Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
L’ARTISTA DEI CRUSCOTTI PER AUTO, ESEMPIO DI CAPITALISMO SOCIALE
E poi, per fortuna, ci sono ancora storie come questa.
Leonardo Martini era un artista dei cruscotti per auto.
Intorno al suo talento imprenditoriale aveva costruito una piccola azienda che dava da vivere a venticinque famiglie nel Vicentino.
Alla boa dei settant’anni è stato colto da un male rapido e implacabile. Non aveva figli e la sua ossessione era che la fabbrica a cui aveva dedicato l’esistenza finisse in mani asettiche o malfidate.
Così, sul letto di morte, ha deciso di lasciarla ai suoi operai. I quali forse adesso si scanneranno, dando ragione alla massima secondo cui l’unica società che funziona è quella dove gli azionisti sono in numero dispari inferiore a tre.
O magari no, perchè l’esempio non muore necessariamente con chi lo dà .
Ma qualunque sarà l’esito finale dell’eredità di Leonardo Martini, nulla potrà cancellare la speranza che il gesto di quell’uomo ha donato a questi giorni tristi e terribili, attraversati da lupi mannari che straziano le carni di una comunità nazionale già indebolita dalla crisi con sopraffazioni continue.
Il capitalismo sociale non è un controsenso, ma un pezzo di storia italiana che forse ci eravamo dimenticati.
In Italia non tutto è mafia, corruzione o finanza spietata che sposta i capitali come fiches, infischiandosene delle conseguenze sulla vita delle persone.
Esistono, e resistono, tanti Martini che si ostinano a considerare la loro azienda un bene comune e i loro dipendenti degli esseri umani, degli amici, talvolta persino dei figli.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
E ANCHE QUESTO GOVERNO BLOCCA LE LEGGI CONTRO LA FRODE FISCALE, L’AUTORICICLAGGIO, IL FALSO IN BILANCIO, I CONFLITTI DI INTERESSE E LA PRESCRIZIONE
“L’Italia sarà la guida dell’Europa”, aveva promesso Renzi a luglio, assumendo per sei mesi la guida dell’Unione. Ed è stato di parola.
Non che il merito sia suo: lui è appena arrivato, ben altri sono i protagonisti di questa irresistibile ascesa, a destra, a sinistra e al centro. È stata dura, ma dopo anni d’impegno indefesso ce l’abbiamo fatta: siamo il paese più corrotto del continente.
L’ambìto riconoscimento arriva da Transparency International, che pubblica l’annuale Corruption Perception Index con le valutazioni degli osservatori internazionali sul livello di corruzione percepita in 175 paesi del mondo.
Nel 2014 l’Italia conferma la 69 ª posizione conquistata nel 2013 nella classifica generale dei paesi meno corrotti, ultima nel G7 e nell’Ue, sbaragliando gli ultimi concorrenti che ancora osavano sopravanzarci, Bulgaria e Grecia, che ci raggiungono a pari merito, facendo il vuoto alle nostre spalle.
Ora, dopo avere sbaragliato anche Sudafrica, Kuwait, Arabia Saudita e Turchia, puntiamo al Montenegro e a Sà£o Tomè, che contiamo di superare quanto prima.
Nel ringraziare le bande del Mose e di Expo per il fattivo contributo, resta il rammarico per il tardivo esplodere dello scandalo del Cupolone, i cui effetti benefici potranno farsi sentire solo nel 2015 (se no sai che performance).
L’importante è che Renzi tenga duro, tenendo bloccate le leggi contro la corruzione, la frode fiscale, l’autoriciclaggio, il falso in bilancio, i conflitti d’interessi e la prescrizione.
Ma il Patto del Nazareno regge e, se Dio vuole, ci darà presto un capo dello Stato che garantisca gli standard nazionali almeno quanto l’attuale.
