Giugno 28th, 2013 Riccardo Fucile
LA MEDIAZIONE DEI MINISTRI… VERTICE DI MAGGIORANZA LA PROSSIMA SETTIMANA
«Letta non può fare finta di niente». Nella storia di un emendamento contano sempre i tempi. 
Il momento in cui è stato presentato. Cosa è avvenuto immediatamente prima. E cosa dopo. Silvio Berlusconi lo sa e il suo messaggio infatti era indirizzato direttamente al presidente del consiglio.
Nella delicata e difficile battaglia processuale, il Cavaliere vuole mettere sul tavolo della “strana maggioranza” più strumenti di trattativa.
Un modo per dire: «Se mi bocciate questa proposta, allora dovete accogliere quest’altra».
Un pò come ha fatto nei giorni scorsi nel corso dei contatti e poi nel colloquio con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Che però non ha accolto le sue richieste.
Di questa tattica si è subito accorto il democratico Felice Casson che la battezzava come una «bella pugnalata» del Pdl sulle riforme.
Elementi da un lato rivelatori e che dall’altro ne confermano l’obiettivo politicamente devastante. Un fatto è certo.
L’emendamento 2.12, con sole due righe, è riuscito a far perdere le staffe ad Anna Finocchiaro, la presidente Pd della commissione Affari costituzionali del Senato, che in un attimo ha visto crollare il suo lavorio alla Napolitano per riforme condivise.
Quando, scorrendo il malloppo delle modifiche, se l’è trovato davanti, quasi automaticamente ha vergato un no in vista della discussione, salvo rendersi conto solo dopo della portata distruttiva del nostro 2.12
E dunque raccontiamo come e quando è spuntato il 2.12.
A svelare i dettagli sono gli stessi berlusconiani, mentre cercano, non si sa bene se con ingenuità vera o malcelata malizia, di convincere tutti che dietro «non c’è niente di male, solo normale amministrazione».
Eppure la prossima settimana, proprio per evitare fratture maggiori si terrà a Palazzo Chigi con il premier un vertice di maggioranza.
L’emendamento che riapre lo scontro sulla giustizia e che fa subito tremare i giudici nasce giovedì 20 giugno.
Al Senato si riunisce il gruppo Pdl – Bruno, Bonaiuti, Bernini, Casellati e altri e discute l’idea. La approva. Deposita il testo.
Il giorno prima la Consulta ha bocciato il legittimo impedimento per Mediaset e ha fatto cadere le ultime speranze di Berlusconi che quella sentenza (quattro anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici) possa cadere per un vizio di forma. I suoi sono furibondi. Meditano sfracelli.
Sanno bene che la tempesta è solo all’inizio.
Pochi giorni e arriva un’altra sentenza, quella di Ruby.
Come chiosa adesso un uomo del Cavaliere «questo emendamento si può definire di profilassi ».
Proprio così, è una pillola d’avvertimento, durante il governo di Silvio si sarebbe detto una pistola fumante sul tavolo. Un berlusconiano lo dice in malo modo a un collega del Pd impegnato nella battaglia sulle riforme: «Non dovete sempre ostacolarci. Noi sosteniamo il governo, noi subiamo i colpi dei magistrati, ma voi dovete lasciarci lo spazio per fare la nostra politica, per discutere in Parlamento quello che sta scritto nel nostro programma elettorale. Separazione delle carriere, responsabilità civile dei giudici, un diverso Csm. Perchè non dovremmo parlarne adesso, e nell’ambito delle riforme? Lasciateci almeno discutere».
Francesco Paolo Sisto, il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, non si meraviglia affatto. Sottoscrive l’emendamento. «Non ne ho discusso. Lo leggo adesso. Ma posso ben dichiarare che non è affatto un salva-Berlusconi».
Nel Pd la pensano all’opposto, al Senato la tensione nel gruppo si taglia a fette, come dimostra l’allarme di Casson.
