Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
ALL’ACCADEMIA DEI LINCEI UNO DEGLI ULTIMI DISCORSI DEL PRESIDENTE… UN DURISSIMO ATTO D’ACCUSA ALLA POLITICA, MATTEO INCLUSO
“Après moi le dèluge!”. “Dopo di me il diluvio”.
È questo e solo questo il cupo, sorprendente senso finale del discorso che il capo dello Stato ha svolto ieri ai Lincei, di fronte ad accademici e studiosi.
Quaranta minuti devastanti, in tutto venti cartelle, che a caldo hanno fatto notizia per l’antipolitica definita “patologia eversiva”.
Una durissima critica interpretata unilateralmente come il solito, scontato attacco al Movimento 5 Stelle.
Ma nella prolusione di Giorgio Napolitano, tenuta alle classi riunite dell’Accademia dei Lincei, cioè la classe di scienze morali e quella di scienze fisiche, c’è molto di più.
Un’analisi densa da vecchio comunista che lega la fine del suo secondo e breve mandato ai destini tragici del Paese. Dopo di me il diluvio, appunto.
Le speranze, le allusioni (e poi le lacrime)
La prima sorpresa si trova alla fine ed è per questo che l’intervento va letto a ritroso.
Qui, infatti, il presidente della Repubblica infila la sua delusione per il renzismo, prima dilagante adesso appannato.
Non è un caso che in questo passaggio, l’ottantanovenne Napolitano si ferma e si commuove per ben due volte. La voce si smorza fino al silenzio, che la platea interrompe con un lungo applauso.
Il capo dello Stato cita il filosofo Paolo Rossi Monti, morto due anni. E riprende una stroncatura dell’amico filosofo che non c’è più, di qui il tono che si spezza e si ferma, dall’operetta Speranze: “Egli stroncò sia i senza speranze sia i banditori di smisurate speranze e indicò, con grande sapienza storica, la strada maestra delle ragionevoli speranze”.
Chiosa Napolitano: “Mi auguro siano risultate tali quelle ricavabili dalle mie considerazioni sulla politica, tenendoci ben lontani sia dai senza speranze sia dai banditori di smisurate speranze”.
Com’è tradizione, il presidente non nomina nessuno. Allude in maniera autorevole. Tra i senza speranze colloca gli apocalittici Beppe Grillo e Matteo Salvini, ultimo arrivato.
Il banditore invece è uno solo, a fronte del crepuscolo berlusconiano. Il premier, naturalmente.
La certezza si radica con le righe successive: “In questo inaspettato prolungamento del mio impegno istituzionale ho avuto la fortuna di incontrare molti giovani all’inizio della loro esperienza parlamentare e di governo, cui sono giunti spesso senza alcun ben determinato retroterra”.
Banditori di smisurate speranze per giunta senza alcun ben determinato retroterra.
Le minacce in Parlamento e il retroterra che non c’è
Il riferimento al “retroterra” si collega all’analisi che impegna gran parte dell’intervento di Napolitano sul “ruolo insostituibile dei partiti”.
Il capo dello Stato rievoca il suo antifascismo e la sua lunghissima militanza nel Pci e rimpiange la formazione novecentesca dei partiti pesanti.
Di qui “l’impoverimento culturale dei politici e dei partiti” di oggi, cui ha fatto seguito “l’impoverimento morale” e la perdita dei valori.
Questo è il filo che per Napolitano tiene tutto: “la routine burocratica”, “il carrierismo personale”, “la miserevole compravendita di favori”, “il torbido affarismo e la sistematica corruzione”, “le infiltrazioni criminali” emerse dai “clamorosi accertamenti della magistratura nella stessa Capitale”.
Un quadro impietoso che ingloba la patologia eversiva dell’antipolitica, dal “decadimento” e dalla “faziosità ” della politica al più generale “degrado sociale”.
Al punto che di nuovo “rischiamo, nella fase attuale, il logoramento e la perdita delle conquiste del periodo di riscatto e di avanzamento conosciuto dall’Europa” dopo la tragedia del nazifascismo.
Il capo dello Stato ritorna al ’92 e ammette il bisogno di pulizia della politica simboleggiato dal pool di Mani Pulite ma poi insiste più sugli effetti della corruzione, l’antipolitica, che la corruzione stessa.
I grillini, ovviamente non nominati, sono i protagonisti in negativo di una stagione che vede in Parlamento “metodi e atti concreti di intimidazione fisica, di minaccia, di rifiuto di ogni regola e autorità , e in sostanza tentativi sistematici ed esercizi continui di stravolgimento e impedimento dell’attività politica e legislativa di ambedue le Camere”.
