Dicembre 15th, 2014 Riccardo Fucile
DAL PROGETTO ACCANTONATO DAL GOVERNO MONTI EMERGE CHIARAMENTE LA CIFRA MINIMA DEI COSTI FISSI DI UN EVENTO DEL GENERE… E DOPO MAFIA CAPITALE LA CANDIDATURA FARA’ RIDERE IL MONDO INTERO
14 febbraio 2012: Mario Monti affossa la candidatura di Roma ai Giochi del 2020.
Due anni e mezzo dopo ci riprovano Matteo Renzi e Giovanni Malagò.
Il sogno olimpico dell’Italia riparte da lì. E dal lavoro che era stato fatto per quel progetto: il comitato promotore aveva stilato un lungo dossier, con costi, introiti e ricadute della manifestazione.
Ora quel documento potrà essere rivisto alla luce degli ultimi sviluppi (soprattutto delle nuove raccomandazioni low cost emanate dal Cio), ma costituirà comunque una base fondamentale su cui preparare Roma 2024.
La domanda che tutti si pongono è quanto può costare all’Italia la 33esima edizione dei Giochi. La risposta dei tecnici, allora, era circa 13 miliardi di euro.
Adesso si proverà a ridurre questa cifra: lo vuole l’Italia, anche il Cio è d’accordo.
Le follie di Pechino e Sochi (per cui Putin avrebbe speso quasi 50 miliardi di dollari) non si ripeteranno.
Ma si tratta comunque di Olimpiadi estive, la più grande rassegna sportiva al mondo: potrebbero arrivare circa 2 milioni e mezzo di turisti (di cui la metà dall’estero) e oltre 360mila atleti. Alcuni costi sono oggettivi.
La spesa principale riguarda gli impianti sportivi: Roma può contare già su Foro Italico e Stadio del nuoto, poi ovviamente ci sono l’Olimpico e il Flaminio (che però va rimesso in piedi).
Uno degli obiettivi dovrebbe essere portare a compimento il progetto della Città dello Sport a Tor Vergata (avviata nel 2005 e mai finita, ci vorranno ancora 500 milioni di euro).
Si punterà su ristrutturazioni e allestimenti temporanei, ma sarà difficile mantenersi sotto il miliardo.
Comunque questo è uno dei capitoli su cui si può risparmiare: la base è buona, e potrebbe essere ancora migliore se nel frattempo vedrà la luce lo stadio della Roma a Tor di Valle.
Senza dimenticare che le nuove regole del Cio permettono di spostare le fasi preliminari in altre città (si parla di Sardegna e Napoli, ma anche Milano e Firenze).
Non si scappa, invece, dalla costruzione del villaggio olimpico, probabilmente in zona Tor di Quinto, per un altro miliardo abbondante.
È vero che c’è la possibilità di affidare l’opera in concessione a privati, ma lo Stato deve comunque farsi garante in prima persona dell’investimento.
Quei soldi, al massimo, rientreranno in un secondo momento.
Poi ci sono 2,5 miliardi per i costi di organizzazione, che però potrebbero essere coperti con i contributi del Cio, da cui arriverebbero circa due miliardi dopo l’assegnazione.
Da rivalutare i progetto per le infrastrutture, che valeva 4,4 miliardi.
Opere (come la chiusura dell’anello ferroviario in zona nord, il prolungamento della metro A fino a Tor Vergata e i lavori a Fiumicino) comunque già inserite nel piano strategico di sviluppo in vista del Giubileo 2025, e in parte a carico di privati. Infine ci sono le spese di sostegno al turismo, non meno di 3 miliardi. In totale il dossier Roma 2020 si attestava a quota 13 miliardi. Adesso per la versione low-cost di Roma 2024 si potrebbe anche dimezzare quella cifra, sfruttando al massimo gli impianti esistenti, la collaborazione con altre città e i contributi dei privati.
L’altra questione è come verranno affrontate queste spese, e quali ricadute avranno sull’economia.
Impossibile pensare di aumentare il deficit (su cui vigila l’Europa): ma la pressione fiscale è fin troppo alta, e nell’ultima manovra la spending review è già stata tirata al limite.
Non sarà facile trovare la quadra: il grosso si concentrerà nell’anno dei giochi, ma anche nel quadriennio sono previste spese supplementari.
Quanto alle ricadute, il saldo dei tecnici era positivo anche se di poco: 15 miliardi circa di entrate, a fronte di 13 di uscite, con un aumento del Pil di circa l’1,2% complessivo e un notevole impulso all’occupazione (26mila posti in più solo nell’anno della manifestazione). Limando le spese e sperando di mantenere più o meno invariati i guadagni Roma 2024 sarebbe possibile.
La conclusione del dossier, però, era tutta in due postille di cui bisognerà far tesoro adesso che il progetto è di nuovo d’attualità .
“L’operazione di ospitare i Giochi a Roma potrebbe rivelarsi vantaggiosa qualora si riesca a contenere la spesa ai livelli programmati”, scrivevano gli esperti.
Operazione, però, che non è quasi mai riuscita per quanto riguarda le ultime grandi manifestazioni sportive, come dimostra anche il caso di Londra 2012 e della Gran Bretagna. L’Italia dovrà riuscirà dove praticamente tutti hanno fallito.
