Dicembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
SMENTITE LE PROMESSE: 308 MILA POSTI DI LAVORO STIMATI DALLA BOCCONI, 190 MILA PER LA CAMERA DI COMMERCIO, 70 MILA SECONDO GLI ORGANIZZATORI
Le promesse erano mirabolanti. Le previsioni sbalorditive. Le proiezioni stupefacenti. Expo doveva portare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro.
Doveva essere la benzina per far ripartire Milano, anzi l’Italia.
Ora, a quattro mesi dall’apertura dell’esposizione, la Cgil fa i conti e le promesse crollano, le previsioni vengono smentite, le proiezioni si mostrano per quello che sono: propaganda.
Sono solo 4 mila i posti di lavoro prodotti da Expo.
Il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina a luglio aveva annunciato: “L’Expo 2015 sarà sicuramente un’occasione per creare nuovi posti di lavoro, perchè per sei mesi avremo il mondo intero a discutere in Italia di agroalimentare”.
Sì, ma tutto questo discutere quanti occupati in più produrrà ?
La grancassa aveva cominciato a battere già nel 2007, non appena Milano si era presentata alla gara, a Parigi, per ottenere l’esposizione.
Nel dossier di candidatura erano segnati due numeri: 240 mila, i nuovi posti di lavoro stabili; e 70 mila, quelli a termine per realizzare e gestire l’evento.
L’università Bocconi era riuscita a fare perfino di più: uno studio del suo Centro di economia regionale dei trasporti e del turismo, coordinato dal professor Lanfranco Senn, nel novembre 2010 era arrivato a stimare che i nuovi posti di lavoro sarebbero stati 308 mila. È il record. Poi si va a scendere.
Un dossier della Camera di commercio di Milano aggiusta un po’ il tiro e scrive: “Con l’esposizione universale si stimano dal 2012 al 2020 in 190 mila le unità di lavoro aggiuntive impegnate per Expo, di cui oltre 100 mila a Milano”.
Le previsioni della società Expo spa nel 2012 erano poi scese a 70 mila.
Adesso la Camera del lavoro milanese della Cgil ha elaborato i dati dell’osservatorio provinciale sull’occupazione ed è arrivata a una cifra che fa impallidire tutte quelle sparate finora: 4.185.
“A fine ottobre le aziende che hanno avviato assunzioni finalizzate espressamente all’Expo”, spiega Graziano Gorla, il segretario della Camera del lavoro, “sono 1.733, per un totale di 4.185 lavoratori. Solo 700 in più rispetto al maggio scorso, quando erano 3.400. Di questo passo, non arriveremo neanche alle assunzioni stimate da noi della Cgil”.
Erano 20.000, quelle previste dal sindacato in risposta alle 70.000 sparate da Expo.
Nel maggio scorso, a un anno dall’apertura dell’esposizione, il sindacato le aveva ridimensionate a 9.000.
“Ora credo che non arriveremo neppure a questa cifra”, conclude Gorla.
L’Expo si sgonfia, nel quadro di un mercato del lavoro preoccupante. Milano ha raggiunto un tasso di disoccupazione dell’8,2 per cento, aggiungendo un punto in più in soli sette mesi.
Ha accorciato le distanze dal dato nazionale, che è il 14 per cento: “È una cosa mai successa nella storia di Milano e della Lombardia, dove la disoccupazione è sempre stata un terzo di quella nazionale”.
Ed Expo non riesce a invertire la tendenza. Porta pochi posti di lavoro e poco qualificati: “Sono per lo più provvisori e a termine”.
Con un basso livello di specializzazione: manovali, camerieri, addetti alla pulizie, magazzinieri, parrucchieri, telefonisti, addetti di call center.
Dei 4.185 avviamenti al lavoro attribuibili all’esposizione, il 24 per cento sono nel settore edile: mille contratti che per definizione termineranno con la fine dei lavori, dunque entro il maggio 2015 quando Expo aprirà i cancelli.
Il 42 per cento degli avviamenti sono con contratti a tempo determinato, il 17 sono collaborazioni, il 4,8 contratti di apprendistato, il 4,6 sono lavoro intermittente e il 3,2 tirocini. Solo il 28,8 sono contratti a tempo indeterminato.
Ma attenzione, segnala Gorla, è un tempo indeterminato che indeterminato non è: “Questa tipologia di contratto è normalmente usata in edilizia, ma accompagna la realizzazione del cantiere e dunque si conclude al termine dei lavori”.
C’erano stati segnali di ripresa dell’occupazione dopo la pausa estiva, ora però sembrano esauriti. “Continua un forte incremento della cassa integrazione guadagni”, dice Gorla, “che ha ormai superato i 10 milioni di ore. E adesso a questo segnale negativo si aggiunge anche l’improvviso declino degli avviamenti al lavoro e del numero delle aziende attive sul mercato”.
Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
CORTOCIRCUITO TRA I TEMPI DELLA RIFORMA DELRIO E IL TAGLIO DI UN MILIARDO DEI FONDI STATALI… E I NUOVI COMPITI NON SONO ANCORA STATI RIPARTITI TRA LE VARIE AMMINISTRAZIONI
Ventimila colletti bianchi in cerca di ufficio. E’ la paradossale conseguenza di quello che Alessandro Pastacci, presidente dell’Unione delle Province italiane, definisce «lo sfasamento dei tempi tra l’applicazione della legge Del Rio e la necessità di fare cassa del ministero dell’Economia».
Risultato: lo Stato chiede già dal primo gennaio alle Province di tagliare un miliardo dalle loro uscite, l’equivalente degli stipendi dei 20.000 dipendenti che dovrebbero passare alle Regioni.
