Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
IL NUOVO SEGRETARIO È LORENZO BACCI, GIOVANE SINDACO RENZIANO DELLA PICCOLA COLLESALVETTI… ORA ATTESA LA NOMINA PER L’AUTORITà€ PORTUALE
A distanza di sei mesi, la Livorno che fu del Partito comunista celebra la sua seconda sconfitta: solo 2.200 persone che votano alle primarie per avere un segretario che il Pd non aveva più.
E non sono pochi, sono niente, se rapportati a quello che il partito e i suoi antenati sono stati per la città : hanno visto, nel 1921, nascere il partitone, lo hanno celebrato, hanno vissuto gli anni dove si sparava contro i fascisti, il dopoguerra degli americani dove le segnorine, così chiamavano le prostitute, ballavano il twist e coccolavano i soldati, hanno contribuito a far crescere il porto, visto nascere le prime cooperative.
Poi, d’un colpo, è finito tutto.
“Non avevamo nessuna voglia di diventare democristiani”, dice Giuseppe Mucci, ex iscritto al Pci, al Pds, ai Ds e poi anche al Pd. “Il corso renziano era la rinascita della Democrazia cristiana, quella che noi abbiamo sempre combattuto col coltello tra i denti”.
Tutto riassunto molto bene sulla locandina del Vernacoliere che spiega come Renzi se la sia fatta sotto.
È spiegato in termini più espliciti, alla Vernacoliere, insomma, ma il senso si capisce bene. Il mensile satirico non ama Renzi, nè lui nè la storia dalla quale proviene e nemmeno la sua città .
“Per noi i fiorentini” come dice il direttore e fondatore del giornale, Mario Cardinali, “sono quelli che l’estate vengono al mare e affogano”.
È bastato che Beppe Grillo proponesse un candidato alternativo perchè esplodesse la rinegoziazione del passato.
Che poi, a dirla tutta, neppure è stato Grillo a tirare la volata a quello che sarebbe diventato il nuovo sindaco, Filippo Nogarin, perchè il leader del Movimento cinque stelle non fece nessuna campagna elettorale a Livorno, non si affacciò neanche, tanto era certo di non vincere.
Oggi il Pd aveva riposto nelle primarie l’occasione per rialzarsi, anche perchè a breve c’è da scegliere l’uomo per l’autorità portuale, quello che muove lo scacchiere dei quattrini e che viene deciso dal governo, dunque dal ministro Maurizio Lupi, e, di conseguenza, da Matteo Renzi.
Ma la bocciatura delle urne è stata sonora: su una provincia di 343 mila abitanti hanno votato in tremila e seicento, meno dei diecimila che hanno votato nella provincia di Padova quindici giorni fa.
E Padova non è Livorno. Laggiù più che la sinistra hanno visto nascere e avanzare la Lega nord, e qualche differenza esiste.
Alla fine a Livorno ha vinto Lorenzo Bacci, giovane sindaco di Collesalvetti, comune che segna il confine con la provincia di Pisa.
“Vista la situazione nella quale il partito era non possiamo definirlo un flop. È vero che a malapena è stato superato il numero degli iscritti, ma questa elezione ci permette di ripartire con fiducia è un altro impulso”.
Bacci dimentica che, nonostante fosse il candidato dell’apparato, è uscito segretario grazie a 36 voti. Numeri da elezioni di condominio. E per la prima volta votavano anche i non iscritti e i ragazzi che hanno compiuto il sedicesimo anno di età .
È l’elezione del corso di Renzi, che ovviamente, non si esprime. L’emorragia di iscritti, dunque la partecipazione che poi si traduce anche quando c’è da votare per davvero e non solo alle primarie (leggere Emilia Romagna) non sembra essere uno dei suoi problemi
Ma Livorno riflette bene quello che accade in tutte le federazioni del Pd: un partito spaccato in diverse correnti, gli iscritti che non ci sono più, le casse di un partito rimasto senza il becco d’un quattrino.
Trattasi del nuovo corso, e non potrebbe essere altrimenti.
Neppure in una città che ha vissuto di falci e martello, dove i quartieri si chiamano Shanghai, Corea e dove qualche bandiera rossa, seppur sbiadita, ha sempre sventolato. Dovrà correre questo Bacci.
Ma correre forte assai, perchè a prescindere dall’esistenza o meno dei Cinque stelle, Livorno rischia di essere persa per sempre.