Unica soluzione sarebbe una “larga mobilitazione collettiva volta a demistificare e a mettere in crisi le posizioni distruttive ed eversive dell’antipolitica”.
La Casta e il Corriere: ”Nel fango senza scrupoli”
Nella critica all’antipolitica, Napolitano include il Corriere della Sera e il filone della Casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo.
È la seconda novità dopo il Renzi “banditore di smisurate speranze”.
Dice il capo dello Stato sulla critica della politica e dei partiti “degenerata in antipolitica: “Di ciò si sono fatti partecipi infiniti canali di comunicazione, a cominciare da giornali tradizionalmente paludati, opinion makers lanciatisi senza scrupoli a cavalcare l’onda, per impetuosa e fangosa che si stesse facendo”. Ingiustizie, malessere e la violenza che si accende
A differenza, infine, di altre fasi storiche recenti, stavolta il presidente scorge dietro l’eventuale fallimento di Renzi, e quindi delle riforme, l’abisso della violenza, il vuoto dell’apocalisse. Non più il boom elettorale dell’antipolitica.
È la terza e ultima novità del cupo pessimismo di Napolitano (altro che “ragionevoli speranze”). Il capo dello Stato ha ben presente le vacue promesse del “banditore”, la fragilità del patto tra lui e il Condannato, finanche la crisi che ha investito il Movimento 5 Stelle.
Ergo, dopo aver citato Isaiah Berlin: “Esiste un rischio nel nostro Paese, di focolai di violenza destabilizzante, eversiva, che non possiamo sottovalutare, evitando allo stesso tempo l’errore di assimilare a quel rischio tutte le pulsioni di malessere sociale, di senso dell’ingiustizia, di rivolta morale, di ansia di cambiamento con cui le forze politiche e di governo in Italia debbono fare i conti”.
In quaranta minuti, a partire dalle cinque della sera, il capo dello Stato condensa un discorso feroce, ancora più cattivo di quello del giorno del suo secondo insediamento. E lo fa meno a un mese dalle sue dimissioni annunciate.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
TRE ORE AL GIORNO IN TV UCCIDEREBBERO ANCHE CHURCHILL O LINCOLN
Salvini va a Mosca, Salvini è a Ballarò, Salvini è per la castrazione chimica, Salvini è per l’aliquota unica, Salvini è a Porta a Porta, Salvini è al campo Rom, Salvini è ad Agorà , Salvini cambia felpa, Salvini torna da Mosca, Salvini ha l’orecchino, Salvini è al telegiornale.
Forse nemmeno il Berlusconi dei suoi giorni migliori (ovvero i nostri peggiori) fu altrettanto ossessivo: lui almeno al mattino dormiva per recuperare un poco di energie dopo le cene eleganti, e poi gli ci volevano un paio d’ore ogni tanto per rifare il cerone e ridare il bitume alla pelata.
Questo qui invece è giovane, energico, non si fa la barba, al mattino di buonora è già davanti alla Rai per chiedere in quale talk è di turno, e se non ha un aereo che lo porta dall’amica Le Pen o dall’amico Putin tira diritto fino a sera davanti alle telecamere.
È il suo momento di gloria ed è normale che se lo goda.
Però, fossimo il suo spin doctor, gli spiegheremmo prima di tutto che cosa vuol dire spin doctor; poi gli suggeriremmo di diradare almeno un poco la sua presenza mediatica, perchè di questo passo nel giro di poche settimane la gente, quando lo vede, cambia canale.
Perchè la gente, si sa, si annoia facilmente e perchè i media sono in grado di ridurre anche il più duro dei duri in una pappa insipida.
Tre ore al giorno di televisione tutti i giorni ucciderebbero in culla anche Churchill o Lincoln o Gandhi.
Michele Serra
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
LEGAMI TRA BUZZI E LA COSCA MANCUSO DI LIMBADI… IL RAS DELLE COOP AVEVA DATO LA GESTIONE DELL’APPALTO PER LA PULIZIA DEL MERCATO ESQUILINO A UN IMPRENDITORE DEL CLAN CALABRESE
Ancora due arresti da parte dei carabinieri del Ros nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale. In manette sono finiti Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, entrambi per associazione di tipo mafioso.
Sono accusati di aver assicurato il collegamento tra alcune cooperative gestite dalla ‘cupola romana’ e la ‘ndrangheta.
