, infine, Massimo Mucchetti, vicedirettore del Corriere della Sera ha accettato la proposta di Bersani di candidarsi nelle liste del Pd.
Dalla Lombardia – dove hanno votato in 100 mila – arriva un altro segnale significativo. Sono i trenta-quarantenni a vincere: oltre a Veronica Tentori, ventisettenne che ha vinto a Lecco, appaiono ai primi posti nelle rispettive province Pippo Civati, (37 anni) a Monza, Alan Ferrari (37) a Pavia e Chiara Braga (33) a Como.
E’ Barbara Pollastrini la candidata più votata a Milano e provincia.
L’ex ministro ha avuto 4527 voti. E’ una donna anche la seconda nella lista ed è Lia Quartapelle con 4344 voti.
Più bassi i consensi raccolti dai candidati uomini: Matteo Mauri ha avuto 3921 voti, Franco Mirabelli 3747, Emanuele Fiano 3739, Francesco Laforgia 3694.
In Piemonte ha votato il 26 per cento degli elettori rispetto al due dicembre: è l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano il più votato a Torino e provincia alle primarie del Pd.
Damiano ha raccolto 5.998 preferenze e si è collocato davanti al segretario provinciale del partito, Paola Bragantini, che ne ha totalizzate 4.226.
Spicca l’affermazione della giovane Francesca Bonomo, 28 anni, candidata proposta dai Giovani Democratici, che con i suoi 3.829 voti ha superato figure di spicco come parlamentari uscenti e amministratori di lungo corso.
In Liguria è un testa a testa serrato tra Lorenzo Basso, il segretario regionale e Mario Tullo, deputato.
Alle loro spalle la prima delle donne è la senatrice Roberta Pinotti. A Imperia promoss a sorpresa Donatella Albano, ex consigliere comunale a Bordighera, che denunciò le infiltrazioni della criminalità  organizzata in Comune (l’amministrazione è stata sciolta nel marzo 2011).
La paladina della lotta ai clan ha superato il favorito Leandro Faraldi, segretario provinciale.
Anche in Campania – come in Lombardia – sono andati alle urne in 100mila.
A Napoli boom del consigliere regionale Antonio Amato, dell’ex sindaco di Portici Enzo Cuomo e del deputato uscente Salvatore Piccolo.
Tra le donne in testa Valeria Valente e Assunta Tartaglione, responsabili regionale e provinciale del movimento femminile del Pd.
Nel salernitano il deputato uscente Fulvio Bonavitacola, ritenuto vicino al sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, è il vincitore delle primarie.
Ha ottenuto 8.756 voti. In provincia di Benevento, dove hanno votato in 15.120 persone, netta affermazione del capogruppo in Consiglio regionale, Umberto Del Basso De Caro, che ottiene oltre 12mila preferenze pari al 46% dei voti.
In Umbria, hanno vinto l’attuale deputato Gianpiero Bocci (in provincia di Perugia) e l’assessore regionale Gianluca Rossi (a Terni).
In Molise l’ex parlamentare Roberto Ruta si afferma a Campobasso, mentre a Isernia vince il segretario regionale del Pd, Danilo Leva.

(da “La Repubblica“)

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BERLUSCONI, DICHIARAZIONI A PESO D’ORO: I RIALZI DEL TITOLO MEDIASET SEMPRE IN COINCIDENZA DELLE SUE “DISCESE IN CAMPO”

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

LE RICADUTE DELLE SUE USCITE: CHI SONO GLI INVESTITORI BENEFICIATI DALLE SUE AFFERMAZIONI?