Preoccupa, questo sì, il persistere a macchia di leopardo di alcuni pm che — nonostante gli innumerevoli moniti a lasciar perdere — si ostinano a indagare sulla corruzione, privando il Paese dell’apporto di tanti “uomini del fare” dediti ad attività criminali che fanno girare l’economia e crescere il Pil.
Ecco perchè, come giustamente chiedono Forza Italia, Ncd & galeotti vari, è tempo di por mano a una legge che limiti, o meglio proibisca tout court le intercettazioni: si sa che, intercettando un vecchio tangentista pluricondannato come Greganti o Frigerio o Maltauro (casi Mose ed Expo) o un ex esponente dei Nar e della Banda della Magliana o un condannato per omicidio (inchiesta Roma mafiosa), è inevitabile incappare in qualche sindaco o assessore o politico di destra, di centro e di sinistra.
E poi diventa dura insabbiare tutto: quando hai i morti in casa, è già troppo tardi, i cadaveri puzzano e i vicini mormorano, mica puoi far finta di niente.
Bisogna agire alla fonte, evitando di scoprire queste brutte cose.
Lo spiegava l’altra sera a Ballarò il generale del Ros Mario Mori, purtroppo in pensione, rivendicando orgogliosamente la trattativa Stato-mafia del ’92 con un giusto distinguo lessicale (“Non è stata una trattativa, è stato un baratto”): “Io ero la Polizia giudiziaria che stava facendo operazioni antimafia e quello era un mio compito. Io avevo il coraggio di andarci (dal mafioso Vito Ciancimino, ndr), nessun altro aveva il coraggio, erano tutti nascosti sotto alle scrivanie in quel periodo. Quella fatta con Ciancimino è una trattativa, però è una trattativa consentita dalla norma. Ciancimino era debole, sul suo capo s’addensava una serie di procedimenti che l’avrebbe portato sicuramente in galera, ci poteva dare qualche spunto e barattarlo con un trattamento migliore”.
Ecco, chi oggi pensa di tener dentro il camerata Carminati & C., prenda buona nota: questo deve fare una polizia giudiziaria che si rispetti in un paese moderno. Infischiarsene della Costituzione e delle leggi, tenere all’oscuro i magistrati e i vertici dell’Arma, e trattare anzi barattare con i criminali.
Poi, naturalmente, evitare accuratamente di arrestarli e affidare loro le perquisizioni dei covi.
Infine diventare generali, capi dei servizi segreti e, una volta in pensione, consulenti per la sicurezza del sindaco Alemanno (già …) e controllori della trasparenza degli appalti di Expo su incarico del governatore Formigoni (ri-già …).
Altrimenti si perde la guida dell’Europa.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
DAL RESPIRO E DALLA CULTURA DI UN ARDENGO SOFFICI E DELL’AMBASCIATORE ANFUSO A UN ACCOZZAGLIA DI FAMELICI CAPETTI DI PERIFERIA
Il declino della destra italiana, disastroso fino all’insospettabile, risiede anche nelle parole dell’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno: «Ne uscirò pulito».
Ad Alemanno sembra sfuggire che l’aspetto penale riguarda lui soltanto (e ci si augura che sia innocente); ma è un po’ più generale, e un po’ meno appellabile, la sua prestazione al governo di Roma.
Uscirne puliti è una bella speranza e niente più.
In sei anni — da quando il centrodestra si prese la capitale nel 2008 — il mondo si è ribaltato; c’era Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, Gianfranco Fini era fondatore del Pdl.
Il consuntivo sarebbe inutile se la cronaca non riproponesse, sotto forma di intercettazioni e ordinanze di arresto, il folle sistema di potere messo in piedi in Campidoglio, e già raccontato mille volte per l’alzata di spalle dei protagonisti.
Così folle che importa sino a un certo punto se Alemanno ne sia stato il fulcro o l’inconsapevole vittima, e nel secondo caso per l’ex sindaco sarebbe persino più umiliante.