Una terza persona, indagata a piede libero, è stata perquisita. Gli interventi dei carabinieri, disposti dal gip di Roma su richiesta della procura distrettuale antimafia, sono stati eseguiti nelle province di Roma, Latina e Vibo Valentia.
Le indagini avrebbero dimostrato, sottolineano gli inquirenti, come gli indagati, ritenuti organici all’organizzazione denominata Mafia Capitale, abbiano assicurato il collegamento tra alcune cooperative gestite da Buzzi Salvatore, sotto il controllo di Massimo Carminati, e la cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia) consorteria di matrice ‘ndranghetista egemone nel vibonese.
Secondo le accuse, sono emersi gli interessi comuni dei due sodalizi mafiosi e in particolare come, dal luglio 2014, Buzzi, con l’assenso di Carminati, avesse affidato la gestione dell’appalto per la pulizia del mercato Esquilino di Roma a Campennì Giovanni, imprenditore di riferimento della citata cosca, mediante la creazione di una Onlus denominata Cooperativa Santo Stefano.
Al riguardo, l’attività di indagine ha documentato come già nel 2009 Rotolo e Ruggiero si fossero recati in Calabria, su richiesta del Buzzi, allo scopo di accreditarsi con la cosca Mancuso, tramite esponenti della cosca Piromalli, in relazione all’esigenza di ricollocare gli immigrati in esubero presso il Cpt di Crotone.
Gli elementi raccolti dalle indagini hanno quindi documentato come Ruggiero e Rotolo abbiano fornito uno stabile contributo alle attività di Mafia capitale, avvalendosi dei rapporti privilegiati instaurati con qualificati esponenti della ‘ndrangheta, in un rapporto di collaborazione tra le due organizzazioni mafiose che, a fronte della protezione offerta in Calabria alle cooperative controllate da Mafia Capitale, ha consentito l’inserimento della cosca Mancuso, rappresentata dal Campennì, nella gestione dell’appalto pubblico in Roma.
“… siccome stanno aumentando i pasti mi ha detto ‘facci entrare anche la ‘ndrangheta’”, diceva Massimo Carminati in un’intercettazione del 26 maggio scorso, parlando con Paolo Di Ninno, commercialista di Salvatore Buzzi in carcere per associazione mafiosa, e Claudio Bolla, stretto collaboratore del ras delle cooperative sociali.
“Caso mai ti butto dentro una fatturina – continuava Carminati – sto mese per il mese prossimo… e poi con il fatto della sovrafatturazione, quando aumentano i pasti capito…5 sacchi in più”.
Di Ninno rispondeva: “Tutto chiaro”. E Carminati:” Si è tutto perfetto”. Il presunto boss di Mafia Capitale secondo gli investigatori si preoccupava di trarre utili dagli
affari delle cooperative di Buzzi.
In un’altra conversazione intercettata Buzzi dichiarava: “… perchè Claudio è cosi… ma è tremendo… ma nemmeno Sandro: gli ho visto fare una volta una trattativa con la ‘ndrangheta… ‘ce fai sparà gli ho detto… ce fai sparà …’ ndranghetisti… a trattà sui 5 lire… gl’ho detto ‘scusa chiudi chiudi’, glie facevo chiudi e questo rompeva il cazzo… ce sparano sto giro… in piena Calabria!”.
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
LA PROCURA SVELA COME I DESTINATARI DEL DENARO PUBBLICO ABBIANO INCASSATO SOLDI SENZA AVER FATTO NULLA
C’è la consulenza da 3mila euro al mese a un idraulico che ha il solo merito di essere l’autista dell’ex ministro Mariastella Gelmini.
C’è il contratto a una ragazzina appena maggiorenne, figliastra dell’ex consigliere regionale Angelo Giammario, che non ricorda di aver firmato nulla.
C’è il gommista che incassa oltre 23mila euro come rimborso spese per la sua attività di segretario dell’Udc di Bergamo, grazie alla generosità dell’ex assessore regionale Mario Scotti.
E poi c’è un politico di An, Luca Daniel Ferrazzi, eletto nella lista Maroni Presidente, che concede la consulenza a una ex commessa e poi, mese dopo mese, si fa dare indietro i soldi in contanti.
L’inchiesta sulle consulenze facili in Regione Lombardia, coordinata dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai pm Antonio D’Alessio e Paolo Filippini, non finisce di regalare sorprese.
E dopo aver scoperchiato la Parentopoli del Pirellone, con gli incarichi che finivano a figli, sorelle, mariti e fidanzati, svela come i destinatari del denaro pubblico abbiano incassato soldi senza aver svolto nulla. E spesso senza nemmeno sapere cosa firmavano.