E poi — concludeva il documento — “è evidente che costituiscano condizioni indispensabili il rientro dalle attuali tensioni finanziarie e il fatto che la candidatura venga percepita positivamente dai mercati”.
Ma la situazione economica dell’Italia è davvero così cambiata rispetto a due anni fa?
Un’altra domanda a cui Matteo Renzi e tutti quelli che credono in Roma olimpica dovranno rispondere.
Lorenzo Vendemiale
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 15th, 2014 Riccardo Fucile
E DENIS VERDINI E’ SUL PUNTO DI MOLLARE
Il Patto del Nazareno assomiglia sempre di più a un malato in agonia.
E c’entra fino a un certo punto quell’alone di sospetto, fisiologico nelle trattative complesse, con cui Berlusconi ha osservato le ultime mosse di Renzi: “Il patto c’è — ha ripetuto ai suoi con convinzione — ora vediamo se lo rispetta”.
Ove il patto sarebbe un nome condiviso al Quirinale, da scegliere fuori dall’elenco dei leader della sinistra, a partire da Romano Prodi, passando per tutti gli ex segretari del Pd: “Renzi – ripete – si è impegnato”.
E proprio per tastarne la “tenuta” l’ex premier ha fatto piombare la dichiarazione sul “Nazareno al Colle” durante l’assemblea del Pd.
Ricevendo tutt’altro che un sonoro non se ne parla. Anzi, proprio la scelta di Renzi che ha affidato la risposta di circostanza ai suoi vice, Guerini e Serracchiani, e che ha evitato di prendere di petto la questione dal palco è un segnale che tra i due continua un gioco di sponda.
Perchè Berlusconi è convinto ancora che “è Matteo il primo a non volere Prodi”, consapevole che uno ingombrante al Colle rischierebbe di commissariarlo.
Ecco perchè non lo hanno colpito più di tanto le notizie di un incontro tra i due. In fondo fa parte del gioco, anche Matteo deve fare ammuina coi suoi per tenerli.
L’agonia del Nazareno è legata a ciò che c’è attorno alle intenzioni.
C’è che, dentro Forza Italia, è scattata l’ora del “liberi tutti”.
È questo il senso delle durissime dichiarazioni del “ribelle” Raffaele Fitto. Il quale, nel suo blog, per la prima volta non ha parlato solo di partito e di governo: “Forza Italia — scrive – rischia di arrivare a quell’appuntamento politico-parlamentare in una condizione di marginalità e di irrilevanza”. È il messaggio. Anzi, il Messaggio.
Nel segreto dell’urna chiamata a eleggere il successore di Napolitano i ribelli, che alla luce del sole sono 36, supererebbero, secondo i ben informati, quota 50: quasi la metà dei gruppi di Forza Italia.
Ed è tutt’altro che banale la lettera aperta con cui Renato Brunetta sul Mattinale, invoca alla rottura del Nazareno: “Le riforme sono le nostre? Io dico di no”.
Ecco, attorno alle intenzioni del Cavaliere c’è un partito che non risponde più ai comandi. Deve averlo capito per primo Matteo Renzi attento anche nell’assemblea di domenica a non umiliare i suoi oppositori interni per arrivare all’appuntamento del Colle con un partito unito attorno a un nome.
Perchè se Berlusconi si perde per strada 50 parlamentari su 130 allora conviene — come primo obiettivo — evitare i 101 in casa piuttosto che inseguire gli 80 azzurri in trasferta.
Il Nazareno con il “liberi tutti” c’entra, ma fino a un certo punto.
E c’entra fino a un certo punto il governo, la sua politica economica o il Quirinale.
È il partito la vera posta in gioco della faida interna e con esso il “controllo” dell’organizzazione.
Il termometro di quel che sta accadendo sono le pressioni arrivate ad Arcore per togliere a Maria Rosaria Rossi il potere di firma delle liste elettorali conferitogli da Berlusconi mesi fa. E non è un dettaglio.
Perchè ormai è dato per assodato che le urne anticipate siano tutt’altro che un’ipotesi del terzo tipo.
E il potere di firma delle liste assomiglia a un potere di vita o di morte verso il grosso dei parlamentari.
Sta qui il punto più delicato della partita. Su cui Berlusconi non ha intenzione di cedere: “La firma di Rosaria — va ripetendo l’ex premier — è la mia firma. Punto”.
Un “Rosaria c’est moi” che riguarda anche i licenziamenti al partito, i tagli delle spese e tutte la misure su cui la “Debitiera” si è guadagnata l’impopolarità .
Proprio perchè Berlusconi non vuole trattare sul partito, dopo un paio di pranzi con Fitto, non lo ha più chiamato.
Nè ha intenzione di cedere sovranità al ribelle sul controllo di liste e organizzazione: “Ormai — raccontano i fedelissimi — con Fitto non è più una questione politica, ma personale. Non solo non lo riconosce come interlocutore, ma si sente tradito, offeso da un modo di fare che gli ricorda Fini e Alfano”.
Proprio per depotenziare Fitto arriva, dal comitato che si occupa di candidature alle regionali, la proposta ad accettare la candidatura a governatore della Puglia.
Visti i sondaggi, un modo per bruciarlo nel falò di una sconfitta sicura.
