Giugno 17th, 2013 Riccardo Fucile
“ORA LA PALLA E’ A SACCOMANNI, SPERIAMO NEL MIRACOLO”
«Io sono abituato a dire la verità e penso anche che gli italiani vogliano sentirsi dire la verità . Dunque non è che non voglio bloccare l’aumento dell’Iva. Dico che è molto difficile trovare le coperture, visto il poco tempo a disposizione. Comunque Saccomanni è impegnato a farlo, e mi auguro davvero che ci riesca». Eccolo Flavio Zanonato, ministro dello Sviluppo, ex sindaco di Padova, bersaniano di ferro.
Il ministro meno amato dal versante Pdl della maggioranza.
Proprio per via dell’Iva.
Sa che lei dalle parti del Pdl viene considerato un ministro che lavora contro il governo di cui fa parte, sotto la regia occulta di Pier Luigi Bersani?
«Ho letto anch’io qualche ricostruzione di questo tipo. Glielo dico subito: è una cosa che non esiste. Io lavoro per il governo, per questo governo. Tutto nascerebbe dal fatto che nel mio staff ci sono le stesse persone che aveva Bersani. Veramente sarebbe più corretto dire che sono le stesse che aveva Passera».
Perchè si è scontrato con Maurizio Lupi del Pdl durante il Consiglio dei ministri di sabato?
«Non c’è stato alcuno scontro. C’è stata una discussione anche con altri ministri, pure della mia parte politica. E ho apprezzato il fatto che ci sia stata».
Su che cosa?
«Essenzialmente sul capitolo degli ecocombustibili. Inoltre, entro il 2013 scompariranno i sostegni ad alcuni produttori di energia assimilabile alla rinnovabili. Il Consiglio ha stabilito che il tutto accadrà con gradualità . È una modifica che ritengo abbia migliorato il provvedimento».
Considera possibile un ribaltone per un governo Pd con gli “scissionisti” del Movimento 5 Stelle?
«Questo governo deve riuscire ad andare avanti. Ci sono due mondi: da una parte il dibattito politico di fronte all’opinio-ne pubblica, dall’altra il clima – mi creda – positivo nel quale lavora il governo. Siamo una squadra ».
Eppure proprio lei è stato accusato di aver rotto l’unità con la sua uscita sull’Iva
«Ma cosa ho detto? È come quello che gioca al totocalcio: sarebbe felice di vincere e nello stesso tempo è preoccupato di non vincere. È una contraddizione? Io auspico che si possa bloccare l’aumento dell’Iva, introdotto dal governo Berlusconi in un momento di estrema gravità , ma sono, allo stesso tempo, preoccupato per le risorse».
L’abolirebbe l’Imu sulla prima casa?
«Fa parte dell’accordo con il Pdl. È un impegno che ha preso il governo. Io avrei anche un’idea per i capannoni industriali: sono un bene strumentale di lavoro sul quale non andrebbe applicata la tassa».
L’Imu è una bandiera del Pdl. La destra si è intestata anche la norma su Equitalia. Mi dice una “cosa di sinistra” nel “decreto del fare”?
«Mi scusi: fare in modo che i giovani trovino lavoro è di destra o di sinistra? Io penso di sinistra, ma chi è di destra potrebbe dire che appartiene anche a loro. Io penso che quella norma su Equitalia sia stata opportuna e positiva. Noi cerchiamo di prendere decisioni utili per il Paese, senza catalogare i provvedimenti tra destra e sinistra ».
Imprese e sindacati ritengono che per ridare fiato all’economia serva un taglio delle tasse sul lavoro. Lo farete?
«Sappiamo tutti che per ridare competitività alle nostre aziende andrebbe ridotto il cuneo fiscale. Ma non si può fare a “bocce ferme”, prima dobbiamo rimettere in moto gradualmente il meccanismo della crescita. Questo è l’obiettivo del decreto».
Qual è la misura più efficace da questo punto di vista?
«Sono diverse. Tra quelle di mia competenza penso al pacchetto energia con lo sconto di 550 milioni a favore di famiglie e imprese. E poi abbiamo deciso di dimezzare gli interessi sui mutui accesi dagli imprenditori che vogliono rinnovare i macchinari. È una norma contro la stretta del credito, al pari del potenziamento del fondo di garanzia, che consentirà a una platea molto più ampia di imprese di beneficiare della garanzia pubblica sui crediti bancari».