Quell’emendamento è valutato come la risposta, alcuni dicono «la ritorsione », allo scontro che si è appena aperto sull’ineleggibilità . Anche questa, di certo, non una casuale coincidenza.
Da Berlusconi in persona e dal suo entourage più stretto non viene affatto disconosciuto il progetto di mettere mano al titolo quarto della Costituzione.
Era il tema della «grande grande grande riforma della giustizia» firmata dall’ex Guardasigilli Angelino Alfano prima che cadesse il governo Berlusconi.
Fa molto gioco adesso che il Cavaliere è alle prese, furente come sempre, con l’ultima giornata di pressing per via dei processi, Napoli con la compravendita dei senatori e Roma con il lodo Mondadori. Due avvocati che lo chiamano di continuo, Ghedini da Napoli e Vaccarella dalla Cassazione. Ovunque cattive notizie.
Almeno il blitz del 2.12 riesce a strappargli qualche risata di soddisfazione.
Francesco Bei e Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Giugno 28th, 2013 Riccardo Fucile
MERCOLEDI’ IL PAPA AVEVA ISTITUITO LA COMMISSIONE PER FAR LUCE SULLE ATTIVITA’ DELLA “BANCA DI DIO”
A neppure 48 ore dalla svolta di Papa Francesco che mercoledì 26 ha nominato una commissione di cardinali per raccogliere informazioni sulle reali attività dell’Istituto per le Opere Religiose, arriva una clamorosa svolta nei rapporti tra Stato italiano e Vaticano: un alto prelato, un funzionario dei Servizi segreti ed un broker finanziario sono stati arrestati nell’ ambito di un filone di indagine sullo Ior in corso alla Procura della Repubblica di Roma.
Sono accusati di corruzione, calunnia e truffa: i reati riguardano la vicenda del rientro di una grossa somma in contanti dalla Svizzera.
Le autorità vaticane si sono dette disponibili «ad una piena collaborazione» anche se al momento non avrebbero «ancora alcuna richiesta sulla questione dalle competenti autorità italiane», ha spiegato il portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi.
INDAGINI DELLA GUARDIA DI FINANZA
Gli arresti, dopo le indagini svolte dal nucleo valutario della Gdf, sono stati chiesti dalla Procura e confermati dal gip della Capitale, Barbara Callari.
Il provvedimento cautelare ha colpito: monsignor Nunzio Scarano, 61 anni, fino a un mese prima dell’arresto capo contabile all’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica) – e da due settimane già indagato dalla Procura di Salerno per il crack del Pastificio Amato -; un ex funzionario del Servizio segreto interno, Giovanni Maria Zito, sottufficiale dei carabinieri, espulso dall’Aisi tre mesi fa; il broker finanziario Giovanni Carenzio, un italiano che lavora soprattutto all’estero.
VENTI MILIONI DA CONTI ELVETICI
Monsignor Scarano, ora rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli, si sarebbe accordato con lo 007 e gli avrebbe consegnato 400 mila euro per far rientrare dalla Svizzera 20 milioni di euro liquidi appartenenti ad una famiglia sua amica a bordo di un jet privato; ma l’avvocato Silverio Sica, difensore di monsignor Scarano sostiene «potrebbe essersi trattato di un aereo di Stato».
E assicura: «Monsignor Scarano chiarirà tutto ai magistrati romani, come ha già fatto con quelli salernitani».
L’inchiesta ruota intorno a questo episodio, ma lo Ior è nel mirino dei magistrati fin dal settembre 2010, quando furono congelati dal tribunale 23 milioni di suoi fondi dopo l’avvio in una indagine con ipotesi di riciclaggio.
«IL VATICANO SEGUE IL PROBLEMA» –
Il direttore della Sala Stampa della santa sede, padre Federico Lombardi, ha precisato che «la competente autorità vaticana, l’Aif (ndr. l’autorità di riforma finanziaria presieduta dallo svizzero Renè Bruelhart, esperto di antiriciclaggio), segue il problema per prendere, se necessario, le misure appropriate di sua competenza».