Tutte turbolenze su cui a palazzo Chigi è scattato l’allarme.
Più volte il premier ha chiesto ai sui: “Ma Forza Italia regge?”.
Domanda pronunciata col tono del pessimismo da quando Verdini ha fatto sapere che starebbe per mollare, stanco di una gestione poco razionale da parte del suo partito, e anche del suo Capo.
Un parlamentare che ne ha raccolto lo sfogo racconta: “Denis si è rotto. Perchè non è possibile fare così. Pure Berlusconi prima dice una cosa, poi un’altra”.
E sarebbe stufo di quella che definisce “una banda di dilettanti” attorno a Berlusconi. Quelli, per intenderci, che lo scorso 5 novembre lo hanno spinto a indurire la trattativa del Nazareno facendo sì che, da quel momento, Renzi si muovesse nell’ambito di uno schema diverso: “Prima — prosegue il parlamentare – Matteo parlava con noi e piegava i suoi avendo l’accordo in tasca. Dal 5 novembre, quando Berlusconi sulla legge elettorale ha tirato la corda, Renzi prima trova la quadra coi suoi e poi si confronta con noi”.
La “banda” di cui parla il toscanaccio Verdini comprende i capigruppo di Camera e Senato, ma anche il grosso del cerchio attorno al Magico a partire da Giovanni Toti, fautori di un Nazareno meno “supino” e accomodante rispetto a quello di Verdini.
Ecco, al di là delle intenzioni, il “patto” è già cambiato.
È in agonia, e nell’agonia si è intensificata la confusione e il numero dei ribelli.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 15th, 2014 Riccardo Fucile
ERA STATA PROMESSA UNA SOSPENSIONE FINO AL 20 DICEMBRE PROSSIMO, IL GOVERNO NON INTERVIENE A PROROGARE LA SCADENZA… I PAGAMENTI SARANNO DA EFFETTUARE IN UN’UNICA SOLUZIONE
Atteso e amaro provvedimento pre-natalizio per i cittadini dei Comuni colpiti dalle alluvioni dei mesi scorsi.
Un decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze ha stabilito infatti che “gli adempimenti e i versamenti tributari nei comuni colpiti dalle alluvioni nei mesi scorsi e per i quali era stata prevista la sospensione fino al 20 dicembre 2014, devono essere effettuati in un’unica soluzione entro il 22 dicembre prossimo”.
I comuni interessati, indicati nei precedenti decreti di sospensione, “sono localizzati in Liguria, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Friuli Venezia Giulia e nella provincia di Foggia”, conclude la nota del Tesoro.
Nei giorni scorsi si era a lungo discusso della possibilità di far slittare il pagamento di tributi quali l’Imu e la Tasi di pochi giorni rispetto alla scadenza naturale del 16 dicembre.
Molti cittadini avevano manifestato la sensazione di essere ‘beffati’ di fronte a questa evenienza, ma le ricostruzioni hanno anche mostrato l’altro volto della medaglia. Sarebbero infatti state non poche le pressioni dei sindaci a non andare troppo in là con i pagamenti, vista la perenne necessità di liquidi da parte delle casse comunali.
Infatti dagli empolesi arriva una prima reazione amara: “Siamo senza parole, i contribuenti vengono trattati come se fossero in una novella boccaccesca. E’ una beffa” dice il comitato degli imprenditori di Stabbia, frazione di Cerreto Guidi (Firenze).
Altri comuni dell’Empolese che subirono danni dalla tromba d’aria furono Capraia e Limite, Fucecchio e Vinci.
Con diversi decreti, a cominciare dalla Liguria e da altre regioni del Nord per poi allargarsi a buona parte della Toscana e della provincia di Foggia, nei giorni scorsi il Mef aveva disposto di esentare – per il periodo più lungo possibile – i cittadini coinvolti nei disastri ambientali.
Senza un intervento del governo, ecco invece i risultati.
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Dicembre 15th, 2014 Riccardo Fucile
TRA TALK E POLEMICHE TRASCURIAMO CHI SOFFRE PER LA CRISI
“Se diventerò governatore della Liguria proporrò un reddito minimo garantito”. La promessa di Sergio Cofferati, fatta durante uno dei tanti dibattiti per le primarie del Pd, è passata inosservata.
Ma le parole di Cofferati — che da anni, anche in Europa, propone il reddito minimo — potrebbero avere un grande peso politico.
Primo, aprono un fronte all’interno del Pd diviso tra le proprie radici di sinistra e il desiderio di mostrarsi “moderno” (qualunque sia il significato della parola).
Secondo, potrebbero rivelare il tentativo di una parte del centrosinistra di erodere consenso al M5S che aveva lanciato questa battaglia, ma adesso sembra più interessato a marcare la Lega (dimenticando che molti dei suoi elettori non sono di destra).
Ma lasciamo questi ragionamenti agli analisti politici.
Il punto è un altro: il reddito minimo, una somma garantita a chi non ha lavoro e a chi, soprattutto le donne, pur avendo un impiego non riesce a mettere insieme un salario decente
Lo ha scritto Salvatore Cannavò su queste pagine: Italia e la Grecia sono gli unici paesi europei a non prevederlo (in Parlamento giacciono tre proposte di legge e la Regione Friuli vorrebbe sperimentarlo nel 2015).
