Dicembre 1st, 2014 Riccardo Fucile
NELLA LEGISLATURA PRECEDENTE 160 SPOSTAMENTI, MA IN CINQUE ANNI… IL PD GUADAGNA 18 PARLAMENTARI, FORZA ITALIA NE PERDE 58… IL RECORD DI COMPAGNA, 4 CAMBI DI GRUPPO
Altro che Scilipoti e Razzi, la diciassettesima legislatura si accinge a battere ogni record di trasformismo.
Dal marzo del 2013 ad oggi, stando ad un dossier diffuso nei giorni scorsi da openpolis, sono stati 155 i cambi di casacca in poco più di due anni di legislatura. Numeri da capogiro se pensiamo che nella precedente, quella dal 2008 al 2013, quella della campagna acquisti di Silvio Berlusconi e della fuoriuscita di Gianfranco Fini e dei suoi fedelissimi dal Pdl, i voltagabbana si fermarono a quota 160.
Questa volta, invece, il fenomeno appare fuori controllo e investe personaggi come Angelino Alfano, Fabrizio Cicchitto e Beatrice Lorenzin — che nel dicembre dello scorso anno in occasione del voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi lasciarono il partito dell’ex Cavaliere e fondarono Ncd — fino ad arrivare all’ultimo dei parlamentari.
Cifre alle mano in cima all’elenco dei transfughi con ben quattro spostamenti spicca il nome del senatore Luigi Compagna (Ncd).
Docente universitario, alla quarta legislatura, da sempre definitosi un liberale, Compagna oggi milita nel Ncd di Angelino Alfano dopo esser stato eletto nella lista del Pdl, essersi iscritto per un solo giorno, il 19 marzo del 2013, al gruppo “Misto”, avere abbracciato “Grandi Autonomia e Libertà ”(Gal) per otto mesi, avere annusato per poche settimane il gruppo di Alfano ed essere ancora (ri)-tornato fra le fila del Gal.
Oggi “l’ascaro di Berlusconi” — si definì così più di un anno fa in un’intervista al Messaggero — non ci sta a passare per “voltagabbana” e si giustifica così: “Dal Gal sono andato al Ncd per votare con convinzione la fiducia al governo Letta”.
La medaglia di argento spetta invece a Paolo Naccarato.
Lo storico collaboratore di Francesco Cossiga eletto fra le fila della Lega Nord, passa quasi subito a Grandi Autonomie e Libertà per poi trasferirsi nel Ncd e ora ancora nel Gal.
Conoscitore delle dinamiche del palazzo come pochi, in queste ore esorcizza nel segno della “responsabilità ” il ritorno alle urne: “Oggi Farinetti dice: ‘Fatta la legge elettorale, Renzi vada al voto nel 2015′”. Io dico no, sto con Napolitano, le elezioni anticipate sono un’anomalia italiana”.
Poco sotto ottiene la medaglia di bronzo la deputata Fucsia Nissoli.
Folgorata dall’ex premier Mario Monti, ha militato fino ad oggi in tre gruppi diversi: Scelta Civica per l’Italia, il “Misto”,“Per l’Italia”. E, secondo le malelingue di Montecitorio, sarebbe attratta dal nuovo corso renziano di Largo del Nazareno.
La lista continua e annovera ex comunisti come Gennaro Migliore, che da vendoliano di ferro è rimasto folgorato sulla strada della Leopolda. E oggi è fra gli animatori del fronte dei renziani della seconda ora.
Per non parlare del siciliano Giuseppe Compagnone. La sua è una storia nel segno della “responsabilità e dell’autonomia”. Da fedelissimo di Raffaele Lombardo è stato candidato ed eletto nelle liste campane del Pdl. Nel marzo del 2013 aderisce al Misto, ma dopo qualche giorno comprende che il suo habitat naturale risiede nel gruppo del Gal.
Ad ogni modo analizzando dettagliatamente il dossier di openpolis si scopre che dal rimescolamento dei gruppi parlamentari ci guadagna maggiormente il Pd di Matteo Renzi.
Tra Camera e Senato Largo del Nazareno segna un saldo positivo di più 18. In questi mesi il gruppo democrat è cresciuto maggiormente, e, secondo le rilevazioni del centro studi, gli acquisti sono tutti avvenuti dopo la scalata di Renzi a Palazzo Chigi. Forza Italia, invece, è il partito con il saldo negativo maggiore — il termometro segna meno 58 — in virtù della fuoriuscita della compagine alfaniana che fra Monetcitorio e Palazzo Madama annovera circa 60 parlamentari.
Saldo negativo anche per il Movimento Cinque Stelle che da inizio legislatura ha perso ben 22 parlamentari.
Un saldo negativo che rischia di peggiorare giorno dopo giorno.
In virtù dello tsunami interno al movimento di Grillo e Casaleggio.
Giuseppe Alberto Falci
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 1st, 2014 Riccardo Fucile
QUASI DIMEZZATI I VOTI ESPRESSI SULLE ESPULSIONI DEI DISSIDENTI… META’ DELLE PROPOSTE DI LEGGE NON RAGGIUNGE I 200 COMMENTI
C’era una volta la rivoluzione della democrazia digitale a Cinque Stelle.
Nelle piazze della cavalcata elettorale Beppe Grillo intonava il mantra della «Rete sovrana».
Dopo il voto Gianroberto Casaleggio e collaboratori impiegarono mesi, ma alla fine partorirono una piattaforma internet per permettere ai cittadini di discutere le proposte di legge di iniziativa parlamentare. «Un esperimento senza precedenti», si disse.
Oggi di quel sogno resta ben poco: un forum online sempre meno partecipato, poche centinaia di militanti attivi, un confronto spesso sterile.
