Dicembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
I SUPERMERCATI RACCOLGONO E IMPIEGANO 11 MILIARDI CONTRO OGNI REGOLA
Alla Banca d’Italia devono essere un po’ distratti.
Ci sono circa 11 miliardi di risparmi degli italiani depositati presso i supermercati a marchio Coop e gli occhiuti vigilantes del governatore Ignazio Visco nemmeno lo sanno. O fingono di non saperlo.
La storia della banca sommersa di nome Coop è una utile chiave di lettura per lo scandalo Mafia Capitale.
L’ormai celebre foto dell’attuale ministro del Lavoro e allora presidente di Legacoop Giuliano Poletti con il ras della cooperativa 29 giugno Salvatore Buzzi non segnala indicibili complicità o silenzi ma una realtà alla luce del sole: alle cooperative, bianche, rosse o nere, tutto è permesso.
E secondo una retorica ben rodata chi le critica è un nemico del popolo, anche quando al popolo fanno sparire i risparmi.
Il problema della banca clandestina è stato sollevato dal Fatto un anno fa.
Se uno porta i suoi soldi in banca, in caso di crac dell’istituto prescelto il suo deposito è garantito dal Fondo interbancario di garanzia.
Se uno porta i soldi alla Coop, invece, non c’è nessuna garanzia.
Enrico Migliavacca, vicepresidente dell’Associazione delle cooperative di consumo, scrisse al Fatto: “È falso affermare che siano a rischio 10 miliardi di risparmi delle famiglie”. I fatti hanno smentito tanto ottimismo.
A Trieste la Cooperative Operaie ha fatto crac al termine di un’acrobatica agonia su cui sta facendo luce la magistratura, e si sono volatilizzati 103 milioni di risparmi di 17 mila risparmiatori.
Subito dopo, in Friuli, è saltata la CoopCa, la cooperativa della Carnia. Altri 30 milioni di risparmi. È un mondo a due velocità .
I clienti della Tercas, la Cassa di risparmio di Teramo commissariata dalla Banca d’Italia e il cui direttore generale, accusato del crac, è imputato di associazione a delinquere, non hanno perso un euro.
I clienti delle Coop, invece, con il crac rischiano di perdere tutto.
Com’e’ possibile? Basta chiamarsi cooperativa, come insegna il maestro Buzzi.
Nella citata missiva Migliavacca affermava con nettezza: “Coop non è una banca”. Infatti la raccolta del risparmio che organizza in ogni suo punto vendita (11 miliardi di euro, circa dieci volte la raccolta della Tercas) si chiama “prestito soci”.
Il Fatto ha posto alla Banca d’Italia la seguente domanda: “Esiste una forma di vigilanza sul cosiddetto “prestito soci” delle cooperative? ”.
La risposta è stata: “No. In base alla legge, la Banca d’Italia è competente per la vigilanza sulle banche”.
Una seconda, più stringente, domanda (“Un’attività definita di ‘gestione della liquidità dei soci’ può essere svolta da una cooperativa? ”), ha ricevuto una risposta più stupefacente della prima: “In assenza di dettagli sulle specifiche caratteristiche dell’attività di ‘gestione della liquidità dei soci’, non è possibile affermare se essa rientri o meno tra le attività riservate agli intermediari finanziari”.
Per aprire una banca serve l’autorizzazione della Banca d’Italia e bisogna sottoporsi alla sua vigilanza.
Ma se uno apre una banca seguendo due accortezze (non scriverlo nell’insegna e non fornire dettagli alla Banca d’Italia) può fare quel che gli pare.
La questione è quasi teologica. Che cos’è una banca?
Nelle “Istruzioni di vigilanza” della Banca d’Italia si trova la definizione: “La raccolta del risparmio tra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche, fatte salve le deroghe previste dall’art. 11, comma 4, del T. U.”.
La deroga riguarda il prestito con cui il socio finanzia l’attività della sua cooperativa.
Poi si legge: “Sono comunque precluse ai soggetti non bancari la raccolta di fondi a vista e ogni forma di raccolta collegata all’emissione o alla gestione di mezzi di pagamento”. Quindi chi fa raccolta “a vista” o è una banca o delinque.
Che cos’è la raccolta a vista? “La raccolta che può essere rimborsata su richiesta del depositante in qualsiasi momento con un preavviso inferiore a 24 ore”.
Adesso vediamo le cose che i distratti della Banca d’Italia — dopo aver scritto le stringenti regole — potrebbero vedere con una sia pure superficiale ricerca su Internet.
Lo stesso Migliavacca di “la Coop non è una banca” scrive nel “Decimo rapporto delle cooperative dei consumatori”: “Il prestito sociale è una forma di deposito a vista immediatamente liquidabile”. A vista.
E continua: “I soci prestatori possono utilizzare la carta Socio-Coop per prelevare contante dal proprio libretto di risparmio e trasferire denaro sul proprio conto corrente bancario. Inoltre (…) i soci prestatori possono utilizzare la carta SocioCoop come strumento di pagamento della spesa e per il prelievo di contante alle casse dei punti di vendita”.
C’È ANCHE IL BANCOMAT.
Un milione 218 mila italiani hanno portato i loro risparmi alla Coop, cui hanno consegnato mediamente 9 mila euro a testa, per un totale di 10,86 miliardi che hanno fruttato interessi totali per 139 milioni di euro.