Emiliano Liuzzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DI UN AGENTE DELLA POLIZIA PENITENZIARIA CHE HA CONOSCIUTO ENTRAMBI
Quinta sezione, reparto Primi Ingressi, Regina Coeli: in una cella singola di dodici metri quadrati sta ormai da otto giorni Massimo Carminati. «Più spavaldo di Fabrizio Corona», racconta un agente che ha conosciuto entrambi.
Quando si è trovato davanti al pubblico ministero Paolo Ielo, subito dopo l’arresto, Carminati l’aveva guardato in faccia con un sorriso freddo, senza tradire emozioni: «Era chiaro che un giorno ci saremmo dovuti incontrare, dottore», gli aveva detto.
Poi silenzio.
Questa mattina alle undici vedrà il suo avvocato, Giosuè Naso.
Quindi finalmente giovedì – dopo dieci giorni passati in isolamento, senza giornali e televisione – saranno ammessi alle visite la compagna Alessia Marini e il figlio Andrea, per cui è preoccupato.
«I carabinieri mi hanno arrestato davanti a lui con i mitra spianati, mentre potevano farlo in cento altri modi e questo proprio non mi va giù», ha detto Carminati al suo legale.
Per il resto, il presunto re di Mafia Capitale dorme e mangia pochissimo, «passa le ore a guardare la finestra, oltre le sbarre, pensieroso».
Eppoi «rifiuta quasi tutto il cibo che gli diamo – racconta ancora l’agente – non parla con nessuno e si rilassa soltanto durante l’ora d’aria».
Carminati ha appena finito di leggere le migliaia di pagine dell’ordinanza di custodia cautelare e adesso s’è stancato, dice l’avvocato Naso, che stamane perciò gli porter�
qualche libro dei suoi preferiti, «Delitto e castigo» oppure «Suburra» che ha già letto e parla di lui.
Ma a Regina Coeli ci sono anche altri detenuti di Mafia Capitale: Buzzi, Testa, Lacopo, Brugia. Li hanno messi lontani uno dall’altro, in sezioni diverse e su diversi piani della struttura penitenziaria.
In questi giorni di festa non li ha visti neppure padre Vittorio Trani, il cappellano: «Hanno il divieto d’incontro e dunque pure d’incontrarsi a messa…», spiega. Carminati, a proposito, non l’ha visto pregare nessuno: «Lui confida solo in me», taglia corto il legale.
Fabrizio Caccia
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
L’INCONTRO TRA BUZZI E GIANNI LETTA… E SPUNTA ANCHE IL NOME DEL SOTTOSEGRETARIO CASTIGLIONE
Nel “mondo di mezzo” c’è sempre la persona giusta a cui chiedere un favore, un aiutino, una spintarella.
Mafia capitale vantava (o talvolta millantava) una fittissima rete di contatti ai quali rivolgersi per seguire passo passo l’iter di un appalto, per curare gli interessi di un “amico” o soltanto per acquisire informazioni.
Dalla Prefettura al Vicariato passando per il Colle, l’obiettivo dei contatti è sempre lo stesso: agevolare gli affari della banda che spesso coinvolgono proprio la pubblica amministrazione.
Come l’appalto per la gestione del Centro per richiedenti asilo, il Cara di Castelnuovo di Porto, struttura a 30 chilometri dalla capitale che può ospitare fino a 650 migranti. Una pentola d’oro da 20 milioni di euro.
“SE COMPRAMO LA PREFETTURA”
È il 29 gennaio 2014, Massimo Carminati parla con Salvatore Buzzi il ras della cooperativa “29 giugno”: «Il Cara si muove?».
Con loro, intercettato da una cimice ambientale, c’è anche Paolo Di Ninno, ritenuto dagli investigatori del Ros il direttore finanziario dell’organizzazione. È lui a intervenire per chiedere: «La prefettura non doveva chiama’ per firmare er coso ? ».
Buzzi fa presente che c’è un «grosso problema», probabilmente con uno dei contraenti per una condanna datata 1987 e relativa a una omessa dichiarazione.
Problema che però sarebbe in via di risoluzione perchè (nella sua modalità classica di esprimersi) Buzzi afferma che «se stamo a compra’ mezza Prefettura».
“LETTA CHIAMI PECORARO”
Il fatto che sia in atto una manovra d’accerchiamento a palazzo Valentini lo dimostra un episodio avvenuto due mesi dopo.
Buzzi discute con Luca Odevaine, fino a una settimana fa componente del coordinamento per i rifugiati del Viminale, per organizzare un incontro con Gianni Letta e discutere dei progetti della “29 giugno” sul Cara bloccati, a loro dire, dal prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro.