I numeri non mentono: in oltre un anno i testi dibattuti sul sistema operativo del M5S sono stati 90, di questi solo 7 sono stati poi presentati in Parlamento.
E va da sè che il numero di quelli approvati è zero.
Le prime proposte di legge raccoglievano però migliaia di interventi. I temi erano quelli più cari al popolo grillino: abolizione dei finanziamenti pubblici all’editoria, libero accesso a Internet, reddito di cittadinanza.
Quest’ultima iniziativa tenne banco per settimane e vide la partecipazione di 8.153 iscritti al Movimento.
Negli ultimi mesi la musica è cambiata. I temi affrontati sono marginali, oltre metà delle proposte non raggiunge i 200 commenti, mentre per una legge su quattro gli iscritti coinvolti sono meno di 100.
Pochi, anzi pochissimi se rapportati ai circa 100 mila militanti che vengono invitati a partecipare via mail ogni volta sul sito arriva una nuova legge.
Nella base grillina serpeggia inoltre una lamentela ricorrente: i cittadini non hanno mai potuto presentare le loro proposte sulla piattaforma online.
È vero. Agli iscritti, infatti, viene concesso solo di integrare e modificare i documenti dei parlamentari.
E la qualità della discussione — per la verità — lascia spesso a desiderare.
La senatrice Montevecchi propone «l’istituzione della figura professionale dell’insegnante di lingua italiana»? In un mese arrivano 70 commenti, molti si limitano a un laconico «favorevole», altri vanno fuori tema.
C’è chi chiede misure a sostegno dei prof di musica e chi mette in guardia dal rischio di «un’invasione islamico-africana». Claudio Piscopo spariglia: «Propongo di insegnare tra i banchi anche la lingua napoletana».
Il crollo del coinvolgimento in rete testimonia una disaffezione crescente dei militanti.
La (ex) diarchia Grillo-Casaleggio ha di fatto dilapidato un patrimonio digitale.
La ragione è semplice. Al di là della retorica dell’«uno vale uno», la vera rivoluzione promessa dal Movimento 5 Stelle era proprio questa: la partecipazione diretta dei cittadini alla cosa pubblica, con i parlamentari nel ruolo di portavoce delle istanze della collettività .
Se questa idea sia ancora in cima ai pensieri del leader pentastellato, non è dato sapere.
Di certo c’è che, dei cinque fedelissimi del nuovo direttorio, hanno sperimentato la piattaforma online solo Carla Ruocco (in due occasioni) e Carlo Sibilia (una).
Mentre gli iscritti al Movimento non hanno mai avuto l’onore di discutere proposte di Di Battista, Di Maio o di Fico.
I visitatori del blog di Grillo sono in picchiata.
Mancano numeri ufficiali, ma rispetto a un anno fa i lettori sarebbero più che dimezzati.
I dati dei servizi online che monitorano il traffico Internet ci dicono infatti che dai 2 milioni e 800 mila accessi mensili via Google del dicembre 2013, il sito del capo del M5S è precipitato ai 972 mila di ottobre.
Certo, restano numeri da primato tra i politici italiani. Ma il calo è consistente.
Anche sui profili Facebook e Twitter da qualche mese l’incremento di seguaci si è fermato.
C’è poi il fronte delle votazioni online. In parecchi — da ultimo anche il deputato Tancredi Turco — chiedono invano che vengano certificate da una società esterna.
Intanto l’astensionismo cresce: se a febbraio in 43 mila si espressero sull’espulsione di Orellana, Campanella, Bocchino e Battista, solo in 27 mila hanno votato sulla recente cacciata di Pinna e Artini.
La consultazione sul “direttorio” dei magnifici cinque ha invece scatenato polemiche perchè gli iscritti sono stati chiamati ad esprimersi in blocco sui prescelti.
Prendere o lasciare, impossibile proporre nomi alternativi.
E tanti saluti alla «Rete sovrana».
Gabriele Martini
(da “La Stampa“)
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Dicembre 1st, 2014 Riccardo Fucile
PER OGNI ELETTO UN RISPARMIO DI SOLI 268 EURO IN UN MESE
Avevamo dimenticato da un bel pezzo lo psicodramma degli scontrini. Credevamo fosse stato sepolto dalla slavina di sarcasmi abbattutasi in rete sulla prima capogruppo grillina alla Camera Roberta Lombardi che aveva postato su Facebook una richiesta di soccorso disperatamente comica: «Ho perduto gli scontrini. Cosa devo fare? Aiutoooo…».
Ci sbagliavamo: quello psicodramma ha continuato ad aggirarsi nel Movimento 5 Stelle, distribuendo minacce di epurazioni. Fino allo showdown di questi giorni, quando si è scoperto che a rischio espulsione (dopo regolare processo in streaming) causa mancata rendicontazione delle spese, sarebbero addirittura una ventina di eletti. Colpevoli di non aver rispettato la regola di frugalità sottoscritta all’atto della candidatura. Così rigorosa e ferrea che a questo punto è doveroso verificare quali effetti reali abbia prodotto per i contribuenti.
Ci aiutano i dati ufficiali dell’amministrazione della Camera dei deputati dello scorso anno, i cui conti finali sono chiusi, bollinati e depositati.
Da questi si ricava che dal 15 marzo al 31 dicembre 2013 le somme complessivamente spettanti a vario titolo ai 106 (allora) deputati del M5S sono ammontate a 19 milioni 395.218 euro e 26 centesimi.
Mentre quelle effettivamente erogate sono state pari a 18 milioni 912.552 euro e 46 centesimi.