Perchè? Non è solo una questione di bilanci disastrati (costerebbe 15 miliardi in una versione minima).
È soprattutto un modo di vedere la nostra società . E quindi la vita.
Ormai non esiste un talk show degno di questo nome in cui non sia presente tra gli ospiti un imprenditore, quasi fosse il rappresentante dell’italiano tipo.
Niente contro gli imprenditori, per carità , sono una delle ancore di salvezza del nostro Paese. Rischiano del proprio e sono costretti a continui equilibrismi tra adempimenti assurdi e tasse che somigliano talvolta a capestri.
Ma nel frattempo sembriamo esserci dimenticati che esistono milioni di persone che stentano ad arrivare a fine mese. Sono anche loro italiani.
Di più: in preda a una sorta di marchionnismo imperante ci stiamo convincendo che dietro la difficoltà , la miseria ci sia una responsabilità , perfino una colpa.
Non è così, come non è vero che dietro le fortune economiche ci siano sempre meriti. Esiste un destino che non dipende da noi.
Il reddito minimo non è una tutela soltanto per chi lo riceve, ma per l’intera società .
Evita che migliaia di persone scivolino nell’emarginazione e richiedano così investimenti ben più consistenti per l’assistenza sociale.
Riduce perfino il rischio di delinquenza. Ma è anche un investimento nel futuro, perchè aiuta chi non ha mezzi a garantire occasioni ai propri figli che porteranno avanti il Paese di domani.
Soprattutto, ricorda ai cittadini che la società li sostiene.
Che, insomma, hanno un valore non solo quando producono. Ma in quanto persone. L’Europa (si va da 500 a 1.500 euro) sembra averlo capito.
L’Italia no. Perchè?
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 15th, 2014 Riccardo Fucile
CENTRI PER RIFUGIATI, RIFIUTI, VERDE PUBBLICO: DALLA SARDEGNA A BARI E CATANIA
Se per un attimo si alzano gli occhi da Roma, si ha la visione di un progetto. Più ampio, più ambizioso.
Per Carminati e il suo alter ego dalla “faccia pulita”, Salvatore Buzzi, il Mondo di Mezzo non finiva al Grande raccordo anulare.
Puntavano a prendersi il Cara più grande d’Europa, quello di Mineo. Sono scesi in Calabria a far patti con il clan Mancuso, sono volati a Londra per investire in società immobiliari, sono accusati di aver portato soldi in Svizzera, soldi in Liechtenstein, soldi a San Marino dove c’è una finanziaria, la Fidens Project Finance, indagata nel procedimento. Si sono comprati sindaci e appalti nella cintura dei comuni attorno a Roma. Mafia Capitale, dunque, non era solo capitale.
Saranno i giudici a stabilire se sia valida l’intuizione del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, che ha riconosciuto nel gruppo del “ Guercio” il modus operandi di una vera associazione mafiosa.
Finora, un gip e il tribunale del Riesame gli hanno dato ragione.
Quello che però le indagini hanno già consentito di scoprire è la dimensione “italiana” di certi interessi in ballo, soprattutto quelli che gravitano attorno all’emergenza immigrati. Non è casuale l’ossessione che Buzzi e Carminati avevano per il centro accoglienza profughi di Mineo, in Sicilia.
Nel Consorzio che lo gestisce figura come consulente Luca Odevaine, ritenuto dalla procura «a libro paga», e 44 bonifici in 2 anni girati dalla Coop 29 giugno sui conti della sua ex moglie stanno lì a dimostrarlo.
«Sono in grado di orientare i flussi che arrivano da giù», dice Odevaine in un’intercettazione. Naturalmente quei flussi di disperati finivano nei centri controllati da Mafia Capitale.
Con lo stesso obiettivo, cercavano di portare a 300 il numero di ospiti del Cara di Palese, ma il comune di Bari si oppose.
E pure la puntata in quel di Cropano Marina, dove Buzzi ottiene nel 2008 dal Viminale la gestione per cinque mesi del Cara locale (1,3 milioni di euro di introiti) e stringe un patto di “protezione” con il clan Mancuso, fa parte del progetto.
Salvatore Buzzi, “il compagno B”, il già condannato per omicidio che si è ritrovato a capo di una ingarbugliata rete di cooperative sociali.
Dal 2007, annotano i carabinieri del Ros nelle loro informative, è consulente anche del consorzio Tolfa Care srl che ha sede legale a Pesaro, pur operando nel comune di Tolfa, non lontano da Civitavecchia, nel settore dell’assistenza agli anziani.
È anche consigliere di sorveglianza del Consorzio nazionale servizi, sede a Bologna e affari nel Lazio.
Nel 2012 vince un appalto da 21 milioni con l’Ama, la municipalizzata dei rifiuti, e Buzzi sembra averne un certo controllo, tanto che il 14 febbraio 2013 offre a Salvatore Forlenza (uno degli arrestati, ndr), la possibilità di partecipare: «Vuoi entrare anche te come Cns, Formula Ambiente? Perchè ora si può entra’, poi dopo è difficile»
La sua ombra si allunga fino in Sardegna.