“Cosa è successo al titolo Mediaset quando Berlusconi si è ripreso il microfono?” Una domanda nata, come spesso avviene, maliziosamente, in mezzo a tante altre che affollano ogni giorno i pensieri di un giornalista curioso.
Guardiamo le date: il 9 ottobre, in diretta a Canale 5, dichiara: «Appello a tutti i moderati che non si riconoscono nella sinistra: posso rigenerare il movimento creato nel ’94 (Forza Italia n.d.r.) per formare i giovani». Due giorni dopo Dell’Utri conferma: «Pronti a creare un’altra Forza Italia, con il fuoco che manca al Pdl, ripartendo dai circoli del buon governo».
Adesso prendiamo il grafico dei movimenti dei rendimenti giornalieri dell’indice di mercato, il FTSE-MIB, e del titolo Mediaset relativo ai primi 15 giorni di ottobre; e cosa si vede?
Il titolo Mediaset sale e scende in modo coerente all’andamento di mercato, ma il 10 ottobre (subito dopo l’annuncio della disponibilità  a scendere in campo), il titolo comincia a salire ed arriva ad un picco di quasi +8% (mentre l’indice FTSE-MIB viaggia fra il —2% e il +2%).
Proseguendo fino a Natale si trova una serie di altre “coincidenze”.
Il 26 ottobre arriva la condanna a 4 anni per i diritti Mediaset, e il mercato punisce il titolo, ma poco dopo lo premia con un altro picco del +4%, il 27 ottobre quando al tg5 Berlusconi dichiara: «Mi sento obbligato a restare in campo per riformare il pianeta giustizia, nei prossimi giorni decideremo se togliere immediatamente la fiducia a questo governo».
Il 16 Novembre arriva in elicottero e parla alla squadra: «Bilancio del governo Monti disastroso, e attacco alla politica economica della Merkel».
Nei giorni a seguire il titolo sfiora un picco del +6%.
Il 28 novembre La Russa annuncia la candidatura di Berlusconi per la premiership.
Il 1° dicembre al vertice di Arcore l’ex premier dice: «Sono assediato dalle richieste di ridiscesa in campo. Il Paese è sull’orlo del baratro, non posso permetterlo».
Sempre in controtendenza il titolo comincia a salire fino a raggiungere, il 3 dicembre, un altro picco del +7%.
Forse il mercato già  scommette che 3 giorni dopo il Pdl si asterrà  al Senato e alla Camera su decreto sviluppo e costi della politica nelle regioni.
D’altronde nei giorni prima il mercato ha imparato ad apprezzare che gli eventi ‘discesa in campo di Berlusconi’, ‘election day’ e ‘ritiro della fiducia’ sono tra loro assai collegati.
L’8 dicembre Berlusconi annuncia: «Torno in campo per senso di responsabilità ; un altro leader non c’è».
E il 12: «Vorrei riposarmi, ma se serve sono pronto; ho accettato di essere candidato premier, ma anche leader della coalizione».
Il titolo nuovamente si impenna, ma precipita subito dopo quando il Ppe sfiducia Berlusconi, per risalire immediatamente nei giorni successivi con l’intervento a Porta a Porta: «Avete bisogno di me, sento il dovere di prestare soccorso a chi ne ha bisogno».
In sostanza negli ultimi tre mesi si rilevano numerosi picchi rispetto al resto dell’anno, che hanno portato un guadagno per Mediaset del 27%, contro un andamento medio di mercato del 6%.
Se poi si considera che, a dicembre 2011, Mediaset aveva perso circa il 20% rispetto ad un incremento medio di mercato del 9%, ci si chiede: ma Berlusconi ignora le ricadute sul titolo (e chi se ne avvantaggia) delle sue uscite pubbliche
Risposta: probabilmente no.
Allora ne sorge un’altra: manipolazione informativa, insider trading?
Qualcuno se ne dovrebbe occupare: certo la Consob.
Chissà  se Vegas, tra una discettazione sulla Tobin tax ed una sulle sue proposte bizzarre per ridurre il debito pubblico (tempestivamente assunte a riferimento da Alfano), riuscirà  a trovare il tempo per fare anche il suo lavoro, ovvero le dovute verifiche?
Per esempio andare a vedere quali sono gli operatori, e soprattutto gli investitori che hanno beneficiato dell’andamento del titolo.
In fondo richiede meno tempo di quello che inopportunamente trovò per andare a votare la fiducia al governo Berlusconi nel dicembre 2010, quando era già  stato nominato Presidente della Consob.

Milena Gabanelli
(da “il Corriere della Sera”)

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PANNELLA DOVRA’ RISARCIRE L’EX SEGRETARIA: OLTRE 250.000 EURO

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

GIUSEPPINA TORRIELLI, 81 ANNI, HA LAVORATO DAL 1982 NEL PARTITO RADICALE E NEL GRUPPO FEDERALISTA EUROPEO, VENENDO RETRIBUITA SPESSO IN NERO… AVVIATA LA PROCEDURA DI PIGNORAMENTO