Intanto chiudono a raffica i piccoli negozi. Resteranno solo i centri commerciali? Cosa farete?
«Premesso che questa è una materia di competenza regionale, penso che debbano convivere i negozi di vicinato con i centri commerciali per rispondere a esigenze, anche sociali, di consumatori diversi. Apriremo un confronto con le Regioni con questo spirito».
Roberto Mania
(da “la Repubblica“)
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Giugno 17th, 2013 Riccardo Fucile
INTERVISTA ALL’EX PARLAMENTARE ESPULSA DALLA LEGA: “MALEDETTI, CI PROVINO A ESPELLERE ANCHE BOSSI, LI ANDREMMO A PRENDERE A CASA: HANNO DISTRUTTO UN PARTITO”
«Maledetti, ci provino. Voglio vedere se hanno veramente il coraggio di cacciare Bossi». 
Paola Goisis, ex parlamentare padovana della Lega e bossiana di ferro, espulsa dopo le sue critiche a Pontida, rilancia: «Sono loro che hanno portato il partito alla dissoluzione. Quando c’era Bossi, la Lega era al 40 per cento».
A chi si riferisce? Non c’è solo Maroni ormai a chiedere la testa di Bossi.
«Le cose che sono state dette ieri a Milano sono indecorose. Come le voci sugli scandali che sono state fatte uscire intenzionalmente per danneggiare l’immagine di Bossi. La maggior parte delle quali si sono poi rivelate delle bufale. Come la vicenda dei diamanti in Tanzania di cui, nonostante le promesse di Maroni, nelle sezioni non è ancora arrivato un euro».
Gli scandali, però, ci sono stati.
«E chi è oggi che chiede la testa di Bossi? Il segretario emiliano Fabio Rainieri? Uno che è entrano nel partito solo per coprirsi le spalle sulla vicenda delle quote latte».
Dice ora queste cose perchè l’hanno espulsa?
«Le ho sempre dette anche quando ero parlamentare. Sapevo che quando ho detto che Maroni era un traditore mi avrebbero cacciata. Ma dato che io credo in valori come la riconoscenza, non ho potuto stare zitta. Mentre provo vergogna per tutte le persone che hanno voltato le spalle a Bossi dalla sera alla mattina senza nemmeno porsi il beneficio del dubbio. Molti di loro, nel frattempo, hanno pure fatto carriera».
Ha fatto bene Bossi ieri a non presentarsi all’assemblea degli eletti?
«Doveva andare da gente che non ha un minimo di decenza e che lo ha pugnalato alle spalle? Si sono comportati come nello stalinismo più rosso».
A questo punto crede che Bossi fonderà un altro partito?
«Vedremo. Avremmo dovuto fare un gruppo autonomo già in passato e non lasciare la Lega in mano a questi quattro poveracci, che non meritano nemmeno di essere guardati. Sono stati diabolici e scientifici. Hanno cambiato lo statuto, si sono presi il simbolo, una cassa di quaranta milioni e tutta la struttura. Ma ci provino: voglio vedere chi di loro ha il coraggio di cacciare Bossi. Scoppierebbe la rivoluzione. Li andremmo a prendere noi a casa. Ma non con le scope, con qualcosa di più pesante».
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Giugno 17th, 2013 Riccardo Fucile
MARONI NON MOLLA LA POLTRONA DI SEGRETARIO, NON HA ANCORA TERMINATO IL SUO COMPITO: DISTRUGGERE QUEL POCO CHE RIMANE DELLA LEGA
Roberto Maroni “congela” il congresso e resta segretario della Lega.
«Deciderò io quando farlo, mi è stato chiesto di restare». L’annuncio al termine dell’assemblea degli eletti del Carroccio convocata in tutta fretta in un albergo della periferia Nord di Milano per fare il punto dopo la dèblacle della Lega alle ultime elezioni amministrative.
Una riunione lunga quattro ore che, però, si è subito trasformata in una sorta di processo a Umberto Bossi.
Tra i pochi assenti, infatti, c’è proprio il Senatur. Contro il quale si scatena l’ira dei colonnelli: «È ora di espellerlo dalla Lega. Così ci fa perdere consensi ».