La differenza è di soli 305.581 euro e 29 centesimi: sono i soldi a cui gli onorevoli grillini hanno volontariamente rinunciato.
Va considerato però che alla maggior parte delle competenze, ovvero 14,1 milioni del totale di 19,4, non era possibile per regolamento rinunciare, trattandosi di indennità e diaria, e vedremo poi anche questo capitolo.
La somma della quale si poteva invece tecnicamente privare viene così a restringersi a 5 milioni 319.064 euro e spiccioli.
E qui il risparmio dovuto alle rinunce volontarie non va oltre il 5,7 per cento del totale.
Se i deputati del Movimento non hanno ritirato ben l’83,5 per cento dell’indennità di ufficio (la somma oltre allo stipendio che tocca a quanti ricoprono altri incarichi, come per esempio presidente di commissione) le rinunce relative alle altre voci sono apparse decisamente più modeste.
Lo scorso anno gli onorevoli grillini non hanno ritirato l’8,2 per cento delle spese di viaggio, il 5,6 per cento di quelle telefoniche e appena lo 0,94 per cento della famosa quota di 3.690 euro che spetta a ogni deputato per il cosiddetto «esercizio del mandato»: meglio conosciuta come il contributo per il portaborse.
Una micro rinuncia identica tanto per la quota del 50 per cento per cui è stato introdotto dalla Camera l’obbligo di rendicontazione quanto per l’altra metà che viene erogata in modo «forfettario», cioè senza bisogno di produrre ricevute o scontrini.
Questo nel 2013. E per il 2014?
Dai dati mensili le rinunce sembrano decisamente in linea con quelle dello scorso anno.
Nel mese di novembre appena terminato sono risultate pari a 27.930 euro e 58 centesimi per tutti i deputati del gruppo.
Ovvero il 5 per cento delle somme teoricamente «rinunciabili».
In media, 268 euro a testa, anche se non tutti hanno poi rinunciato.
In 31 non hanno ritirato l’indennità di ufficio: 23.098,98 euro il risparmio. Mentre hanno snobbato il rimborso delle spese telefoniche e delle spese di viaggio soltanto quattro onorevoli su 104: con un sollievo per l’erario rispettivamente di 400 e 4.431,60 euro.
Veniamo ora allo stipendio vero e proprio.
Sarebbe ingiusto non riconoscere che i deputati del M5S si mettono in tasca soltanto 2.500 euro netti al mese dell’indennità che ammonta a 5.246 euro e 54 centesimi.
I restanti 2.746,54 euro vengono destinati a un fondo di garanzia per i finanziamenti alle piccole imprese che dovrebbe essere gestito dal ministero dello Sviluppo economico.
Il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio ha spiegato nello scorso mese di agosto che i parlamentari grillini hanno fatto confluire lì dentro già 6 milioni di euro con i «Restitution day» che avvengono con cadenza trimestrale.
Il totale dei versamenti del M5S è però più alto, considerando anche i contributi provenienti dal taglio degli emolumenti dei consiglieri regionali.
Si parla in tutto di 7 milioni e 984 mila euro.
Peccato che da un anno, quando il Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco ha firmato un decreto che consente l’attivazione di quel capitolo di bilancio, quei soldi non siano stati ancora utilizzati.
Fermati, bloccati, paralizzati: a quanto pare, in un incomprensibile rimpallo fra ministero dell’Economia e Consiglio di Stato che non si sarebbe ancora esaurito.
Con il risultato che i contribuenti non hanno risparmiato quasi un bel nulla.
E le microimprese, certo non per colpa dei grillini ma di una burocrazia assurda e inconcludente, restano a bocca asciutta.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 1st, 2014 Riccardo Fucile
ITALIA AL 22° POSTO SU 28 STATI MEMBRI PER CAPACITA’ DI SPENDERE LE RISORSE, AL SECONDO TRA LE NAZIONI CHE NE RICEVONO DI PIU’
Un miliardo e mezzo di euro a rischio tagliola.
L’allarme, fresco di queste ore, arriva da Palazzo Chigi. Soldi su cui l’Italia potrebbe veder calare a breve la scure dell’Europa se queste risorse – stanziate da Bruxelles – non saranno utilizzate per tempo dalle singole Regioni (col meccanismo del cofinanziamento, per cui se non si rendiconta si perde la quota di sostegno europeo) e se i territori che viaggiano in forte ritardo non decideranno di svegliarsi alla svelta.
Di fatto, un disimpegno automatico da parte dell’esecutivo guidato da Jean-Claude Juncker.
Ma sui fondi Ue la partita, pur difficile da giocare, è ancora aperta. Nonostante gli enormi sprechi, l’eccessiva frammentazione dei progetti e in taluni casi l’evidente incapacità amministrativa, l’intesa 2014-2020 sui fondi strutturali (Fesr e Fse assieme) concede all’Italia quasi 5 miliardi in più rispetto al passato per una cifra complessiva pari a 32,8 miliardi di euro.
Un gettone che, soprattutto per il Sud, rappresenta l’ultima chance e su cui anche imprese e privati sono chiamati a fare la loro parte co-investendo, però, finanze proprie.
Il dato sale e arriva a quota 42 miliardi se ai due fondi principali si sommano anche il Feasr (agricoltura) e il Feamp (pesca).
In questo modo l’Italia diventa il secondo Stato membro della Ue per dotazione di bilancio: al primo gradino si trova la Polonia, un Paese che sull’utilizzo dei fondi in questi anni ha fatto scuola e che, quanto ad assorbimento, ha superato il 75 per cento.