«Io gliel’ho messo in mano alla Scotto Lavina (Direttore centrale per le politiche dell’immigrazione e dell’asilo, ndr). Lei mi ha detto: “È buono, questa roba mi piace, certo devo senti’ Pecoraro che un po’ resiste”.
Allora gli si può chiedere a Pecoraro che sbloccasse la situazione – prosegue Odevaine – e Letta interverrà perchè lì il filo c’è, se glielo dice lui si sblocca in un secondo». L’incontro con l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio va così bene che alle 13.16 Buzzi chiama Mario Schina, ex responsabile decoro del Campidoglio e gli dice che Letta lo ha «mandato dal Prefetto. Alle sei vedo Pecoraro».
“CONOSCENZE AL COLLE”
Negli atti dell’inchiesta i carabinieri del Ros annotano anche che tra le varie conoscenze vantate da Buzzi ci sarebbe anche «una persona al Quirinale».
Un contatto di cui il braccio destro finanziario di Carminati informa il boss. Grazie a questa persona Buzzi avrebbe preso informazioni riguardo l’audizione in Prefettura sul Cara.
“NOVITà€ DAL VICARIATO?”
È per aiutare il costruttore Daniele Pulcini (agli arresti per la vicenda che riguarda la maxi tangente al deputato Pd Marco Di Stefano) che Odevaine chiede una mano a Tiziano Zuccolo, camerlengo dell’Arciconfraternita del Ss. Sacramento e di San Trifone.
«Novità dal Vicariato?», chiede l’ex capo di gabinetto del Comune di Roma. Zuccolo risponde: «È ancora tutto fermo, però abbiamo deciso di fare un passaggio alto, molto alto. Quindi Don Pietro si sta interessando di chiamare Don Alfredo, suo segretario personale, va bene?».
IL SOTTOSEGRETARIO
Nelle carte depositate dai pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli, infine, compare anche il sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione.
Lo nomina Odevaine, raccontando lo scorso marzo al commercialista Stefano Bravo di quando, da presidente della Provincia di Catania, Castiglione aveva assunto il ruolo di subcommissario all’emergenza immigrazione.
Al centro c’è l’appalto per la gestione del Cara di Mineo. «Quando io ero andato giù – spiega Odevaine – mi è venuto a prendere lui all’aeroporto, mi ha portato a pranzo. Arriviamo al tavolo, c’era una sedia vuota. E praticamente arrivai a capire che quello che veniva a pranzo con noi era quello che avrebbe dovuto vincere la gara».
Mauro Favale e Maria Elena Vincenzi
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
I VERBALI: TRA FINANZIARIE A SAN MARINO E INTRECCI BRITANNICI
Corre un fiume di denaro nel Mondo di Mezzo. Che in parte si fa affluente della corruzione e in parte prende la strada delle piazze off-shore. Svizzera, Liechtenstein e Bahamas, si è scritto nei giorni scorsi. Ma ora, documenta l’indagine, anche San Marino e Londra.
Su sollecitazione della Procura, ci lavora anche la Banca d’Italia con la sua “Unità di Intelligence Finanziaria” (Uif). E sono almeno due i fili che afferra.
Il primo porta il nome della “Fidens Project Finance spa”, una finanziaria di San Marino più volte segnalata e soprattutto indagata nel procedimento Mafia Capitale, di cui, si legge nel rapporto di via Nazionale allegato agli atti dell’inchiesta, «è legale rappresentante Filippo De Angelis (anche lui indagato, ndr) e risultanotitolari effettivi Ottorino De Angelis e Alessandro Febbraretti, gestore del noto marchio “Trony”».
La “Fidens” è oggetto di cinque segnalazioni di operazioni sospette, «finalizzate all’ambizioso progetto di acquisizione del Credito Sanmarinese, che tuttavia non avrà successo».
E la “Fidens” è soprattutto la finanziaria che è risulta «avere o avere avuto rapporti con Fabrizio Testa», uomo del cerchio stretto di Massimo Carminati, suo “ambasciatore” in Campidoglio e Regione, ora a Regina Coeli accusato di associazione mafiosa.
Il secondo filo tirato da Bankitalia porta invece a Stefano Massimi.
Un “Fregoli” che, in questa storia, spunta ovunque.
Lavora per conto di Marco Iannilli nella “Arc Trade”, società coinvolta nell’inchiesta sugli appalti Enav, di cui Iannilli è solo formalmente il proprietario, ma di fatto controllata dal Guercio.
