Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
IL DIRETTORIO NON CONVINCE, ORA MOLTO DIPENDE DA PIZZAROTTI: QUARANTA PARLAMENTARI PRONTI A STACCARE LA SPINA E SEGUIRLO
“Se vogliono andarsene, facessero pure”. Chiuso da due ore al primo piano di Montecitorio nell’ufficio di Luigi Di Maio, Gianroberto Casaleggio risolve il problema del dissenso interno con una scrollata di spalle.
Arrivato in aereo da Milano, il co-fondatore del Movimento ha intorno Alessandro Di Battista, Roberto Fico, Carla Ruocco e Carlo Sibilia, oltre ovviamente al vicepresidente della Camera.
Sullo sfondo Pietro Dettori, l’uomo ombra delle trasferte dei due leader del Movimento, e i capi della comunicazione di Camera e Senato, Ilaria Loquenzi e Rocco Casalino.
Il problema delle tante frizioni che hanno scosso la pattuglia parlamentare negli ultimi giorni rimane sullo sfondo, nulla più di un’ombra che aleggia sulla riunione.
“Non una parola su Federico Pizzarotti e su Parma”, assicurano i cinque. Difficile che non se ne sia parlato, ma nel bilancio della giornata romana di Casaleggio “le zavorre”, come tanti dei fedelissimi le definiscono, all’azione del Movimento rimangono ai margini del quadro.
Il guru ha chiuso la questione, guarda già oltre, è proiettato su quel che verrà .
C’è il rodaggio della nuova cabina di regia da mettere a punto, c’è un’architettura complessiva della sua creatura da ripensare. Così è sul piatto la questione deleghe. Una questione ancora non del tutto risolta.
Ma Casaleggio vorrebbe definire singole macroaree di competenza per gli uomini che con Beppe Grillo ha chiamato a guidare il Movimento. Un’ipotesi che non convince ancora tutti, ma sulla quale si sta lavorando.
Anche perchè il co-fondatore ha in mente di rivoluzionare i meccanismi di funzionamento della sua creatura.
Creando un’unica struttura che coinvolga gli eletti a tutti i livelli, dal Parlamento al più piccolo dei consigli comunali. Una struttura che lavori fianco a fianco sui temi e che renda più inclusivo il lavoro degli eletti nazionali sul territorio, che spesso girano su e giù l’Italia per partecipare alle agorà organizzate localmente senza alcun tipo di organizzazione o coordinamento
Una struttura che, ovviamente, avrebbe una sua ricaduta sul web.
Una rivoluzione degli strumenti informatici del Movimento, oggi interamente basati sul blog di Grillo e sulle sue sottosezioni, e che dovrebbero prevedere una piattaforma che riunisca e metta in comunicazione tra di loro tutte le istanze tematiche e le iniziative concrete che il Movimento mette in piedi a tutti i livelli.
Una sorta di meetup 2.0 per un Movimento 2.0, meno movimento e un po’ più partito, che abbandona la purezza delle origini e riconosce che, a certi livelli, una struttura sia pur leggera occorre per non procedere in ordine sparso.
Uno schema nel quale la “variabile Pizzarotti” non esiste.
Il guru non parla con i giornalisti, si fa scortare dai commessi fin nel garage di Montecitorio dove si infila in un mini van, direzione aeroporto.
Ma i suoi spiegano che “non succederà nulla a chi andrà a Parma, anche se è ovvio, è nelle cose, che noi non ci saremo”.
Non è un caso che, uscito il Direttorio, si infilino nella porta di Di Maio i coordinatori del testo sul reddito di cittadinanza: Nunzia Catalfo, Daniele Pesco, Sergio Puglia e Sara Paglini. Quello potrebbe essere il banco di prova su cui testare il nuovo corso.
Non solo. Con il reddito di cittadinanza in Commissione si è già fatta sentire qualche sirena degli altri partiti. Abboccamenti che puntano a mettere sul piatto una più morbida opposizione all’iter della madre di tutte le leggi grilline in cambio di un dialogo vero sul Quirinale. Per cui c’è da capire il da farsi.
Per il momento la linea non sembra cambiare. Ci saranno le quirinarie, il voto della rete, e il più votato sarà il candidato 5 stelle. Punto.
Per spiegare, per comunicare meglio, molti hanno chiesto al guru che si possa ritornare in tv, in momenti e con modalità selezionate. E, dopo una resistenza iniziale, Casaleggio avrebbe dato un sostanziale via libera.
All’assemblea serale partecipano più di cento parlamentari, numeri che non si raggiungevano ormai da mesi.
Anche alcuni tra i più critici vanno ad ascoltare quel che hanno da dire i cinque moschettieri del grillismo. Marta Grande, Roberto Cotti, Gessica Rostellato e Tatiana Basilio (che qualche ora prima aveva avuto un momento di commozione quando l’amico Massimo Artini prendeva per la prima volta la parola in commissione Difesa non da 5 stelle) arrivano alla spicciolata.
Imboccano le scale che portano all’auletta della riunione anche Federica Daga e Patrizia Terzoni, tra le più critiche nei confronti delle ultime decisioni dell’asse Milano-Genova.
Infine arriva Francesco Molinari, sulla cui testa pende la spada di Damocle di una sfiducia da parte dei meetup.
Tancredi Turco, Walter Rizzetto, Tommaso Currò, Aris Prodani, insieme ad un’altra ventina di colleghi, disertano. Nessun coordinamento, nessuna azione politica concordata. Ognuno ha deciso in autonomia di non presentarsi.