Secondo i dati Openpolis per Repubblica.it, la ‘spesa lumaca’ che ha caratterizzato il periodo 2007-2013 (peraltro già prorogato di 2 anni) fa sì che il nostro Paese oggi si piazzi ancora al 22esimo posto – tra i 28 Stati membri del vecchio continente – per capacità di assorbimento dei fondi strutturali: il 59,9 per cento dell’importo totale che era pari a 27,9 miliardi, vale a dire 10 punti percentuali sotto la media europea.
Un dato da sottolineare è che fino allo scorso anno tale punteggio era inferiore al 50% e che dopo cinque anni dallo start del programma, l’Italia aveva assimilato e digerito soltanto il 14,9 per cento degli stanziamenti.
Un raffronto con le altre nazioni: sempre nella parte bassa della classifica si posizionano anche Bulgaria (57,8%) e Repubblica Ceca (55,9%). Di contro, al primo posto svetta il Portogallo (84,7%) seguito da Danimarca (84,2%), Lituania (84,1%) ed Estonia (83,5%).
Un potenziale economico, dunque, che non diventa realtà ma che contribuisce, anzi, al pessimo risultato di saldo del nostro Paese.
La differenza fra dare e avere, fra contributo pagato a Bruxelles dagli Stati membri e pagamenti certificati dall’Unione europea verso i singoli Paesi consegna una mappa in cui l’Italia risulta caratterizzata da un negativo pari a 30 miliardi di euro.
Certo, all’interno di quella cifra vanno inseriti contrappesi che non sono economici ma che incidono per il loro valore politico (il ruolo di lady Pesc a Federica Mogherini, la guida della Bce a Mario Draghi, due vicepresidenze dell’europarlamento a due italiani, il timone del gruppo Pse a Gianni Pittella) e di sicuro Germania, Francia e Regno Unito hanno un ‘buco’ anche maggiore (66 mld la prima, 41 la seconda e 34 il terzo). Vero è che tutti e tre contribuiscono in maniera più sostanziosa a rimpolpare il budget della Ue, e che comunque le forti difficoltà dell’Italia nell’usare al meglio i soldi che le vengono dedicati si ripercuotono su questo risultato.
Neanche a dirlo, il saldo della Polonia appare col segno più per quasi 60 miliardi.
In attesa di capire se la Commissione Ue concederà davvero all’Italia di tenere fuori dal patto di Stabilità la quota legata al cofinanziamento dei fondi (il via libera, però, è già stato accordato per la fetta che andrà a sostanziare i 21 miliardi del piano Juncker), la suddivisione dei quattro fondi (Fesr, Fse, Feasr e Feamp) per obiettivo fino al 2020 evidenzia che il 18,77% del totale è destinato alle Pmi, per una cifra pari a 7,8 miliardi.
All’ambiente va il 10,58% (4,4 miliardi), all’occupazione il 10,3% (4,3 miliardi) e all’istruzione il 9,97% (4,2 miliardi).
La percentuale più bassa è destinata alla ‘pubblica amministrazione efficiente’ col 2,39 per cento (poco più di un miliardo).
Ma è nel merito delle singole regioni che si evidenziano gli squilibri più forti.
Perchè se si guarda alla capacità di spesa dei nostri territori e se si considera la somma tra fondi europei e fondi nazionali, emerge che il più virtuoso – il Trentino Alto Adige – su 664 milioni stanziati ad hoc non è riuscito ad assorbirne il 31,13 per cento. Accade anche, però, che la situazione si ribalti.
La medesima percentuale, infatti, corrisponde a ciò che la Sardegna è riuscita a spendere visto che su 4,7 miliardi a disposizione, più del 68% è rimasto inutilizzato. Peggio sono riuscite a fare soltanto la Basilicata (il 28,3% su 2,6 miliardi) e il Molise (il 25,3% su 1,2 miliardi).
Ma anche Campania (33,7% su 17,8 miliardi), Abruzzo (37,3% su 1,1 miliardi), Sicilia (37,8% su 16,9 miliardi), Puglia (43,5% su 15,4 miliardi) e Calabria (43,1% su 9,5 miliardi) si posizionano nella parte bassa del grafico e spiccano per incapacità di spesa.
Il problema è che sino alla fine del 2015 – e dunque c’è tempo un anno – il Mezzogiorno deve necessariamente impiegare ancora 15 miliardi dei fondi 2007-2013.
Questo è il tema da risolvere (anche perchè i ritardi su quest’ultimo scampolo di proroga si ripercuotono inevitabilmente sull’organizzazione degli anni successivi) e il governo a guida Matteo Renzi tira dritto dinanzi a chi bolla come una “punizione” il taglio dal 50 al 25% della quota di cofinanziamento nazionale per il settennato 2014-2020.
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio (a lui la delega alla Coesione territoriale) replica a chi accusa l’esecutivo di voler costruirsi un “tesoretto” con quelle risorse dimezzate: le Regioni meridionali non perderanno alcunchè, dice, più semplicemente si ritroveranno i soldi in un altro ‘contenitore’ – che si chiama Piano di azione e coesione, con regole meno rigide rispetto ai fondi strutturali – che non sarà toccato per altri scopi.
In prospettiva, stando all’accordo 2020, la ripartizione futura (di Fesr e Fse) è la seguente: la percentuale più alta, il 17,65%, andrà alla Sicilia.
A ruota, il 15,85% alla Campania e il 14,95% alla Puglia. Alla Calabria l’8,05%, mentre lo 0,39% spetterà alla Valle d’Aosta. In un raffronto pro capite, al primo posto c’è la Basilicata, all’ultimo la Lombardia.
Interessante la top ten dei progetti con maggiore finanziamento: nove su dieci sono legati al tema dei trasporti, uno all’innovazione.