E ribadisce che «monsignor Scarano era stato sospeso dal servizio presso l’Apsa da oltre un mese, appena i Superiori erano stati informati che era indagato». Questo «in applicazione del Regolamento della Curia Romana, che impone la sospensione di persone per cui sia stata iniziata un’azione penale».
VOCAZIONE IN ETA’ ADULTA
Prima di prendere i voti, nel marzo del 1987, monsignor Nunzio Scarano – che in Vaticano era chiamato «don 500» per il suo vezzo di mostrare spesso il portafogli nel quale aveva solo banconote da 500 euro – è stato impiegato dell’ex Banca d’America e d’Italia.
Originario di Salerno, il prelato è incardinato nell’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno, ma da tempo vive a Roma, nella Domus Internationalis Paulus VI, in via della Scrofa.
A Salerno, monsignor Scarano è sotto inchiesta per il riciclaggio di 560mila euro e mercoledì 27 il Vaticano lo aveva sospeso dal suo incarico di responsabile del servizio di contabilità analitica presso l’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica.
SVOLTA DIPLOMATICA
Gli arresti sembrano confermare il mutamento radicale degli equilibri diplomatici sulla delicata questione della cosiddetta «Banca di Dio», che nel corso degli ultimi trent’anni è stata più volte al centro di inchieste e polemiche, fatti di cronaca e contestate operazioni finanziarie.
E che da una parte della Curia romana era stata sempre difesa strenuamente: tanto che la collaborazione con le autorità giudiziarie italiane era considerata un attentato alla sovranità e all’indipendenza vaticane, come ha spiegato Massimo Franco sulle pagine del Corriere della Sera giovedì 27.
La Pontificia commissione referente sull’Istituto per le Opere Religiose nominata il 26 giugno è un organismo, presieduto dal cardinale salesiano Renato Farina, che dovrà favorire «una migliore armonizzazione del medesimo con la missione della Chiesa universale e della Sede Apostolica, nel contesto più generale delle riforme che sia opportuno realizzare da parte delle Istituzioni che danno ausilio alla Sede Apostolica».
INFORMAZIONI RISERVATE
La Commissione raccoglierà informazioni anche riservate sull’andamento dell’Istituto (nessuno, secondo il documento autografo di Francesco, potrà sottrarsi e non rispondere ai cardinali) e presenterà i risultati al Papa, il quale già a fine aprile aveva dichiarato: «Lo Ior è necessario fino a un certo punto».
L’intenzione di Jorge Mario Bergoglio di metter mano alla riorganizzazione della banca era nota da tempo, come aveva anticipato il Corriere della Sera, tra le ipotesi c’era anche quella del commissariamento.
Nel suo discorso ai dipendenti dello Ior a fine aprile, il santo padre aveva sottolineato che «la Chiesa non è un’organizzazione burocratica» e che «quando la Chiesa vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici, diventa un po’ burocratica… la Chiesa perde la sua principale sostanza».
Fiorenza Sarzanini e Luca Zanini
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 28th, 2013 Riccardo Fucile
IL TALENT SCOUT SCOUT SI SFOGA: “DISMISURA, ABUSO DI POTERE E DEGRADO, IO NE SONO STATO PASSIVO CONCORRENTE, MA OGGI NON VOGLIO PIU’ MANGIARE CIBO AVARIATO”
Tre parole per descrivere il caso Ruby: “Dismisura, abuso di potere e degrado. Lo ha scritto un
importante quotidiano a diffusione nazionale ed è proprio così”.
E’ il turno di Lele Mora, è lui che pronuncia questa frase, facendo una sorta di ‘mea culpa’ e confermando le caratteristiche centrali del Rubygate, così come erano identificate da Giuseppe D’Avanzo ai tempi dello scoppio dello scandalo e richiamate dal direttore di Repubblica, Ezio Mauro, in un editoriale all’indomani della sentenza di primo grado nel procedimento parallelo a carico di Silvio Berlusconi.
