Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
TORNIAMO A ESSERE UNA NAZIONE DI EMIGRANTI: + 20,7% IN PIU’ NEL 2013… SEMPRE MENO STRANIERI ARRIVANO IN ITALIA: SE VA AVANTI COSI’ SALVINI SI TRASFERIRA’ ALL’ESTERO PER CACCIARE GLI ITALIANI
Italiani di nuovo emigranti e sempre più stranieri lasciano il Belpaese per tornare a casa: è questa la fotografia scattata dall’Istat che oggi ha diffuso i dati secondo cui mai così alto è stato il numero dei nostri connazionali in fuga negli ultimi dieci anni.
E c’è un aumento del 14% degli stranieri che se ne vanno dall’Italia.
L’Istituto di statistica rivela che circa 44 mila emigrazioni, sulle complessive 125mila registrate nel 2013, riguardano cittadini stranieri.
Il numero di cittadini stranieri che lasciano il nostro Paese è in aumento rispetto all’anno precedente (+14,2%), ma ancor più marcato è l’incremento dei nostri connazionali che decidono di trasferirsi in un Paese estero.
Di nuovo emigranti.
Il numero di emigrati italiani, continua l’istituto di ricerca, è pari a 82 mila unità (il più alto degli ultimi dieci anni) in crescita del 20,7% rispetto al 2012.
Tale incremento, insieme alla contrazione degli ingressi (pari a mille unità , 3,5% in meno del 2012) ha prodotto nel 2013 un saldo migratorio negativo per gli italiani pari a -54mila, quasi il 40% in più di quello del 2012 nel quale il saldo risultò pari a -38mila.
Le ‘nuove patrie’.
Gli italiani che scelgono un Paese straniero vanno soprattutto, spiega l’Istat, in Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia.
Nel loro insieme questi Paesi accolgono oltre la metà dei flussi in uscita. Le migrazioni da e per l’estero di cittadini italiani con più di 24 anni di età (pari a 20mila iscrizioni e 62mila cancellazioni) riguardano per oltre il 30% del totale individui in possesso di laurea. La meta preferita dei laureati è il Regno Unito.
Immigrazione in calo.
Complessivamente, secondo l’Istat, nel 2013 le immigrazioni dall’estero sono state 307mila, 43mila in meno rispetto all’anno precedente. Si tratta di un calo del 12,3%.
E il calo delle iscrizioni dall’estero è imputabile ai flussi che riguardano i cittadini stranieri, il cui numero scende da 321mila nel 2012 a 279mila nel 2013.
Cifre che evidenziano una minore attrazione degli stranieri verso il nostro Paese. Inoltre, si osserva anche una contrazione delle iscrizioni dall’estero di cittadini italiani che sono passati da 29mila a 28mila unità .
Rumeni i più numerosi.
Con 58mila ingressi la comunità più rappresentata tra gli immigrati è quella rumena, anche se rispetto al 2012 i romeni risultano in calo di 23mila unità (-29%).
Seguono poi la comunità marocchina (20mila), cinese (17mila) e ucraina (13mila).
In termini relativi, calano significativamente anche le iscrizioni di cittadini ecuadoriani (-37%), ivoriani (-34%), macedoni (-26%) e polacchi (-24%).
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
SIMULAZIONE UIL: GLI SGRAVI SU CINTRIBUTI E IRAP SONO MOLTO PIU’ ALTI DELL’INDENNIZZO CHE SI PUO’ DARE A CHI E’ ESPULSO: UNA MENSILITA’ E MEZZA
Cosa ci guadagna un’impresa ad assumere e licenziare nel giro di pochi mesi? Ora come ora, solo grane giudiziarie.
E il rischio di reintegrare e risarcire il lavoratore, se così decide il giudice.
Dal primo gennaio, belle cifre.
Per uno stipendio medio (22 mila euro lordi annui), dai 5 ai 16 mila euro, a seconda se si licenzia dopo uno o tre anni.
Ma si può arrivare anche a 6.600 euro dopo appena dodici mesi.
È l’effetto matematico e paradossale degli sconti su Irap e contributi previdenziali inseriti nella legge di Stabilità , da una parte.
E degli indennizzi previsti dal Jobs Act per il nuovo contratto a tutele crescenti, dall’altra. Gli incentivi sono assai cospicui, mentre l’esborso dovuto in caso di licenziamento illegittimo — ora che l’articolo 18 di fatto non esiste più — è davvero risibile.
Una mensilità e mezzo per anno lavorato, secondo l’ipotesi più accreditata (ma le associazioni imprenditoriali puntano a meno).
Così, visto che il lavoro oramai ha un prezzo, al datore conviene davvero il contratto nuovo. Più che le tutele, a crescere sarà solo il suo conto in banca.
Si dirà , è un’ipotesi di scuola. Se prendo un lavoratore e lo tengo tre anni, perchè licenziarlo?