Mentre le stesse 15 Regioni a statuto ordinario non li hanno ancora assunti. E non li assumeranno per molto tempo perchè per farlo devono concordare con i Comuni la divisione dell’esercito degli impiegati in fuga dalle Provincie in via di progressivo smantellamento.
Il pasticcio è aggravato dal fatto che ormai da tempo lo Stato non trasferisce più fondi alle amministrazioni provinciali.
La conseguenza è che nel 2015 saranno le stesse Province a mettere mano al portafoglio versando nelle casse di Roma il miliardo corrispondente al monte stipendi dei 20 mila impiegati.
«Fino a quando non saranno trasferite le competenze alle Regioni, quei dipendenti continueranno a lavorare per i nostri uffici. Non si possono abolire i servizi ai cittadini solo perchè non sono ancora stati trasferiti», aggiunge Pastacci.
Tra gli impiegati provinciali in attesa di un destino ci sono, ad esempio, i 6.000 dipendenti dei centri per l’impiego e il fatto in sè è già abbastanza paradossale. Diventa assurdo se si aggiunge che ai 6.000 bisogna aggiungere un altro migliaio di precari utilizzati negli stessi uffici: in Italia ci sono infatti 1.000 precari occupati nei centri per l’impiego.
Mercoledì si svolgerà a Roma una riunione del coordinamento per l’applicazione della legge Del Rio e in quella occasione i nodi sembrano destinati ad arrivare al pettine.
Il 1 gennaio si avvicina e senza proroghe il caos è assicurato.
«La legge Del Rio aveva stabilito tappe precise», ricorda Pastacci.
Il provvedimento, frettolosamente catalogato come «cancella-Province», aveva stabilito che alcune materie sarebbero in realtà rimaste alle amministrazioni provinciali e alle dieci nuove città metropolitcane.
In sostanza strade, scuole e difesa del territorio continueranno ad essere curati dalle Province nella nuova versione: non più amministrazioni elette dai cittadini ma enti i cui vertici sono eletti dai consiglieri comunali del territorio.
Tutte le altre materie dovranno invece passare, insieme ai dipendenti, alle Regioni o ai Comuni.
Si tratta di capitoli importanti come la formazione professionale, le agenzie per trovare lavoro ai disoccupati, alcune competenze nei settori del turismo, della cultura, dell’agricoltura.
Entro fine anno, stando al progetto Del Rio, Regioni e Comuni avrebbero dovuto decidere come dividersi quelle materie e gli impiegati corrispondenti.
Secondo i calcoli resi noti a inizio settembre dal governo, degli oltre 47 mila attuali dipendenti delle amministrazioni provinciali, 27 mila (13.500 nelle Province e altrettanti nelle dieci città metropolitane) dovrebbero rimanere nei loro attuali uffici mentre i rimanenti ventimila dovrebbero migrare nelle altre amministrazioni locali.
Al trasferimento dei dipendenti corrisponderebbe il trasferimento delle funzioni alle Regioni. Ma
ultime resistono. «Uno dei paradossi — dicono all’Unione delle Province — è che in questo modo tornerebbero alle Regioni molte funzioni decentrate alle stesse Province negli ultimi quindici anni in base alle leggi Bassanini».
Un movimento di andata e ritorno che ha consentito alle Regioni di diminuire progressivamente i trasferimenti in denaro alle Province, erogati per ripagarle dei nuovi incarichi assunti.
Così oggi che quelle funzioni devono tornare al punto di partenza ci arrivano accompagnate da scarsissime risorse finanziarie: un boomerang per le amministrazioni regionali.
La coperta è corta. Se le Province saranno costrette a mantenere le funzioni che dovrebbero essere trasferite alle Regioni ma saranno obbligate a versare allo stato il miliardo del monte stipendi degli impiegati che garantiscono quelle funzioni, finiranno per trovarsi nell’incredibile condizione di dover pagare due volte i dipendenti considerati in eccesso.
Sarebbe il disastro finanziario.
Monica Giuliano, presidente delle Province liguri, sbotta: «Il taglio previsto dalla legge di stabilità è insostenibile. Se vogliono farci morire di asfissia finanziaria lo dicano chiaramente. Dal primo gennaio porteremo le nostre fasce tricolore al prefetto. Sarà lui a dover decidere se chiudere le strade provinciali, spegnere il riscaldamento nelle scuole, lasciare la neve sulle strade».
In questo quadro da ultima spiaggia c’è chi ascolta l’orchestrina, come accadde sul Titanic.
Accade in Toscana, a Siena, dove la Provincia annuncia con decreto l’assunzione di 8 nuove fiugure, quattro dirigenti e quattro membri di staff. «Una decisione paradossale — attaccano i sindacati — una decisione presa in solitudine mentre i dipendenti delle Province vivono un momento di incertezza totale sul loro futuro».
Paolo Griseri
(da “la Repubblica”)
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Dicembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
ALL’EVENTO “SENZA IDENTITA’ NON C’E’ FUTURO” NESSUNO DEI “DOCENTI” FA RIFERIMENTO ALL’EX GOVERNATORE DELLA PUGLIA
Tutti in cattedra, tutti tranne Raffaele Fitto.
Per Forza Italia sarà un po’ come tornare a scuola per ripetere l’anno dopo una sonora bocciatura. Come quella rimediata alle ultime regionali, una vera e propria dèbacle per il partito di Silvio Berlusconi.