Tutti, però, condividono una sostanziale opposizione al Direttorio e al nuovo corso. “C’è una grande insofferenza – spiega un parlamentare – Che si manifesta in questo modo. Non serve più nemmeno mettersi d’accordo”.
Sullo sfondo rimane l’evergreen di una possibile scissione.
Qualcuno, pallottoliere alla mano, conta più di quaranta con le valige in mano. A frenare la slavina la mancanza di coordinamento, ma anche l’attesa di quel che farà Pizzarotti domenica.
Per il momento il sindaco sembra frenare, ma se decidesse di consumare lo strappo e assumersi la leadership politica della minoranza interna (che interna sarebbe per poco) qualcosa potrebbe muoversi.
Dovrebbero essere presenti Rizzetto, Sarti, Elisa Bulgarelli, Turco, Paolo Bernini, forse Prodani. “Ma qualunque decisione non va presa adesso, a caldo, ma a mente fredda”.
Intanto si diserta l’incoronazione del Direttorio. Il sillogismo è il seguente: “All’inizio eravamo 160 portavoce con un megafono, Beppe Grillo. Oggi bastano 5 portamegafono”.
(da “Huffingtonpost“)
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
RESPINTE IN AULA DUE RICHIESTE DI UTILIZZO DI INTERCETTAZIONI DA PARTE DELLA MAGISTRATURA: SALVATO AZZOLINI (NCD) E PAPANIA (PD)
Il Pd commissariato a Roma, un assessore comunale e un consigliere regionale costretti alle dimissioni. E il premier-segretario Matteo Renzi che giusto ieri sera a Bersaglio mobile di Enrico Mentana riproponeva il “daspo” a vita per i corrotti, una sorta di “eragastolo”, così lo ha definito, che li tenga lontani per sempre dalla gestione della cosa pubblica.
Ma alla prova dei fatti, l’effetto del terremoto provocato dall’inchiesta Mafia capitale si è già smorzato.
In aula al Senato il Pd ha votato contro l’autorizzazione all’uso di alcune intercettazioni contro il parlamentare Ncd Antonio Azzollini, indagato nell’inchiesta sugli appalti per il porto di Molfetta, in provincia di Bari.
La decisione rispecchia a linea tenuta dal Pd in giunta per le immunità il 7 ottobre, che aveva provocato una mezza rivolta nel partito, con il senatore Felice Casson (membro della giunta) che si era autospeso dal gruppo bollando la scelta come una “difesa della Casta” e Pippo Civati che aveva vergato un post di fuoco chiedendo “spiegazioni”. Spiegazioni poi fornite a ilfattoquotidiano.it dal capogruppo Giuseppe Cucca, secondo il quale le intercettazioni in cui era rimasto impigliato il parlamentare — in modo indiretto — perchè alcuni suoi interlocutori avevano il telefono sotto controllo “non erano casuali, nel senso che i pm sapevano che Azzollini, essendo sindaco di Molfetta, era un interlocutore degli indagati”.
Quindi, secondo Cucca, i magistrati avrebbero dovuto “chiedere l’autorizzazione”.
Ma non è tutto: con una giravolta rispetto al voto espresso in Giunta per le elezioni, i dem hanno bloccato l’utilizzo delle intercettazioni per il loro compagno di partito Antonino Papania, indagato a Palermo per corruzione, con l’accusa di aver garantito appalti in cambio di assunzioni clientelari.
Il 19 novembre, in Giunta i rappresentanti Pd si erano divisi, e così, con un solo voto di scarto, era passato il via libera solo ad alcune delle conversazioni richieste dal Tribunale del capoluogo siciliano.
Questo dopo che il gip aveva già ridotto la portata della richiesta del pm, limitando il numero delle intercettazioni da poter utilizzare.
E pazienza se Papania era già da tempo stato definito “impresentabile” dalla commissione di garanzia del Pd, in occasione delle politiche del 2013.
Oggi, in aula, un’ulteriore retromarcia, con la scelta di rimandare il dossier in giunta. A innescare la decisione, l’intervento del senatore palermitano di Gal Mario Ferrara, che ha sollevato perplessità sulla datazione di alcune intercettazioni.
Tanto è bastato perchè il Pd, con Lega, Fi e Ncd, votasse per il rinvio in giunta, lasciando soli a protestare il Movimento 5 Stelle e alcuni rappresentanti del gruppo Misto.
Risultato, un conseguente allungamento dei tempi che potrebbe determinare lo stralcio della posizione di Papania dal procedimento penale attualmente in corso.
Papania, si legge nella relazione di Buccarella che ripercorre le accuse dei magistrati palermitani, “nell’ambito della gestione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani dell’Ato (Ambito territoriale ottimale) Trapani 1, diretto da Salvatore Alestra, avrebbe istituito un accordo criminoso”. La gestione dei rifiuti è stata data in concessione all’Aimeri Ambiente Srl. Papania avrebbe ricevuto da Orazio Colimberti, direttore dell’Area Sud della concessionaria, “in più occasioni utilità consistite nell’assunzione di numerose persone a lui gradite e da lui segnalate”.
In pratica, “in cambio dell’assunzione di personale imposto da Alestra e dal senatore Papania”, Colimberti avrebbe ottenuto per la sua società “il benestare degli organi di governo ambientale sugli appalti e sull’irregolare svolgimento del servizio”. E questo si sarebbe protratto, sempre secondo l’accusa, dal 2010 fino al maggio 2012.
Molto pesante anche il quadro dipinto dagli investigatori pugliesi intorno ad Azzollini, attuale presidente della Commissione bilancio di Palazzo Madama.