Il contratto alla liceale.
È il caso di Michelle Cattini, 18 anni e 9 mesi quando ottiene una consulenza in Regione dal consigliere pdl Angelo Giammario.
Il politico ha sposato in seconde nozze la madre della ragazza, che davanti agli uomini del nucleo di polizia tributaria sembra non sapere nulla dell’incarico.
«Riconosco la firma come la mia – dice – ma ribadisco di non aver lavorato con la Regione. Alla data della stipula frequentavo il quinto anno del liceo classico».
Poi gli investigatori invitano la ragazza a guardare meglio il contratto.
«Non mi sembra di averlo mai sottoscritto nè letto. Questa è la prima volta che lo vedo nonostante la firma apposta in calce sia la mia».
Il mistero sarà forse risolto dal patrigno, che dovrà rispondere di truffa nel processo.
L’autista della Gelmini.
Ugo Fornasari è un idraulico con licenza elementare di Cacinato (Brescia).
Eppure è riuscito a spuntare un ricco mensile da 3mila 500 euro dalla Regione dal gennaio al giugno 2008: 22mila 200 euro in totale.
Fornasari, però, non è un idraulico qualunque: ha un ex ministro per amica.
«Dal 2005 al 2008 – dice ai pm a marzo – ho svolto la mansione di collaboratore dell’allora consigliere regionale Mariastella Gelmini (che non è indagata). La conosco da molto tempo in quanto è un’amica di famiglia. Intorno al ’94 mi ha proposto di lavorare in Regione, nel suo ufficio. Facevo l’autista dal suo paese nel bresciano fino al Pirellone».
Sulla sua consulenza su “materie attinenti l’area territoriale”, per cui è indagato l’ex capogruppo pdl Paolo Valentini, Fornasari non ricorda molto.
«Non sono in grado di chiarire a cosa possa riferirsi l’oggetto del contratto. Ho firmato senza conoscere il contenuto. Ribadisco che la mia attività prevalente era quella di autista della Gelmini».
Il gommista esperto di case.
Diplomato segretario d’azienda, autotrasportatore da giovane, poi gommista, Sergio Boschetti, sessant’anni, ex segretario provinciale dell’Udc di Bergamo, ha ottenuto nel 2008 tre contratti dall’allora assessore alla Casa, Mario Scotti, ora indagato per truffa, per un totale di 23mila euro.
«Ricordo – dice in Procura – che le somme che mi venivano bonificate sul mio conto erano erogate per finanziare le spese che sopportavo come segretario dell’Udc». Anche se l’oggetto dei contratti faceva riferimento alle “problematiche sull’edilizia residenziale pubblica”.
I contanti per Ferrazzi.
Graziella Caruso, ex commessa, ha avuto due contratti in Regione.
Col primo, 25mila euro l’anno, «lavoravo regolarmente in ufficio».
Col secondo, 28mila euro nel 2010, «non ho svolto nessuna attività , perchè il compenso che ricevevo sul mio conto corrente non è mai stato da me utilizzato. Prelevavo in contanti i soldi e li portavo all’assessore Luca Ferrazzi presso il suo ufficio di Gallarate».
Racconta la donna, allora 29enne, di aver ricevuto una telefonata da Ferrazzi, indagato per truffa, eletto nel listino di Maroni.
«Mi invitò a un incontro. Lì mi chiese un favore, adducendo che il partito, An, aveva necessità di soldi. Mi riferì che vi erano dei soldi della Regione da utilizzare e che era un peccato perderli – continua la donna – A quel punto mi chiese esplicitamente di sottoscrivere un contratto di collaborazione con la Regione per 1.000 euro al mese e che successivamente avrei dovuto consegnare il contante nelle mani dello stesso Ferrazzi».
Sandro De Riccardis
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
CON LA NUOVA LEGGE, CHE CANCELLA L’ARTICOLO 18, L’IMPRENDITORE CHE CACCIA PER RIASSUMERE CI GUADAGNA
Gli elementi oscuri del Jobs Act spuntano come funghi.
Come quello denunciato dalla Uil alla voce “licenziare conviene”.
Ma si potrebbe proseguire con i vizi già denunciati dal professor Francesco Giavazzi sulla mobilità negata nel mondo del lavoro.
Oppure sulle disparità che si verranno a creare tra lavoratori impiegati nelle stesse mansioni e nello stesso posto di lavoro ma con contratti diversi.