Solo che scorrendo l’elenco dei “professori” del primo ciclo di formazione politica, dal titolo “Senza identità non c’è futuro”, si scopre che neppure uno fa riferimento all’area dell’ex governatore della Puglia.
Così l’iniziativa, che si terrà a Roma l’11 dicembre nella sede del partito a piazza San Lorenzo in Lucina, prima che un’occasione per rimettersi a studiare e rifondare la classe dirigente del partito, è già diventata una nuova causa di scontro tra i vertici berlusconiani e i fedelissimi del dissidente Fitto.
BERLUSCONIANI IN CATTEDRA
L’operazione didattica organizzata da Forza Italia, con in testa la coordinatrice nazionale azzurra Annagrazia Calabria, riflette con chiarezza le divisioni che agitano il partito. Relatori tecnici a parte (il giornalista e scrittore Andrea Camaiora, vecchia conoscenza dei giovani azzurri e autore del libro “Il brutto anatroccolo. Moderati: senza identità non c’è futuro”; il direttore de Il Foglio Giuliano Ferrara e il caporedattore de “Il Giornale” Vittorio Macioce), nessuna delle lezioni in programma, cui dovrebbero prendere parte una settantina di studenti, sarà tenuta da “docenti” di fede fittiana.
“Una motivazione c’è, è chiaro”, sorride ironico il berlusconiano Osvaldo Napoli. Insieme alla stessa Calabria, a salire in cattedra ci sarà anche l’ex ministro Mara Carfagna.
L’ex zarina di Fi, dopo una parentesi fra le truppe di Raffaele Fitto, è tornata a riabbracciare la causa berlusconiana conquistando la guida del dipartimento “Libertà Civili e Diritti umani”: i maligni sussurrano che la scelta è legata a logiche locali in vista delle regionali in Campania, dove non è certo un mistero il rapporto stretto che la lega all’attuale governatore Stefano Caldoro.
Completano l’elenco dei docenti, il capogruppo di Forza Italia al Senato, Paolo Romani, il presidente dei deputati azzurri, Renato Brunetta, e l’ex ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini.
LEZIONI INFUOCATE
Insomma, berlusconiani pigliatutto, anche se gli organizzatori fanno sapere che seguiranno altre quattro lezioni e ci sarà tempo e spazio per i fittiani.
Che però sostengono di non saperne nulla.
«Dipenderà dal fatto che siamo gli eretici di Forza Italia», commenta per nulla sorpreso dall’esclusione il toscano Maurizio Bianconi.
Quanto all’appuntamento dell’11 dicembre, a tutti i relatori è arrivata la stessa raccomandazione: in aula dovranno tenere vere lezioni su temi di propria scelta e non comizi politici.
Prudenza, insomma, perchè Fi somiglia sempre più ad un campo minato dove polemiche e vecchi rancori possono riaccendersi per un nonnulla e in qualunque momento.
Ferrara e Brunetta, per esempio, sono stati protagonisti di una infuocata querelle consumatasi sulle pagine de Il Foglio, una polemica tracimata in uno scambio di insulti a causa del famigerato Patto del Nazareno.
Così, per evitare ulteriori conflitti e pubbliche polemiche, gli organizzatori hanno accuratamente evitato incontri ravvicinati fissando al mattino (alle 12) l’intervento del giornalista e al pomeriggio (alle 14.50) quello di Brunetta.
FUORI DAI DENTI
Resta, ovviamente, l’obiettivo del corso: aiutare la rifondazione di Forza Italia. Anche se Berlusconi sembra credere che il futuro poggia su “dieci milioni di anziani da convincere” magari a colpi di dentiere e cataratte gratis, gli organizzatori del ciclo di formazione sono invece sempre più convinti che lo fortune del partito dipendano dai giovani.
Tutti i giovani, esclusi naturalmente quelli che tifano per Fitto.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
ORA PURE MOODY’S E FICHT DOVREBBERO ALLINEARE IL RATING SUL SUL NOSTRO DEBITO A QUELLO DI S&P
Ora gli altri dovrebbero seguire. Fonti finanziarie londinesi danno per scontato che — dopo il declassamento del nostro rating da parte di Standard & Poor’s a BBB-, un passo dal livello dei titoli spazzatura — anche le altre due più grandi agenzie seguiranno: Moody’s abbastanza automaticamente, mentre Ficht facendo più resistenza.
Quando sarà successo, però, il nostro paese sarà esposto, nel senso che agli investitori — specie quelli speculativi — sarà stato indicato con chiarezza con chi prendersela in caso dell’arrivo di una tempesta sui mercati finanziari.
La tesi delle agenzie di rating è peraltro molto semplice: se continua — come sembra abbastanza scontato — questo stillicidio di bassa crescita e bassa inflazione, il cospicuo debito pubblico italiano diventa insostenibile.
Da questo punto di vista poco importa avere o meno il Jobs Act o il bonus di 80 euro e nemmeno di tagliare ancora la spesa pubblica (operazione che peraltro ha effetti recessivi).
Conta molto, invece, la sostanziale immobilità dell’Europa, bloccata dal veto tedesco nella realizzazione di politiche espansive tanto fiscali che monetarie: le ultime timide parole del governatore della Bce, Mario Draghi, non hanno di certo rasserenato la situazione.
Dal punto di vista degli effetti, peraltro, non è affatto importante che Standard & Poor’s o le altre agenzie di rating abbiano ragione (o siano in buonafede, cosa che i precedenti potrebbero a buona ragione mettere in dubbio) sulla sostenibilità del debito italiano, conta solo qual è il clima che creano sui famosi mercati: vale a dire decisamente pessimo per noi.