Anche Maroni, in realtà , non è tenero con il fondatore del Carroccio. Anzi, gli manda una sorta di ultimatum: «Gli chiederòdi darmi una giustificazione sulla sua assenza. Per me sono tutti uguali».
Aggiunge minaccioso: «Da ora in poi sarò più cattivo. Non saranno più tollerate azioni in contrasto con il Movimento e lo statuto perchè queste cose ci danneggiano. Si è tirata una riga e da oggi si cambia musica».
All’uscita, i musi lunghi dei dirigenti leghisti non si contano.
Come gli sfoghi che trapelano dalla sala dove si è svolta l’assemblea.
Molti come Fabio Rainieri chiedono apertamente l’espulsione di Bossi.
«Ora dice cose che non stanno nè in cielo nè in terra – spiega il segretario emiliano della Lega – tipo definire Maroni un traditore. Quando Bossi era segretario se uno si fosse comportato così con lui sarebbe stato espulso. Ci fa perdere consensi, mentre invece dovrebbe mantenere l’unità ».
L’ex ministro della Semplificazione Roberto Calderoli legge addirittura durante l’assemblea una lettera indirizzata sia a Maroni che al Senatur. «Non si può più andare avanti così».
Avverte il fondatore della Lega che la pazienza è finita. Altri ancora manifestano una forte irritazione verso le ultime uscite di Bossi. Chiedono un “pensionamento forzato” del vecchio capo.
Tra i più critici, il segretario della Liga veneta e sindaco di Vicenza Flavio Tosi: «Per me tutti sono utili e nessuno è indispensabile ».
Mentre il governatore del Veneto Luca Zaia si chiama fuori: «Non mi appassiona il gioco di chi buttare giù dalla torre. Vale per Bossi, ma si potrebbe dire anche di Maroni. Serve unità ».
Lo stesso Maroni, però, nel suo intervento avrebbe ammesso di essere stato fino a questo momento «troppo democratico» nella gestione del partito.
Un chiaro riferimento agli scontri tra lui e l’ex leader maximo del Carroccio.
Anche per questo motivo alla fine il numero uno leghista si sarebbe convinto a sovrapporre la carica di segretario federale a quella di governatore della Lombardia.
«Rimarrò finchè servirà – ha detto – anche se mi costa».
Concetto che ha poi ripetuto al termine della riunione davanti alle telecamere, quando ha annunciato il prossimo appuntamento per rilanciare il partito.
L’assemblea federale il 21 e 22 settembre a Venezia. Con l’obiettivo di rendere più attrattivo il progetto della nascita di una macroregione del Nord. Maroni cerca di guardare al futuro. «Noi dobbiamo tornare a riempire le piazze, siamo gli unici che possiamo farlo e recuperare il voto di Grillo. Il grillismo è incrisi e noi abbiamo l’ambizione di recuperarlo tutto sulla base di temi concreti e di contenuti, non di chiacchiere, di insulti o vane parole come sta facendo Grillo».
C’è spazio anche per attaccare il governo Letta. «Troppo fumo e poco arrosto e tutto a favore del Sud».
Andrea Montanari
Ricordiamo chi è Fabio Rainieri, “l’immacolato” segretario emiliano della Lega che vuole espellere Bossi pubblicando l’articolo che segue:
Fatture false, leghista salvato dalla prescrizione
L’imputato non si presenta in aula perchè impegnato nella campagna elettorale. Ma ormai la sua lotta con la giustizia va verso la fine. E non è servita neppure una legge ad personam
Dove non arrivano le leggi ad personas sono i tempi biblici della giustizia a regalare la prescrizione agli imputati eccellenti.
E’ il caso del deputato della Lega Nord Fabio Rainieri, allevatore parmense accusato di dichiarazione fraudolenta tramite false fatture in qualità di presidente della società cooperativa ‘Giuseppe Verdi’.
Si tratta di uno stralcio dell’ indagine modenese sul crac da 40 milioni di euro dell’Agricola Emiliana di Pavullo, società che nel biennio 2004-2005 avrebbe finto di vendere vagoni di latte alla coop del leghista, primo acquirente per circa 4 milioni di euro di fatture, a sua volta ceduto all’azienda zootecnica Almas.