La moglie, Angela Grignaffini, possiede il ristorante “Celestina ai Parioli”, una vetrina del generone che “conta”, di cui sono habituè Carminati e Giovanni Giovannone De Carlo, l’uomo che il boss dei boss Ernesto Diotallevi indica come suo erede.
Ma, soprattutto, è un tipo, questo Stefano Massimi, che nelle segnalazioni dell’Uif, nel maggio 2012, «movimenta in modo anomalo 435 milioni di euro in contanti, prelevati a mezzo di moduli di sportello e assegni, alla Cassa di Risparmio di Fermo».
Meno immateriale è il progetto cui lavorano il pratico Massimo Carminati e suo figlio Andrea. E di cui – ancora una volta – è ambasciatore Fabrizio Testa.
Qui la scena cambia.
Si trasferisce a Londra, nel perimetro stretto degli “expat” neri. Una dozzina almeno di latitanti dell’eversione neofascista che nella City sono arrivati negli anni Ottanta inseguiti dai mandati di cattura della magistratura italiana e nella City hanno trovato la loro palingenesi (Roberto Fiore, fondatore di Forza Nuova, su tutti).
Nel 2013 «Testa e Carminati viaggiano ripetutamente a Londra», si legge in un’informativa del settembre di quell’anno del Ros dei Carabinieri.
Perchè è qui che «il figlio di Massimo Carminati, Andrea, ha acquistato una casa a Notthing Hill». Ma soprattutto perchè è qui che il Guercio lavora a «importanti investimenti immobiliari».
Si appoggia a tale Antonio Esposito, amministratore unico della Finadvice Srl, rappresentante della società inglese Gifin Uk Limited e un pedigree da manager che vanta procedimenti per associazione a delinquere, riciclaggio ed esercizio abusivo dell’attività finanziaria.
E fa sponda anche con Vittorio Spadavecchia, antico camerata dei Nar, con 26 anni di galera sul groppone da scontare, e Stefano Tiraboschi, altro ex terrorista nero.
I contatti sono documentati da numerose intercettazioni telefoniche sulle utenze cellulari di Fabrizio Testa.
«Quassù va tutto bene, ho cominciato a lavorare su tutto quanto, un abbraccio, ciccio», rassicura Massimo Carminati che lo chiama dall’Italia.
Mentre è con Andrea, il figlio del Guercio, che entra nel dettaglio. «Il mio lavoro effettivo – spiega Carminati jr a Testa – è l’attività di investimento con tutti gli altri… con tutte le altre persone che stiamo là … che andremo a fare un’altra società … una Llc, mi pare, o Lld, non mi ricordo come si chiama la loro srl… e intanto iniziamo a fare questo tipo di operazioni. Spero che con gennaio abbiamo concluso le prime cose… abbiamo iniziato». Testa lo interrompe: «Insomma, vai sull’immobiliare?». «Sì sì».
Del resto Londra esercita un gran fascino nel Mondo di Mezzo.
Mentre Carminati lavora all’immobiliare, sbarca a Mayfair Johnny Micalusi, il re del pesce, con la sua Assunta Madre, una copia esatta della taverna di via Giulia a Roma. Altro spot che ama frequentare Giovannone De Carlo e dove, tanto per dire, tra un piatto di gamberoni e una pezzogna all’acqua pazza si organizzò la latitanza in Libano di Marcello Dell’Utri, evocando – come captarono le cimici della Dia – l’aiuto di Mokbel.
Un altro nero della paranza.
Carlo Tonini e Fabio Tonacci
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
IL RACCONTO AL PM DI GRILLI, TRAFFICANTE PENTITO: ”LA PORTAVO A UN MINISTRO E A VOLTI NOTI DELLA TV”
È il novembre 2012 e il pm Giuseppe Cascini rovescia sulla scrivania centinaia di fotografie.
Ogni foto è numerata e tocca a Giuseppe Grilli sciogliere l’arcano: “Il numero 66 è per caso Luigi Ciavardini ingrassato? Ma gli anni non sono stati clementi… è ingrassato parecchio!”.
Il numero 66 in effetti è proprio Ciavardini Luigi, classe 1962, ex esponente dei Nar. “Se lei mi benda e mi fa incontra’ la gente”, dice Grilli a Cascini, “li conosco tutti, ma li conosco veramente tutti, non è una cosa per darmi importanza, io a Roma conosco tutti… negli anni ho frequentato gli ultrà , gli spacciatori, tutte le famiglie di Roma, tutti gli zingari…”.