La cosa straordinaria è che — se questa è la situazione riassunta al Fatto Quotidiano da fonti qualificate del mondo finanziario londinese — il governo di Matteo Renzi non abbia pensato di dire nemmeno una parola sull’argomento.
Ad oggi solo una velina fatta filtrare alle agenzie: “Non è una bocciatura del Jobs Act, ci dicono che le riforme vanno bene, ma che bisogna andare più veloci”, che ci sono “elementi buoni nelle riforme ma non tali da compensare il debito e risvegliare a breve l’economia”.
Nemmeno tutto va bene, madama la marchesa, ma un più astratto ora va male, ma vedrete che andrà tutto bene.
Al Tesoro, informalmente, aspettano e sperano che Draghi vinca le resistenze — sempre più palesi e forti — dei tedeschi e faccia almeno in modo che la Bce eviti un ritorno dello spread in territori pericolosi (oggi il rendimento che i titoli di Stato italiano pagano agli investitori è ai minimi storici: Renzi se ne vanta continuamente, come se fosse merito suo).
Anche Pier Carlo Padoan, che pure conosce la gravità della situazione, non si aspetta molto infatti dai partner europei: il prossimo Consiglio del 18-19 dicembre, per dire, sarà l’ultimo del semestre di presidenza italiana e certificherà che Renzi non ha ottenuto nulla.
Nessuna battaglia politica per un’Eurozona più solidale — in cui i paesi avvantaggiati dall’unione monetaria concorrono a sanare gli squilibri regionali — è stata intrapresa durante questi sei mesi, nè si è messo sul tavolo il tabù dell’indipendenza della Banca centrale dalla politica (vale a dire la fondamentale connessione tra processi di riforma, politiche monetarie e fiscali).
Renzi ha ottenuto uno sconticino sulla manovra d’autunno — cioè il rinvio del pareggio di bilancio di un paio d’anni — e s’è accontentato.
In realtà non si tratta nemmeno d’un risultato che possa essere già dato per acquisito definitivamente: intanto si tratta sostanzialmente di un rinvio solo fino a marzo del redde rationem e in secondo luogo martedì, all’Eurogruppo, rischia di coagularsi l’ostilità di quei paesi che non hanno gradito il “favore” fatto a Italia, Francia e Belgio (compresi quelli devastati dalla Troika negli anni scorsi).
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
LA SUA INVASIVA PRESENZA ALL’INTERNO DELLE ISTITUZIONI ROMANE
I soldi delle tangenti venivano nascosti in Svizzera oppure su conti correnti intestati a parenti e amici.
Fedeli prestanome disposti a «coprire» il malaffare dei politici locali e nazionali che – secondo i magistrati romani – si erano messi al servizio dell’organizzazione guidata da Massimo Carminati e dal suo socio Salvatore Buzzi.
Era lui a gestire la «rete» all’interno della pubblica amministrazione. Aveva referenti ovunque. Si vantava di poter trovare anche la sponsorizzazione di Goffredo Bettini, europarlamentare del Pd e gran tessitore del partito a Roma.
Le carte processuali svelano quanto invasiva fosse ormai la sua presenza all’interno delle istituzioni capitoline.
E gli scontri nel centrodestra per spartirsi la «torta» con la minaccia di un consigliere contro l’allora sindaco Gianni Alemanno, ora indagato per associazione mafiosa: «È un tangentaro, io ve faccio arresta’ tutti».
Bettini sponsor
Il 17 marzo scorso Buzzi valuta con Luca Odevaine – anche lui ora in carcere – la possibilità di ottenere appalti all’interno del Centro per i rifugiati di Mineo, in Sicilia. Quello stesso giorno deve incontrare Gianni Letta proprio per affrontare la questione relativa ai centri per immigrati e vuole consigli
Buzzi: «Che gli chiedo a Letta?».
Odevaine: «Secondo me a Letta je se potrebbe parla’ de quell’altra questione, quella della Regione Lazio».
Buzzi: «Ma lì servono, non è alla nostra portata, capito qual è il problema! A noi ce manda Goffredo con una precisa indicazione. (Annotano i carabinieri del Ros: “Si tratta di Goffredo Bettini” e poi allegano l’intera biografia)».
Odevaine: «No certo, alla portata nostra… mi hanno chiesto pure questi de “La Cascina” però non è che noi, la potremo fare con un partner».
La banca
Ci sono svariati «spalloni» al servizio di Carminati ma il viaggio documentato nella primavera scorsa potrebbe essere servito a trasportare in un istituto elvetico i soldi delle tangenti.
Lo spiegano gli specialisti dell’Arma quando evidenziano come «nel corso degli accertamenti è emerso che alcuni sodali si recheranno in Svizzera per pianificare le successive attività di riciclaggio degli illeciti cespiti» e danno conto delle verifiche effettuate sul commercialista Stefano Bravo, uno degli indagati, che al telefono svela i suoi programmi.
Si tratta, sottolineano i carabinieri, di una trasferta «per il 10 aprile a Milano, città di transito verso la destinazione finale in territorio elvetico, finalizzata al compimento di operazioni bancarie di significativo interesse per l’indagine».
Scatta il pedinamento e viene individuata la banca dove sarebbe stata portata parte dei soldi.
Passo fondamentale per chiedere la collaborazione delle autorità locali e accedere alla movimentazione.
La mamma di Odevaine
I proventi illeciti che sarebbero stati percepiti da Odevaine sono stati invece rintracciati.