Poi il procedimento si è perso in mille rivoli: due revoche del fallimento, arresto del curatore incaricato dal tribunale in un’altra inchiesta, trasferimento del Pm a Bologna, trasmissione alla Procura di Parma degli atti relativi a Rainieri.
Nell’udienza di ieri presso la sezione distaccata del tribunale di Fidenza sono stati sentiti i testimoni della difesa, fra cui il segretario provinciale della Lega Nord Roberto Corradi.
Ancora una volta non s’è presentato l’imputato, impegnato a sostenere i candidati ‘verdi’ al ballottaggio, in particolare Giovanni Carancini nella sfida di Salsomaggiore Terme.
L’ avvocato Antonio Gullo ha fatto sapere che Rainieri sarà presente all’esame dibattimentale, pronto a ribadire la sua innocenza, ma con un occhio alla clessidra: la prescrizione per le false fatture scatta dopo 7 anni e 6 mesi e i fatti sono contestati fino al 2005.
Leader dei Cobas latte, l’allevatore leghista è noto per le battaglie in favore dei colleghi che sforano le quote fissate dalla Ue.
La sua stalla modello, gestita assieme al fratello Beniamino a Ponte Taro sulla via Emilia tra Parma e Piacenza, in dodici anni era arrivata ad accumulare un milione e settecentomila euro di sanzioni (dato riferito al 2009).
L’anno scorso, fresco di imputazione, ha anche cercato di diventare sindaco del suo paese natio, Fontevivo, venendo sconfitto da Massimiliano Grassi del centrosinistra.
La vicenda oggetto del processo di Fidenza trae origine dal default di Agricola Emiliana srl, amministrata dal veterinario bresciano Giuseppe Facchetti.
Sorta nel 2001 dalle ceneri del Gruppo Parise, rastrellando una decina di caseifici coi 15 milioni di euro concessi dal Monte dei Paschi di Siena, la società di Pavullo in 4 anni ha totalizzato debiti per quasi 80 miliardi di vecchie lire nei confronti di 400 creditori (Stato, dipendenti, banche, aziende zootecniche, agricoltori).
La Guardia di Finanza di Modena considerava possibile un duplice fine, oltre alla bancarotta fraudolenta, nel meccanismo di false fatture architettato dall’imprenditore lombardo: una truffa ai danni dell’Agea (l’Ente di controllo sulle quote latte) e in alternativa una dichiarazione fraudolenta.
Il caseificio di Rainieri, indagato solo per quest’ultimo reato, era nella peculiare condizione di primo acquirente, “intermediario che non decideva i successivi passaggi e pagava solo dopo aver incassato dal compratore (la zootecnica Almas)” per usare le parole pronunciate ieri in aula dalla contabile e dal legale Roberto Corradi.
Questi, oggi segretario provinciale della Lega Nord, all’epoca del fallimento inguaiò involontariamente il suo collega di partito Rainieri.
Alla richiesta dei circa 4 milioni di euro di fatture non pagate all’Agricola Emiliana, Corradi scrisse una lettera per ricordare come il latte fosse sempre rimasto nella disponibilità del produttore.
Il segretario ora ha correlato la missiva alla tutela degli interessi della cooperativa, “che faceva solo attività di servizio” e della cui contabilità non si occupava. Per l’accusa la lettera resta la prova regina, per la difesa l’imputato è estraneo agli addebiti. Ma a risultare decisiva, come accade sempre più spesso nei processi italiani, sarà la decorrenza dei termini.
La Procura di Modena ha stralciato e trasmesso a Parma per competenza la posizione di Rainieri con ipotesi di dichiarazione fraudolenta mediante false fatture (reato punito da 1 anno e 6 mesi a 6 anni di reclusione).
La tagliola della prescrizione, cui nessun politico finora ha rinunciato, scatterà certamente prima dei tre gradi di giudizio.
Stefano Santachiara
(da “il Fatto Quotidiano“)
28 Maggio 2011
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Giugno 17th, 2013 Riccardo Fucile
COME NEI MIGLIORI PROCESSI STALINISTI SPUNTA ANCHE UN DOSSIER SUI DEPUTATI…COLPIRNE UNA PER EDUCARNE CENTO
Stasera, in diretta streaming dalle 18, andrà in onda il processo dei grillini ad Adele Gambaro. 
Una resa dei conti interna preparata con cura dai falchi con l’obiettivo di stanare e rendere inoffensive le voci critiche dei cinquestelle.