Grilli è un uomo di 48 anni che sin da ragazzino ha avuto le idee chiare: “Era l’inizio degli anni Ottanta, erano finiti i soldi di famiglia, ho iniziato a muovermi nei miei ambienti… buona parte dei miei conoscenti consumano cocaina… ho iniziato intravedere quello che poteva essere un business…”.
Il business lo porta in carcere nel settembre 2011: il suo yacht Kololo II, a cinque miglia dalla costa di Alghero, viene fermato con 500 chili di cocaina a bordo.
L’affare poteva fruttargli oltre 200 milioni di euro, invece finisce in carcere e decide di far fruttare la memoria: 30 anni di spaccio e malavita, la sua biografia da borderline, finisce nel fascicolo sulla Mafia Capitale: “Non mi pregio di essere dell’ambiente criminale”, dice Grilli a Cascini, “ma alla fine, anche se sempre borderline, in realtà ho molte conoscenze…”.
E tra le sue conoscenze c’è anche Massimo Carminati.
I capi delle curve di Lazio e Roma parlavano soltanto di droga
Grilli è un’ottima sponda per le indagini che incastreranno il Cecato, che ha sbagliato a fidarsi di lui, parlandogli per esempio di Iannilli e del modo di investire i soldi all’estero.
Grilli vuole garanzie: “Se è possibile formalizzare lo status di collaboratore…”, chiede nel marzo 2012, “io posso definire come vengono gestite le cose a livello romano…”.
E i suoi ricordi sono utili, secondo i pm che, infatti, annotano: “Le informazioni rese da Grilli, nel corso dei citati interrogatori, con particolare riguardo alle indicazioni che lo stesso ha fornito su alcuni dei componenti, apparentemente, appartenenti a diverse organizzazioni, hanno trovato riscontro nel corso degli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria e dall’attività di intercettazione in atto …”.
E ancora: “Nell’ottica di una progressiva collaborazione, inerente vicende anche non strettamente collegate alle importazioni di stupefacente, Grilli ha fornito indicazioni circa alcune amicizie caratterizzate dalla comune militanza politica di destra, tra le quali Massimiliano Colagrande, Francesco Mastromarino, Roberto Pocetta e Giorgio Alfieri, attivi nel traffico di sostanze stupefacenti…”.
Centinaia di pagine di verbale, nelle quali racconta un anche pezzo di storia cittadina, inutile per le indagini, ma imbarazzante per i vip romani che dagli anni Novanta, in particolare a Fregene, Grilli sostiene di aver rifornito di coca, incluso un ministro scomparso da tempo, al quale, con un amico, portava “due etti a settimana, pace all’anima sua che è morto…”.
Mette la sua parola sul clan Fasciani che spadroneggia a Ostia, sul Litorale romano, ricordando che fu proprio Fasciani a presentargli il cassiere della Banda della Magliana, Enrico Nicoletti.
Ma tra i suoi clienti ci sono attori, uomini di spettacolo, conduttori tv.
E Grilli spazia dalle agenzie di bodyguard alle curve ultrà , ricordando, per esempio, quella che volta pranzò con alcuni leader della curva giallorossa e di quella biancazzurra, che sebbene fossero “amici”, avevano fissato un appuntamento per “fare la pace”, e invece “parlavano sempre e soltanto di droga”.
La stazione di servizio che funziona come una banca
È la cocaina che tiene in piedi ogni pagina del suo racconto. Anche quando parla del braccio destro di Carminati, Riccardo Brugia, che è “uno che quando lo vedi, ci parli, già comunque come si presenta, non è che si presenta come un lord… in più so che ha sempre pippato… ”.
È l’inizio dei racconti sul Cecato e la mafia romana.
Grilli racconta del distributore di benzina sulla via Flaminia Vecchia che funziona come un bancomat, anzi, come una vera e propria banca: “Riccardo mi disse che avrei potuto affidare a loro i miei soldi e mi avrebbero riconosciuto un interesse del 7 per cento mensile”.
Su Carminati, però, dice che con la droga non ha mai avuto a che fare: ha uno stile di vita “monastico”, spiega, “torna a casa e pensa ai suoi cani e ai suoi gatti”.
Carminati però fa un errore. Quando Grilli gli chiede come può investire i soldi guadagnati negli anni, il Cecato gli presenta il commercialista Marco Iannilli. “Iannilli — dice Grilli — mi spiegò che pagando un 4 o 5 per cento a un autotrasportatore potevano prendere dei soldi cash a Roma… chiaramente sopra i 100 mila euro in su… e portarla a San Marino o in Svizzera… dove poi poterli far sparire”.