Per lo stesso motivo per cui ora i contratti a termine durano pochi mesi. Porte girevoli.
La crisi è tutta qui. Lo sconto Irap (deducibilità del costo del lavoro) è permanente. Quello sui contributi previdenziali per i neoassunti (con un tetto a 8.060 euro annuo) vale fino al 2017.
Entrambi non hanno vincoli. Nè alla stabilizzazione del lavoratore, nè a creare posti aggiuntivi.
Tantomeno prevedono riserve, ad esempio ad aziende meritevoli che investono in ricerca o che non hanno licenziato nel recente passato (la sinistra dem diceva di voler inserire paletti alla Camera, non è stato fatto).
Dunque perchè rinunciare ai soldi pubblici dati a tutti, se poi licenziando anche in modo illegittimo si deve sborsare appena una mensilità e mezza per anno lavorato?
Viva il contratto a tutele crescenti, dunque.
Il saldo a favore delle imprese, calcolato per diversi livelli di reddito dal Servizio politiche territoriali della Uil, lascia sgomenti.
Dopo un solo anno, si possono intascare oltre 6 mila euro.
Dopo tre anni, quasi 19 mila. Il massimo al Sud, perchè lo sconto Irap è più generoso, grazie alla norma Monti.
A proposito di Sud, i fondi per coprire il bonus contributivo sui neoassunti (3 miliardi e mezzo nel triennio) sono stati scippati dal Piano azione e coesione creato dall’ex ministro Barca.
Fondi europei, dunque. E fondi destinati proprio al Sud, ora spalmati su tutta Italia (con presumibile maggiore beneficio al Nord, laddove si assumerà di più). Il paradosso nel paradosso.
Impossibile che gli imprenditori italiani non facciano questi calcoli.
Nel giro di tre settimane,quando il primo decreto delegato del Jobs Act sarà ormai messo a punto, il quadro emergerà ancora più nitido. Il decreto dirà , finalmente, come funziona il contratto a tutele crescenti.
E cioè che a crescere sarà solo l’indennizzo, visto che di riavere il posto dopo il licenziamento benchè illegittimo neanche a parlarne (spetta solo se c’è discriminazione e in selezionatissimi casi disciplinari).
Ma come crescerà , l’indennizzo? Una mensilità e mezzo per anno lavorato è davvero poco.
La legge Fornero ora in vigore prevede fino a 12 mensilità , a prescindere dall’anzianità , e il reintegro: entrambi decisi dal giudice al termine della causa di lavoro.
Per le aziende sotto i 15 dipendenti il reintegro non c’è ed è sempre il giudice a decidere un risarcimento tra le 6 e le 12 mensilità .
In tutti e due i casi, una situazione certo migliore, specie per i precari con poca anzianità , di quanto si profila con il Jobs Act.
Qualcosa davvero non funziona.
Valentina Conte
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
DENUNCE AUMENTATE DEL 200%, I NUMERI DEL FENOMENO SONO IMPRESSIONANTI
Il ceto medio è sotto usura. Impiegati, liberi professionisti, ma anche pensionati: la crisi morde e a rivolgersi agli strozzini non sono più solo gli imprenditori o i giocatori d’azzardo.
Negli ultimi cinque anni il 52 per cento dei soggetti che si sono rivolti agli ambulatori della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura (Fai) dislocati sul territorio nazionale sono persone con un reddito fisso, le famiglie della porta accanto.
Un fenomeno in crescita specie al Nord, terra di conquista delle mafie.
“Quando è arrivata la crisi – spiega il coordinatore della Fai, Luigi Ciatti – il sistema di assistenza non si è fatto trovare pronto. E ancora oggi su 33 associazioni iscritte negli elenchi del ministero dell’Economia e deputate a gestire i fondi di prevenzione, solo sei agiscono dalla Toscana in su”.
I dati più recenti del Viminale, relativi al 2013, sono eloquenti.
In Emilia Romagna i reati di usura sono aumentati del 219 per cento (schizzando dai 21 del 2011 ai 67 nel 2013, con 31 denunce e 43 vittime accertate).
Stesso discorso per la Lombardia, dove imperversa la criminalità organizzata e il numero delle denunce è cresciuto del 54 per cento (da 48 nel 2011 a 74 nel 2013 ).
Allarme rosso anche nel Lazio: lì gli arresti nell’ultimo anno sono incrementati di oltre il 20 per cento rispetto al biennio precedente.
A livello generale, in Italia il fenomeno si è espanso e i reati riscontrati dalle forze dell’ordine sono cresciuti del 30 per cento (da 352 del 2011 ai 450 del 2013).
Numeri che fotografano purtroppo solo la punta dell’iceberg, visto che, come è comprensibile, solo una minoranza tra le vittime trova il coraggio di denunciare i propri carnefici. Inoltre sono sempre di più le donne che rischiano di soffocare nelle spire degli strozzini.