Dopo le dichiarazioni spontanee di Emilo Fede e Nicole Minetti, ora tocca all’ex manager dei vip dire la sua sul caso che lo vede imputato per favoreggiamento e induzione alla prostituzione, anche minorile.
Per tutti e tre (Mora, Fede e Minetti) il pubblico ministero, Pietro Forno, ha già fatto la sua richiesta di condanna: sette anni di reclusione.
Mora in aula ammette che la vicenda con al centro la giovane marocchina, protagonista delle serate nella residenza di Arcore dell’ex premier, ha rappresentato un caso di “dismisura, abuso di potere e degrado. Ho letto queste parole su un quotidiano a diffusione nazionale. Ed è vero, proprio così è stato”.
“Io ne sono stato passivo concorrente – ha aggiunto – ma oggi non voglio più mangiare cibo avariato e lascio il compito ai miei difensori di chiarire”.
Mora ammette di aver partecipato alle serate: “E’ vero. Ed è vero anche che alle cene ho accompagnato le ragazze. E’ vero che ho ricevuto un prestito da Berlusconi tramite Emilio Fede che avrebbe salvato la mia società “.
Ma non ho “mai voluto condizionare la volontà delle ragazze – ha aggiunto – Non ho mai giudicato il loro comportamento, nè mai ho orientato le loro condotte”.
E’ un vero e proprio sfogo, il suo.
Mora sembra un fiume in piena quando ricostruisce le vicende che sono al centro del processo, ma anche le ricadute sulla sua vita e l’esperienza del carcere per bancarotta fraudolenta: “Mi vergogno per le polemiche che ho fatto contro giornalisti e comunisti, per le minacce, mi vergogno e chiedo scusa”.
E ha concluso: “Voglio uscire da questa bufera infernale che mi ha tolto la luce voglio vedere le stelle e il cielo azzurro. Mi sono assunto le mie responsabilità per i fatti che mi hanno portato in carcere e per quelli di questo giudizio valuterete voi giudici”.
Poi però durante una pausa dell’udienza, Mora fa una sorta di retromarcia rispetto alle dichiarazioni spontanee di poco prima: “Ad Arcore non c’è stato niente di male, quando in aula ho parlato di ‘degrado’ ho detto quello che ha riportato un giornale. La prostituzione ad Arcore non c’è mai stata”.
(da “La Repubblica“)
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Giugno 28th, 2013 Riccardo Fucile
SI PREPARA UN “GRANDE EVENTO” DI LANCIO… SEMPRE PIU’ AMPIO IL SOLCO TRA IL CERCHIO MAGICO E LA VECCHIA CLASSE DIRIGENTE DEL PDL, DESTINATA AD ESSERE RIDIMENSIONATA
«Tutto deve essere pronto nel giro di poche settimane, partiamo prima della pausa estiva». Il timing Silvio Berlusconi lo ha dettato e confermato in queste ore a tutti i pretoriani della vecchia guardia visti e sentiti in sequenza.
Da Galan a Miccichè, da Verdini alla Santanchè, tra gli altri.
Mentre nel Pdl ormai volano gli stracci in attesa della svolta.
Ieri lungo faccia a faccia a pranzo con Giuliano Ferrara a Palazzo Grazioli, come sempre nei momenti cruciali.
Forza Italia decolla presto.
«Entro venti giorni» preannuncia Daniela Santanchè a Porta a Porta.
E per luglio la kermesse di lancio dovrà essere pronta. Già , perchè proprio a un «grande evento» il Cavaliere sta lavorando con la cerchia più ristretta.
Un “predellino” un po’ più in versione show. Per lui però avrà tutta la valenza e il peso di un congresso costitutivo.
E questo, nonostante i dubbi insinuati da molti collaboratori sulla scelta del mese di luglio, che certo non sarebbe di suo tra i più indicati per aprire il sipario su un nuovo partito.