Più tagli occupati, più soldi incameri
Il risvolto conveniente del licenziamento era deducibile già a una prima lettura del Jobs Act. La Uil, però, si è incaricata di quantificarlo mettendo a confronto gli sgravi da nuove assunzioni per le imprese con le ipotesi di indennizzi che potranno essere erogati a fronte di un licenziamento economico.
Questo, prima del Jobs Act, se ritenuto illegittimo da un giudice, prevedeva il reintegro, sia pure rivisto dalla legge Fornero; ora, le nuove norme prevedono un indennizzo “certo e crescente”. Di quanto? Le stime ruotano attorno a una mensilità e mezzo per anno lavorato.
Secondo il sindacato diretto da Carmelo Barbagallo la differenza tra il costo del licenziamento e il guadagno dello sgravio contributivo oscillerebbe tra 2.800 e più di 5.000 euro per ogni lavoratore.
Licenziare un lavoratore, quindi, sia pure ingiustamente, per assumerne un altro potrebbe convenire E anche molto.
Una falla evidente che può essere risolta in due soli modi: prevedere una norma che vieti alle imprese di assumere in presenza di un licenziamento ingiustificato oppure alzando gli indennizzi a un livello non più conveniente.
La decisione del Pd al Senato di presentare una norma contro “i licenziamenti facili” fa pensare che il problema ha più di un fondamento.
Fermi sul posto, l’eddio alla mobilit�
Così come resta irrisolto il problema evidenziato sulle pagine del Corriere della Sera dal professor Giavazzi, il quale scrive: “Il rischio maggiore è il blocco della mobilità ”.
“È improbabile — afferma — che un lavoratore oggi tutelato dall’articolo 18 decida di spostarsi, firmando un nuovo contratto che invece non lo prevede. Alcuni lo faranno perchè non temono il licenziamento, ma altrettanti non ne vorranno sapere”.
Non si recupererà alcuna mobilità e chi ha un posto di lavoro farà di tutto per non perderlo senza avventurarsi in territori sconosciuti.
I tentativi di replicare alle osservazioni di Giavazzi da parte del senatore Pietro Ichino — relatore del provvedimento in seconda lettura al Senato — non hanno risposto al cuore della domanda, lasciando irrisolto il problema.
Tutti meno uguali: chi è garantito, chi no
Così come rimane irrisolto quanto sollevato più volte dalla Cgil, la disparità di condizioni tra lavoratori impiegati nelle stesse mansioni.
Secondo l’articolo 3 della Costituzione, infatti, “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge”.
Un lavoratore assunto dal momento in cui il Jobs Act sarà in vigore, però, non godrà degli stessi diritti di uno che è stato assunto prima.
E questo, nonostante abbia lo stesso contratto, a tempo indeterminato e sia impiegato nella stessa condizione.
Fonti della Cgil hanno più volte ribadito che potrebbe essere proprio questo l’appiglio per ricorrere in sede europea contro la legge-simbolo del governo Renzi.
La stessa Cgil ha scandito una serie di “domande e risposte” sul provvedimento a cura di Corrado Ezio Barachetti che sioccupa di contrattazione nazionale.
Il dirigente sindacale fa notare alcuni punti incongruenti della norma di legge.
Matteo Renzi ha sbandierato più volte l’abolizione dei co.co.pro, ma il testo parla solo di “superamento”.
“Richiami che non possono essere scambiati con la sua abolizione, così come la semplice individuazione delle forme contrattuali esistenti, in ragione di una loro semplificazione, non può valere un reale disboscamento in favore di poche forme contrattuali”.
Al di là di quello che si pensa sul demansionamento — e su queste pagine abbiamo già spiegato ampiamente come cambia, in peggio, la normativa — il provvedimento, fa notare la Cgil, punta a “un’azione unilaterale del governo” visto che la nuova regolarizzazione “può” e non “deve” definirsi in sede di contrattazione collettiva anche di secondo livello.
Secondo il presidente del Consiglio, poi, il contratto a tutele crescenti diventerà la norma dei rapporti di lavoro ma nel provvedimento non si parla mai di abolire i contratti a termine acausali, quelli che prevedono fino a cinque rinnovi in 36 mesi senza specificazione della causale: come si può ritenere che agli imprenditori convenga di più quello a tutele crescenti, si chiede Barachetti? Infine, per i licenziamenti economici si definisce un indennizzo “certo e crescente”.
Vuol dire, quindi, che verrà esclusa “l’attuale discrezionalità del giudice nello stabilire il giusto compenso”?
Oppure il “certo” “sarà puntualmente declinato nei suoi valori? Quali?”.
Le domande sono più delle risposte. Così come i pasticci di una legge che non è ancora legge.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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