Ma è la contrapposizione tra soldi finanziati e percentuale di pagamenti realizzati che salta agli occhi.
A Napoli, il completamento della linea 1 della metropolitana (1,37 miliardi di euro) si è fermato al 35,05% della quota (poco più di 482 milioni).
Sempre in Campania, la variante alla linea Napoli Cancello (per 813 milioni) è al 10,41 per cento (84,5 milioni).
La linea Catania-Palermo, tratta Bicocca-Motta-Catenanuova (che fa parte del corridoio 5 ‘Helsinki-La Valletta’) è bloccata allo 0,69% con 430mila euro di finanziamento e neanche 3 milioni impiegati.
Di certo c’è che, negli anni passati, l’Italia si è distinta per finanziamenti a pioggia che hanno scatenato dibattiti e polemiche: dalle sagre di paese alle piccole maratone passando per scuole di tatoo e centri massaggi.
Contributi impiegati secondo la logica del ‘tutto è meglio che niente’.
L’hanno ribattezzata l’Europa dei soldi spesi male.
Nel dettaglio, riguardo alla capacità di spesa per tema (fondi europei più fondi nazionali 2007-2013), i trasporti risultano al penultimo posto, prima dell’ambiente, con finanziamenti per 22,6 miliardi e pagamenti pari a 4,7 miliardi (il 20,8 per cento). In pole position, infanzia e anziani col 75,81%, seguiti da occupazione, competitività imprese e agenda digitale.
Michela Scacchioli
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Dicembre 1st, 2014 Riccardo Fucile
CEMENTO, DEBITO E PRECARIETA’ DIETRO GLI SPOT, MA QUESTO NON LO VEDRETE IN TV
Sulle reti Rai sono finalmente partiti gli spot di presentazione di Expo, l’esposizione universale che si terrà a Milano dal 1° maggio al 31 ottobre 2015.
Tema centrale: il cibo. Lo slogan: nutrire il pianeta, energia per la vita.
Le immagini, i suoni, le suggestioni proposte ai telespettatori in pochi secondi sono coinvolgenti.
Un ottimo messaggio, degno di una brillante forza politica ecologista. In pochi frame si diffondono impulsi e stimoli sulla necessità di cambiare paradigma: tutelare le risorse naturali, preservarle per le prossime generazioni, garantire a ciascun abitante del pianeta il diritto al cibo pulito e a buon mercato.
Questo è quello che milioni di telespettatori guarderanno dai tinelli in formica e dalle sale da pranzo in noce di tutto il Paese. Gli spot saranno sempre di più.
Un crescendo rossiniano pervaderà l’immaginario collettivo italiano e convincerà tutti che a Milano andrà in scena un evento straordinario dove l’agricoltura, l’alimentazione sana, il paesaggio e il territorio saranno al centro dei pensieri della politica. Parallelamente sono già diffuse da tempo altre belle favole: quelle che raccontano di benefici sull’economia e di migliaia di posti di lavoro che gemmeranno dal grande evento vetrina.
Ma che cos’è e che cosa sarà veramente Expo 2015?
Innanzitutto sono 1.000 ettari di suolo agricolo già cementificati: padiglioni, piazzette tematiche, raccordi autostradali e rotonde.
Nutrire il pianeta… colando calcestruzzo e stendendo asfalto su terre fertili. Tutto cemento che paghiamo noi.
Nei padiglioni di Expo troveranno spazio le multinazionali dell’agroindustria e degli Ogm, i soggetti che dominano sulle terre di tutta la terra, che strozzano i piccoli produttori ingabbiati nella filiera della grande distribuzione organizzata, che spesso sottraggono la terra stessa alle popolazioni dei paesi più poveri del mondo.
Lo sponsor ufficiale dell’acqua, altro elemento indispensabile per nutrire il pianeta?
Nel paese che ha visto 27 milioni di elettori dire no alla privatizzazione del servizio idrico, tutti si sarebbero aspettati la “Pisapia H2O”. Invece no.
Sarà la San Pellegrino Spa, una controllata della multinazionale Nestlè.
Ma si creeranno almeno i posti di lavoro? Certo.
Ma a parte quelli nati in Procura della Repubblica per seguire le inchieste su corruzione e infiltrazioni mafiose, i posti di lavori saranno sopratutto precari. Se va bene.
Perchè è in corso una bella campagna per trovare i “volunteer Expo”.
Con buona pace per chi, pur di pagare l’affitto o la retta universitaria, si sarebbe accontentato anche solo di qualche mese da precario, magari da Eataly, che avrà un padiglione da 8 mila metri quadrati.
Insomma, cemento, debito e precarietà .
Ma questo spot non lo vedrete in tv.
Domenico Finiguerra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 1st, 2014 Riccardo Fucile
UN ARTIGIANO SEGNALATO ALLA CENTRALE RISCHI PER UNO SCONFINO DI CONTO CORRENTE E VITTIMA DI TASSI ILLEGALI
Prima di entrare nel capannone della “Iglass” c’è un piccolo ufficio con tre scrivanie; incorniciata e appesa al muro c’è un’intervista al sociologo americano Richard Sennett, il quale dice: “Chi lavora nella finanza ha dimenticato la lezione dell’artigiano, perchè non è stato in grado di utilizzare gli strumenti del suo lavoro”.
E qui, in mezzo a lastre trasparenti alte anche cinque metri, l’artigiano Alberto Carminati, 50 anni, si danna e si entusiasma allo stesso tempo.
“Renzi dice che siamo eroi? A me fa piacere, ma non basta dirlo. Abbiamo contro la burocrazia, il fisco, spesso i sindaci, a loro volta strozzati dai tagli. E poi le banche: lo sa che una, un grande istituto eh, l’ho denunciata per usura e mi ha risarcito?”.