Funziona così: si va alla Coop, si diventa soci, si chiede di aderire al prestito soci, si ottiene un libretto tipo quelli della Posta, si portano i soldi da depositare.
Ci sono vantaggi notevoli rispetto alla banca, per esempio nessun costo e, soprattutto, nessuna tracciabilità . Comunque nessun vincolo.
Il preavviso delle 48 ore previsto dal regolamento è una formalità dettata da qualche avvocato per far vedere che si sta sopra le 24 ore previste dai regolamenti Bankitalia.
Ma quando uno ottiene una tessera magnetica con cui può pagare la spesa al supermercato o addirittura prelevare il contante dal Bancomat, sempre con addebito sul suo prestito sociale, che cosa può più giustificare la finzione di non chiamare tutto questo una grande banca?
Alla Banca d’Italia però si ostinano a far finta di niente.
L’avvocato Stefano Alunni Barbarossa, a nome dei soci della cooperativa di Trieste che hanno perso i loro risparmi, ha posto un quesito interpretativo su una circolare Bankitalia sulla raccolta del risparmio tra i soci da parte delle cooperative.
Il direttore della sede di Trieste ha così risposto: “Si fa presente che la Banca d’Italia fornisce riscontro diretto alle banche e agli altri soggetti vigilati mentre, di regola, non dà risposta diretta ai quesiti formulati da altri soggetti”.
È la linea dura di sempre: finchè non arrestano qualcuno alla Banca d’Italia piace far finta di niente.
Giorgio Meletti
(ha collaborato Ivana Gherbaz)
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
MOBILITO’ L’ALLORA SOTTOSEGRETARIO PER POTENZIARE UN CENTRO E PROGETTAVA AFFARI CON LA CASCINA
A volte ritornano. Il Fatto Quotidiano ha aperto le sue pubblicazioni il 23 settembre del 2009 con la notizia tabù (“Letta indagato da 10 mesi e nessuno lo scrive”) dell’indagine del pm Henry John Woodcock sulle manovre della galassia di società che gravitavano intorno alla Cooperativa La Cascina, vicina a Comunione e Liberazione, per aggiudicarsi la gestione dei Cara, i centri di assistenza per i richiedenti asilo.
I protagonisti di quelle indagini furono prosciolti poi da ogni accusa e oggi ritornano negli atti dell’inchiesta Mafia Capitale, anche se non sono indagati.
L’allora sottosegretario Gianni Letta viene contattato per superare la resistenza del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro all’ampliamento del Cara di Castelnuovo di Porto (Roma) mediante l’affitto di alcuni immobili, di interesse della “Cupola” diretta da Salvatore Buzzi.
Il 18 marzo scorso i carabinieri del Ros pedinano e fotografano il ras della cooperativa rossa “29 giugno” Buzzi, con il fido Carlo Maria Guarany, mentre entrano nel palazzo di Largo del Nazareno dove si trova l’ufficio di Gianni Letta.
Appena usciti chiamano il loro uomo, Luca Odevaine, ex vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni al Comune di Roma, poi nominato capo della polizia provinciale, partecipante al Tavolo di coordinamento nazionale insediato al ministero dell’Interno dove si decide la destinazione degli immigrati: “Il pilastro portante” dell’attività economica di Buzzi e compagni, secondo il Ros
Appena uscito dall’incontro con Letta Buzzi dice a Mario Schina, che risponde al telefono di Odevaine: “Mi ha mandato dal prefetto… alle sei vedo il prefetto di Roma! ”. Anche l’ingresso in Prefettura è filmato dal Ros.
Appena uscito Buzzi racconta l’effetto-Letta al suo “pilastro” Luca Odevaine: “È andata molto bene (…) m’ha detto: ‘basta che il sindaco me dice di sì io non c’ho il minimo problema, anzi la cosa è interessante, lasciatemi tutto’ allora già abbiamo ricontattato”. Odevaine chiede: “Gli hai detto che, che anche la Scotto Lavinia (il prefetto Rosetta Scotto Lavinia, direttore servizi per l’immigrazione, ndr) era stata già informata? ”.
Buzzi replica: “Sì, non c’è stato nemmeno bisogno perchè lui ha sposato subito il problema perchè ne era già informato però vuole il consenso del sindaco (di Castelnuovo di Porto, ndr) ”.
Il prefetto Pecoraro nei giorni scorsi, anche per evitare polemiche sul suo ruolo delicato sull’accesso agli atti e l’eventuale scioglimento, ha precisato che poi non se ne fece più nulla
Anche il prefetto Mario Morcone (recentemente tornato a capo del dipartimento immigrazione dopo essere stato all’Agenzia dei beni confiscati e candidato sindaco di Napoli) è citato nelle intercettazioni.
Conversando con Mario Schina, consigliere della cooperativa Il percorso, a lui vicina, Odevaine il 18 giugno 2014 parla a ruota libera di Morcone.
Sono affermazioni non riscontrate che provano solo la spregiudicatezza di Odevaine: “Le cose gliele posso dire proprio… non dico… ma quasi insomma, però adesso stava… me stava venendo in mente tant’è che anche oggi cioè m’ha chiesto dice ‘ah, ma mio figlio si sta laureando, non so in che cosa’ dice ‘mi piacerebbe fargli fare uno stage’, dico ‘guarda te lo prendo io in Fondazione’, dico ‘Mario… figurati sai… ‘, io posso pure a un certo punto che ne so dirgli a Mario – ecco pure il rapporto che c’è – Mario, famme la cortesia prendimi al centro le 70 persone a Tivoli che io… però devo licenzia’ due persone e le metto a lavora’ ecco… su una… relazione con lui io posso, posso anche dirgli un cosa del genere”.