L’ha spiegato ancora ieri Beppe Grillo ai fedelissimi che l’hanno contattato: «Non deve essere una conta sulla senatrice. Ma sul movimento. E su di me».
La verità è che la questione ha varcato i confini di Palazzo Madama e si è allargata anche al gruppo della Camera.
Anche i deputati, infatti, tireranno fuori l’asso dalla manica.
Si tratta di un faldone — ricco di interviste e sospetti — elaborato per inchiodare chi lavora nell’ombra per ribaltare gli equilibri interni al gruppo. «Abbiamo le prove e le mostreremo», giurano.
Lo schema è deciso, ma vista la tensione non si escludono colpi di scena.
È la vigilia di uno snodo decisivo per il futuro del movimento. E tira un’aria strana. Nessuno scommette un euro sull’esito della conta.
Ma è chiaro che la numerosa pattuglia di deputati intransigenti pesa a tal punto da rendere improbabile la sconfessione della linea dura.
La senatrice probabilmente non assisterà al dibattito sulla sua cacciata: «Non so neanche se ci sarò».
Una volta che l’assemblea congiunta si sarà espressa a favore del processo, la parola passerà alla Rete.
Tutti sanno che Gambaro sarà giudicata.
Ma devono prima consumarsi alcuni passaggi decisivi. Stamane ad esempio Vito Crimi — intransigente braccio politico del leader — incontrerà il capogruppo Nicola Morra.
Insieme, due dei “duri” del movimento ragioneranno sulla formula migliore per inchiodare la senatrice.
L’obiettivo è rendere chiaro che chi si oppone al giudizio, si oppone innanzitutto alla Rete.
E mette in discussione il Fondatore, garante della galassia grillina.
Ecco allora che il testo messo in votazione potrebbe assomigliare a questo: “Gambaro ha attaccato il M5S e Grillo. È giusto che su un suo passo indietro decida la Rete?”.
Una volta elaborato il dispositivo, Morra dovrà sminare la delicatissima riunione di senatori in agenda per le 15 — che precede quella congiunta.
Si prevedono scintille.
A Palazzo Madama chi si oppone all’espulsione (sono circa una trentina) tenterà di far saltare la conta su Gambaro.
I più critici sono intenzionati anche a proporre la sfiducia di Morra.
Altri, i pontieri, valutano se disertare la riunione delle 18 e — provocatoriamente — pensano di allargare il giudizio della Rete all’intero gruppo del Senato.
Tutti o nessuno,insomma. Schermaglie tattiche, disperati tentativi di fermare l’ingranaggio.
Perchè i senatori sono a un bivio. In dodici, ieri, hanno negato tentazioni scissioniste. È stato il gruppo comunicazione a contattarli personalmente, per poi diffondere la smentita alle agenzie di stampa e denunciare:«È evidente che la campagna mediatica in atto è tesa a minare le fondamenta del movimento».
Eppure, tra i dodici ci sono parlamentari — come Lorenzo Battista — che pubblicamente non hanno escluso un clamoroso addio.
Nessuno, ormai, si fida del vicino di scranno. E le dinamiche interne ai due gruppi non promettono nulla di buono.
A Palazzo Madama sono gli intransigenti a sospettare del dialogo tra i dissidenti e gli emissari democratici. L’idea di un gruppo autonomo resta sul tavolo, ma molto dipenderà dalla piega che prenderà il dibattito di questa sera.
Alla Camera, invece, il quadroè più sfumato. L’ala dura è convinta che le colombe vogliano ribaltare gli equilibri interni.
Che vogliano farlo nei prossimi mesi, soprattutto se Pd e Pdl dovessero rompere l’alleanza di governo.
Si vocifera di contatti fra i dissidenti ed ambasciatori di Sel e Ingroia.
E non sono piaciute alcune interviste molto critiche verso il Capo. Per questo i falchi vogliono che il dibattito di stasera si trasformi in una resa dei conti con i malpancisti di Montecitorio.
Il Fondatore, salvo clamorosi colpi di scena, non ci sarà .
Gli hanno suggerito di evitare. E gli hanno consigliato anche di non farsi vedere domani, in occasione del sit in organizzato dai cinquestelle in suo onore.
In fondo, basta lo streaming.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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