Nei giorni scorsi l’ Unione Sarda ha dato conto di due arresti, due consiglieri di amministrazione proprio di Formula Ambiente, che sull’isola si occupa di rifiuti e igiene urbana per 17 comuni. Buzzi, fino al 2012, di quel consorzio era tra i soci di maggioranza. E i due finiti in carcere risultano legati alla cooperativa “29 giugno”.
Dell’influenza nei comuni a nord di Roma, si è detto in questi giorni.
Da Sant’Oreste (appalto per la raccolta differenziata da 3 milioni di euro, il sindaco è accusato di aver accettato soldi), a Sacrofano (vivono qui Carminati, Brugia e Gaglianone, hanno sostenuto la campagna elettorale del sindaco), ai municipi dove ottengono lavori nel settore dell’immondizia: Canale Monterano, Formello, Anguillara.
A Morlupo il “ Guercio” aveva addirittura l’intenzione di costruire un piccolo impianto di compostaggio, mentre a Fiumicino Ernesto Diotallevi, «il boss dei boss» sostiene al telefono la necessità di appoggiare il candidato sindaco del Pdl Mauro Gonnelli.
Niente si fa per caso, nel Mondo di Mezzo avevano un progetto.
Fabio Tonacci
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 15th, 2014 Riccardo Fucile
NEI COMUNI PIU’ BENESTANTI L’AFFLUENZA ALLE POLITICHE E’ PIU’ ALTA CHE ALLE COMUNALI… IN QUELLI MENO RICCHI ACCADE IL CONTRARIO, PERCHE’ E’ LI’ CHE SI POSSONO CONTROLLARE LE SCELTE DEGLI ELETTORI
I pacchi di pasta agli anziani portati alle primarie del Pd per il Comune di Roma.
Le file di elettori nei quartieri ad alta densità di rom ed altri cittadini con diritto di voto, ma senza lavoro.
Il voto di scambio, fondamenta del potere della tribù di Mafia Capitale per piazzare uomini fedeli e controllare gli appalti o le imprese municipali, non è un’esclusiva di Roma.
Non è neppure una novità , perchè è passato agli annali del folclore per le promesse di una scarpa prima e una dopo il voto nella Napoli anni ’50 del sindaco Achille Lauro.
Questa volta però è diverso. Questa non è più l’Italia del boom, con i tassi di crescita e di speranza più alti dell’Occidente.
Nel pieno di un crollo dell’economia di oltre il 9% dal 2008, e di una caduta anche maggiore dei redditi degli ultimi, il voto di scambio, la corruzione, l’esclusione delle imprese pulite e competenti e tutto il debito pubblico che ne deriva, sono ormai un sistema radicato nella recessione.
Senza il declino italiano, non esisterebbe con la stessa forza.
Non potrebbe, perchè i dati elettorali su decine di comuni d’Italia mostrano come il voto di scambio sia legato sempre più strettamente all’impoverimento delle città .
Per questo promette di radicarsi — con le sue conseguenze tossiche — se l’Italia non ritrova la strada della ripresa.
Sono i grandi numeri, non più solo gli aneddoti, a mostrare i segni di questa realtà . Un’analisi sui dati delle 10 città medio-piccole a maggior reddito e di altri 10 centri di dimensioni simili, ma relegate in fondo alle graduatorie del benessere economico, mostra come la povertà distorca i comportamenti elettorali.
Questi due gruppi diversi di comuni mostrano, in media, scarti così radicali nell’affluenza alle urne da lasciar capire come il voto di scambio si sia ormai impadronito di intere parti d’Italia
Per le città più ricche, abbiamo selezionato le prime 10 della classifica della produzione di reddito del “Sole 24 Ore” (ad esclusione di Milano, troppo grande per il confronto).
Si tratta di Sondrio, Aosta, Belluno, Piacenza, Cuneo, Parma, Modena, Bolzano, Mantova, Biella. Per le città meno benestanti, abbiamo scelto 10 centri al fondo delle classifiche del “Sole” per reddito prodotto, assegni pensionistici medi o patrimonio. Sono Reggio Calabria, Salerno, Vibo Valentia, Catanzaro, Crotone, Cosenza, Lecce, Agrigento, Enna e Messina.
Salta subito all’occhio che nei due gruppi di città di classi di reddito opposte il comportamento degli elettori è anch’esso molto diverso.
Nella media delle 10 città “ricche” l’affluenza è stata sempre maggiore alle ultime elezioni politiche (78,1%) che al primo turno delle ultime comunali (65,2%).
Nella media delle 10 città più impoverite invece l’affluenza alle ultime politiche (65,6%) è nettamente più bassa che al primo turno delle ultime comunali (73,25%). Emerge poi anche un’altra differenza fra i due gruppi: quando le comunali vanno al secondo turno, con il ballottaggio fra due soli nomi di candidati a sindaco, l’affluenza al voto nelle città “povere” crolla in media molto più che nelle città “ricche”.
Nel primo caso si registra una caduta media del 20% fra il primo e secondo turno, fra i capoluoghi benestanti invece il calo è minore di quasi la metà (meno 12,5%).
In sostanza, le città con molti abitanti in difficoltà economica sembrano molto più interessate alle comunali che alle politiche, ma questo interesse sparisce al ballottaggio in misura nettamente maggiore di quanto non avvenga dove il benessere è diffuso.