Nel Lazio il numero è addirittura superiore a quello degli uomini: 617 contro 598 nel 2013.
Le cause dell’ingigantirsi del fenomeno sono molteplici.
“La più preoccupante – rileva il presidente della Fai Tano Grasso – è legata all’indebitamento tramite finanziarie. Si rivolgono ai nostri sportelli centinaia di impiegati in giacca e cravatta e con buoni stipendi, costretti a vivere con 200 euro al mese. Il meccanismo è il seguente: molti stipulano due o più contratti di finanziamento per cifre esigue ma con tassi di interesse anche oltre il 10 per cento. Ogni società al momento della firma non controlla se il soggetto abbia già altri finanziamenti in essere, perchè in caso di insolvenza potrà avvalersi sul Tfr”.
Così sono arrivati gli usurai nel pubblico impiego.
“Nell’ultimo anno – chiarisce Grasso – sto seguendo due procedimenti contro altrettanti caposala degli ospedali di Napoli che subodorando il business si sono improvvisati strozzini.
“Prestano” i soldi ai colleghi in difficoltà economica a causa delle finanziarie. Applicano tassi di interesse almeno del 10 per cento mensile, in un anno esigono il doppio del prestito iniziale. In un caso è stato documentato lo scambio di denaro nel reparto di pediatria, vi rende conto?”. Il numero dei sovraindebitati è cresciuto in maniera talmente massiccia da creare un nuovo prototipo di malvivente: l’impiegato-usuraio.
Dal fenomeno non sono immuni neppure le imprese, storicamente i soggetti più esposti. Confcommercio fa sapere che, nel settore, dal 2008 al 2013 l’usura è cresciuta del 30 per cento e le estorsioni del 22 per cento.
L’8 per cento delle imprese è minacciata da gruppi criminali e il 35 per cento di queste ha subito danni alle attività . Mario (il nome è di fantasia) rientra invece in quel 7 per cento di imprenditori che ha subito violenze fisiche oltre a quelle psicologiche.
“Un pomeriggio – racconta l’uomo – un pugile professionista legato al clan dei Casalesi è entrato nella mia videoteca alla borgata Finocchio di Roma (periferia est di Roma) e mi ha pestato a sangue. L’attività andava male, avevo contratto 100mila euro di debiti con le banche. Per rientrare dello scoperto ho chiesto soldi a cinque usurai diversi. Nel 2010 però ho deciso di denunciare tutto alla Guardia di Finanza”.
Dopo mesi di indagini i militari hanno arrestato gli esponenti della ‘ndrangheta calabrese e della camorra che pretendevano dal commerciante 400mila euro di interessi.
Vista la pericolosità dei soggetti Mario è stato il primo usurato romano a dover lasciare la città dopo la denuncia.
“Questa forma di usura è un caso particolare – spiega un investigatore impegnato da anni nella repressione del fenomeno – la fenomenologia più comune è legata allo sconto degli assegni per terze persone. Mi spiego: ho bisogno di liquidità immediata ma ho in mano un assegno post-datato che mi ha dato un’altra persona. Vado dall’usuraio e me lo faccio cambiare, ma se l’assegno continua a non essere esigibile anche dopo la data indicata, allora scattano gli interessi. Nelle fasi iniziali il rapporto tra vittima e carnefice è cordiale, quasi amichevole. Ma se non si riesce a estinguere il debito, allora intervengono terze persone deputate alla riscossione (spesso appartenenti a famiglie criminali come nel caso dei Casamonica, a Roma)”.
Il numero delle denunce è così basso “perchè capita spesso che le vittime siano persone che agiscono in regime di sommerso e questo gli crea delle remore nel rivolgersi a noi. Altre volte capita che i gruppi criminali si impossessino invece delle attività e che il legittimo proprietario rimanga un mero intestatario e nulla più”.
I pochi che hanno la forza di denunciare trovano la strada sbarrata dalle norme bancarie. “È il dramma di chi è segnalato come cattivo pagatore , un fenomeno che negli ultimi cinque anni è cresciuto del 100 per cento – continua Ciatti – È bene che si sappia: gli individui inseriti da tempo nelle black list e che poi si sono rivolti agli usurai, si vedono negata la possibilità di aprire un conto corrente utile per riprendere a lavorare (senza carte nè altre forme di credito) anche se hanno denunciato e fatto arrestare gli strozzini. Ciò complica molto i processi di riabilitazione”.
Un’accusa che il sistema bancario respinge, sottolineando che “si tratta di un tema delicato. Ogni caso va approfondito singolarmente e da ogni punto di vista”.
Intanto l’emergenza continua.
Luca Monaco
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO OCSE: LA FORBICE TRA CHI HA PIU’ E CHI HA MENO MAI STATA COSI’ AMPIA NEGLI ULTIMI 30 ANNI
Negli ultimi trent’anni la forbice tra i più ricchi e i più poveri non è mai stata così ampia. Oggi, in Italia, il rapporto tra il reddito medio del 10% più abbiente della popolazione e il 10% più povero è di 10 a 1.