Fondata grazie alla liquidazione del papà nel 1984, “Iglass” ha otto dipendenti.
“Sono troppo piccolo per rientrare nella categoria dell’impresa e sono troppo grande per continuare a figurare titolare unico, se qualcosa va male pagheranno i miei figli e i figli dei miei figli “, spiega Carminati, un po’ depresso.
“Ma siamo vivi – ed eccolo euforico – perchè innoviamo: facciamo vetrate con le stampe digitali, quelle riscaldanti, oppure i vetri anti appannamento per le saune. Ogni nuovo macchinario costa centinaia di migliaia di euro, ma non puoi fare diversamente. Il futuro del materiale è la tempera chimica: maggiore resistenza e minor peso”.
Se siete mai passati sul ponte di Santiago Calatrava a Venezia, ecco, sappiate che il vetro è roba sua. Così come nella nuova sede del Sole 24 Ore, progettata da Renzo Piano.
Solo che poi è cambiato tutto, il fatturato dell’azienda si è dimezzato da un anno all’altro. “Era il 2008, a un certo punto due clienti non mi hanno più pagato: mezzo milione di euro di buco. Lì è cominciato un calvario dal quale sto uscendo solo adesso”, racconta l’imprenditore.
Un calvario fatto di scartoffie, cause e controcause a destra e a manca (tutte vinte: contro il Comune che si era preso troppi soldi per l’Ici, contro Equitalia che voleva 40mila euro) e infine, come una ciliegina sulla torta, le banche.
“A loro non interessa niente se hai una storia dietro, se hai un’idea per il futuro, se hai un inghippo momentaneo, non sei valutato realmente per quel che vali. Sei un numero, un coefficiente “, ragiona Carminati, di nuovo depresso.
Il suo “coefficiente” diceva che, nel bel mezzo della tempesta, aveva sforato il fido di 80mila euro.
“Ma come? Mi conoscevano da vent’anni, avevo chiesto una deroga, aspettavo una risposta da tre mesi e invece mi chiamano e fanno: “Lei è passato in incaglio”. Definizione del termine “incaglio” su sito specialistico: “Sconfino di conto corrente. La posizione di incaglio verrà segnalata in “centrale rischi” di modo che tutti gli istituti di credito possano prenderne notizia. Il risultato è l’impossibilità di accesso al credito”.
Per chi fa impresa somiglia alla campana che suona a morto.
Il tuo istituto non ti finanzia più, gli altri lo stesso. E allora come li ripiani i debiti? Per prima cosa “con grande dispiacere, ho ridotto il personale del 50%”.
Per seconda, Carminati è andato a leggersi bene i fogli della banca, le scritte piccole che nessuno si guarda mai.
Risultato, “ho scoperto che non solo non mi avevano aiutato quando più avevo bisogno, e questo lo sapevo, ma oltretutto avevano praticato tassi di interesse sul fido concordato fuorilegge”.
In gergo: anatocismo (la possibilità per le banche di applicare interessi sugli interessi), usura oggettiva e usura soggettiva.
Così è partita la richiesta di risarcimento danni, la banca ha tentato la strada della trattativa “e alla fine abbiamo chiuso la settimana scorsa a 50mila euro cash. Pochi, ma meglio la metà della metà subito che tutti fra anni, aspettando la fine di una causa”.
La dura legge del credito, oggi, è che “se chiedi cento, devi poter garantire centouno. Solo che poi uno risponde: ma scusa, se ce li avevo mica te li venivo a chiedere no?”, sbotta il padroncino della Iglass.
I numeri dell’Unione Artigiani lombarda, parlano di una stretta del credito dell’8% nel 2014 rispetto all’anno scorso.
“Senza dimenticare che tra il 2012 e il 2013 secondo Bankitalia il gap toccò un netto meno 10%”, sottolinea Marco Accornero, segretario degli artigiani milanesi e brianzoli: “I numeri certificano come l’accesso al credito da parte delle micro, piccole e medie imprese risulti difficile se non impossibile “.
Però almeno stavolta, in questa vetreria di provincia dove ora gli operai artigiani stanno costruendo una fontana per un comune indiano con scolpita una preghiera in musulmano, c’è il lieto fine.
Cioè una commessa da 540mila euro arrivata dalla Russia, un albergo da 220 camere, hai voglia di vetri e vetrate.
E così magicamente la giostra fatta di investimenti (e debiti) può ripartire: “Sai – sorride Carminati, ovviamente rivitalizzato – si chiama factoring: una società ti dà risorse finanziarie immediate in cambio della cessione dei crediti futuri… ”
Matteo Pucciarelli
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Dicembre 1st, 2014 Riccardo Fucile
“CON ESPULSIONI E DIRETTORIO SUPERATA OGNI RETICENZA”
“È sorprendente che da noi si proceda a nominare alcune persone con una lista bloccata calata dall’alto. Ma non eravamo quelli delle preferenze?”.
Il difficilissimo momento che sta attraversando il Movimento 5 stelle sta facendo saltare il tappo alla Camera, dove buona parte dei deputati è sul piede di guerra.
Ma rischia di avere serie ripercussioni anche sul Senato.
Francesco Molinari, che siede a Palazzo Madama, è durissimo: “Abbiamo questa preoccupante sindrome da tafazzismo, ogni volta che proviamo a concludere qualcosa rispetto a quanto promesso in campagna elettorale tiriamo fuori schifezze come quella degli scontrini”.
La responsabilità “è di tutti”, ma in particolar modo di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, “perchè ognuno se la deve assumere in relazione al ruolo che ha all’interno del Movimento”.