Infine La Cascina: “Nel corso di una riunione con il dipendente Gerardo Addeo l’indagato Odevaine, dopo aver verificato la possibilità di effettuare delle movimentazioni di carattere economico, disponendo delle cooperative satelliti Abitus e Il Percorso, gli illustrava le diverse soluzioni da attuare al fine di poter acquisire, senza lasciarne traccia, il denaro frutto dei compensi operativi con i diversi partners con i quali operava nell’ambito della gestione dell’emergenza migratoria sull’intero territorio nazionale”.
Odevaine raccontava di avere parlato con il consigliere della Cooperativa La Cascina Salvatore Melolascina, già arrestato nel 2003, indagato nel 2009 di Woodcock e sempre prosciolto.
E dunque timoroso di finire in nuovi guai. “Dice: ‘Luca io però lo dico per tutti ma lo dico a te… tu sei almeno sicuro, tranquillo’, dice, ‘perchè a me m’hanno arrestato – lui è stato arrestato a suo tempo nella vicenda Cascina – ‘c’avevo il telefono sotto controllo e quant’altro è stato un problema che sono stato accusato di essere di fatto l’amministratore’”.
Allora Odevaine racconta di averlo rassicurato: “per cui… io gli ho detto: guarda… troviamo un altro sistema (…) per cui avremmo trovato appunto due… possibilità : una. .. su lavori edili, perchè loro hanno milioni di lavori all’anno… per ristrutturazioni dobbiamo… (incomprensibile) una… società di fiducia… ”.
Poi, prosegue il ROS, Odevaine entra nel dettaglio: “gli affidiamo dei lavori… sia sulla parte di progetto che sulla parte dei lavori realizzati ti paghiamo in più… la cifra che… ti dobbiamo riconoscere e poi… tu te la… te la fai dare in contanti in qualche modo’. Al riguardo Odevaine dice di avere già parlato con il padre di Daniele Pulcini, un costruttore legato al giro e interessato a entrare nel settore dell’emergenza: “mese per mese… loro ce li ce li trasferiscono sul conto come se avessimo… fatto, io ho parlato già con Tonino Pulcini”.
L’indagato – prosegue il ROS – chiosava sull’argomento accennando ad una seconda soluzione, ovvero “l’altra strada… è… appunto il… caffè …… inc… caffè… per cui se tu… ci trovi il caffè… qui da comprare… in Costa Rica. .. loro lo comprano in Honduras, in Costa Rica e… noi te lo compriamo a te il caffè e te lo paghiamo più di quello che… che sarebbe il prezzo e ti rimangono i soldi eh… allora io… … inc… ecco, per tutta la questione… la parte diciamo così di attività internazionale… inc… direttamente lì in Costa Rica e così … “, illustrando contestualmente quale fosse di fatto il volano economico che alimentava i suoi investimenti in Sudamerica”.
Non basta. In un’altra intercettazione Odevaine dice: “però ragionando con Salvatore Menolascina alla fine ci siamo fatti un pò di conti e lui m’ha detto ‘guarda, con la Cascina insomma con lui personalmente; possiamo comprare un pastificio”.
Marco Lillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
DOVEVA VIGILARE SULLA LEGALITA’: PESANO GLI INCONTRI AVUTI CON BUZZI TRAMITE GIANNI LETTA
Il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, ha in mano, in queste ore, il pallino del possibile scioglimento del comune per infiltrazione della criminalità organizzata.
Un dossier difficile, sul quale pesa anche un’ombra che arriva direttamente dall’inchiesta: è un incontro avvenuto il 18 marzo scorso con Salvatore Buzzi, il boss della cooperativa 29 giugno, organizzato direttamente da Gianni Letta.
Un filo che parte dai piani più alti della politica, attraversa la Roma barocca dei poteri silenziosi, per sbarcare nel piccolo paese di Castelnuovo di Porto, raccontato nei dettagli dai carabinieri del Ros nelle carte depositate dopo gli arresti della scorsa settimana.
Una storia che — chiede Libera — Pecoraro dovrà spiegare molto bene: “Ci stiamo comprando mezza prefettura”, sussurravano gli uomini di Carminati e Buzzi nei mesi scorsi.
Non solo: la Commissione d’accesso agli atti dovrà verificare possibili forme di infiltrazione o di condizionamento negli atti del Comune, ma era la stessa prefettura a dover vigilare sulla legalità di ambiti sensibili come la gestione dei campi nomadi, sui cui appalti Buzzi e soci avevano messo le mani
Il 17 marzo scorso gli investigatori captano una telefonata di Salvatore Buzzi diretta a Massimo Carminati: “Domani c’ho appuntamento co’ Gianni Letta, quindi quanno me ricapita“, annuncia Buzzi al telefono.
Un colpo grosso, come lui stesso ammette.
L’obiettivo è quello di ottenere rapidamente un appuntamento con il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, arrivato nella capitale nel 2008, quando ancora governava Silvio Berlusconi, sulla scia della “emergenza” dei campi Rom.
Il Ros capisce subito che quell’appuntamento è un passaggio chiave. Non mollano neanche un minuto il capo della cooperativa romana.