Nell’area Ocse è solo leggermente più equilibrato, al livello di 9 volte e mezzo. Negli anni Ottanta, per intendersi, si era a un rapporto di 7 a 1.
Le cose sono andate peggiorando con la crisi economica, che non ha certo livellato l’andamento.
Da una tabella allegata al rapporto Ocse su “Disuguaglianze e crescita”, infatti, si vede che nel periodo precrisi (dalla metà degli anni Ottanta al 2007/2008), a fronte di una crescita media del reddito disponibile dello 0,8%, in Italia il 10% più ricco ha registrato un +1,1% e la fetta più povera della popolazione solo un +0,2%.
Dopo la crisi, se sul totale della popolazione la perdita annua è stata dell’1,5% del reddito, i più poveri hanno patito un -3,9% e i più ricchi hanno tenuto meglio con un -0,8%.
Questa situazione, denunciata dall’Organizzazione parigina, non è solamente l’evidente fallimento dell’idea di redistribuzione della ricchezza, cioè una diagnosi che pare confermare le tesi annunciate con grande successo di pubblico dall’economista Thomas Piketty.
La profonda disuguaglianza di trattamento economico è anche una pesante zavorra alla crescita economica.
L’Ocse ricorda infatti che la forbice aumenta non solo se si guarda al rapporto dei salari sopra enunciato.
Ma è lampante anche usando il coefficiente di Gini, cioè una misurazione delle diseguaglianze che varia da zero – dove tutti hanno lo stesso reddito – a uno – dove tutto il reddito va a una persona -.
Ebbene, nei Paesi Ocse negli anni Ottanta il coefficiente era a quota 0,29 e nel 2011/2012 è cresciuto di tre punti, a 0,32.
La crescita di medio termine ne è stata gravemente compromessa: i tre punti di aumento del coefficiente, spia della crescita delle ineguaglianze nell’ultimo ventennio, significano una perdita di Pil dello 0,35% annuo per 25 anni successivi.
La crescita cumulata si vede così erodere 8,5 punti percentuali.
Per l’Italia, il calcolo dell’Ocse stima che l’accentuarsi delle diseguaglianze abbia ‘scippato’ tra sei e sette punti percentuali di crescita tra il 1990 e il 2010.
Il Pil tricolore è cresciuto in quel lasso di tempo dell’8%, registrando per altro una delle peggiori performance dell’area. Ma avrebbe potuto correre del 14,7%, superando per dinamismo la Spagna e avvicinando la Francia, senza il peso delle disuguaglianze.
Perchè ciò accade?
Il fattore determinante è dato dal gap tra i redditi delle famiglie più povere e il resto della popolazione.
Secondo gli economisti parigini, non sono soltanto i nuclei nell’ultimo decile (cioè il 10% più povero) a pagare caro la disuguaglianza, ma tutto il 40% della popolazione più in basso nella scala dei redditi.
La politica, quindi, deve pensare in maniera molto ‘ampia’ a risolvere i problemi di redistribuzione e povertà .
Motivo per cui sono ben accette le scelte di puntare sul rafforzamento dei redditi medio-bassi, fondamentali per il flusso di consumi e quindi ripresa.
Approfondendo ancora il nesso tra ineguaglianze e impatti sulla crescita, l’Ocse dettaglia che la disparità di reddito “mina l’opportunità di istruzione per i soggetti svantaggiati, riducendo la mobilità sociale e ostacolando lo sviluppo delle competenze” e così “ostacolando la crescita di capitale umano”.
Raffaele Ricciardi
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
IL MILITARE, GIA’ ACCUSATO DI STUPRO, E’ FUGGITO DALLA BASE NATO E HA AGGREDITO ALTRE DUE DONNE
“Questa volta il processo si farà in Italia”. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando torna sull’ennesimo episodio di violenza di genere che vede coinvolto un militare americano della base Del Din (conosciuta come Dal Molin) a Vicenza.
A differenza di quanto accaduto tante altre volte in passato, il guardasigilli promette che l’Italia stavolta non rinuncerà al processo.
Resta il fatto che a compiere la violenza (un’aggressione che non è però sfociata in uno stupro) è, per la terza volta, lo stesso militare: Jerelle Lamarcus Gray di 22 anni.
E che, nonostante le due violenze sessuali per le quali è indagato, Lamarcus non si trovasse in carcere, ma agli arresti domiciliari dentro la base, dalla quale è riuscito a fuggire.
Il suo nome compare la prima volta sulle cronache locali nel novembre 2013 quando una minorenne lo accusa di averla stuprata all’uscita da una discoteca
Nel luglio scorso il secondo episodio: una prostituta di 27 anni accusa lui e un suo commilitone di violenza sessuale e del successivo pestaggio di cui è vittima.