Sono in tanti a suggerire una pianificazione più lunga per partire a settembre.
Il fatto è che «prima partiamo con Forza Italia, prima chiudiamo il Pdl per essere operativi alla ripresa» è la strategia del leader.
Anche perchè a Berlusconi hanno spiegato che lo smantellamento dell’ormai detestato “Popolo delle libertà ”, con tanto di statuto, gruppo dirigente, bilancio e sedi non sarà un giochetto da poco.
Occorreranno mesi. I più “oltranzisti” tra i frequentatori di Palazzo Grazioli sperano ancora che l’accelerazione su Forza Italia consenta poi di mandare al macero il governo Letta subito dopo la pausa, sfruttando l’ultima finestra utile, quella di fine settembre, per votare entro l’anno.
Ma è un pressing al quale, per adesso, l’ex premier resta alquanto insensibile.
Sebbene non faccia nulla per frenare chi, come il capogruppo Renato Brunetta, spara a pallettoni ogni giorno sui risultati e perfino sulla «composizione » dell’esecutivo.
Luglio o settembre, Forza Italia è già sulla mappa dello studio Berlusconi.
Proseguono da giorni i contatti personali del leader con «giovani e poco conosciuti imprenditori di successo».
Destinati a trasformarsi in autunno in quel che gli agenti di Publitalia sono stati nel ’94. A loro, sul territorio, sarà affidata la caccia dei consensi ma anche e soprattutto il fund raising, la ricerca dei quattrini necessari.
Tutto è partito ma i dirigenti del Pdl ne sono tenuti quasi del tutto all’oscuro.
Il braccio di ferro è già aperto tra i “falchi” coinvolti nel progetto e i ministri e dirigenti pidiellini.
Chi ricopre cariche nel governo o in Parlamento ed è catalogato “colomba” teme adesso di restare fuori dalla cabina di regia della Forza Italia che verrà , di restare relegato alle poltrone dell’esecutivo, fin tanto che reggerà .
C’è tutta la classe dirigente del Pdl in ambasce. Gli ex An Matteoli e Gasparri per nulla convinti dall’accelerazione.
Chi esce allo scoperto ormai è Fabrizio Cicchitto: «Sul ritorno al nome di Forza Italia c’è un consenso molto vasto. Sulle caratteristiche che il partito dovrà assumere però la discussione è aperta e non può essere certo risolta a colpi di editti da parte di chicchessia».
Il timore diffuso è di ritrovarsi Verdini, Santanchè, Capezzone e pochi altri alla guida del nuovo partito “leggero”.
Al segretario Alfano che due sere fa nel salotto di Vespa aveva affondato il colpo («Capisco la gioia di Daniela Santanchè che, non avendo mai fatto parte di Forza Italia, potrà finalmente esordire»), ieri sera ha replicato lei stessa dalla medesima tribuna, annunciando la data d’esordio («Tra venti giorni») e non facendo mistero di aver concordato tutto con il Cavaliere nell’ennesimo incontro ieri a palazzo Grazioli». Per aggiungere poi: «È chiaro che il nuovo partito sarà un movimento presidenziale, Berlusconi alla guida, non ci sarà bisogno di altro».
Come dire, nemmeno di un segretario.
Anche se proprio il nome della Santanchè circola per la reggenza di Forza Italia.
Sono ormai trincee contrapposte, due partiti che non si parlano più.
Esattamente lo scenario costruito e alimentato in questi mesi dal leader Berlusconi. Uno scenario che finirà per fornire la giustificazione ultima della necessità di radere al suolo il Pdl, tanto più dopo le disfatte elettorali.
E rispolverare il vecchio marchio vincente.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Giugno 28th, 2013 Riccardo Fucile
UNA RIVOLUZIONE NELLA POLITICA ITALIANA: “GREEN ITALIA” NASCE SU UNA PIATTAFORMA COMUNE CHE VUOLE PORTARE L’ECOLOGIA NEL CUORE DELLA POLITICA
Nasce la «Cosa verde»: è una rivoluzione nella politica italiana. 