Il senatore Ncd è indagato nell’inchiesta sulla presunta maxifrode da 150 milioni per la costruzione del nuovo porto di Molfetta.
Le indagini della procura hanno accertato che per la realizzazione della diga foranea e del nuovo porto commerciale sia stato trasferito in favore del Comune barese, di cui all’epoca dei fatti Azzollini era sindaco, un ingente “fiume di denaro pubblico”: oltre 147 milioni di euro, 82 milioni dei quali ottenuti dall’ente comunale, a fronte di un’opera il cui costo iniziale era previsto in 72 milioni di euro.
Ma la Giunta per le immunità ha aspettato ben 9 mesi prima di esprimersi sul caso.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
E I PROFUGHI CACCIATI DA TOR SAPIENZA SONO FINITI IN UN CENTRO LEGATO ALLE SOCIETA’ SOTTO INCHIESTA
Ventiquattro milioni di euro in un anno per 4.400 persone.
Il business dei rom a Roma vanta cifre da capogiro.
A fare i conti, per il 2013, è stata l’Associazione 21 luglio, che nel dossier “Campi nomadi spa” ha calcolato quanti soldi entrano nelle tasche delle coop che lavorano “sui zingari”, come direbbe Salvatore Buzzi, e delle municipalizzate che avrebbero il compito della sicurezza e della pulizia.
Avrebbero, perchè basta farsi un giro nel “villaggio della solidarietà ” — così li hanno chiamati, peccato che la solidarietà si sia persa per strada — per essere travolti da cumuli di immondizia e da colonie di topi.
Nessuno pulisce, men che meno l’Ama (la municipalizzata del Campidoglio), e nessuno vigila, perchè le guardianie non esistono e le telecamere sono rotte
Prendiamo il campo di Castel Romano, quello per cui le coop che fanno capo a Buzzi — e quindi a Carminati — pretendono il pagamento di oltre 2 milioni di euro annui dal Comune.
Il campo, in cui vivono circa 900 persone, costa 5,3 milioni l’anno.
Di questi, 2 milioni servono alla gestione ordinaria, affidata — appunto — al consorzio Eriches 29.
All’interno manca l’acqua potabile — le condutture non possono essere fatte perchè l’area è sottoposta a vincolo —, e gli abitanti restano spesso senza corrente. L’associazione 21 luglio ha calcolato che, dal giorno dell’inaugurazione, Castel Romano è costato all’amministrazione 270 mila euro a famiglia.
Il campo della Barbuta, inaugurato nel 2012, è costato invece 10 milioni di euro, e nel 2013 il Comune ha dovuto tirar fuori 1,7 milioni per la sola manutenzione.
L’Ama ha intascato 160mila euro, ma — come ha spiegato un servizio di Piazza-pulita — “passa una volta al mese per la sola pulizia straordinaria”.
Infatti gli abitanti vivono tra la “mondezza” e l’amianto. Per il villaggio di Candoni, 820 abitanti e 2,3 milioni spesi nel 2013, sono andati 756 mila euro a Risorse per Roma — la spa partecipata di Roma Capitale —, 230 mila all’Ama e 86 mila alla cooperativa 29 giugno per la bonifica fognaria.
Tutto, per tutti i campi, ad appalto diretto, tranne la scolarizzazione, unica voce per cui è previsto un bando.
La musica non cambia se si parla di profughi.
Nel 2012, la direttiva del Viminale stabiliva un rimborso di 46 euro a persona al giorno (40 per vitto e alloggio e 6 per l’assistenza).
Save the Children ha denunciato però che nelle 14 strutture controllate a Roma, otto delle quali gestite dalla coop Domus Caritatis, arrivano rimborsi di 80 euro al giorno per l’accoglienza di minori stranieri non accompagnati.
La Domus Caritatis è un nome che non torna direttamente nelle carte dell’inchiesta sulla mafia capitale, ma che fa parte del consorzio “Casa della solidarietà ” di Tiziano Zuccolo, colui cioè che, parlando al telefono con Buzzi, gli chiede: “Noi l’accordo… l’accordo è quello al cinquanta, no? ”.
E la Domus Caritatis è anche la coop che gestisce il centro di via Salorno, all’Infernetto, dove sono stati portati i rifugiati sgomberati da Tor Sapienza, il quartiere in cui — poche settimane fa — è scoppiata la rivolta.
Ancora una volta, a beneficiare degli immigrati è stato uno dei componenti dell’accordo al cinquanta.
Ulteriore capitolo, non meno remunerativo, è quello dell’emergenza abitativa, per la quale le cooperative si danno tanto da fare.
Secondo una stima approssimativa, il Campidoglio spende 30 milioni di euro l’anno per l’affitto di immobili da destinare alle famiglie senza casa.
Per locazione e gestione, si va da un minimo di 1.200 euro al mese a un massimo di 3.500 (nel popolare quartiere di Pietralata, non ai Parioli).
A portare a casa gran parte del guadagno è l’Arciconfraternita San Trifone, che per una sola palazzina intasca oltre 800mila euro e che — dal Giubileo in poi — ha gestito tra l’altro il centro polifunzionale Enea: 400 profughi per 55 euro al giorno pro capite. Un fatturato medio totale di 20 milioni annui.
Sotto l’Arciconfraternita gravita, neanche a dirlo, la stessa Domus Caritatis.