Il giorno successivo pedinano Buzzi insieme a Carlo Guarany, dirigente della “29 giugno” finito anche lui agli arresti, per capire se quell’incontro fosse reale o una millanteria: “In effetti, il 18 marzo u.s. — scrive il Ros — così come documentato da un servizio di osservazione espletato da militari di questo Reparto, il Buzzi, accompagnato nell’occasione da Carlo Guarany, si recava in largo del Nazareno n. 8, ove insistono gli uffici del Dott. Gianni Letta”.
Terminata la riunione, il presidente della cooperativa romana chiama Mario Schina, che gli chiede l’esito dell’incontro con Letta: “Bene. Mi ha mandato dal Prefetto … Io alle sei vedo il Prefetto di Roma”, risponde Buzzi. Missione compiuta, dunque.
Nel pomeriggio i Ros aspettano gli imprenditori davanti all’ingresso della prefettura. L’incontro — scrivono i carabinieri — va in porto.
Anche in questo caso è una telefonata di Buzzi a rivelarne l’esito: “Allora, col Prefetto è andata molto bene — racconta a Luca Odevaine — gli abbiamo parlato di questo Cara di Castelnuovo di Porto co … no del Cara (…) e lui mi ha detto: ‘Basta che il Sindaco me dice di si io non c’ho il minimo problema, anzi la cosa è interessante, lasciatemi tutto’”. Uno dei passaggi chiave successivi arriva a maggio, quando le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Castelnuovo di Porto si stavano avvicinando.
In una telefonata del 7 maggio scorso Salvatore Buzzi offre apertamente un sostegno economico per la campagna elettorale al vice sindaco uscente Alfonso Pedicino: “Compagno vice Sindaco, come stai? — esordisce Buzzi — Ti telefonavo per sapere se te serve una mano, finanziariamente, nella cam … assoluta legalità ”.
“Eh, se fosse possibile”, risponde senza esitare il vice Sindaco.
In fondo la “29 giugno” era da sempre un’impresa “d’area”, legata a stretto filo con il Pd. Il finanziamento, secondo il Ros, va in porto, i soldi arrivano nelle casse del sindaco uscente Fabio Stefoni.
Una volta rieletto, per Buzzi aumentava la “speranza che ciò accelerasse la definizione dell’iter burocratico per l’apertura del centro di accoglienza”.
Se l’episodio documentato nelle carte dell’inchiesta racconta nei dettagli il modus operandi della cooperativa 29 giugno, rimane da chiarire il ruolo del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, che nei giorni scorsi ha sostenuto di aver sempre rispettato le regole nella gestione delle emergenze Rom e migranti.
Quello che è certo è il suo peso nell’amministrare i “villaggi della solidarietà ” creati nel 2008 dal governo Berlusconi.
Se gli affidamenti partivano dal comune di Roma, la prefettura aveva il compito di garantire la legalità dei campi Rom della capitale.
E oggi quella stessa prefettura si trova a decidere il futuro dello stesso comune. Un nodo politico divenuto decisamente complesso con l’esplosione dell’inchiesta della Procura, su cui punta anche Libera: “Dopo l’indagine Mondo di mezzo e il coinvolgimento di alcune cooperative che operano con i migranti e i rifugiati — scrive Gabriella Stramaccioni, dell’Ufficio di Presidenza di Libera — chiediamo chiarimenti anche alla Prefettura di Roma. Riteniamo che ci sia stato, in questi anni, quantomeno un comportamento opaco da parte di chi aveva il compito di controllare e monitorare queste realtà ”.
Andrea Palladino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
LA RICERCA DI SPONSOR IN PARLAMENTO
Il quaderno era nascosto a casa di un collaboratore di Salvatore Buzzi. E potrebbe fornire nuove tracce utili per individuare altri politici e funzionari pubblici messi a «libro paga» dal titolare della Cooperativa 29 Giugno e dall’ex estremista dei Nar Massimo Carminati, ritenuti dai magistrati al vertice di quell’organizzazione che era riuscita a infiltrarsi in Campidoglio e in altre istituzioni.
Contiene infatti annotazioni sulla contabilità occulta delle numerose strutture controllate dal gruppo e segue lo stesso metodo già verificato analizzando il «libro nero» sequestrato alla segretaria Nadia Cerriti con l’iniziale del nome di chi ha percepito la tangente e accanto la cifra versata.
Procede spedita l’indagine dei carabinieri del Ros e le migliaia di carte processuali svelano i tentativi per accaparrarsi ulteriori appalti in materia di immigrazione, potendo contare su una figura chiave come quella di Luca Odevaine, membro della commissione del Viminale che si occupava proprio di questa materia.
Compresi incontri di alto livello con parlamentari.
Una di loro, secondo lo stesso Odevaine, sarebbe la presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Anna Finocchiaro.
«Gara già assegnata»
Dopo aver ottenuto la gestione del campo nomadi di Castel Romano, Buzzi e i suoi sodali pensavano di allargare la propria influenza e avevano messo in campo svariati tentativi per «entrare» a Mineo, la struttura siciliana che rappresentava un grande affare.
E dunque, se da una parte erano consapevoli dei propri limiti, dall’altra cercavano sponsor.
Il 16 giugno scorso Odevaine parla con Carmelo Parabita e gli riferisce di aver risposto ad un «avviso pubblico di selezione» per essere assunto dal Consorzio Calatino in modo da acquisire i titoli necessari a poter fare il membro della commissione incaricata della valutazione delle offerte per quella gara. Poi entrano nel merito dell’assegnazione.