Il politico del Pd ha investito parte del suo patrimonio in Venezuela, ma per nascondere il denaro in Italia si è servito dei conti di madre e figli, tanto che alla fine neanche lui sapeva bene dove fossero finiti.
In una telefonata intercettata il 14 marzo 2014 dà disposizioni al commercialista Marco Bruera: «Intanto a mia madre gli facciamo le ritenute, 3.200 a Maribelita, ce l’hai l’Iban?, 800 per cui gli fai una roba di rimborso spese poi dopo quando c’abbiamo la scheda carburante. Qui metti un trasferimento di fondi… L’iban di mia madre ce l’hai?».
Scattano i controlli e si scopre che l’anziana signora gestisce svariati conti. Non è l’unica.
Quattro giorni dopo, sempre parlando con il professionista, Odevaine dice: «È un casino per me capito? Perchè io c’ho conti che uso io ma che sono di mia figlia, di mio figlio, Alessandra, Maribelita».
Scrivono i carabinieri: «Con la complicità di alcuni collaboratori Odevaine organizzava operazioni finanziarie che transitavano su conti intestati ai suoi congiunti con la finalità di occultare le dazioni in suo favore».
«A Ozzimo 2 milioni»
Il 23 gennaio 2014 c’è una riunione negli uffici di Buzzi alla quale partecipa anche Carminati. Si fa un bilancio delle attività e Buzzi afferma: «Ieri sono stato da Marini che m’ha stampato le delibere dei 7 milioni e 2 al Comune di Roma. Bisogna anda’ da Ozzimo, io c’ho preso appuntamento per mercoledì perchè dovremmo fa’ un progettino quindi Ozzimo ce ne da 5, noi gliene avemo portati 7 lui ce guadagna 2 milioni».
Da pochi giorni è finito in carcere Luca Fegatelli, il direttore dell’Agenzia regionale per i beni confiscati. Buzzi lancia l’idea: «I beni passano a Ozzimo, stavamo a studia’ ieri un’ipotesi che lui vole fa… prende i beni della mafia, prenderli e mettece dentro gli immigrati». Ozzimo lo chiamano «il padrone».
«Rovino Alemanno»
I finanziamenti a pioggia che arrivano al centrodestra provocano un durissimo scontro tra Luca Gramazio e il consigliere comunale pdl Patrizio Bianconi che nel gennaio 2013 si lamenta perchè non gli arrivano i soldi per la campagna elettorale: «Io vado a San Vitale e a quel tangentaro di Alemanno gli rompo il culo… le gambe tendono ad andare verso la questura, sono state date tangenti a destra e a manca, l’unico pulito sono io e adesso mi sono rotto».
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
QUANDO MANCINI VIENE ARRESTATO LA PAURA DIVENTA OSSESSIONE: “SA COSE CHE NON DEVONO VENIRE FUORI”
C’è un segreto che ossessiona Massimo Carminati.
Che è ancora tale e fa intuire quanto possa ancora camminare l’inchiesta sul Mondo di Mezzo.
Ne è custode Riccardo Mancini (ora in carcere), che è stato, insieme, tasca di Alemanno e dello stesso Carminati. E la cui integrità è stata dunque sin qui affidata al suo “silenzio”, alla sua capacità di “tenesse er cecio ar culo”.
È “una cosa che non deve assolutamente uscire”, dice Carminati nel gennaio 2013, nei giorni in cui Mancini viene travolto dall’inchiesta sulla tangente per la fornitura di filobus della Breda.
Perchè porta dritto al cuore del Sistema di corruzione politica che tiene insieme l’amministrazione Alemanno, la società Eur spa (di cui Mancini è ad e che distribuisce appalti a Buzzi) e un misterioso “secondo livello”.
Che porta a un ignoto deputato di cui tutti, nel cerchio stretto di Carminati, sembrano conoscere l’identità , ma il cui nome non viene mai pronunciato o quantomeno intercettato dalle cimici del Ros dei carabinieri.
“SE LA FA SOTTO”
La faccenda è così seria che Carminati si muove fulmineo non appena – è il settembre del 2012 – Riccardo Mancini viene perquisito dal pm Paolo Ielo che indaga sulla tangente da 700mila euro che la Breda-Menarini (gruppo Finmeccanica) ha versato per la fornitura di 45 filobus al Comune di Roma.
“Er ciccione” può essere l’anello debole della catena. Dunque, va imbarcato. Ridotto a scimmietta che non sa, non vede, non parla.
Soprattutto, gli va messo accanto un avvocato che metta il naso nelle carte dell’inchiesta Breda e concordi con Carminati come difendersi, cosa dire e, soprattutto, cosa tacere.
L’avvocato di Mancini, Moneta Caglio (“Quello non capisce un cazzo “, sentenzia Carminati), viene dunque sostituito da Pierpaolo Dell’Anno (ora indagato).
Che, del resto, ha già dato ottima prova di sè difendendo qualche anno prima e “senza danni” Fabrizio Testa – altro uomo chiave di Carminati nei suoi traffici con la Politica – facendolo uscire dall’inchiesta Enav (anche quella condotta dal pm Paolo Ielo) con un patteggiamento che non ha messo in difficoltà nessuno.
Sembra che le cose debbano filare lisce. Dell’Anno concorda con Carminati le mosse difensive di Mancini e lo rassicura sulla circostanza che l’indagine Breda non andrà da nessuna parte.
Finchè – è il gennaio 2013 – non viene arrestato Francesco Ceraudo, l’ad di Breda. Carlo Pucci, braccio destro di Mancini in Eur spa, avvisa Carminati: “Quello (Mancini, ndr) se stà a cagà sotto”. E ne ottiene l’ennesimo invito alla calma: “Digli di stare tranquillo. Tanto io ho tutto sotto controllo. E se ci fosse qualcosa, prima di chiamare lui, chiamano me”.