Silvia D’Onghia
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
DA BEPPE NICCOLAI A PIER PAOLO PASOLINI: QUEI MONITI CONTRO L’EMARGINAZIONE DEI CAPRI ESPIATORI DI TURNO
C’è qualcosa di peggio di chi liquida il disagio delle periferie con una scrollata di spalle, la rivolta dei quartieri con l’accusa un po’ snobistica e generica di razzismo.
E’ peggiore quell’antropologia politica che avendo in queste nostre periferie fiutato l’odore forte della disperazione e della paura vi si è precipitata con l’antico istinto di chi non cerca di dare una risposta e una soluzione a quella rabbia ma vuole fomentarla per farla dilagare, perchè in questa energia primaria ritrova finalmente il suo elemento costitutivo, vi intuisce un potenziale, esplosivo consenso da capitalizzare e mettere a servizio d’un revanscismo che non ha mai cessato di digrignare i denti e affilare le zanne.
E’ quanto accade da anni, si dirà , anche nel resto d’Europa dove il fuoco dell’estrema destra, colpevolmente rimosso dai partiti di sistema incapaci di entrare nel merito dei problemi sollevati dalla globalizzazione, ha covato pazientemente per anni prima di esplodere anche elettoralmente.
Ed è l’analisi che Matteo Renzi ha fatto nell’ultima direzione nazionale del Pd indicando nella montante marea xenofoba il nemico principale che ogni seria forza riformista deve contrastare sottraendogli terreno con la razionalità politica.
Una diagnosi esatta della situazione per la quale non è tuttavia ancora chiaro il rimedio che i partiti di sistema europei abbiano in mente oscillando tra la farisaica condanna del razzismo, gli inumani respingimenti in mare e l’assenza totale di una governance dei flussi di migrazione oggetto di disputa nazionalistica continentale dove le principali energie dei vari paesi Ue sono impiegate nello stornare sui confinanti la loro quota di allogeni.
Tuttavia c’è un dato particolare che in Italia va rilevato e che riguarda proprio gli attori politici che in queste settimane hanno animato le rivolte urbane contro i migranti, assediato i centri d’accoglienza, impedito ai bambini rom l’ingresso a scuola, occupato i talk show televisivi non limitandosi a immaginare politiche diverse di accoglimento o respingimento ma dando fondo a tutta la peggiore retorica del primatismo italiano ed europeo, vellicando i peggiori istinti di diffidenza, ragionando per etnie e appartenenze.
Questi attori che si sono guadagnati la ribalta della cronaca politica non vengono dal nulla; sono “i ragazzi di Casa Pound”, come confidenzialmente si era cominciati a chiamarli in questi ultimi anni; sono gli ex missini di Fratelli d’Italia, già convinti finiani ed esecutori acritici delle svolte impresse dal leader; sono i movimentisti del Fronte della gioventù degli anni ottanta a parole insofferenti rispetto ai vecchi slogan e alle vecchie manie della paleodestra legge e ordine; sono gli ex An di Forza Italia.
Sono soggetti che a vario titolo provengono da quella non piccola cosa che è stata la vicenda della destra italiana e che rispetto alla Lega nord di Matteo Salvini hanno una storia più antica e più sofferta.
Ecco il dato che colpisce e che impressiona di queste biografie, di queste storie, di queste facce è che fino a un ventennio fa i monatti, i capri espiatori, i ragazzini cacciati dalle scuole, i migranti e gli ebrei d’Italia erano loro.
Erano loro quelli a cui il conformismo e il razzismo politico impedivano l’agibilità — come si diceva — nelle università , nei quartieri, nelle fabbriche; loro quelli a cui chiudevano la bocca a prescindere, in nome di quell’antifascismo di sistema che era la prosecuzione del fascismo con altre forme e che li condannava e li metteva all’indice per il semplice fatto di esistere.
E su questa esclusione la destra italiana aveva investito una riflessione chiedendo giustamente anche per sè ciò che valeva per tutti.
Su questa esclusione Beppe Niccolai, disse una volta che ogni dissidente russo era suo fratello ma più ancora e perchè non ci fossero equivoci che ogni desaparecido argentino lo era.
E contro questa esclusione odiosa e vergognosa che ha mietuto vittime, seminato traumi, provocato ferite le migliori intelligenze democratiche hanno sempre protestato la vergogna, l’oscenità : «In realtà ci siamo comportati coi fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente – diceva Pasolini – abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti…Non abbiamo parlato con loro».
Eppure è bastato un decennio, un cambio di scenario che oggi questa stessa destra, a cui la storia aveva destinato il discutibile privilegio di provare sulla propria pelle il dolore e l’ingiustizia dell’esclusione, è di nuovo all’attacco, a puntare l’indice e i denti contro il capro espiatorio di turno.
Come se gli occhi spaventati di un ragazzo del Senegal chiuso in un centro d’accoglienza che da un vetro guarda una folla che lo vuole respingere non siano gli stessi di Sergio Ramelli, 16 anni, Fronte della Gioventù di Milano, intimidito per mesi nella sua scuola e messo al bando prima di essere sprangato sotto casa, una mattina di marzo, nel 1975, da un commando di studenti universitari di medicina, come simbolo ideologico da abbattere.
Come se dentro ogni centro d’accoglienza assediato, in ogni ragazzo respinto e separato per la sua provenienza non ci sia Sergio Ramelli, la vittima predestinata. Basterebbe guardarlo negli occhi, sentire che la sua paura è quella di ciascuno per terminare questa prassi oggettivamente schifosa che è la xenofobia.