Parabita: «Non ci saranno altre offerte cioè, con chi stanno parlando, si sono tenuti tutti alla larga da Mineo perchè è troppo complessa, cioè non è venuto nessuno venerdì».
Odevaine: «A me m’ha detto Salvatore Buzzi che è andato a parlare dalla Finocchiaro».
Parabita: «Se».
Odevaine: «E la Finocchiaro gli ha detto “lascia perdere quella gara è già assegnata”».
In realtà la ricerca di interlocutori continua e Odevaine si concentra sulla procedura del Viminale che potrebbe consentirgli di manovrare le assegnazioni anche tentando di orientare le scelte dei prefetti.
«Li voglio a stipendio»
La scoperta di un nuovo libro contabile fornisce elementi molto significativi per l’inchiesta e conferma un meccanismo che i magistrati avevano già evidenziato nelle contestazioni contro gli arrestati.
Anche perchè la strategia di controllo della pubblica amministrazione prevedeva il versamento periodico agli uomini da utilizzare in modo di poter contare sulla loro fedeltà . E infatti, di fronte al sindaco di Morlupo che non chiede soldi e tuttavia assegna lavori decide di retribuirlo in maniera fissa.
Per questo manda un sms a Carminati, «il sindaco di Morlupo l’ho messo a stipendio», e lui risponde: «Ah perfetto».
Scrivono i magistrati: «La retribuzione sia di alcuni esponenti delle strutture politico-amministrative interessate sia dei membri del sodalizio era possibile grazie all’emissione di fatture per operazioni inesistenti che, a seconda delle società emittenti, determinava diversificate modalità di remunerazione, puntualmente annotate in un cosiddetto “libro nero”, e in particolare: le società riconducibili a soggetti esterni al sodalizio, a fronte dei pagamenti ricevuti, retrocedevano all’organizzazione criminale denaro contante per la creazione di fondi extracontabili, necessari al pagamento dei politici, degli amministratori pubblici, dei dirigenti amministrativi e dei membri del sodalizio; le società direttamente controllate dall’organizzazione criminale, gestite anche con l’utilizzo di prestanomi, attraverso transazioni infragruppo riuscivano a canalizzare le quote illecite verso gli stessi membri ed a soddisfare le esigenze di reimpiego dei capitali illecitamente acquisiti».
I ricorsi al Riesame
Domani i giudici del Riesame cominceranno ad esaminare i ricorsi degli arrestati contro le ordinanze di cattura.
Il primo a depositare l’istanza è stato proprio Carminati.
Nei prossimi giorni saranno invece interrogati arrestati e indagati e in cima alla lista c’è il sindaco Gianni Alemanno, accusato di associazione mafiosa, che sostiene di «poter chiarire la mia posizione e smentire numerose millanterie compresa quella delle valigette piene di soldi portate in Argentina su cui fonti della Procura hanno specificato che non ci sono riscontri».
L’elenco delle persone da sentire è lungo, qualcuno sta già pensando di cominciare a collaborare.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
“DOPO 60 ANNI DI MILITANZA NON PENSAVO DI ANDARE A FINIRE CON LA BANDA DELLA MAGLIANA”
«Mi sento umiliato, mi sento perso. Non pensavo d’anda’ a fini’ con la banda della Magliana».
Valerio ha alle spalle 60 anni di militanza. È iscritto al circolo Pd versante Prenestino, a Castelverde, periferia romana che è oltre Tor Sapienza, oltre il raccordo anulare.
Un sottoscala pieno di sedie di plastica bianche dove ieri 40 persone sono andate a sentir parlare di forma partito l’ex ministro Fabrizio Barca, con in testa solo i fatti di “Mafia Capitale”.
A quel circolo è iscritto Salvatore Buzzi, il presidente della coop 29 giugno, considerato uno dei capi del sistema scoperchiato dalla procura di Roma.
«Qui l’abbiamo visto solo all’iscrizione e quando si votava per le primarie – racconta Riccardo Pulcinelli – ma quando abbiamo sentito quel nome, io e Valeria (la coordinatrice) abbiamo detto: è nostro! Poi abbiamo chiamato il partito per chiedere di poterlo cancellare».
«Io non sono triste, sono incazzato», dice Riccardo davanti agli altri militanti. «Vedo i capi del partito romano che fingono di cadere dalla luna, ma quando siamo andati a denunciare che alle primarie arrivavano persone cui era stata pagata la busta della spesa, quando abbiamo sospeso il congresso e il presidente di municipio lo ha fatto fare comunque incassando 92 tessere sospette in un giorno, non ci hanno ascoltato. Anzi, volevano espellere noi».
Gli interventi sono un processo al partito: “Qui non si parla più, non si discute di niente, di che ci sorprendiamo?”.
Valerio ricorda quando in sezione venivano a parlare Luchino Visconti, Alberto Moravia, Giancarlo Pajetta: «Ci spiegavano le cose, ci dicevano di leggere, ora invece ci hanno instupiditi».
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
SOLO UNA SETTIMANA FA RENZI DICEVA: “I PARTECIPANTI SARANNO REGISTRATI E RESI PUBBLICI”
“I nomi dei partecipanti alle cene di finanziamento del Pd sono pubblici e registrati”. Così Matteo Renzi diceva in diretta tv a Bersaglio mobile, mercoledì scorso. Una settimana dopo però gli elenchi è impossibile averli.