La donna era incinta di sei mesi: il figlio è nato con malformazioni neurologiche e all’apparato respiratorio (gli accertamenti medici in corso dovranno stabilire se c’è una correlazione tra le violenze e i problemi del bebè).
Nella notte tra venerdì e sabato, il terzo episodio. Lamarcus Gray si trovava all’interno della Del Din: non in una cella di sicurezza, ma in un normale dormitorio.
Questo perchè, appena una settimana dopo il secondo stupro di cui Lamarcus è accusato, la Procura ha disposto gli arresti domiciliari, invece della custodia in carcere.
La dinamica della fuga è da film: il militare ha eluso la sorveglianza della base di sicurezza formando un fantoccio di vestiti sotto le coperte ed è scappato dalla finestra.
Dopo un’abbondante bevuta, ha raggiunto un residence dove “esercitano” molte prostitute.
Ne ha avvicinata una e — stando alle ricostruzioni degli inquirenti — l’ha aggredita, senza però ottenere una prestazione sessuale.
Anche questa donna, come la vittima della violenza di luglio, era incinta.
Dopo la prima aggressione si è rivolto a un’altra donna. Di fronte al suo rifiuto, avrebbe colpito al volto anche lei. Si è scatenata una rissa che, grazie alle telecamere di sorveglianza, ha permesso alla polizia di intervenire rapidamente.
L’uomo è stato arrestato per l’evasione e denunciato per le lesioni.
“È incredibile che non fosse in una cella di sicurezza. A Vicenza quando un procedimento riguarda i militari Usa spesso si applicano premure poco comprensibili”, commenta Alessandra Bocchi, legale della donna aggredita a luglio.
Stessa lettura per Anna Zanini, che assiste la minorenne violentata un anno fa: “Se si fosse trattato di un immigrato di altra nazionalità , vista la gravità dei reati e la loro reiterazione, il trattamento sarebbe stato diverso”.
Ancora più diretta la candidata Pd alla Regione Veneto, Alessandra Moretti: “È sconcertante che di fronte a un reato così grave e reiterato non si siano decise misure cautelari che avrebbero scongiurato la fuga. E, stavolta, il processo si deve celebrare in Italia”.
Preoccupazione comprensibile: per una singolare interpretazione dei trattati Nato il 90% dei reati compiuti dai militari americani in Italia vengono giudicati oltreoceano.
Orlando però promette: “Dopo i reati sessuali raccontati dalla stampa nei mesi scorsi, abbiamo deciso che tutte le violazioni di una certa gravità saranno giudicate in Italia”.
Una promessa già annunciata su Twitter dopo il secondo stupro.
“Da allora però – racconta la legale che segue il caso – il ministero non ha mai confermato dove si terrà il processo”.
Alessio Schiesari
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
RENZI CRITICA LE PREFERENZE ED E’ PRONTO ALL’INTESA SUL CAPOLISTA BLOCCATO CHE PIACE TANTO A BERLUSCONI
Mafia capi tale cam bierà anche tutto, ma intanto con sente a Mat teo Renzi di con fer mare uno dei punti più deli cati dell’accordo sulla legge elet to rale che il pre si dente del Con si glio ha fir mato con Sil vio Ber lu sconi.
Si tratta delle liste bloc cate, anzi dei capo li sta bloc cati come da ultima ver sione dell’Italicum (clicca qui) .
Cam bia nulla per Ber lu sconi, – con tra ris simo alle pre fe renze – che gli elet tori di Forza Ita lia pos sano indi care una scelta tra tutti i can di dati in lista, facendo ecce zione del primo. Tanto solo i capo li sta saranno eletti, non solo per il par tito di Ber lu sconi ma per tutti quelli che non vin ce ranno le ele zioni.
Il sistema delle pluri can di da ture com ple terà lo scippo ai danni degli elet tori.
Tra le vit time dell’inganno c’è anche la Corte Costi tu zio nale, che nella sen tenza con cui ha boc ciato il Por cel lum ha cri ti cato la non cono sci bi lità dei can di dati per gli elet tori.
Ma per Renzi e Ber lu sconi l’accordo viene prima di tutto, e anche lo scan dalo romano può aiutare.
«L’Italicum ci costringe a diven tare un par tito, indi cando un capo li sta si farà la sele zione della classe diri gente senza spar tire i posti tra le cor renti. La legge elet to rale con il mec ca ni smo del col le gio e poi delle pre fe renze ci impone di essere un par tito serio», così Renzi ieri par lando ai gio vani demo cra tici.
Se dun que l’escamotage dei capi li sta bloc cati sem brava essere stato messo in crisi dalla cri tica con ver gente dei costi tu zio na li sti ascol tati dalla prima com mis sione del senato, se il pre si dente del Con si glio e la mini stra delle riforme Boschi pare vano con vinti di dover mediare qual cosa con la mino ranza del par tito demo cra tico che chiede a gran voce le
pre fe renze, il caso mafia capi tale con il suo por tato di atten zione cri tica per le car riere poli ti che indi vi duali torna utile per fre nare ogni ipo tesi di modi fica.