Barack Obama annuncia che il futuro degli Usa deve passare per i dettami ambientalisti, e brinda alla decisione della Corte a favore dal matrimonio per i gay, nel nostro Paese, invece, la classe politica arranca e si affanna.
Per questa ragione un gruppo di ex parlamentari e politici tutt’ora in carriera, hanno pensato di dare spazio – e voce – all’ansia «verde» che, in un modo o nell’altro, percorre l’Italia.
Ex parlamentari renziani, come Roberto Della Seta, ex esponenti del movimento finiano come Flavia Perina e Fabio Granata, si sono incontrati e hanno deciso di lanciare «Green Italia».
Con loro, migliaia e migliaia di senza tessera, di ex Ds, ex Margherita, esponenti di Sel o di quello che resta del movimento verde.
Un tentativo, una prova, che nasce dalla caparbia volontà di Della Seta, ex presidente di Legambiente, ex senatore Pd di area renziana, che ha deciso di mollare gli ormeggi, e il partito, per provare questa avventura verde.
È stato lui che ha cercato di allargare il cerchio, di coinvolgere anche personaggi che con la sinistra ambientalista hanno poco a che fare.
Alla fine, gira che ti rigira, ci è riuscito, tant’è vero che il movimento che ha messo, faticosamente, in piedi viene corteggiato sia dal Partito democratico che dal Pdl.
Ma il faro di Della Seta è uno e uno solo: «La politica ha fatto il suo tempo, adesso vediamo che cosa si può fare di nuovo».
Ed effettivamente di nuovo lui, lavorando fianco a fianco con la ex destra, con i Verdi e con la sinistra abbandonata dal Partito democratico, ha fatto, per raggiungere una piattaforma comune che unisce trasversalmente i diversi schieramenti.
Come spiega bene il manifesto della «Cosa verde» che oggi vedrà la luce: «Siamo cittadine e cittadini italiani con diverse, o con nessuna esperienza politica alle spalle: il nostro obiettivo è mettere l’ecologia nel cuore della politica italiana, offrire agli elettori un’altra scelta rispetto a quelle oggi disponibili».
E ancora, Della Seta, ma anche Granata e Perina: «Si tratta della scelta di un progetto politico fondato sull’idea di un “green new deal” per il nostro Paese e sulla speranza che la nostra presenza renda più “verde” anche la politica italiana».
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 28th, 2013 Riccardo Fucile
“DOPO TANTE BATOSTE, L’ALLENATORE SI CAMBIA”….”SE SI VOTA NEL 2015 NESSUNO MEGLIO DI MARINA BERLUSCONI”
Se torna Forza Italia, torna la vecchia guardia. E se torna la vecchia guardia non può mancare Gianfranco Miccichè, che del partito è stato il fondatore in Sicilia, fino al mitizzato 61-0.
Oggi, da sottosegretario (alla Funzione pubblica) alquanto scettico su opere e durata del governo, fresco di incontro col Cavaliere come tutti i fedelissimi della prima ora, è pronto a dare il suo contributo alla «resurrezione».
Premette: «Non ho titoli per esprimermi sul Pdl, non faccio parte da tempo di un partito che non è mai nato. Guido con orgoglio Grande Sud. Ma se riparte Forza Italia, allora posso dire la mia».
È davvero convinto che vent’anni dopo funzioni?
«Assolutamente sì. Se oggi rinascesse Forza Italia con lo spirito del 94, dunque con gente nuova,col coinvolgimento vero della società civile, allora l’entusiasmo sarebbe coinvolgente per vecchi e nuovi elettori. Impensabile invece se restano queste figure al comando».
Si riferisce agli attuali dirigenti del Pdl?
«Parliamoci chiaro. Alfano per tante cose è bravo. Ma fare il segretario di un partito non è mestiere suo».