Quando Iannilli fu arrestato, però, Carminati gli diede un consiglio: “Non è il momento di investire soldi, fai una bella cosa, prendi un box, affitti una cantina, apri, smuri, butti le cose sotto, ci metti una cosa di cemento, li lasci, fra tre anni ne parliamo…”.
Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
ALLE REGIONALI 2013 PRESE OLTRE 18 MILA PREFERENZE… MA PER I MAGISTRATI ASSIEME ALLA CUPOLA SI DEDICà’ ALLA “PRODUZIONE DI SCHEDE ELETTORALI FALSE”
Non solo soldi, non solo violenza, ricatti, appalti.
Dentro la storia del “Mondo di mezzo” c’è pure un filone d’indagine relativo ai reati elettorali e dentro ci sono tutti: da Massimo Carminati al commercialista Marco Iannilli, dall’uomo delle coop Salvatore Buzzi ai politici Luca Gramazio e Marco Visconti, entrambi ex assessori comunali, e pure un bel pezzo dello staff del sindaco Gianni Alemanno.
Tutti insieme, in associazione (senza l’aggravante mafiosa), accusati di vari reati contro la P.A. tra cui quelli “in materia elettorale al fine di incidere sul risultato delle elezioni”.
Il centro della vicenda, su questi temi, è considerato il consigliere Luca Gramazio, indagato sulla base dell’art. 100 del Testo unico elettorale, che punisce chiunque “con minacce e violenza” turbi “il regolare svolgimento” del voto e pure chi “forma falsamente” o “altera” liste, schede o altro materiale elettorale.
È questa seconda parte quella più interessante per l’attività di indagine in corso. Mentre erano in corso le elezioni 2013 per Camera, Senato e alcune regioni, infatti, Gramazio — candidato Pdl al consiglio del Lazio — veniva monitorato costantemente dalla Procura di Roma.
Lui, figlio del senatore Domenico, finì per essere eletto con 18.736 preferenze: in questo anno e mezzo ha fatto in tempo a passare a Forza Italia e diventarne capogruppo.
Ora, però, proprio per quelle elezioni è indagato “in concorso con altri” da identificare perchè “poneva in essere atti diretti in modo inequivoco alla produzione di schede elettorali false, nelle elezioni regionali del febbraio 2013”.
Il sospetto è che siano state usate schede stampate in esubero rispetto al necessario. Ad insospettire i magistrati, che già indagavano su Gramazio Jr, è stata una conversazione del 2 febbraio 2013 tra Gramazio e una persona non identificata. Mentre parla con questa persona, Gramazio chiama Simone Foglio, consigliere Pdl all’VIII Municipio.
E così gli inquirenti possono ascoltare quanto Gramazio dice al suo vicino: “Finite le operazioni di voto … le urne vanno in alcune sedi dove vengono contate, tutto, non si tratta della classica operazione di controllo delle schede … quello c’abbiamo ancora il tempo per fare degli inserimenti”.
Poi Gramazio conclude: “Ce provo… se stiamo in tempo la metto”.
A dimostrazione della efficenza della squadra elettorale messa in piedi da Gramazio, una richiesta , lecita per quanto bizzarra, di Michele Baldi, (estraneo alle indagini, ndr), che intanto correva per le stesse elezioni, ma con la lista Zingaretti.
Al telefono il 20 febbraio 2013 con tono scherzoso Baldi diceva: “Senti, visto che vai da Marione (Marione Corsi, speaker radiofonico, ndr), dove i tuoi colleghi vorrebbero pagare ma non ce vanno … Io a te, non a papà , a te … te posso chiedere un favore da leale? … Gli dici alla tua rete di scrutatori de rispettamme?”.
E Gramazio assicura: “Cento per cento, stai tranquillo”.
La familiarità di Gramazio con le trasmissioni di Mario Corsi è testimoniata anche dall’attività di indagine su Massimo Carminati, visto che il presunto boss si dà assai da fare per l’amico Luca.