Le pre fe renze ven gono di nuovo indi cate come fonte di tutti i guai, tacendo il fatto che, ad esem pio, nelle inter cet ta zioni dell’inchiesta romana si parla abbon dan te mente di pri ma rie truc cate, le pri ma rie che il Pd pro pone ormai da tempo come alter na tiva alle pre fe renze per far sce gliere i can di dati agli elettori.
Il pre si dente del Con si glio sa che sulle liste bloc cate Ber lu sconi lo seguirà ovun que, garan ten do gli in com mis sione e in aula al senato quel soste gno che gli è indi spen sa bile e con il quale ha già supe rato lo sco glio delle riforme costi tu zio nali.
Dall’ex Cava liere il pre mier pensa di poter avere la spinta verso l’ultimo degli obiet tivi sul quale si è alla fine atte stato, e cioè il pas sag gio dell’Italicum in com mis sione entro natale.
L’esame della legge, già appro vata dalla camera a marzo ma ormai pro fon da mente rivi sta (una sola soglia al 3%, pre mio di mag gio ranza per chi con qui sta il 40% di voti al primo turno o bal lot tag gio) riparte oggi.
Prima di votare gli emen da menti, pre sen tati da tutti i par titi, la pre si dente della
com mis sione Anna Finoc chiaro dovrà met tere ai voti l’ordine del giorno del sena tore Cal de roli.
Nella sua ver sione di qual che giorno fa que sto testo pre ve deva di rin viare l’entrata in vigore della nuova legge elet to rale al momento in cui sarà stata pro mul gata la riforma costi tu zio nale.
Scelta da una parte logica, per chè è solo con quella riforma che verrà abo lito il senato elet tivo e dun que assu merà senso una legge elet to rale che riguarda esclu si va mente la camera.
Ma scelta che rin via la vali dità di una legge elet to rale tanto attesa, soprat tutto dopo la sen tenza della Con sulta, al veri fi carsi di un evento incerto e comun que assi avanti nel tempo.
E infatti l’ordine del giorno Cal de roli chiede anche al governo di inter ve nire sul sistema resi duato dalla sen tenza della Con sulta, il cosid detto Con sul tel lum, per ren derlo pie na mente dispo ni bile in caso di ele zioni anti ci pate.
Pd e Forza Ita lia sono uffi cial mente con trari all’odg Cal de roli, Renzi ha indi vi duato un ter mine più vicino che è quello del gen naio 2016.
Ma dal sena tore leghi sta è lecito atten dersi sorprese.
Red Pol
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
DEFICIT, I NUMERI DI RENZI NON CONVINCONO PIÙ L’EUROPA…SCONTRO TRA GOVERNO ED EUROGRUPPO SULLA LEGGE DI STABILITà€
La guerra dello zero virgola è ripartita ufficialmente nel weekend con l’intervista di Angela Merkel al giornale conservatore Die Welt di domenica.
S’intende con “guerra dello zero virgola” quella attorno ai conti pubblici di Italia e Francia, che hanno deciso unilateralmente di rallentare il percorso verso il pareggio di bilancio.
Come vedremo la questione tecnica — la correzione del deficit strutturale italiano — è tanto confusa quanto ispirata a un gusto per le minuzie tutto bruxellese, ma resta un dato che è in primo luogo politico: il capitale accumulato da Matteo Renzi in virtù del suo essere “nuovo” e della clamorosa vittoria elettorale alle Europee si sta rapidamente esaurendo. Va, si potrebbe dire, di pari passo col consumarsi del semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo, esperienza che — come prevedibile — definire irrilevante è persino eufemistico.
Risultato: l’Italia potrebbe essere costretta a una manovra correttiva in primavera oscillante tra i tre e i sei miliardi.
Rricapitoliamo i fatti.
“La Commissione ha ribadito che quanto presentato sul tavolo finora non è sufficiente e io condivido”, aveva detto la Cancelliera. Sebbene poi ieri il governo tedesco — e lo stesso portavoce della Merkel — avessero attenuato la portata delle critiche ai conti pubblici italiani, il messaggio è stato recepito e portato avanti nella sua sede naturale, vale a dire la riunione dell’Eurogruppo, il coordinamento dei ministri economici dell’Eurozona: lì, al tradizionale fronte del rigore nordeuropeo, s’è sommato lo scontento dei paesi che in questi anni hanno subito le cure della Troika (Grecia, Portogallo, Irlanda), che non gradiscono ovviamente il trattamento di favore concesso alle economie più grandi.
Ne è venuto fuori un confuso comunicato, seguito da una ancor più confusa conferenza stampa di Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo.