Ogni città naturalmente fa storia a sè.
Le condizioni locali variano per mille motivi e non è detto che questi comportamenti siano sempre sintomo voto di scambio.
Ma nei grandi numeri, l’indizio diventa una prova.
Dove il reddito è più basso e quindi gli elettori sono più facilmente acquistabili con denaro, alimenti, la promessa di lavoro o la minaccia di licenziamento, è alle comunali e non alle politiche che tende a concentrarsi il voto di scambio.
Alle ultime comunali esisteva infatti il voto di lista sui singoli candidati, mentre alle politiche le liste erano bloccate.
Il candidato alle politiche non può controllare ex post se l’elettore ha dato o meno il voto che gli ha promesso, dunque non è incentivato a pagare per assicurarselo.
Il candidato alle comunali invece è in grado di controllare che lo scambio sia avvenuto: poichè ha le liste degli elettori iscritti ai seggi di ciascuna sezione — gruppi di solito di 200 o 300 persone di un certo rione — nota subito se in un seggio ha ricevuto meno voti dei 20 o 30 che sa di aver “comprato”.
Di qui la maggiore affluenza media nelle città a forte disagio economico, al primo turno delle comunali: è infatti allora che si indicano i singoli candidati.
Di qui anche il crollo del 20% o più al ballottaggio, quando la scelta è fra due sole persone, dunque il controllo ex post impossibile e l’incentivo a comprare il voto viene meno.
Queste anomalie nell’affluenza sono tali da permettere a chi pratica il voto di scambio di controllare un comune, i suoi appalti, e le aziende municipalizzate. Si genera così, grazie alla povertà , il modello Mafia Capitale: debito pubblico che arricchisce pochi oligarchi locali a spese delle aziende migliori, escluse dagli appalti, e della collettività . Non è detto che succeda sempre, ovviamente.
Ma chi investe in voto di scambio lo fa sempre nell’attesa di un rendimento.
E un’analisi più fine dimostra quanto queste dinamiche traggano alimento dalla recessione: la sezione 91 del quartiere più povero di Catanzaro, la città con le pensioni più basse d’Italia, fra le politiche e le comunali mostra un’impennata dell’affluenza dal 51% al 79%.
Altre periferie d’Italia, non solo al Sud, danno segnali simili.
Nasce così un conflitto d’interesse in certi politici locali: non fanno niente per far emergere i loro concittadini dalla povertà , perchè grazie ad essa è possibile il voto di scambio.
La povertà conferisce controllo ai politici corrotti e genera nuova corruzione, che alimenta nuova povertà .
Basterebbe poco per intralciare questo ingranaggio: mettere in un solo contenitore le schede di tutti i seggi prima dello scrutinio, in modo da impedire il controllo sui singoli elettori.
Ma nessun politico l’ha mai proposto.
Federico Fubini
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 15th, 2014 Riccardo Fucile
IL PREMIER MANDA UN MESSAGGIO A FORZA ITALIA E MINORANZA PD… IL PROFESSORE TORNA IN PARTITA
La bandiera dell’Ulivo non la lascia nelle mani di Pippo Civati: è un brand scolpito nel simbolo del Pd.
E’ anche per questo che, pur dopo le critiche sui fallimenti dell’Ulivo sputate davanti all’assemblea Dem, Matteo Renzi riceve a Palazzo Chigi Romano Prodi, il padre dell’Ulivo e anche del Pd.
Unico ammesso all’incontro: il sottosegretario Graziano Delrio. Ma il colloquio di un’ora e mezza, alla vigilia dell’inizio corsa sul dopo-Napolitano al Colle, serve anche per mandare avvertimenti a tutto campo: alla minoranza Pd e a Forza Italia.
Per il Pd il messaggio è questo: Renzi non è pregiudizialmente ostile al nome di Prodi per il post-Napolitano, ma quei Dem che lo vorrebbero lanciare in pista per minare il Patto del Nazareno, sappiano che il prof al Colle fa rima con voto anticipato.
Perchè nome sgradito a Silvio Berlusconi, il quale farebbe saltare il patto sulle riforme.
E alle urne si potrebbe andare con il Mattarellum, come recita la clausola di salvaguardia sull’Italicum proposta dai senatori renziani e al voto domani in commissione.
Perchè, è la considerazione del premier, chi nel Pd si dice prodiano o ulivista non può dirsi contrario al Mattarellum.
E’ un avvertimento sottile, ma non fa una grinza.
Il messaggio per Forza Italia e Silvio Berlusconi è: se non vi compattate su riforme e Quirinale, potrebbe scattare il piano B, cioè Prodi appoggiato da Pd, M5s e Sel.
E’ un gioco di specchi, tutto tattico, che cade nella fase preparatoria alla corsa quirinalizia, ufficialmente al via a metà gennaio.
Renzi gioca ancora su uno schema a tutto campo. Che comprende due strade alternative: la prima, l’autosufficienza. Che è lo schema sul quale potrebbe rientrare Prodi, in teoria. La seconda, è il patto del Nazareno con Berlusconi. Che è lo schema nel quale rientrerebbe un candidato “adeguato a Forza Italia”, come ha detto ieri il Cavaliere.