I vertici dem alla richiesta di conoscere i nomi di chi c’era all’Eur all’iniziativa romana del 7 novembre scorso fanno muro.
L’imbarazzo però aumenta con il passare dei giorni. Dal Nazareno sussurrano che è impossibile renderli noti, a causa della legge sulla privacy.
La stessa che impedisce di conoscere per intero i nomi dei finanziatori della Leopolda. Con buona pace della trasparenza, evocata dallo stesso segretario-premier. Perchè, per diffondere i nomi dei finanziatori, serve una liberatoria.
Molti non l’hanno data e forse non lo faranno mai. Anzi, da quando si è capito che a cena quella sera c’era anche Salvatore Buzzi, le reticenze aumentano: nessuno vuol essere accomunato al capo della cooperativa 29 giugno, coinvolto nell’inchiesta su Mafia Capitale
Poi, ci sono una serie di altre questioni: per esempio, in molti il bonifico non l’hanno ancora fatto.
E per alcuni dei presenti hanno pagato altri. E dunque, se pure un elenco (di massima) dei commensali, gli organizzatori assicurano di averlo, è pressochè impossibile averne uno completo di chi ha pagato.
Lo stesso Matteo Orfini, presidente del Pd, e ora anche commissario del partito romano, lunedì sera a Piazza pulita ammetteva che sarebbe importante rendere pubblici gli elenchi.
E sottolineava come questa vicenda metta in luce tutte le falle del finanziamento privato alla politica, una volta che si è deciso di rinunciare a quello pubblico. Insomma, uno dei cavalli di battaglia del Pd secondo Renzi mostra tutte le problematiche del caso: come controllare chi paga il partito?
E come stabilire chi può e non può farlo?
Non solo: come evitare di incorrere nel reato di traffico di influenza, introdotto dalla Severino?
Sulla presenza di Buzzi ai tavoli di Roma l’imbarazzo dei dem diventa stellare. Francesco Bonifazi, il tesoriere affermava in un tweet: “Buzzi non ha dato un euro al @pdnetwork nazionale”.
E adesso, ora che Claudio Bolla, il braccio destro di Buzzi, sostiene che invece lui ha pagato per sè e per chi era con lui, ribadisce: “Buzzi non ha pagato al Pd nazionale”. Perchè, spiegano dai vertici del Nazareno, quattro o cinque tavoli erano appaltati al Pd Roma.
Impossibile, però, avere risposte dal partito locale su chi ci fosse. “Non so niente”, dice il tesoriere Carlo Cotticelli. Poi, corregge il tiro: “Sono commissariato. Non sono tenuto a parlare”.
Però, il 7 novembre non c’era ancora alcun commissario. Tra i vertici dem della Capitale è tutto un generico “non so niente”. Da notare che all’ultimo momento quella sera fu fatto saltare il tavolo di Marco Di Stefano. Non senza resistenze locali.
Da Orfini allo stesso Bonifazi, stanno lavorando per uscire da questa impasse.
Ma sembra una di quelle sabbie mobili nelle quali si affonda sempre di più.
Sempre per rimanere alla questione Buzzi, si apre un altro versante: quelli arrivati dalla 29 giugno sono soldi pubblici, visto che provenivano da appalti deliberati dal settore pubblico.
Si profila una sorta di gioco delle tre carte: il Comune di Roma finanziava Buzzi, che ha finanziato il Pd.
Tutto anche grazie alla poca conoscenza del territorio di Renzi e dei suoi.
Al Nazareno dicono che non potevano immaginarsi un mese fa che sarebbe scoppiato questo bubbone. Oggi i rischi e i problemi di opportunità politica di quelle cene sono sotto gli occhi di tutti.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
DETERMINANTE IL VOTO DI BIANCONI (FORZA ITALIA), PASSANO DUE EMENDAMENTI (UNO DELLA MINORANZA PD, L’ALTRO DI SEL)
Il Governo è andato sotto in Commissione Affari Costituzionali della Camera, sull’approvazione di due emendamenti, uno di minoranza Pd, l’altro Sel, che prevedono di fatto l’abolizione della figura dei cinque senatori di nomina del Presidente della Repubblica e in carica per sette anni.
Governo battuto quindi su due emendamenti identici all’articolo 2 del ddl riforme, con due voti di scarto.
Il nuovo senato sarà ora formato da 100 tra consiglieri regionali e sindaci.
I relatori e il governo avevano dato parere negativo sugli emendamenti che sono passati con 22 sì contro 20 no.
Andrea Giorgis della minoranza Pd si è astenuto. Questa modifica rimette in discussione l’impianto dell’articolo 2 che, non essendo più in ‘doppia conforme’ con il testo approvato a palazzo Madama, potrà essere rivisto.
Dopo il voto sullo stop ai senatori di nomina presidenziale la Commissione ha sospeso l’esame del ddl di Riforma Costituzionale.
E’ poi iniziata una riunione tra i relatori Emanuele Fiano (Pd) e Francesco Paolo Sisto (Fi) e il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi.
Le due proposte di modifiche approvate hanno ottenuto il consenso anche da parte di M5s e Lega.
In base all’esito della votazione in commissione Affari Costituzionali alla Camera su due emendamenti al Ddl riforme, in particolare all’art.2 – uno degli assi portanti dell’intero impianto delle riforme del governo Renzi – che disciplina la composizione e le modalità di elezione del futuro Senato, a determinare la sconfitta di governo e maggioranza è stato il voto favorevole del ‘frondista’ di Forza Italia Maurizio Bianconi.