L’espulsione di Massimo Artini e Paola Pinna e la nomina del direttorio rischiano di avere conseguenze serie
Guardi, per me come per tantissimi miei colleghi è stato un fulmine a ciel sereno. È vero che necessitiamo di un minimo di organizzazione, ma quel che è successo è che è stata calata dall’alto una lista di nominati. Una vera e propria lista bloccata, quando ci si doveva esprimere in modo diverso. Dopotutto noi siamo nati difendendo le preferenze
Non un vero e proprio esempio di democrazia diretta.
Il problema di utilizzo della rete in maniera plebiscitaria è, per l’appunto, un problema che dovremmo risolvere.
Ha funzionato così anche per le espulsioni dei due deputati.
Quella è una vicenda stranissima, sia per la procedura utilizzata. I due hanno portato le prove delle loro restituzioni, e segnalavano semplicemente un problema di metodo nel pubblicarle sul sito tirendiconto.it, che a quanto mi dicono i colleghi della Camera è di proprietà di un singolo, Riccardo Nuti. Si è proceduto in maniera strumentale.
Il reale motivo dell’allontanamento quale sarebbe allora?
Mi piacerebbe saperlo. Ma chi ha un minimo di testa capisce la strumentalità delle motivazioni, e che procedere in questo modo fa male a tutti. Si creano profonde spaccature e divisioni.
Perchè secondo lei Grillo e Casaleggio stanno procedendo in questo modo?
Sto cercando la risposta a questa domanda da un anno e mezzo.
Tra l’altro proprio il giorno in cui è arrivato il post su Artini e Pinna al Senato presentavate il progetto di reddito di cittadinanza, che è arrivato in Commissione.
È singolare che ogni volta che proviamo a concludere qualcosa rispetto a quanto promesso in campagna elettorale tiriamo fuori schifezze del genere, come quella degli scontrini, le espulsioni e via discorrendo. Ci facciamo del male da soli.
Lei è molto critico. I capigruppo spiegano che non sono all’ordine del giorno altre espulsioni, ma in questa situazione potrebbe capitare a tutti, il prossimo potrebbe essere lei
Certo, non c’è alcun criterio in quello che sta succedendo. Mi perdoni l’espressione, dopotutto sono un grillino, ma abbiamo mandato completamente affanculo lo stato di diritto, che è il baluardo a tutela di tutti, in primis dei più deboli, il corpus di regole fondamentali da non violare. Le nostre innanzitutto. Qui invece è saltata qualunque tipo di regola. Quella che prevede che sia l’assemblea dei parlamentari a proporre alla rete le espulsioni, ma dopotutto c’erano state analoghe difficoltà anche con l’ultima espulsione dei quattro senatori. E l’articolo 4 del non Statuto, che prevede che nel Movimento non debbano esistere organi direttivi di alcun tipo. In questo caso è stata superata ogni reticenza.
Lo farà presente ai cinque colleghi?
Voglio prima sentire in assemblea che ci spieghino i limiti del loro mandato, perchè non sono affatto chiari. Spero però che il direttorio non uccida la nostra anima movimentista. Già alle ultime regionali siamo andati in difficoltà perchè ci hanno identificati come un partito tra i tanti. La cosa veramente amara sarebbe se loro fossero a conoscenza della nomina e lo avessero taciuto ai colleghi.
Si potrebbe arrivare a una scissione?
Al Senato non credo. Alla Camera mi dicono di tensioni fortissime, non lo escluderei. Il problema è che questi post alimentano la sindrome di tafazzismo nella quale siamo caduti. Ci facciamo del male da soli.
Responsabilità di Grillo e Casaleggio?
Responsabilità di tutti. Certo, ognuno in proporzione al ruolo e alle responsabilità che ha nel Movimento.
(da “Huffingtonpost“)
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Dicembre 1st, 2014 Riccardo Fucile
SEDICENTI FASCISTI IN AMMIRAZIONE DI UN EX KGB CHE IMPONE A SCUOLA TESTI PER LA RIABILITAZIONE DI STALIN… LA VAGA NOSTALGIA PER IL MURO DI BERLINO: PURCHE’ SOTTO IL TIRO DELLA STASI CI SIANO SEMPRE GLI ALTRI
E così, il (quasi) comunista Vladimir Putin piace tantissimo ai (quasi) fascisti dell’area antieuro (ma non antirublo), tanto quanto i (quasi) fascisti fanno impazzire il (quasi) comunista Putin.
Che ne è così infatuato, da riempirli di rubli e non di euro, come ha fatto con il Front National di Marine Le Pen, peraltro accendendo di invidia il putinista Matteo Salvini, ancora incerto tra CasaPound e l’ultimo Gulag della Corea del Nord.
Antonio Pennacchi potrebbe proporre un sequel del suo profetico Il fasciocomunista , raffigurando i nostri Limonov da pianerottolo che combinano il saluto romano con l’ammirazione per un leader che si è formato nel Kgb e che oggi a Mosca impone ai manuali scolastici la piena e obbligatoria riabilitazione di Stalin.
Questo vigoroso fascio-comunismo, peraltro non inedito (ricordate l’aggressività rosso-bruna del nazional-comunista Milosevic?) si fonda su una comune piattaforma di odio.
L’ideologia è confusa e nebbiosa, e del resto anche «fasciocomunismo» è definizione necessariamente imprecisa, non meno di «populismo» distribuito indiscriminatamente però.
Non è confuso l’odio. L’avversione istintiva per la democrazia parlamentare e la fascinazione ipnotica per il leader autoritario dai modi spicci e sbrigativi.