Incontrare oggi Prodi a Palazzo Chigi è servito per lanciare messaggi a tutto campo, appunto.
Oltre che per parlare di politica estera, dalla Libia, alla crisi in Ucraina, all’Ue, come recita la nota ufficiale del governo.
Di esteri ne hanno parlato, ma con la chiacchierata di oggi Renzi ha voluto sondare le intenzioni del Professore sulla corsa al Colle.
“Il prof non è candidato, nè Renzi lo vuole candidare”, ci tiene a sottolineare la deputata Dem Sandra Zampa, ex ufficio stampa di Prodi. Ma il colloquio di oggi spezza una lancia a favore della candidatura del prof al Colle, seppure debolissima. Perchè, come in tutte le partite, Renzi gioca molto di tatticismo.
“Solo lui ha in testa il nome”, dicono i suoi. Del resto, è andata così per la Farnesina, per dire (assegnata a Gentiloni contro tutte le aspettative).
Resta il virgolettato ufficiale del ministro Boschi ospite a ‘Porta a porta’: “Sul Quirinale il Pd deciderà un nome e poi lo proporrà agli altri”.
L’incontro è andato benissimo, dicono tutte le parti in causa. I due, con Delrio, avrebbero parlato anche molto di partito. Dell’eredità dell’Ulivo, appunto.
Un’eredità che Renzi non è disposto a lasciare ad altri, men che meno a chi vorrebbe ordirgli trame sul Quirinale nel nome di Prodi. E in effetti oggi in quell’ora e mezza di colloquio a Palazzo Chigi si sarebbe parlato anche delle trame ordite per far fallire il governo Prodi nel ’98. In linea con il messaggio che non a caso ieri Renzi ha voluto lanciare all’assemblea del Pd, messaggio sul quale non a caso si ritrova un prodiano doc come Arturo Parisi e lo stesso Romano Prodi.
Da qui a dire che il professore di Bologna sia in corsa per il Quirinale, ce ne passa. Troppe sono le variabili. Innanzitutto quella del voto anticipato: i renziani danno per scontato che Prodi al Colle significherebbe la fine del tentativo di approvare riforme in questa legislatura.
Perchè significherebbe rompere con Forza Italia, che infatti è molto nervosa e divisa al suo interno alla luce dell’incontro di oggi a Palazzo Chigi.
“L’unico modo per Prodi di arrivare al Quirinale — dice una fonte renziana — sarebbe quello di firmare un patto con Renzi sullo scioglimento anticipato delle Camere in caso si renda necessario…”.
Ma il premier non ha ancora deciso se andare al voto in primavera, anche se lo lasciano pensare sia l’emendamento sul Mattarellum che quello presentato sulla legge di stabilità che accorpa comunali e regionali a maggio, costruendo un election day utile in caso urne anticipate.
Di fatto incontrando Prodi, Renzi prende il bandolo più ingombrante della matassa che si ritrova a gestire sul Quirinale.
Inizia da lui, il più chiacchierato delle trame anti-renziane per il Colle, per mandare segnali a tutti i suoi interlocutori, sia al Pd che a Forza Italia.
Napolitano si prepara a gestire il suo ultimo mese da presidente. Le danze per il ‘dopo’ sono ufficialmente iniziate.
(da “Huffingtonpost“)
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Dicembre 15th, 2014 Riccardo Fucile
IL DOLLARO SUPERA QUOTA 60, IL CREMLINO COSTRETTO A TAGLIARE DEL 10% IL BILANCIO STATALE… COME IL LEADER LEGHISTA HA AUSPICATO UN PRESTITO DA BANCHE RUSSE, QUESTE (AL PENSIERO?)SONO CROLLATE
Nuovo strappo al ribasso per il rublo.
La divisa russa non beneficia del tentativo di rimbalzo del petrolio con il mercato che continua ad aumentare il pressing sulla Bank of Russia per ulteriori interventi a difesa del rublo.
Il cross tra dollaro Usa e rublo oggi è salito per la prima volta nella storia sopra quota 60 rubli, con una variazione di oltre il 3% rispetto ai livelli di chiusura di venerdì scorso.
La Bank of Russia ha cancellato un’asta di 700 miliardi di rubli (circa 11,6 miliardi dollari) di titoli di Stato a tre anni dopo non aver ricevuto alcuna offerta.
Aumentano quindi le pressioni per interventi sul mercato valutario da parte della banca centrale russa a difesa della moneta dopo l’infruttuosa mossa di settimana scorsa di alzare ulteriormente i tassi di interesse (dal 9,5 al 10,5%).
Da inizio mese il rublo ha già perso oltre il 18% del proprio valore portando a -76% circa il saldo degli ultimi 12 mesi.
Il taglio al bilancio
Il governo russo ha così deciso di tagliare del 10% il bilancio del 2015, in seguito al brusco mutamento dello scenario economico.
Lo rivela il quotidiano economico-finanziario Vedomosti, citando tre fonti governative.
La scure si abbatterà sui trasporti (che assorbono il 38,1% del budget) sullo spazio (19%), sullo sviluppo dell’estremo oriente russo (6%) sull’aeronautica (4,6%).