Il primo: “Prendiamo atto che in base alle ultime valutazioni della Commissione, lo sforzo strutturale italiano (sul deficit, ndr) nel 2015 sarà di 0,1%, mentre nel braccio preventivo del Patto è richiesto lo 0,5%”, quindi per l’Italia “su questa base servono misure efficaci per migliorare lo sforzo”.
Sembra una bocciatura, ma non lo è, perchè poi si dice che l’Eurogruppo “accoglie con favore” gli impegni italiani su privatizzazioni , extra-gettito e altre cosette. Dijsselbloem, poi, ha fatto una capolavoro: è partito anche lui dai numeri magici (0,1 anzichè 0,5%) per poi scandire che “le opzioni a disposizione sono poche: o misure più efficaci o nuove misure o accordi con la Commissione su alcune misure”.
Parole dure, dopo le quali si scopre però che questa terza possibilità è che c’è il problema di capire davvero quant’è la correzione dell’Italia: “È possibile che la Commissione, sulla base di valutazioni future, stabilisca che quello 0,1% sia in realtà uno 0,2%”.
Per capire quanto sia ingarbugliato e insensato il dibattito, basti dire che tutto questo è stato già oggetto di uno scambio di lettere tra Italia e Commissione Ue a fine ottobre: ne è scaturito un emendamento del governo alla legge di Stabilità che ha portato la correzione strutturale del deficit allo 0,3%.
Insomma, il segnale che l’Eurogruppo invia a Roma è innanzitutto politico. Per questo ha ragione il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan quando sottolinea, tramite il suo portavoce, che “nessuna manovra è stata richiesta all’Italia”.
D’altra parte l’eventualità non è nemmeno stata esclusa e, come ha voluto chiarire pubblicamente Jean Claude Juncker, la non bocciatura della manovra italiana è stata “una scelta politica”.
Come tale, dunque, revocabile.
Matteo Renzi— dopo le dure repliche affidate domenica ai sottosegretari Gozi e Delrio (“è il surplus commerciale tedesco che sta mettendo in difficoltà l’Europa”) — s’è tenuto su uno dei suoi classici: “La Ue non è solo un insieme di vincoli e spread, un accordo notarile, ma prima di tutto una comunità ” .
Un po’ poco di fronte a un attacco così scombiccherato come quello partito da Berlino e Bruxelles e probabilmente il segnale che anche a palazzo Chigi hanno capito il messaggio: in primavera — tra la ripresa che non arriva, i downgrade delle agenzie di rating e le critiche delle istituzioni europee — i titoli del debito italiano potrebbero tornare a ballare (e il co-costituente Silvio Berlusconi potrebbe spiegargli quanto questo possa essere pericoloso per chi voglia conservare la poltrona).
Tra qui e marzo si capirà se stiamo tornando al 2011 oppure la crisi europea ha assunto caratteristiche nuove: in ogni caso, il rottamatore ne uscirà ridimensionato.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
PRIMA SCARICATO E ORA SANTIFICATO… QUANDO GUERINI CHIESE A MARINO DI FAR ENTRARE IN GIUNTA CORATTI, INDAGATO PER MAFIA CAPITALE
Dalle stalle — in cui lo avevano cacciato tra Tor Sapienza e lo scandaletto Panda multata — i dirigenti del Pd ora portano Marino alle stelle.
Come Debora Serracchiani: “Al fianco della magistratura e insieme a Marino, con l’obiettivo di tutelare i cittadini e la stragrande maggioranza delle persone oneste del Pd”. Per Matteo Orfini “Marino e Pd sono la stessa cosa”.
E lo stesso Marino dichiara: “Il partito è sempre stato saldo intorno a me”.
È proprio così? L’eurodeputato David Sassoli ieri dichiarava: “Le dimissioni di Marino sarebbero un regalo alla criminalità ”; ma solo l’8 novembre al Messaggero affermava che Marino è un “sindaco inadeguato”.
Ecco il partito saldo intorno al sindaco.
Luigi Zanda, capogruppo del Pd al Senato: Marino “non ha la conoscenza robusta di Roma che avevano Rutelli e Veltroni”.
Elezioni anticipate? “Io sono contrario, ma considero egualmente pericolosa la palude politica: il fatto che il sindaco e la sua maggioranza non vadano d’accordo è contro natura, ancora più rischioso del voto anticipato”.
“Credo che Marino abbia governato con grande buona fede. Ma i risultati per ora non sono sufficienti”. Repubblica, 17 novembre 2014.
Lionello Cosentino, segretario Pd Roma (commissariato): “Ieri ho visto un paradosso: il sindaco era a Londra, il Consiglio comunale intendeva riunirsi fino a mezzanotte sulle multe (alla Panda del sindaco, ndr) con quello che stava succedendo a Tor Sapienza. Mai c’è stata distanza più ampia di un ceto politico che non riesce a capire le priorità ”.
“Il sostegno c’è ma bisogna cambiare tante cose”. Ansa, 14 novembre 2014.
Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd: “Sia con il Pd locale che con il sindaco c’è un costante dialogo. Riteniamo che anche la volontà di ripartire risponda a una richiesta di fare chiarezza. Nell’interesse dei cittadini e di Roma lavoriamo perchè questa chiarezza avvenga nel minor tempo possibile”. Repubblica, 16 novembre 2014.
Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd: “Se dovessi dare un consiglio a Marino, non mi accontenterei di qualche ritocco alla giunta: servono scelte funzionali a un salto di qualità dell’azione del governo cittadino”.
Sulle multe alla Panda del sindaco: “Nell’interesse di tutti, in primis di Marino, questa cosa va chiarita. E va chiarita in tempi brevi”. il Messaggero, 18 novembre 2014. Guerini chiese a Marino di far entrare in giunta, come vicesindaco, Mirko Coratti.
Pochi giorni dopo Coratti, indagato nell’inchiesta Mafia Capitale, si è dimesso dalla presidenza del Consiglio comunale.
Giampiero Calap�
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
CROLLA FRATELLI D’ITALIA DOPO IL COINVOLGIMENTO DI ALEMANNO… RENZI NON VIENE PIU’ VISTO COME “IL NUOVO”
Alessandra Ghisleri, l’infallibile sondaggista di Silvio Berlusconi sta lavorando sui primi dati “grezzi”: “Mafia capitale — dice — penalizza tutti tranne Salvini che è percepito come uno fuori dal sistema. Il vero problema è che i cittadini non stanno riconoscendo le colpe dei singoli, ma un unico grande colpevole, la politica. Questo ammazza tutti. Salgono, appunto, solo Salvini e l’astensionismo”.
L’effetto nazionale dell’inchiesta romana è devastante.
L’ondata di malcostume alimenta l’immagine di un “sistema” tutto marcio. È questo che emerge dalle prime rilevazioni, a una settimana dall’apertura dell’indagine su Mafia Capitale.
I dati definitivi di Euromedia Research saranno pronti per questa sera, quando saranno letti e illustrati a Ballarò.
Dati che attestano il terremoto in atto nel consenso dei partiti comunque toccati dall’inchiesta.
Ma già emerge, anche da quelli “grezzi”, che la Terra di Mezzo sta trasformando la politica in una notte in cui tutti sono colpevoli.
Sfiducia, rabbia, delusione. Questi i sentimenti dei cittadini: “È come una malattia — prosegue la Ghisleri — in cui chi è coinvolto paga, a prescindere da quanto è coinvolto. Le persone sono stanche, ascoltano passivamente. Sei dentro sei dentro, se sei fuori sei fuori”.
Significa che non viene percepita da un paese saturo, piegato dalla crisi, stanco degli scandali, la distinzione tra Alemanno e Marino, tra il maggiore coinvolgimento penale della giunta di centrodestra rispetto a quella di centrosinistra.
Per la Ghisleri non vengono considerate molte differenze tra Pd e Forza Italia. E soprattutto Renzi, questa volta, non è vissuto come un innovatore.
Le sue parole su Roma, i suoi messaggi come il commissariamento del partito nella capitale non sono bastati a farlo apparire il nuovo pulito contro il vecchio corrotto. Appare impaludato nel sistema.
Aumenta i consensi solo chi visto come fuori dal sistema: “Salvini — secondo i dati grezzi — è certamente sopra il dieci. Mentre Grillo resta stabile, penalizzato da un astensionismo che cresce”.
E questo è il secondo elemento. Sale il “partito del non voto”. È la stessa conclusione a cui arriva Roberto Weber, dell’Swg: “L’astensionismo è in costante aumento e questo riguarda un po’ tutti. Secondo i nostri dati il Pd resta stabile, ma Mafia Capitale porta vantaggi in termini di consensi solo a Salvini, non a Grillo.
Ormai la Lega supera stabilmente il dieci per cento”. Mentre, sempre a destra, Mafia Capitale travolge Fratelli d’Italia.
Un colpo duro per Giorgia Meloni che si è rinchiusa in un granitico silenzio da quando si è aperta l’inchiesta e Alemanno, il suo compagno di partito, si è “autosospeso”. Ora Fratelli d’Italia è sotto il tre per cento, in costante calo.
Pure per Renato Mannheimer l’effetto nazionale di Mafia Capitale colpisce principalmente i partiti del patto del Nazareno: “Il dato vero — spiega — è che cresce la sfiducia, che si traduce in voglia di non votare e in astensionismo. I cittadini in questo momento sono portati a dire che è tutto uno schifo e a non distinguere molto Pd e Forza Italia. Ed essendo Forza Italia un partito più piccolo, l’effetto potrebbe pagarlo più il Pd. Anche perchè mi pare che Renzi, in questo momento, non venga percepito come nuovo”.
Perfidie del destino: un anno fa, era l’8 dicembre, “Matteo” vinceva le primarie promettendo la grande rottamazione di tutto ciò che era vecchio.
(da “Huffingtonpost”)
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