Riccardo Paradisi
(da “Cronache del Garantista“)
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX ASSESSORE: “LA COLPA DI ALEMANNO? NON ESSERE RIUSCITO AD OPPORSI”
“Alla fine sono stato cacciato dalla giunta Alemanno, ma per me l’odore era diventato insopportabile. Ero troppo scomodo. Mettevo zeppe ovunque, controllavo le iniziative da finanziare, mi opponevo a pratiche al limite della legalità , chiudevo le porte alle tante, troppe pressioni esterne ed interne. Quando sul Campidoglio si è abbattuta Parentopoli ed successo il patatrac”.
Lo afferma, in un’intervista su La Stampa, Umberto Croppi, ex assessore alla Cultura del Comune di Roma, dal maggio 2008 al gennaio 2011 e autore del libro ‘Romanzo Comunale. I segreti dei palazzi del potere di Roma’, edit da Newton Compton, in cui denuncia il sistema che ruotava attorno alla giunta Alemanno.
Nel 2011 l’ex assessore dovette lasciare l’incarico, e così racconta i retroscena a La Stampa: “Alemanno mi aveva coinvolto nell’unità di crisi dopo che lo scandalo di Parentopoli. Gli chiesi di azzerare la giunta e allontanare il suo entourage. La notte del 10 gennaio 2011 il sindaco partecipa a una riunione in cui la giunta viene azzerata ma io non c’ero più. Gli era stata chiesta la mia testa. Gianni non ebbe il coraggio di chiamarmi. Mi mandò un sms in cui diceva ‘Mi dispiace, ti ho difeso fino alle tre e mezzo di notte ma poi non ce l’ho fatta più: cercherò di ricambiare con la festa del cinema’. ‘Non azzardare a propormelo’, risposi. Aveva ceduto alle pressioni di coloro da cui doveva affrancarsi”.
“L’inchiesta riguarda personaggi di destra e di sinistra. E quelli della nostra destra giovanile non hanno nulla a che fare con ‘Mafia Capitale'”, sottolinea Croppi, che ha militato nel Fuan, nel Fronte della gioventù e nell’Msi, prima di passare ai Verdi e di rispondere, nel 2008, alla chiamata di Alemanno “Tra chi ha vissuto l’esperienza politica degli Anni 70 e 80 non ce n’è uno. Carminati? Gianni non lo ha mai conosciuto. Carminati al vertice di questa cupola c’era da anni. Dalle parole del procuratore Pignatone si evince chiaramente. Franco Panzironi, ex amministratore di Ama, è un vecchio democristiano. Mancini, ex presidente Eur Spa, e altri sono persone che Gianni ha conosciuto nella seconda metà degli Anni 90. Guardi, siamo di fronte a un sistema consociativo che dura da anni, che attraversa destra e sinistra. Un sistema che risale alla Dc e ha attraversato tutte le giunte. La situazione non è nè peggiorata nè migliorata: il meccanismo è consolidato, non è stato scalfito dalle varie indagini che si sono susseguite. Non c’entra nulla la destra diventata affarista e mafiosa. Questa è una tesi fuorviante: il meccanismo è bipartisan”.
Su Alemanno commenta: “Non si è arricchito con la politica. Gli rimprovero di non avere usato l’ampio mandato popolare per rompere il meccanismo ‘a Fra’ che te serve’ che c’era già ai tempi del sindaco Carraro al quale arrestarono tutta la giunta”, ma aggiunge che “la politica tutta si finanzia in questo modo”.
E, su Ignazio Marino, conclude: “Sicuramente il malaffare non è arrivato nella sua stanza. Ma ora lui è nella condizione ideale e straordinaria per spezzare il meccanismo consociativo, a cominciare dalle cooperative. Lui può fare veramente la rivoluzione”.
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
IL DEPUTATO AVEVA DENUNCIATO DA TEMPO L’IMPASTO ROMANO TRA MALAFFARE E POLITICA
«Nessuno sospettava niente? Come si fa a dirlo quando io ci ho scritto sopra due libri?».
Roberto Morassut, deputato pd che è stato assessore a Roma con Veltroni, non è lieto di aver gridato al vento per denunciare l’impasto lurido tra malaffare e politica romana
È una vittoria per lei?
«Per me questa inchiesta è dolorosa, ma non mi sorprende. La qualità della nostra vita interna si è molto abbassata ed era chiaro da tempo».
Colpa delle primarie?
«Un confronto tra tribù, si reggono solo sul potere. Nel tempo si sono incrostate di elementi di inquinamento».
Renzi lo affronterà il 14 all’assemblea nazionale.
«Dobbiamo riscrivere le regole. Ci vuole l’analisi patrimoniale degli eletti e dei nominati. Non mi sorprende che in questa inchiesta ci siano pezzi del Pd, non sono casi isolati».
Luca Odevaine?
«Pronto ed efficiente. L’ho conosciuto così, fino al 2008. Poi l’ho perso di vista».
Di chi è la colpa?
«Dopo la sconfitta nel 2008 nel Pd tutto è scaduto sul piano del potere. Dobbiamo azzerare il tesseramento e le assemblee elette col porcellum interno».
Ma il cuore del malaffare è a destra. O no?
«Con la destra di Alemanno abbiamo avuto un atteggiamento consociativo».
Problema solo di Roma ?
«No. Le primarie in Emilia dimostrano lo scollamento del nostro rapporto col territorio. Col trentennale di Berlinguer abbiamo perso un’occasione».
I suoi colleghi la ringraziano per le sue denunce ?
«C’è chi apprezza e chi mi accusa di infangare il partito. Do fastidio, ma non importa».