E cosa la porta a trarre queste conclusioni?
«Prendiamo ad esempio la Sicilia, la sua regione, quella in cui dovrebbe essere più forte. Ecco. Non puoi partire dal 61-0, da sei presidenti di province su nove, da sei sindaci di capoluogo su nove e poi perdere tutto. Regione compresa. Per non dire delle amministrative in tutto il resto d’Italia, da due anni a questa parte. Ripeto, parlo da osservatore esterno. Ma dopo tante batoste, l’allenatore si cambia. Oppure ti porta in serie C».
A lei Alfano non sta simpatico, vecchie ruggini…
«A me non fa simpatia, vero, ma ha dimostrato di avere delle doti, da vicepremier farà bene. La sua battuta infelice a Porta a Porta sulla Santanchè denota l’intenzione di resistere. Il consiglio che gli do, anzichè insultare Daniela, è di farsi da parte. La gente pretende una classe dirigente nuova. Lui ricopre già parecchi incarichi».
Rinasce Forza Italia e Miccichè che fa?
«Se rinascerà con lo spirito el’entusiasmo del ’94 non avrei esitazione a dare il mio contributo. L’importante sarà recuperare quello spirito del fare che purtroppo mi sembra non caratterizzi molto questo governo».
Il governo Letta del quale lei fa parte, intende?
«Beh, un governo nel quale i ministri stentano a parlare tra loro. In cui – rivelo un particolare per me poco piacevole – succede che il sottosegretario alla Funzione pubblica con una consolidata esperienza sui fondi strutturali europei cerchi il premier per dare qualche suggerimento utile e si sente rispondere che si può rivolgere al capo di gabinetto. Da viceministro, con Tremonti erano scintille. Ma almeno ci si confrontava. Così, non si va lontano. E poi i rinvii su Iva, Imu, un pacchetto economico solo in parte soddisfacente…».
Sembra non escludere che la situazione precipiti. Vede crisi e elezioni in autunno?
«In questo momento non mi sento di escludere nulla. Nemmeno il voto, certo. Questo governo oggi c’è ma domani non si sa se reggerà . Ed è un’ipocrisia sostenere che la persecuzione giudiziaria di Berlusconi, di fronte alla quale nessuno ha mosso un dito, non avrà ripercussioni. Ecco perchè l’operazione Forza Italia deve partire, siamo già in ritardo».
Silvio o Marina candidati premier di Forza Italia
«Il presidente non ha giustamente voglia di abbandonare. Se si voterà nell’arco di un anno, il candidato indiscusso resterà lui. Oltre il 2014, nessuno meglio di Marina potrà ricoprire quel ruolo. La conosco da vent’anni, donna straordinaria, è un leader nato. Mezza Italia si riconosce nel brand dei Berlusconi. E di Forza Italia».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Giugno 28th, 2013 Riccardo Fucile
IL PREMIER INGLESE FERMA L’ACCORDO SUL BILANCIO 204-2020 DELL’UNIONE EUROPEA E SENZA BILANCIO NIENTE FONDI PER COMBATTERE LA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE
Il Consiglio europeo di ieri sembrava avviato a regalare a Letta l’unico risultato davvero
ottenibile: quello di immagine.
Da giorni circolavano le bozze delle conclusioni del summit: anticipo dei 6 miliardi del programma Youth Guarantee, invece di spenderli in sette anni venivano spostati su 2014-2016, pronti all’uso per i Paesi con disoccupazione giovanile sopra il 25 per cento (la quota italiana è circa 400 milioni).
Più ulteriori margini di flessibilità per i singoli Paesi che, contando su un po’ di risorse europee, potevano risparmiare qualcosa dai bilanci nazionali e usare anche quei soldi per i giovani senza far aumentare il deficit.
Ma Cameron blocca tutto: con la spregiudicatezza tattica che fu a suo tempo di Margaret Thatcher (“I want my money back”, ridatemi i miei soldi).