Se, infatti, Bianconi avesse votato in accordo con il suo gruppo – che si è espresso contro i due emendamenti di Sel e della minoranza Pd – i voti sarebbero stati pari, cioè 21 a 21 e, in questo caso, in Commissione avrebbe prevalso il voto contrario, come avviene quando si riscontra la parità tra i voti a favore e quelli contrari.
Hanno votato a favore degli emendamenti che eliminano i 5 senatori di nomina presidenziale – facendo sì che il futuro Senato sia composto da 100 senatori eletti dai consigli regionali – tutti gli esponenti della minoranza Pd (solo Andrea Giorgis si èastenuto): Lauricella, Lattuca, Bindi, Cuperlo, Agostini, D’Attorre, Meloni, Naccarato, Pollastrini, Fabbri.
Non ha partecipato al voto, in quanto assente in quel momento, il deputato Pd Francesco Sanna.
Hanno votato a favore Sel, 5 Stelle, Lega, maggioranza Pd e FI (ad eccezione del ‘frondista’ Bianconi). Anche il presidente della Commissione, Sisto (FI), ha votato contro.
(da “Huffingtonpost“)
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Dicembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
“LE RESPONSABILITA’ POLITICHE DELL’EX SINDACO SONO EVIDENTI, QUELLE PENALI LE ACCERTERANNO, CON NOI ERA ARRIVATO DA POCO”… POI SI AFFIDA AL FRATELLO ACQUISITO SALVINI PER FAR DIMENTICARE ANNI DI SILENZIO SU QUANTO ACCADEVA A ROMA
“Le eventuali responsabilità penali di Gianni Alemanno le accerterà la magistratura, quelle politiche, purtroppo, sono evidenti. Ma guai a parlare solo di destra. Il marcio, lo schifo emerso da questa vicenda è trasversale, c’è dentro di tutto”.
Nello scenario terremotato della Roma post “Mafia Capitale”, Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) è quel che resta del centrodestra, in queste latitudini.
Per una settimana ha taciuto. Ora vuol dire la sua dallo studio della Camera, al quinto piano del palazzo dei gruppi in via Uffici del Vicario.
E a chi come l’amico e ormai quasi partner politico Matteo Salvini la chiama in causa per la futura corsa a sindaco di Roma, non chiude le porte. “Sono convinta che ci sia ancora una classe dirigente a destra, ma la selezioneranno i romani con le primarie “. Domenica mattina a Roma (Teatro Quirino) la prima uscita pubblica per parlare dei guai “della Nazione e di Roma e di come venirne fuori”.
Diffida chiunque dal considerarla l’apertura della sua campagna elettorale.
Cosa sta accadendo nella sua città , Giorgia Meloni?
“Succede che un sistema di potere e di corruzione trasversale ai partiti sembra aver preso possesso dei gangli dell’amministrazione”.
Beh, trasversale, il cuore dell’inchiesta riguarda il mondo della destra, il suo mondo.
“Eh no, c’è la destra e c’è la sinistra. C’è il rosso e c’è il nero, ma l’unico colore che prevale è il colore dei soldi. Un quadro comunque vergognoso, perchè in tanti hanno lucrato sulla povera gente, perfino sugli immigrati”.
Voi dove eravate quando tutto questo succedeva? I fatti contestati risalgono al periodo in cui Alemanno era sindaco e lei era ministro, entrambi nel Pdl.
“Calma. Noi siamo stati gli unici a denunciare la speculazione sul business degli immigrati. Interrogazioni, marce, proteste. Ancora a luglio chiedevamo al ministro Alfano e al sindaco Marino perchè Roma dovesse ospitare 2.500 profughi contro i 104 di Milano o i 65 di Firenze. Perchè a fronte di pensioni sociali da 480 euro si dovessero spendere 900 euro al mese per ogni immigrato. Era evidente che qualcosa non funzionasse, ora si capisce perchè”.
Accorgersene ora è facile.
“Ma va comunque introdotta una disciplina che impedisca di assegnare servizi fino a 200 mila euro alle coop senza alcuna gara, che vieti loro di finanziare partiti politici. Oggi alterano il mercato, non è più ammissibile. Noi proporremo una commissione di inchiesta sulle degenerazioni del fenomeno coop in Italia. Punto secondo, le fondazioni: non possono essere finanziate dal pubblico. E le municipalizzate, spesso strumento di clientela, vanno drasticamente ridotte”.
Insisto, voi dove eravate? Alemanno fa parte del suo partito, Fdi.
“Premesso che nel partito è approdato da poco, abbiamo fiducia nella magistratura, le sue responsabilità saranno accertate e sono certa che ne uscirà bene. Dal punto di vista politico bisogna ammettere che in cinque anni non è riuscito a infrangere quel sistema di potere che si era consolidato sotto le amministrazioni precedenti”.
Che ne sarà del Comune di Roma?
“Ho già chiesto al nostro unico consigliere di avviare la raccolta di firme per le dimissioni di massa e lo scioglimento. È l’unica via percorribile. Commissariare per mafia sarebbe un’onta e un danno gravissimo per i romani onesti, irresponsabili i politici che ne parlano. Marino si faccia da parte, non è più tempo per lui”.
Elezioni, ma per candidare chi?