Monica Guerzoni
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
VERSATI DA BUZZI 30.000 EURO PER LA CAMPAGNA ELETTORALE DEL SINDACO DI ROMA
Non solo i finanziamenti a Gianni Alemanno, sindaco uscente a caccia del bis e perciò propenso ad accettare le elargizioni della Cupola. In quella tarda primavera del 2013, vigilia elettorale, il sodalizio criminale guidato dal Nero e dal Rosso, l’ex Nar Massimo Carminati e il “compagno” Salvatore Buzzi, aveva pensato bene di “coprirsi” pure con lo sfidante.
Sovvenzionando la campagna elettorale del chirurgo genovese uscito vittorioso dalle primarie del Pd.
Dal rendiconto sulle spese e i contributi ricevuti in campagna elettorale – depositato per legge in Campidoglio, alla Corte dei Conti e presso la corte d’Appello di Roma – il candidato Ignazio Roberto Maria Marino risulta aver preso soldi dalle coop guidate dall’ex detenuto che volle farsi imprenditore.
Due i versamenti intestati al candidato sindaco del centrosinistra a ridosso delle elezioni: uno da 10mila euro effettuato dalla “29 giugno”, un altro da 20mila bonificato dal “Consorzio Eriches 29”.
Tutti soldi provenienti dalle tasche di Buzzi, dunque. Che, una settimana prima del voto, al telefono con Carminati teorizza: «Tu devi essere bravo perchè la cooperativa campa di politica, perchè il lavoro che faccio io lo fanno in tanti, perchè lo devo fare io? Finanzio giornali, faccio pubblicità , finanzio eventi, pago segretaria, cene, manifesti. Lunedì c’ho una cena da ventimila euro, pensa… Questo è il momento che paghi di più perchè stanno le comunali, poi per cinque anni… Noi spendiamo un sacco di soldi sul Comune».
Investimento necessario, ne è consapevole la Cupola di mafia capitale.
Che ha le sue preferenze («Se vinceva Alemanno ce l’avevamo tutti comprati», dice ancora Buzzi al telefono) e dopo il cambio della guardia si dà da fare per infiltrarsi nella nuova amministrazione.
« E mo vedemo Marino, poi ce pigliamo e misure tramite Luigi Nieri (vicesindaco di Sel, ndr)», chiacchiera il boss delle coop.
Il problema è che avvicinare il chirurgo dem non è facile, l’unico contatto concreto è il suo capo segreteria Mattia Stella, «che dobbiamo valorizzare e legà di più a noi», dice non a caso Buzzi.
Arrivando addirittura a vagheggiare un’imboscata del Pdl sulla manovra di Bilancio per farlo cadere.
Ma il “destro” Carminati lo riporta alla realtà : «No, loro stanno facendo un’operazione direttamente con Zingaretti per sistemarsi Berti (avvocato nominato da Alemanno nel cda di Ama, ndr), questi qua, pe sistemasse… perchè de Zingaretti se fidano, de Marino non se fida nessuno».
Il governatore del Lazio con cui la “mafia capitale” avrebbe stabilito un rapporto – sostiene Buzzi in un’altra intercettazione – mettendo a libro paga uno dei suoi in Regione.
Ma «se avevano bisogno di qualcuno per avere contatti con me, è perchè forse sapevano che con me non potevano averli», taglia corto il presidente.
«Mai avuta una percezione di questo tipo».
Giovanna Vitale
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
COMMISSARIAMENTO DEL PD CAPITOLINO: ARRIVA ORFINI MA NEGA DI CONOSCERE SE LA COOP VICINA A CARMINATI ABBIA FORAGGIATO I DEM
“Sono sconvolto perchè vedere una persona seria come il procuratore di Roma parlare di mafia mi colpisce molto”.
Matteo Renzi, nello studio di Bersaglio Mobile, davanti al direttore del Tg La7, Enrico Mentana, al giornalista dell’Espresso, Marco Damilano e al condirettore del Fatto, Marco Travaglio, va subito al punto.
La vicenda è talmente grave da essere ineludibile. “Ho accolto la disponibilità del segretario del Pd romano, Lionello Cosentino, che è una persona seria, a fare un passo indietro, e ho deciso il commissariamento di Roma, nella persona di Matteo Orfini”. Poi, difende il ministro Poletti: “Non c’entra”.
Una scelta, quella del commissariamento, tanto obbligata, quanto tardiva.
Perchè che il Pd romano fosse fuori controllo da tutti i punti di vista, con questioni di malaffare sempre più evidenti (vedi il caso Di Stefano) il premier e i suoi ne erano consapevoli da tempo.
Tanto che l’ipotesi del commissariamento era già in campo.
Ma il punto è quanto il segretario ex rottamatore controlli il suo partito. La domanda, diretta, arriva da Damilano: “Il punto è che uomini di Carminati sono arrivati alla cena di autofinanziamento di Roma. Coratti e Patanè hanno organizzato tavoli. Buzzi era alla cena per la raccolta fondiper il Pd all’Eur?”.
Risponde il premier: “Non ne ho la più pallida idea” ma noi “facciamo cene trasparenti”.
Se qualcuno tra i coinvolti nell’inchiesta Mafia Capitale c’era, “i nomi si vedono. I nomi sono pubblici e registrati”.
In realtà l’elenco non c’è da nessuna parte.
Alle cene di fundraising del Pd, a Roma e a Milano, è arrivata gente senza controllo e senza filtro. Bastava che pagasse.
Per sapere davvero chi c’era, serve una liberatoria dei partecipanti, che ancora deve essere chiesta.