DOVE SONO FINITI I SOLDI?
In realtà , Carminati non è tranquillo affatto. Anche perchè non comprende dove voglia andare a parare il lavoro di Ielo. Ne ragiona con il suo Mario “Marione” Corsi che, anzichè preoccuparsi del tifo radiofonico romanista (formalmente il suo mestiere), strologa di come mettere una pezza a una storia di tangenti.
“L’hanno fatta più piccola di quanto pensavo stà storia – sentenzia Corsi – È risolta, se non se bevono (arrestano, ndr) Mancini”.
E Carminati: “Penso vogliano danneggiare Alemanno “. Epperò qualcosa non gli torna: “Ma che Riccardo se và a sputtanà per 50, 70mila euro (la somma che ha ammesso con i pm di aver ricevuto da Breda, ndr)? “.
Soprattutto, che fine hanno fatto gli altri 650mila euro di tangente? I dubbi di Carminati lo tormentano due volte di più, perchè con Mancini ha un patto che prevede la “stecca para” (al 50 per cento) sulle tangenti.
E forse non sa o non ha la prova che Alemanno abbia rivendicato in una cena a casa di Lorenzo Cola, facilitatore di Finmeccanica, almeno 200mila euro di quella tangente di cui nulla aveva saputo. “Avranno fatto il solito giochino che fanno questi internamente. Me lo dice pure quel ragazzo di Finmeccanica “, conclude.
“SE PARLI DOVE TI NASCONDI?”
Tra gennaio e marzo 2013, le cose si mettono male. Pucci, ancora una volta, avvisa che il suo principale “nun ce stà più col cervello”. Può sbracare, insomma.
E quindi Carminati decide di passare alle maniere forti. A fine marzo, una settimana prima che Mancini venga arrestato – come racconterà Buzzi ignaro di essere ascoltato dalle cimici – decidono di minacciarlo fisicamente.
“Lo semo andati a pija’. Gliamo detto: “O stai zitto e sei riverito, o, se parli… non c’è posto in cui te poi andà a nasconde”. Giusto pè ricordaje com’è la vita”.
È un fatto che dopo l’arresto di Mancini, Carminati abbia una priorità . “Alemanno è un buffone – ragiona con i suoi – ma solo uno lo può fottere. Ed è Panzironi. L’importante, adesso è tirà fuori Riccardo (Mancini, ndr) “.
Cosa che avverrà qualche mese dopo, mettendogli a di- sposizione le garanzie ipotecarie su alcuni appartamenti che gli consentiranno di risarcire Breda con 80mila euro e guadagnare i domiciliari.
L’ONOREVOLE
Chi, al contrario, sembra certo di dove siano finiti i 650mila euro della tangente Breda, è ancora una volta Buzzi. Subito dopo l’arresto di Mancini fa in modo che in carcere sia trattato come si deve, e che questo lo aiuti a non crollare.
“Gli ho fatto trovare un po’ di calore e amicizia “. Quindi, aggiunge: “I soldi non se li è presi lui. L’ha dati a un deputato. Noi sappiamo a chi l’ha dati. Lo sa tutta Roma a chi l’ha dati”. Ma se si “terrà er cecio ar culo” – gli è stato spiegato – non solo conserverà intere le ossa, ma avrà una ricompensa: “Quando uscirà tornerà a cavallo. Tiene botta e poi va a bussà pure lui”.
Il silenzio di Mancini ha funzionato una volta. Ma “a cavallo” non è tornato. È di nuovo a Regina Coeli.
Resisterà ancora?
Carlo Bonini
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
CENTRO CITTA’ BLINDATO, MA LO SCHIERAMENTO DI AGENTI NON HA FERMATO LA PROTESTA PER IL DIRITTO ALLA CASA E AL LAVORO
Transenne divelte e lancio di oggetti: è altissima la tensione in piazza Scala, nel cuore di Milano, all’incrocio con via Case Rotte, davanti al teatro che sta per inaugurare la stagione.
Un centinaio di antagonisti hanno spostato le transenne che la polizia aveva messo a protezione della ‘zona rossa’: la polizia avanza per evitare che i centri sociali arrivino in piazza Duomo dove sta iniziando il Fidelio di Beethoven rivisto in chiave moderna. Per evitare problemi, gli ospiti più in vista della prima sono entrati da ingressi laterali.
Gli scontri in piazza.
Le fila dei manifestanti – che protestano per il diritto alla casa e il diritto al lavoro – si sono ingrossate col passare delle ore: all’inizio della manifestazione, infatti, erano una ventina i manifestanti, soprattutto dei Cantieri.
A loro si è aggiunto un gruppo di anarchici insurrezionalisti.
In via Santa Margherita un gruppo di antagonisti del centro sociale Cantiere ha tentato di sfondare il cordone di polizia per entrare in piazza della Scala, nella zona rossa, ed è stato respinto con due cariche e diverse manganellate.
Secondo gli antagonisti ci sono due feriti: “Ci hanno manganellato, due di noi sono stati colpiti alla testa”.
Uova e petardi contro gli agenti.
Gli antagonisti – tutti con il volto coperto e con caschi in testa – hanno risposto lanciando uova e petardi. I contestatori hanno scudi di polistirolo con scritto “que se vayan todos”, “fight the police” e “Renzi 71”.