“Esiste ancora una classe dirigente che ha l’onestà e le carte in regola per governare questa città “.
Salvini propone lei, il sodalizio appare sempre più solido.
“Anche io non vedrei male lui sindaco di Milano (sorride). Scherzi a parte, mi fa piacere, lo stimo, ma saranno i miei concittadini a selezionare i candidati”.
E lei sarà della partita.
“Prematuro parlarne. Cominciamo a sciogliere il Consiglio comunale, il resto viene dopo. In ogni caso, per guidare Roma occorre ormai una buona dose di coraggio, di audacia ai limiti dell’irresponsabilità . Puoi pensare di accettare la sfida solo se te lo chiedono i romani”.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubbica”)
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Dicembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
MAFIA CAPITALE: NELLE CARTE ANCHE MARCO POMARICI, EX PDL E ORA PORTABANDIERA DELLA LEGA A ROMA… L’ACCUSA DI BIANCONI: “LA SUA CASA RISTRUTTURATA DAL COSTRUTTORE AMORE”
Marco Pomarici è il grande contestatore della Giunta di Ignazio Marino, di cui invoca le dimissioni da quando sono scattate le manette per Mafia Capitale.
Ex presidente del consiglio comunale in quota Pdl ai tempi di Gianni Alemanno sindaco, poi passato a Ncd e da fine ottobre portabandiera nella Capitale e unico rappresentante in Campidoglio della nuova Lega di Matteo Salvini, Pomarici è finito nelle carte dell’inchiesta.
Secondo i riscontri effettuati dai carabinieri del Ros, Pomarici si è fatto ristrutturare casa dal costruttore Patrizio Amore, impegnato nei restauri dell’aula consiliare Giulio Cesare del Comune di Roma negli anni in cui guidava il consiglio.
Il particolare è emerso dall’ascolto delle telefonate intercorse tra Patrizio Bianconi e Luca Gramazio, esponenti del centrodestra romano, nei primi mesi del 2013.
I due sono entrambi candidati alle amministrative.
Bianconi ha la necessità di coprire le spese della propria campagna elettorale e chiede i fondi a Gramazio, consigliere di Forza Italia iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di associazione mafiosa.
Il 23 marzo, alle 14.47 battendo cassa. “Uno si esaspera no? Perchè vedi Pomarici, vedi Cochi, senti la cena de quello, l’incontro di quell’altro… Facciamo le cacciatine degli Iban bancari e verifichiamo quanti soldi sono usciti dai conti correnti, poi se non so’ usciti ci spiegheranno perchè gliel’hanno finanziato i vari Fabrizio Amore, guarda caso quello che ha fatto i lavori nell’aula e che ha fatto anche la ristrutturazione a casa di Pomarici”.
Le richieste di Bianconi però per settimane cadono nel vuoto. E i rapporti degenerano rapidamente perchè le elezioni si avvicinano e i fondi per la campagna elettorale scarseggiano.
Bianconi arriva a minacciare di morte Gramazio e i suoi familiari.
Il 15 aprile 2013 durante una telefonata all’una di notte Bianconi accusa Gramazio e Alemanno “di essere mafiosi e tangentari e che lui voleva i soldi che gli spettavano”, annotano gli investigatori.
“La telefonata proseguiva con una serie di insulti reciproci”.
Alle otto del mattino successivo Bianconi manda un sms a Gramazio e rispunta Pomarici: “Racconta di quando smazzettavi i soldi di Parnasi con Cantiani Quarzo e Tredicine (consiglieri comunali, ndr) Ladro. Oppure quando hai coperto Pomarici sulla ristrutturazione dell’aula… Fabrizio Amore… ladri”.
Da qui sono partite le verifiche da parte del Ros che hanno portato ai riscontri sui lavori effettuati nell’abitazione di Pomarici.
Contattato dal Fatto, l’esponente romano del Carroccio nega categoricamente: “I lavori a casa li ho fatti nel 2008 e li ho pagati con soldi miei, della mia famiglia, con mia moglie”. Io, insiste, “non ho la più pallida idea del perchè mi tirino in mezzo”. Ancora: “Siamo pronti a far partire le querele e comunque a me sembra fuori dal mondo come riferimento”.
Ma l’azienda che le ha fatto i lavori a casa è stata l’azienda di Fabrizio Amore? “No, no, no… assolutamente no: ho tutte le carte che possono testimoniare il contrario, se qualcuno pensa sia così denunci il fatto e poi vedremo e lo dico con grandissima serenità ”.
E delle sue cene e dei suoi manifesti elettorali di cui parla Bianconi? Amore ha finanziato la sua campagna elettorale? “Guardi, io ho tutti i riscontri delle spese sostenute, tutte le ricevute, non ho alcun problema”.
Pomarici non figura tra gli indagati nell’inchiesta Mafia Capitale a differenza di altri consiglieri citati da Bianconi nella telefonata come Alessandro Cochi.
Ma gli inquirenti confermano di aver trovato riscontri sui lavori effettuati nella sua abitazione.
Non sarebbe di certo un bell’esordio per la Lega di Salvini a Roma.
Il leader del Carroccio cerca in ogni modo di offrire un’immagine pulita al movimento, dopo gli scandali delle lauree in Albania e dei diamanti in Tanzania, ma i fatti riporterebbero alla memoria i vizi della Padania che gridava “Roma Ladrona” e poi con i fondi del partito ristrutturava la casa di Umberto Bossi.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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