Il bilancio 2015 era stato predisposto lo scorso luglio, con una previsione del prezzo del barile a 95 dollari quando era a 115 dollari (ma venerdì scorso era a 61) e un dollaro valeva 34 rubli (oggi ha superato quota 60).
(da “La Stampa”)
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Dicembre 15th, 2014 Riccardo Fucile
DA “LA DESTRA” DI STORACE A BARBATO, FINO ALL’AMICO DI COSENTINO, D’ANNA: TUTTI A SOSTENERE IL SINDACO DI SALERNO
Il più convinto nel sostenere Vincenzo De Luca è l’ex senatore mastelliano Tommaso Barbato. Ve lo ricordate? Fu tra i killer del governo Prodi, nel 2010 aveva stampato i manifesti per candidarsi alle regionali campane nel Pdl e fu fatto fuori in zona Cesarini (suo figlio poi si candidò in una lista alleata), ma dalle politiche del 2013 gravita intorno al Pd.
L’sms elettorale spedito da Barbato in queste ore non lascia dubbi: “Invito tutti gli amici del territorio all’incontro con De Luca, sindaco di Salerno”, con appuntamento per martedì pomeriggio in un centro sportivo di Marigliano (Napoli) insieme a qualche papavero democratico locale.
Barbato parla di De Luca in toni entusiasti — “il modello Salerno è la speranza, De Luca ha portato sviluppo e occupazione nella sua città e può fare altrettanto anche in Campania” — ed è solo uno dei molti nomi di peso che sta per spostare i suoi pacchetti di voti dal centrodestra al centrosinistra campano.
In vista delle primarie Pd dell’11 gennaio per la scelta del candidato governatore — i contendenti al momento sono De Luca, l’europarlamentare Andrea Cozzolino e la senatrice Angelica Saggese — ma soprattutto in vista della sfida per la Regione Campania.
Sul carro di De Luca c’è posto per tutti. E i democrat guardano con interesse a una possibile intesa con un folto gruppo di politici azzurri e di destra ma scontenti, delusi dal presidente uscente Stefano Caldoro.
Un gruppo che lavora a una lista civica, quantifica la propria forza in circa 100.000 mila preferenze, e punta a diventare l’ago della bilancia.
Il leader di questo movimento è il senatore del casertano Vincenzo D’Anna.
Eletto nel Pdl, amico di Nicola Cosentino e vicino all’ex sottosegretario nei giorni difficili dell’arresto, ma guai ad etichettarlo come ‘cosentiniano’.
D’Anna è il nome di spicco di un elenco che comprenderebbe il consigliere regionale de La Destra Carlo Aveta, l’ex sindaco azzurro di Melito Antonio Amente (pronto a fare la guerra alla nipote Mafalda Amente, consigliere regionale uscente di Forza Italia) e forse anche il parlamentare Antonio Milo.
Al grido di “mai più succubi della nomenclatura nominata dal cerchio magico azzurro, se tutto viene deciso nelle cucine di Palazzo Grazioli la minestra se la mangi chi l’ha preparata”, D’Anna si dichiara vicino alle posizioni di Raffaele Fitto ed ha deciso di non appoggiare Caldoro.
Facendosi portavoce della protesta contro la mancata indizione delle primarie nel centrodestra, il senatore va giù duro: “Caldoro viene riproposto dall’alto, ma è stato deficitario nella realizzazione del programma e nella gestione dei rapporti con vaste aree di Forza Italia che non sono in sintonia con il coordinatore regionale Domenico De Siano (designato da Francesca Pascale, ndr). Non intendiamo contribuire alla vittoria di chi ha contribuito alla nostra emarginazione”.
Più sfumata la risposta a una domanda sull’alleanza col Pd. “Stiamo aspettando il nome del candidato”.
E se le primarie democrat dovessero saltare per lanciare il nome di Gennaro Migliore, D’Anna e i suoi si tirerebbero indietro: “Con la sua storia politica di ex Sel non c’è sintonia. E men che mai con quella di Pina Picierno, collezionista di boutade”. Dunque, il matrimonio ci sarà solo se lo sposo è De Luca o Cozzolino: “Confermo, ma non facciamo il tifo per nessuno dei due”.
Chi però sembra avere una preferenza per De Luca è il consigliere regionale de La Destra, Carlo Aveta, uno dei pochi usciti pulitissimi dalle inchieste penali e contabili sulle spese pazze in Regione.
Sul suo profilo Facebook c’è il video di un discorso del sindaco di Salerno a San Giorgio a Cremano sulle “barriere ideologiche utili solo a dividere”.
“Io provengo da Alleanza Nazionale e vi dico che De Luca viene percepito dagli ex An come uno dei nostri, piacciono i suoi modi interventisti, da uomo del fare. Sì, De Luca mi piace molto — conferma Aveta — però devo dire che una quarantina di giorni fa ho conosciuto Cozzolino e ho avuto anche da lui una buona impressione: ha chiari i problemi e sa come risolverli. E poi c’è una sintonia generazionale, siamo due quarantenni. I suoi trascorsi nella giunta Bassolino non sono un problema. Cinque anni fa abbiamo votato uno dei figliocci di Craxi, Caldoro, e ora non vedo perchè non potremmo votare uno dei figliocci di Bassolino”.
Vincenzo Iurillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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