Gli antagonisti protestano contro il governo, in rappresentanza del quale, alla prima, sarà presente il presidente del Senato Piero Grasso e il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, contro il Jobs act e contro gli sgomberi delle case popolari occupate abusivamente. “Siete tutti ladri e mafiosi”, “Case per tutti e povertà per nessuno”, “Casa, diritti e dignità . Fuori la casta dalla città “: sono alcuni dei cori gridati al megafono.
La protesta in cima al Duomo.
Due antagonisti sono saliti sulle terrazze del Duomo e hanno esposto lo striscione “Occupiamo tutte le case vuote, basta sgomberi”.
Nel frattempo, un altro piccolo gruppo di manifestanti ha dato vita a un blitz in Galleria Vittorio Emanuele: sono saliti sulle impalcature e hanno srotolato uno striscione con una scritta identica a quella fatta sventolare dalla sommità della cattedrale.
I Cub con Renzi e Berlusconi pupazzi.
In piazza Scala è in atto una protesta pacifica da parte dei Cub con i pupazzi del premier Matteo Renzi e del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, con il microfono a disposizione dei passanti.
Sono comparse anche due maschere di Silvio Berlusconi e del premier Matteo Renzi e due casette di legno con insegne con scritto ‘Case Aler’ e ‘Elettrodux’.
Molti anche gli striscioni della Confederazione unitaria di base. “Alla prima del Teatro alla Scala si affollano banchieri, potenti politici, nuovi eroi di Renzi (padroni del vapore, grandi evasori, bancarottieri)”, è scritto nel volantino distribuito dai manifestanti in piazza della Scala.
“Fuori dal teatro lavoratori, precari, disoccupati, cassaintegrati, immigrati che quotidianamente vengono sfrattati dalle case e dalle fabbriche e giovani in cerca di lavoro cui si promette lavoro solo se si tagliano i diritti ai loro padri”.
Il sovrintendente parla alla piazza.
In risposta a ciò che sta avvenendo in piazza, il sovrintendente Alexander Pereira ha detto: “La gente dovrebbe pensare che quando si fanno queste serate di gala in cui si guadagnano tanti soldi, questi verranno utilizzati nel sociale. Fanno del bene e non del male”. Pereira invita tutti a ricordare che la Scala è il secondo più importante brand dell’Italia nel mondo, dopo la Ferrari e prima di Armani.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
“IL PASSO INDIETRO DI GRILLO E’ NEI FATTI”… “VIA IL NOME DI GRILLO DAL SIMBOLO? POTREBBE ACCADERE”
Nessuna paura di eventuali scomuniche dal leader e dal guru. Figurarsi dal direttorio. La possibilità di ridiscutere le espulsioni. La fine della fase Grillo: per un MoVimento che ritrovi le ragioni delle origini.
Al suo Open Day Federico Pizzarotti mette in campo la propria idea sul futuro dei Cinque Stelle. E lo afferma in modo chiaro: “Non andrò via dal MoVimento, i nemici sono fuori”.
E l’obiettivo è evitare che il patrimonio di consenso messo da parte negli ultimi anni possa disperdersi, sgretolarsi, essere perso senza essere riuscito a rappresentare una delle leve del cambiamento del Paese. La deputata Giulia Sarti: “Togliere il nome di Grillo dal simbolo? Potrebbe accadere”.
L’appello all’unità .
“Noi siamo, siamo stati e dobbiamo essere la forza capace di cambiare questo Paese. Se ci facciamo mangiare da lotte intestine, dalle critiche del mio compagno di banco che non mi è simpatico, non andiamo da nessuna parte. Anche gli aggettivi, ‘talebano’ o ‘espulso’ vanno evitati”.
Così Pizzarotti cerca di mettere un freno alle polemiche interne che oramai scuotono quotidianamente il MoVimento. E il sindaco di Parma invita anche a ritrovare il contatto con i territori, con i cittadini. “Di leoni da tastiera ne abbiamo tanti”.
Le espulsioni.
Pizzarotti indica anche la strada per non far diventare ogni critica l’inizio di un processo pubblico: “Dobbiamo iniziare ad avere poche regole ma chiare, che condividiamo, dobbiamo metterci in discussione” anche richiamando “persone che sono state espulse, non posso pensare che li abbiamo persi”.
Poi la proposta per cambiare le regole: “Gli eletti siamo noi, possiamo cambiarle”.
Il direttorio e la nuova fase.
La nomina del direttorio, nella lettura di Pizzarotti, rappresenta proprio l’apertura di una fase in cui la centralità di Grillo si dissolve. “Mi sembra che la direzione di questi giorni sia già questa. Non dovete chiederlo a me, è già nei fatti perchè l’indicazione di queste cinque persone è indice del fatto che bisogna incominciare ad andare avanti con le nostre forze, con le nostre gambe e, io spero, con le idee di tutti”, dice il sindaco rispondendo ai giornalisti.
E proprio per quanto riguarda i rapporti con il direttorio, Pizzarotti annuncia di “aver sentito Luigi Di Maio: ha dimostrato di avere capacità di negoziatore, di sapere tenere l’Aula e un gruppo. Il mio giudizio su di lui è positivo”.
Il nome e il simbolo.
Ma prima della costruzione del futuro occore demistificare il presente. Facendo uscire il MoVimento dal cono d’ombra di Grillo, del suo blog e di Casaleggio.
Partendo dal simbolo, togliendo il nome di Grillo e l’indicazione del blog. “Potrebbe accadere in futuro” dice la deputata Giulia Sarti. Che aggiunge: “Certo, in futuro si dovrebbe discutere anche di questo. Deve essere non un tabù ma una cosa di cui si può e si deve parlare”.