Nel progetto di bilancio su cui il Parlamento europeo aveva trovato l’accordo ieri mattina — dopo mesi di negoziati — la Gran Bretagna rischiava di rimetterci 3,5 miliardi, complice una riforma della Politica agricola comunitaria (i sostegni al-l’agricoltura) ispirata dalla Francia.
E quindi, con la benevola indifferenza di Angela Merkel, Cameron mette il veto sull’intero bilancio che ha bisogno dell’unanimità .
Nella notte Letta e il suo ministro per gli Affari europei Enzo Moavero hanno difeso un’altra conquista italiana che all’improvviso non sembrava scontata: la possibilità di fare 8 miliardi in più di deficit nel 2014 per co-finanziare investimenti, rimanendo a un soffio dalla soglia del deficit al 3 per cento del Pil.
“Ma come, sta finendo il bilancio 2007-2013 e dovete ancora spendere 30 miliardi tra nazionali e fondi europei, e ne volete ancora? Non sarà che vi servono semplicemente per mantenere i vostri assurdi livelli di spesa?”, obiettano gli sherpa rigoristi ai tavoli tecnici.
Non è la sola notizia preoccupante per Letta.
La Banca europea degli investimenti, guidata (e non è una coincidenza) da un tedesco, Werner Hoyer, è più preoccupata di salvare il proprio rating tripla A e quindi riduce gli esborsi nei Paesi come l’Italia, violando un po’ la sua natura.
Ma anche l’accordo raggiunto dall’Ecofin, il coordinamento dei ministri economici, all’alba di ieri preoccupa Letta e il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni: le nuove regole per gestire i fallimenti bancari prevedono che, prima di far intervenire lo Stato e il fondo europeo Esm, le perdite siano caricate sugli azionisti e sui creditori meno tutelati. I singoli Stati, poi, hanno dieci anni per costruire un salvadanaio alimentato dalle singole banche (con un prelievo sugli utili) che possa intervenire a ridurre i danni quando si liquida un istituto.
Una specie di assicurazione.
Sono i primi passi concreti dell’Unione bancaria annunciata un anno fa che però ha un problema: non partirà prima del 2018.
E nel mezzo l’Italia, con le sue banche piene di crediti deteriorati e bisognose di risorse fresche, si trova senza difese: in caso di crisi bancaria non potrà contare sull’aiuto dell’Europa e neppure sui nuovi strumenti a livello nazionale, non ancora pronti. I problemi di domani, però, affliggono Letta meno di quelli immediati.
Il Pdl ha ottenuto il rinvio di tre mesi dell’aumento dell’Iva ma non esulta, il capogruppo alla Camera Renato Brunetta ringhia più di prima. “Volevano il rinvio? Gliel’abbiamo dato. Ma adesso trovino loro le coperture se sono così bravi”, dicono nei corridoi di Palazzo Chigi. A parte le tasse sulle sigarette elettroniche, la copertura nel decreto non c’è: aumentare gli acconti Irpef e Ires a dicembre, come ha ricordato ieri Letta, “non significa aumentare le tasse”.
È solo un trucco contabile, un anticipo di soldi dal 2014, politicamente una provocazione al Pdl che infatti è furente.
Quando il decreto arriverà in Parlamento bisognerà trovare i soldi veri. Per ora Silvio Berlusconi è quasi melenso: “Quando ho invitato Letta a fare un braccio di ferro con la signora Merkel non intendevo sminuire il ruolo del nostro capo del governo, ma rafforzarlo”.
Difficile che duri a lungo: perfino il ministro del Welfare Enrico Giovannini, guardando le previsioni del Pil di Confindustria, ieri ha detto che nel 2013 rischiamo di non stare sotto la soglia del 3 per cento del deficit.
E questo significa una cosa sola: manovra.
Parola che non piace a Berlusconi.
Stefano Feltri
(da “il Fatto Quotidiano”)
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