Quando loro daranno il permesso, allora ci sarà un elenco. Parziale. Solo di chi ha acconsentito. Come è già successo per i finanziatori della Leopolda negli anni.
Mai come in questa vicenda appare evidente che Renzi, segretario del Pd da un anno, poco controlli il territorio.
E poco ha potuto o voluto, a causa di accordi pregressi alle primarie che l’hanno eletto segretario, mettere le mani sui vertici locali.
Come dimostrano le recenti Regionali (in Emilia di fatto è rimasto in piedi il sistema Errani, in Calabria ha vinto il candidato della minoranza, Mario Oliverio) e le candidature perle prossime, che ancora vedono in primo piano la vecchia guardia.
La linea renziana era già tracciata dall’altroieri, quando erano diventati sempre più chiari i confini dell’inchiesta “Mondo di mezzo”.
Con il coinvolgimento di molta parte del Pd romano. “Chi ha sbagliato dovrà pagare. La politica intera si deve interrogare profondamente e reagire con forza per fare pulizia dentro e fuori di sè. Il Pd, per parte sua, è al fianco della magistratura in questa battaglia per fermare ogni forma di criminalità organizzata”, aveva detto il vicesegretario dem, Lorenzo Guerini.
Linea ufficiale ribadita dal ministro Boschi. Tuonava ieri il renzianissimo responsabile Giustizia dem, David Ermini: “I magistrati devono lavorare senza guardare in faccia a nessuno”.
Ma al di là delle dichiarazioni formali, i renziani per tutta la giornata convulsa di ieri, ci tenevano a chiamarsi fuori. Perchè, spiegavano, il Pd romano coinvolto nell’inchiesta nulla avrebbe a che fare con il segretario-premier.
Tant’è vero che da settimane i vertici del Nazareno cercavano una soluzione. Con il commissariamento come soluzione sullo sfondo.
In una situazione di guerra tra bande ingovernabile. “Il partito a Roma va rifondato” , diceva ieri l’ancora solo presidente del partito Matteo Orfini, invitando a una “riflessione di sistema” su primarie e preferenze che “rendono la selezione dei dirigenti più permeabile”.
Quanto all’ipotesi di azzeramento delle tessere, Orfini spiegava che “va data una risposta sulle classi dirigenti mentre l’azzeramento riguarda gli iscritti”. Un altro file, un’altra falla, questa volta tutta politica, che si apre con Renzi che ribadisce: “Difendo le primarie e porto avanti il lavoro per le preferenze nella legge elettorale, non credo che siano una forma di inquinamento”.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
CHE CI FACEVA POLETTI A UNA CENA DI RINGRAZIAMENTO PER “QUEI POLITICI CHE CI SONO A FIANCO” ?
“A domanda risponde” è l’espressione usata nei verbali per differenziare una dichiarazione spontanea da una dichiarazione sollecitata da una domanda degli inquirenti.
Il ministro Giuliano Poletti non deve rispondere ai magistrati perchè non è indagato. Nè coinvolto nell’inchiesta “Mafia capitale”.
Quindi la sua dichiarazione non dovrebbe essere trascritta come “a domanda risponde” ma, piuttosto, come dichiarazione spontanea.
Perchè dovrebbe spiegare non ai pubblici ministeri che si occupano di reati, ma al paese, il rapporto che pare esserci tra lui e Salvatore Buzzi, presidente di un grande consorzio di cooperative legate alla Legacoop e braccio destro del boss Massimo Carminati.
Che ci faceva, Poletti, quando non era ancora ministro ma presidente di Legacoop Nazionale, nel 2010, a una cena di ringraziamento organizzata proprio da Buzzi per tutti «i politici che ci sono a fianco »?
Salvatore Buzzi ha ucciso ed è stato condannato a 24 anni per omicidio. Ex impiegato di banca vicino all’estrema sinistra, è diventato uno degli uomini più rilevanti dell’imprenditoria capitolina.
Massimo Carminati, formazione di estrema destra. Il suo uomo più fidato, Salvatore Buzzi, formazione di estrema sinistra.
Ma con l’ideologia i due non hanno più nulla a che fare. Loro unico obiettivo sono i soldi. Dopo aver scontato la pena, Buzzi si è reinventato come geniale organizzatore del “terzo settore”: gestisce una galassia di società che raccolgono ex detenuti.
Ma non solo, perchè così definisce la sua Onlus: «La 29 Giugno è cooperativa sociale di tipo b nata a Roma nel 1985 ed ha come scopo sociale l’inserimento lavorativo delle persone appartenenti alle categorie protette svantaggiate, disabili fisici e psichici, tossicodipendenti ed ex, e più in generale delle persone appartenenti alle fasce deboli della società (senza fissa dimora, vittime della tratta, immigrati)».
Attraverso rapporti diretti con la politica e con la mediazione criminale di Carminati, Buzzi arriva a mettere le mani sugli appalti che contano.
In questa intercettazione la sintesi del suo business: Buzzi: «Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno».
Il bilancio pluriennale 2012/2014 di Roma Capitale è condizionato dall’organizzazione mafiosa per ottenere l’assegnazione di fondi pubblici, per rifinanziare i campi nomadi, per la pulizia delle aree verdi e per minori per l’emergenza Nord Africa.
Ribadisco la domanda: perchè Poletti era a quella cena? Era presidente di Legacoop? Non è risposta sufficiente.
Quella era una cena di ringraziamento: e la presenza del presidente non era necessaria. In quella foto si vedono molti altri invitati.