L’odio per il liberalismo, con tutte le sue fisime formaliste, incomprensibili per i «popoli».
La pulsione ostile per il libero mercato, la mentalità capitalistica, la finanza, l’anomia delle grandi città .
L’avversione per i ludi cartacei, per l’arte moderna, per lo Stato di diritto, per le libertà individuali, per le pretese della cultura gay, per il disordine delle famiglie, per la mescolanza culturale, per le èlite urbane, per l’America, per tutto ciò che è lib-lib-lib, liberale, libertario, liberista.
La tentazione fasciocomunista è ribelle quando non è al potere, è invece autoritaria, imperiale, intollerante, militarista quando è al potere come il nuovo zar Putin.
Perciò si annusano e sentono un’atmosfera comune, anche se i custodi delle rispettive purezze ideologiche vivono come un affronto questa contaminazione.
La fine della Guerra fredda ha spezzato le rigidità di un tempo e ha dato al fasciocomunismo, alimentato dal fallimento di un’Europa senz’anima, una linfa insperata.
Si diffonde anche una vaga nostalgia per il muro di Berlino: purchè sotto il tiro della Stasi ci siano sempre gli altri.
Pierluigi Battista
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 1st, 2014 Riccardo Fucile
LE RESPONSABILITA’ DI SARKOZY: RINCORRERE L’AVVERSARIO SULLA SUA AGENDA POLITICA, FINISCE PER LEGITTIMARLO…E INTANTO PIOVONO ALTRI 2 MILIONI DI EURO DI PUTIN A JEAN MARIE LE PEN
Uno ascolta Marine Le Pen e si chiede: ma davvero il destino della Francia e dell’Europa può essere questo.
Un discorso semplice, di quelli che si ascoltano al bar: frontiere chiuse, niente euro, niente Europa, niente stranieri, la Francia ai francesi, com’era una volta. Noi non abbiamo responsabilità , siamo l’ultima speranza. Loro sono il vecchio mondo, i falliti, noi siamo il futuro.
«Loro» e cioè Hollande e Sarkozy.
Dice Marine Le Pen che ha punteggiato il suo discorso di riferimenti alla coppia di avversari nelle presidenziali 2012: «Messieurs, signori, avete sbagliato tutto»
Madame Le Pen guarda alle prossime presidenziali dall’alto del 25 per cento ottenuto in primavera alle europee, primo partito di Francia
Nel dibattito politico la domanda ora non è più se la signora sarà o non sarà al ballottaggio, ma chi sarà il suo avversario, dando per scontato che lei sarà la prima. Sembra insomma che il destino politico della Francia sia ormai su un piano inclinato, niente e nessuno riesce a fermare la corsa della figlia di un leader residuale e caricaturale che vivacchiava ai margini di un sistema politico giocando con tutti i luoghi comuni più frusti del razzismo colonialista.
Marine ha aggiornato il suo discorso e portato nel partito giovani militanti, aperto teste e prospettive, ma alla fine siamo sempre lì, al vecchio patriottismo lepenista che rincuora delusi e rancorosi.
Ma cos’è successo a questo Paese scintillante di cultura e di educazione civile perchè un simile precipizio sia ormai uno scenario concreto?
La risposta sta in quello sferzante: «Avete sbagliato tutto». E il sospetto è che abbia ragione.
Per Hollande sono gli ultimi due anni. Ma il vero caso di scuola per politici e politologi sono invece i dieci anni di Sarkozy, cinque come ministro dell’Interno e leader del partito e cinque da presidente della Rèpublique.
Dieci anni trascorsi all’inseguimento di Le Pen (che nel 2002 si era sorprendentemente qualificato al secondo turno delle presidenziali) sul suo terreno muscolare, declamatorio, guascone e volgare.
Aveva promesso — tra le mille altre cose – di ripulire dalla feccia le banlieues con il «karcher» (la pompa degli spazzini di Parigi), ma la feccia è lì e le banlieues anche, più inquiete e inquietanti che mai.
La lezione è che se si insegue l’avversario sulla sua agenda di politica-cultura-comunicazione il risultato è che si legittima quell’agenda, si scredita la propria e alla fine, com’è logico, gli elettori scelgono di votare l’originale, non l’emulatore.
La stessa cosa sta succedendo al premier inglese David Cameron che sta varando una durissima legislazione anti-stranieri per rispondere alla crescita del Le Pen inglese, Nigel Farage leader dell’Ukip che cresce nei sondaggi ed ha vinto le ultime due elezioni parziali, mandando i suoi primi due deputati al Parlamento.
In Italia la faccenda è un po’ più complicata perchè a differenza dei suoi «alleati», Matteo Salvini non può rivendicare la verginità dal potere: governa due regioni come Lombardia e Veneto e il suo partito ha condiviso tutto il lungo potere di Silvio Berlusconi che non si è mai smarcato dalle politiche europee, anzi, nel drammatico finale del suo regno, in un estremo tentativo di salvarsi, a Bruxelles ha trangugiato più di quanto non dovesse.
Certo l’Europa deve cambiare faccia e facce, le politiche devono essere riconoscibili, l’immagine non può essere quella delle caricature che ne fanno Le Pen e Salvini — un’èlite di banchieri e grand commis della finanza – altrimenti quel piano inclinato su cui si trova la politica francese, ci riguarderà tutti.
I soldi di Putin (e ieri si è scoperto che oltre i 9 milioni per Madame Le Pen, da Mosca sono arrivati anche due milioni per il vecchio Jean-Marie) sono a disposizione per i populisti d’Europa: davvero un destino ineluttabile quello che ci aspetta?
Cesare Martinetti
(da “La Stampa”)
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