Partendo dall’ipotesi di rivedere le espulsioni nel movimento, la parlamentare ha detto che per lei, al momento, non è possibile: “Ci doveva essere un’assemblea? Ma Beppe Grillo è proprietario del simbolo, se ritiene che sono state violate regole e ritiene che due persone non rispondono più ai principi può togliere il simbolo quando vuole”.
Origini e valori.
E poi guardare al proprio passato per riscoprire la forza delle origini. “L’auspicio è quello di riscoprire i valori da cui siamo partiti. Che erano sicuramente un pò meno scontrini e molto di più sui contenuti” dice Pizzarotti.
Valori che come corollario porterebbero la possibilità di “ridiscutere le espulsioni: c’è un concetto di regole più alto”.
Il malcontento.
E nonostante la fase di rilancio del MoVimento, in tanti, anche a Parma, considerano quasi impraticabile continuare a lavorare per il M5S.
Il deputato Christian Iannuzzi si dice pronto alle dimissioni da parlamentare: “Sento di non poter portare più avanti questo lavoro con un percorso così cambiato” ma, prima di farlo, “la strada è quella di consultare la base”.
Ancora: “valuterò sulla base di quello che mi diranno gli attivisti”, ha aggiunto, lamentando il fatto che sulla scelta del direttorio “non c’è stato alcun confronto e io ho espresso il mio dissenso”.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 7th, 2014 Riccardo Fucile
MARONI STANZIAVA E SALVINI AVALLAVA LA COSTRUZIONE DI NUOVI CAMPI NELLA CAPITALE… OGGI RACCONTANO LA BALLA CHE VOGLIONO CHIUDERLI
Francesco Maesano sulla Stampa rivela un interessante aspetto della vicenda dei campi nomadi della Capitale che vede coinvolta la Lega Nord, il partito più anti-nomadi che ci sia in Italia.
Mentre l’ex-sindaco di Roma Gianni Alemanno mente quando dice che non gli è stato possibile risolvere “l’emergenza nomadi” a Roma perchè la sinistra e le associazioni cattoliche si sono messe di traverso.
La colpa, se di colpa bisogna parlare, è del Governo: il Consiglio di Stato infatti ha giudicato incostituzionale il ricorso alla legge 225 del 1992 per dichiarare lo stato d’emergenza per la “questione nomadi”.
Oggi invece apprendiamo che Alemanno nel 2008 chiese e ottenne 30 milioni di euro per finanziare la costruzione di campi nomadi a Roma.
LEGA DI LOTTA E DI GOVERNO
Umberto Bossi, quando era al Governo assieme a Silvio Berlusconi, amava ripetere che la sua era una Lega di lotta e di Governo “con i piedi fuori e i pugni dentro”, un modo come un altro per far dimenticare alla base che stando a Roma i duri e puri non sempre facevano “gli interessi” del Nord.
Nel 2008, quando Gianni Alemanno divenne sindaco di Roma, al Governo c’era Berlusconi e il ministro dell’Interno era il leghista Roberto Maroni (ora presidente della Regione Lombardia).
Alemanno annuncia la sua “rivoluzione copernicana” per quanto riguarda la gestione dei campi nomadi e delle presenze dei rom nella Capitale: sgombero dei campi abusivi, “riduzione” della popolazione nomade residente da 7200 a 6000 persone.
Per risolvere il problema e dare una mano ad Alemanno il Governo emana il decreto “emergenza nomadi” che dà speciali poteri al prefetto della città di Roma.
Ma questo non basta al sindaco: Almemanno infatti chiede ed ottiene da Maroni un finanziamento di 30 milioni di euro per poter affrontare “l’emergenza”.
Secondo quanto apprendiamo dalla Stampa dieci milioni sarebbero stati destinati alla costruzione di un nuovo campo, gli altri 20 allo smantellamento e alla ristrutturazione degli altri insediamenti dei nomadi della Capitale.
Nel 2001 il sindaco di Roma sarebbe tornato alla carica e chiede al Ministro dell’Interno altri 60 milioni di euro, ma a quel punto Maroni nega il nuovo finanziamento, dicendo che quell’anno la stessa cifra era stata stanziata per fronteggiare “l’emergenza” in 5 regioni (Lazio, Campania, Lombardia, Piemonte e Veneto); di quei 60 milioni un terzo finirà in Lazio.
DOVE SONO FINITI I SOLDI ?
I soldi dati da Maroni ad Alemanno sono stati usati per alimentare il business milionario dell’accoglienza che sta mano a mano venendo alla luce in seguito alle inchieste su Mafia Capitale.
Insomma, la Lega guidava il ministero che avrebbe consentito il finanziamento di attività illecite.
Francesco Maesano cita l’esempio della “Best House Rom” un campo dove sono stati trasferiti i nomadi sgomberati dal campo La Cesarina e la cui gestione costa più di due milioni di euro all’anno.
Soldi che vanno anche alle cooperative che hanno vinto l’appalto per la gestione delle attività all’interno del campo.
LA LEGA SMEMORINA
Nel frattempo Matteo Salvini tuona contro gli sprechi e il malaffare che sta venendo a galla a Roma, annunciando anche che in caso di nuove elezioni amministrative la Lega presenterà un suo candidato sindaco.
E ora la Lega denuncia che c’era chi si arricchiva sui campi rom.
E come facevano a saperlo? Glieli davano loro.
Insomma, quando la Lega dava i soldi ad Alemanno per i campi nomadi stava solo raccogliendo materiale per una denunzia.
Giovanni Drogo
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