Scrivono gli inquirenti: “A proposito dell’appoggio da dare a Gramazio Luca per le prossime elezioni, già emerso in numerose conversazioni telefoniche tra gli indagati, Carminati diceva ‘ho parlato con quell’amico mio (Corsi Mario) per programmare qualche intervista in radio, le cose, mi ha detto che lui è a completa disposizione’”. Così in clima di campagna elettorale, aumentano i sospetti dei magistrati, tanto che il giorno prima che si vada alle urne, il pm Paolo Ielo — titolare dell’inchiesta coi colleghi Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli — chiede alla prefettura di Roma di trasmettere l’elenco delle tipografie incaricate della stampa delle schede. Contestualmente viene trasmessa anche una nota del Cotral spa, l’azienda che si occupa del trasporto pubblico nel Lazio, nella quale l’amministratore delegato Vincenzo Surace si dice preoccupato dalla quantità di domande dei propri dipendenti per partecipare alle operazioni di voto come presidenti di seggio, scrutatori o rappresentanti di lista: “Corre l’obbligo — scrive Surace alle Prefetture — di rappresentare le difficoltà oggettive che questa Società avrà nel garantire un servizio di trasporto pubblico regolare nelle giornate interessate e nei giorni 26 e 27 febbraio”. Intanto in Procura, con le elezioni ormai alle porte, il magistrato Paolo Ielo sente a sommarie informazioni i titolari di alcune aziende che stampano le schede per le elezioni, come Tullio Di Virgilio, titolare della Rotoform srl, o Piero Tulli della Arti Grafiche Tilligrafic srl.
L’attenzione degli inquirenti è ovviamente concentrata su come vengono gestite le schede in esubero: la risposta è che normalmente vengono messe da parte in azienda in attesa di essere portate al macero.
Non solo: il pm Ielo fa anche richiesta dell’elenco degli scrutatori che hanno preso parte alle elezioni (parte questa dell’inchiesta ancora in corso).
Alla fine, la campagna elettorale di Gramazio va benissimo e anche gli indagati sono contenti. Carminati chiama Fabrizio Testa, uomo molto vicino a Alemanno, che lo informa: “Sto con il più votato di tutta Roma”.
Il telefono passa allora al Cecato che si congratula con Gramazio.
Il volere del popolo, prima di tutto.
Valeria Pacelli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
MAFIA-CAPITALE-PD
Qualcuno, per favore, avverta Renzi che non è il capo dell’opposizione, ma del governo e della maggioranza.
E che il Pd beccato con le mani nel sacco di Roma lo dirige lui da un anno.
Quindi, quando dice “schifo”, parla di se stesso e del suo partito, non dei gufi che stanno fuori.
La responsabilità politica e morale è sua e dovrebbe scusarsi con gli italiani per non aver saputo bonificare per tempo il Pd, imbarcando tutto il vecchio establishment in barba alla rottamazione.
Che, com’è ormai noto, è una truffa: perchè non ha mandato a casa i pezzi più vecchi, più sporchi e più compromessi del partito, ma solo quelli che non si sono genuflessi al renzismo dominante.
Se “Roma è troppo grande e bella per lasciarla in mano a gentaccia”, quella gentaccia l’ha fatta entrare o l’ha lasciata lì lui, riciclando ex rutelliani, ex dalemiani, ex fioroniani, ex veltroniani, ex bettiniani in cambio di una semplice professione di fede renziana.
E ora non può cavarsela col commissario Orfini, l’ex dalemiano, ex bersaniano, ora ovviamente renziano, che nella federazione romana è nato e cresciuto accanto a quelli che dovrebbe cacciare, senza mai accorgersi di quanto accadeva.
Nel 1983, quando il Psi torinese fu spazzato via dallo scandalo Zampini, Craxi nominò commissario il ras torinese Giusi La Ganga, che fu subito indagato e sostituito con un altro dirigente eletto sotto la Mole, Amato. Che non bonificò un bel nulla, tant’è che dieci anni dopo il Psi torinese finì in Tangentopoli.
Se davvero Renzi vuole voltar pagina nella Capitale, il commissario deve prenderlo a Bolzano, non a Roma.
Invece opta per un commissariamento omeopatico, gattopardesco. Ma ci è o ci fa? Un po’ ci è (è superficiale quanto basta) e un po’ ci fa (è molto spregiudicato e si crede sempre più furbo di tutti).
Come se bastasse estrarre poche mele marce da un cestino di mele sane. Ma qui è marcio il cestino e qualunque mela, anche sana, anche acerba, ne viene immediatamente contagiata.
Marino non è un ladro, e neppure la Bonafè. Tra l’altro, nessuno dei due è romano e ha mai bazzicato la federazione capitolina.
Eppure, appena sbarcati a Roma — l’uno per candidarsi a sindaco, l’altra a eurodeputata — furono subito portati in processione a rendere omaggio all’omicida Salvatore Buzzi, padre padrone della Coop 29 giugno, asso pigliatutto delle opere pubbliche, sodale di Er Guercio e finanziatore delle campagne elettorali di chiunque s’avvicinasse al Campidoglio, nero o rosso non importa.