È una classica cena sociale organizzata in un centro d’accoglienza della cooperativa 29 Giugno.
C’è l’ex sindaco Gianni Alemanno, c’è l’ex capo dell’Ama Franco Panzironi (arrestato con Buzzi), c’è un esponente del clan dei Casamonica, c’è il dimissionario assessore alla Casa Daniele Ozzimo (al tempo consigliere Pd e pure lui indagato), c’è il portavoce dell’ex sindaco Sveva Belviso e c’è Umberto Marroni, parlamentare Pd (Buzzi in un’intercettazione dichiara che proverà a lanciarlo alle primarie democratiche per il sindaco di Roma).
Il ministro non conosceva Buzzi e il suo modus operandi ? Da presidente della Legacoop immaginiamo non potesse conoscere il dna di tutte le cooperative: ma nemmeno di questo impero da 60 milioni di euro?
Eppure la Onlus apparteneva proprio alla realtà Legacoop. Poletti non si è reso conto di come la gestione degli appalti sia stata quantomeno disinvolta?
Degli appalti che la giunta Alemanno concedeva e del flusso di denaro che la beneficiava?
C’è bisogno di inchieste della magistratura, quando a Roma si sapeva da anni che Buzzi era un dominus nell’assegnazione alle sue cooperative degli appalti?
Perchè la politica deve rispondere solo se interrogata da un giudice?
In questo caso è la legittimazione politica e sociale che il ministro Poletti ci deve spiegare.
Buzzi apre nel maggio 2014 l’assemblea di bilancio “Gruppo 29 Giugno” con un discorso. Prima però ringrazia alcune persone.
Tra i presenti ringrazia il direttore generale dell’Ama Giovanni Fiscon che, secondo le accuse, sarebbe stato nominato grazie all’organizzazione mafiosa.
Ringrazia Angiolo Marroni, garante detenuti del Lazio e padre di Umberto Marroni, capogruppo Pd presente alla cena di cui sopra.
Ringrazia Salvatore Forlenza, responsabile rifiuti (indagato: il gip ha rifiutato la richiesta d’arresto proposta dai pm).
Ringrazia Mattia Stella del gabinetto del sindaco Ignazio Marino (nelle intercettazioni, Buzzi dice che occorreva “valorizzare” Mattia e “legarlo” di più a loro).
Poi ringrazia anche chi non ha potuto partecipare all’assemblea. Ringrazia i consiglieri comunali Anna Maria Cesaretti e Mirko Coratti (e Buzzi nell’intercettazione indicava le persone che lo avrebbero aiutato a vincere la gara proprio in Cesaretti e Coratti, per parlare con il quale avrebbe dovuto elargire 10mila euro, indicandoli quali «assi nella manica per farci vince la gara»).
Ringrazia Cosimo Dinoi (e l’organizzazione vuole sostituire al “gruppo misto” il capogruppo Dinoi e ottenere la presidenza della commissione trasparenza del Comune di Roma).
Saluta l’assessore Daniele Ozzimo – e nell’inchiesta si legge che «il 19 giugno 2013 a bordo dell’autovettura Audi veniva intercettato un dialogo tra Buzzi e le sue collaboratrici Chiaravalle Piera e Bufacchi Anna Maria, nel corso del quale i tre interlocutori discutevano di quelli che sarebbero potuti essere i ruoli in Municipio per i loro ‘amici’ Marroni Angelo o Ozzimo Daniele, sperando che il sindaco avrebbe lasciato loro un posto nel campo del sociale, di fondamentale importanza per le attività economiche delle Cooperative e, di conseguenza, del sodalizio »
E chi saluta per ultimo Buzzi a quel convegno? Ecco il passo: «Concludo, infine, con un augurio di buon lavoro: al ministro Giuliano Poletti, nostro ex Presidente nazionale che più volte ha partecipato alle nostre assemblee; al Governo Renzi affinchè possa realizzare tutte le riforme che si è posto come obiettivo, l’unico modo per salvare il nostro Paese dalla stagnazione e dall’antipolitica; in particolar modo a tutti voi soci che con il vostro lavoro quotidiano avete contribuito a raggiungere questo risultato così soddisfacente ».
Salvatore Buzzi è accusato di essere il ministro dell’economia della cosca e «si occupa – secondo i Ros – della gestione della contabilità occulta della associazione e dei pagamenti ai pubblici ufficiali corrotti».
Il ministro del lavoro Poletti è finito in copertina proprio con Buzzi sul magazine della cooperativa 29 Giugno.
Non si era informato su come queste cooperative vincessero gli appalti? Su come i disperati che ci lavorano non fossero altro che bacini di voti, strumenti di pressione sociale, oggetti per riciclare?
Non si tratta di una foto con uno sconosciuto, di una cena elettorale dove non sai con chi parli e a fianco di chi sei seduto. Non sono imboscate.
Qui si tratta di non aver monitorato, capito come agivano le maggiori cooperative a Roma. Possibile?
Dice in tv il premier Matteo Renzi che «non si può mettere in mezzo Poletti perchè ha partecipato a una cena».
Giusto: non c’è, ripetiamo, nessun reato che viene contestato.
Ma è politicamente che questo rapporto può essere considerato grave, anzi gravissimo.
È di questo che il ministro deve rispondere al Paese e in Parlamento. Non basta dire “«non sapevo, non potevo sapere, non c’entro».
Non si tratta di una semplice foto scattata, ma di un rapporto continuativo, durato anni.
Perchè?
Roberto Saviano
(da “La Repubblica“)
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