Marco Pannella è stato ed è un paladino dei diritti civili da sempre.
Sorprende così la notizia di cronaca giudiziaria che lo riguarda e che viene riportata dalle principali agenzie di stampa.
Ovvero la sentenza che lo obbliga a risarcire una collaboratrice cui non sarebbero stati pagati neanche i contributi.
Non c’è soltanto il problema del sovraffollamento delle carceri italiane a preoccupare il leader storico dei Radicali.
Da qualche settimana, a turbare i sonni del leader radicale c’è la causa intentata e vinta da una signora di 81 anni, Giuseppina Torrielli, che a partire dal 1982 ha lavorato prima nel partito Radicale e poi nel Gruppo Federalista Europeo, venendo retribuita come lavoratrice autonoma oppure più spesso in nero, fino al licenziamento in tronco avvenuto nell’aprile del ’94.
E’ stata necessaria una battaglia giudiziaria di quasi 19 anni perchè alla signora Torrielli, segretaria per 10 ore al giorno e sei giorni la settimana nei vari uffici del partito con un’attenzione ai problemi della vita carceraria tanto da curare la corrispondenza dei detenuti oltre a gestire la posta personale di Pannella, venisse riconosciuto che il suo era un lavoro subordinato.
Ecco perchè la sezione lavoro e previdenza della corte di Appello di Roma ha stabilito che Pannella, come presidente del partito, deve pagare all’anziana donna 71mila euro a titolo di mancati pagamenti: somma che, con la rivalutazione e gli interessi, supera i 250mila euro, comprensivi del risarcimento per l’omesso versamento dei contributi assicurativi e previdenziali.
Soldi che Pannella non sembra in grado di poter versare se è vero che il suo avvocato ha tentato una transazione proponendo alla controparte il saldo a rate di metà  della cifra oggetto del contenzioso in cambio della rinuncia all’impugnazione della sentenza.
La Torrielli, però, sempre essere più tenace del suo ex datore di lavoro e ha tutta l’intenzione di pretendere quella somma.
Il suo legale, infatti, proprio in questi giorni, ha dato avvio al pignoramento presso terzi in danno di Pannella per l’importo totale di 256.420,82 euro.

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LE CINQUE DEMOCRAZIE

Dicembre 30th, 2012 Riccardo Fucile

IL VOTO DECIDERà€ IL MODELLO VINCENTE

Le prossime elezioni? Una competizione fra programmi, interessi sociali, leader. Come sempre, del resto.
Ma stavolta c’è una novità , anche se fin qui non ci abbiamo fatto caso.
Perchè nell’urna si misureranno non soltanto linee politiche, bensì modelli di democrazia. E i modelli in gara sono almeno cinque, quanti le dita d’una mano.
Certo, la democrazia risponde pur sempre a un unico criterio: è un sistema dove si contano le teste, invece di tagliarle.
Però se il voto rappresenta lo strumento di legittimazione del potere, le tonalità  di quest’appello al voto esprimono altrettante concezioni del potere legittimo.
E adesso tali concezioni s’elidono a vicenda, come i cinque protagonisti sulla scena.
Primo: Bersani.
Vanta un’investitura iperdemocratica, perchè è l’unico leader scelto attraverso le primarie. Anche le primarie, tuttavia, possono declinarsi in varia guisa.
Se sono troppo chiuse s’espongono alla critica formulata nel 1953 da Duverger, dato che il loro esito verrà  orientato giocoforza dalla burocrazia interna del partito.
Nel caso di specie il Pd ha alzato gli steccati per evitare inquinamenti, e il timore non era campato per aria.
Però al secondo turno è stato respinto il 92% delle richieste d’iscrizione.
Dunque Bersani è portavoce d’un modello di democrazia innervata dai partiti, che in qualche modo fa coincidere i partiti con le stesse istituzioni.
Secondo: Berlusconi.
Quando ha aperto bocca, l’estenuante discussione sulle primarie del Pdl è subito caduta nel silenzio.
Perchè in lui s’incarna il potere carismatico, nel senso indicato da Max Weber.
Quindi un rapporto diretto fra il leader e i suoi elettori, che scavalca il partito e offusca qualunque altro potere dello Stato.
Da qui una lettura verticistica del principio di sovranità  popolare.
Da qui, in breve, la metamorfosi di ogni elezione in referendum: o con me o contro di me.
Terzo:Monti.
Un professore prestato alla politica, che fa politica senza dismettere la toga.
Anzi: è proprio quell’abito a riassumerne l’offerta elettorale.
Un’offerta che perciò riecheggia un modello di governo aristocratico: i re-filosofi di cui parlò Platone, gli ottimati dei comuni medievali.
Però tale modello può anche convertirsi nel suo opposto.
La legittimazione attraverso le competenze significa difatti il rifiuto della politica come professione, significa insomma che ciascun cittadino può ambire al governo della polis.
Quarto: Grillo.
Lui le primarie le ha convocate in Rete, e d’altronde per il suo movimento il web costituisce pressochè l’unico canale di mobilitazione, di comunicazione, di elaborazione. Si chiama democrazia digitale, definizione coniata fin dagli anni Ottanta, quando a Santa Monica fu battezzato il primo esperimento.
Ora con Grillo approda anche in Italia; ma resta da vedere come si concili la vena anarchica del web con la vena autoritaria del suo apostolo.
Quinto: Ingroia.
E insieme a lui Di Pietro e DeMagistris, ex magistrati entrambi. Più che un partito giustizialista, un partito giudiziario.
La sua cifra democratica? Potremmo definirlo il governo dei custodi.
D’altronde anche negli Usa i giudici sono eletti dal popolo. Siccome però siamo in Italia, applichiamo un criterio rovesciato: qui gli eletti sono giudici.

Michele Ainis
(da “Il Corriere della Sera”)

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