Nessuno poteva fare a meno di lui, prima del voto, per avere soldi, tessere e voti. Nessuno poteva negargli, dopo il voto, la ricompensa sotto forma di appalti: per gratitudine o per paura di finire incaprettato in qualche discarica.
Il tipico conflitto d’interessi che diventa voto di scambio e associazione mafiosa. Renzi dice che non c’è bisogno di cambiare le leggi: in teoria è vero, basterebbe non prender soldi da chi lavora per la Pubblica amministrazione.
Ma l’elenco dei finanziatori di Renzi di oggi e di ieri (do you remember Carrai?) ci dice che così non è.
Molto meglio di vietarlo per legge, per allontanare le tentazioni. Renzi aggiunge che, “se Grillo torna a fare i suoi tour, è grazie al nostro lavoro: con il 41% del Pd alle europee abbiamo messo la parola fine al rischio della demagogia e del populismo di Grillo”.
Ma forse sopravvaluta il suo lavoro (gli indicatori economici e sociali di nove mesi di cura Renzi sono catastrofici) e gli errori del M5S.
Per quante cazzate facciano, i 5Stelle sono fuori dagli scandali. I soldi pubblici non li rubano: anzi, restituiscono anche quelli che spettano loro per legge.
Nelle fogne Expo, Mose e Mafia Capitale, i grillini non ci sono mai, il Pd c’è sempre. E quando qualcuno viene pizzicato, come nel caso dei rimborsi regionali, viene espulso: non promosso sottosegretario o governatore o consigliere regionale.
Finchè il Pd non riuscirà a far politica senza inquisiti e senza soldi pubblici, qualche milione di italiani onesti continueranno a votare 5Stelle.
Schifati da tutti gli altri.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 9th, 2014 Riccardo Fucile
POLITICA, RIBELLATI AI CORROTTI
Nel giudizio negativo che l’Eurogruppo e Angela Merkel hanno dato ieri dell’Italia pesano certamente il ritardo delle riforme, la crescita del debito pubblico e la disoccupazione galoppante.
Ma quanto pesa la corruzione dilagante squadernata dallo scandalo della mafia romana e l’impressione paralizzante di una politica incapace di reagire?
L’idea del Paese irriformabile nasce infatti proprio da qui.
Nelle mazzette del Mose sprofonda la giunta di sinistra veneziana, a Roma i terroristi dei Nar costruiscono un sistema di controllo sugli appalti all’ombra del sindaco Alemanno alleandosi con le cooperative rosse e con uomini del Pd, all’Expo si raggiunge la perfezione riesumando per gli appalti un software tecnico delle tangenti a 360 gradi già sperimentato all’epoca di Mani Pulite formato da Greganti per il Pd, Frigerio per il centrismo post- democristiano, Grillo per Forza Italia.
Adesso che il cupolone del malaffare romano è scoperchiato, si scopre che le primarie erano truccate, che il tesseramento del Pd è infiltrato, che i criminali manipolano le elezioni comunali come gli allibratori con i cavalli.
Le istituzioni – soprattutto quelle comunali e regionali – stanno diventando un luogo di investimento per la delinquenza organizzata e una garanzia di facile guadagno illecito per i boss locali che nelle intercettazioni prendono a schiaffi i politici che dominano foraggiando le loro debolezze e le loro avidità , e mentre li comandano li disprezzano.
Più ancora della dimensione paurosa della corruzione (60 miliardi all’anno) che soffoca l’Italia, tiene lontani gli investimenti stranieri, sperpera il denaro pubblico, altera il mercato e ingrassa il crimine, è questa perdita di autonomia della politica ridotta a tecnica subalterna del potere che dà la cifra di un Paese sconfitto e preso in ostaggio.
O la politica si ribella a questo stato di cose, o è perduta.
Perchè è di lei che si parla.
E il governo Renzi non può affidare soltanto ad un’authority la lotta ad una corruzione introiettata da un sistema politico gregario.
È la politica in prima persona che deve ribaltare metodi, uomini, abitudini e regole, partendo dalla selezione dei candidati, ad ogni livello, proseguendo col falò delle tessere fasulle, commissariando i territori compromessi e impegnandosi finalmente in una vera lotta al crimine e all’illegalità che non è mai stata dichiarata dal governo. Cominci il Pd, se la destra fa finta di niente.
Sta qui la credibilità del cambiamento: da sola, la camicia bianca non basta.
Ezio Mauro
(da “La Repubblica”)
argomento: denuncia | Commenta »