Perchè l’aspetto politico — senza tirare in ballo impegnative questioni morali — è l’incredibile tracollo del semplice buon senso, e anche del minimo buon gusto.
Per quarantanove anni, dal 1945 al 1994, alla destra italiana rappresentata dal Movimento sociale fu impedito di mettere mano alle amministrazioni, esclusi per indegnità di stirpe.
Quando la Seconda repubblica riconsegnò a Gianfranco Fini e ai suoi il diritto alla competizione, le aspettative erano alte.
Loro vivevano nel mito delle mani pulite, che potevano esibire anche per mancanza di occasioni, e nell’entusiasmo di chi aspettava il proprio turno da sempre.
Vent’anni dopo il fallimento è spettacolare, verrebbe da dire wagneriano ma è un aggettivo profondamente immeritato: il partito non c’è più, i semileader sono divisi in partitini senza consenso, Fini vive in esilio volontario, uscì da Palazzo Chigi nel 2011 senza gloria e senza passione, e la riconquista di Roma — dopo sessantacinque anni a guardare — ha per epilogo questo guazzabuglio di criminali, ex terroristi, seconde file col pallino della mascella, il tutto subito dopo la crapula di periferia della quale Franco Fiorito è diventato il simbolo.
Nessun mondo — comunista, socialista, democristiano- si era inabissato in modi tanto miserabili e piccini.
Per dire: un avversario dichiarato come Pietrangelo Buttafuoco, che definì Verona l’unica città romana ben amministrata, oggi si rifiuta di aggiungere sillaba: «Il ve l’avevo detto non mi si confà ».
E del resto si tratta di un mondo — nostalgie a parte — che alle origini aveva dentro di sè la cultura e il respiro di gente come il poeta Ardengo Soffici o come l’ambasciatore Filippo Anfuso.
Col tempo è andato tutto perduto, l’ostracismo ha portato il Movimento sociale al ghetto, alla piccola guerra sotterranea fra correnti o, meglio, fra quartieri romani, ognuno col suo capetto a costituire l’ossatura di una classe dirigente nata male, completamente distaccata dalla realtà perchè la loro realtà era nient’altro che la logica di sezione e la partita interna, come il caso di Alemanno dimostra spettacolarmente.
Non hanno studiato le lingue, non hanno imparato a leggere come si deve, al massimo andavano a Cortina per farne una dèpendance balzacchiana della Suburra.
Sono arrivati al potere già ebbri, incapaci di capire che l’emersione da Colle Oppio richiedeva altra tempra.
«Avevano biografie da passeggio», ci dice Marcello Veneziani, e l’espressione è formidabile. Hanno incarnato, ci dice ancora, «una politica inconsistente, infiltrata dalla criminalità perchè fragile e senza rispetto di se stessa».
Uscirne puliti è l’ultima velleità .
Mattia Feltri
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
MAZZETTE, FINANZIAMENTI E STIPENDI.. CONTRIBUTI SIA AD ALEMANNO CHE A MARINO
Soldi a pioggia, distribuiti qua e là , a destra e a sinistra.
Mazzette e stipendi, regolarmente conteggiati nel libro mastro della Mafia Capitale. I carabinieri del Ros lo hanno trovato in casa di Nadia Cerrito, la segretaria dello stratega Salvatore Buzzi, il braccio imprenditoriale dell’organizzazione del Nero Massimo Carminati.
L’uomo delle cooperative teneva il conto dei doppi stipendi dei politici, dei finanziamenti, dei versamenti alle cene elettorali. Quello che emerge dal libro nero di Buzzi è il tariffario dei politici, che rende bene l’idea della vicinanza tra potere criminale e potere politico.
L’ex ad di Ama Franco Panzironi, secondo quanto si legge nelle carte delle indagini dei pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli, coordinati dal procuratore Giuseppe Pignatone, prendeva 15mila euro al mese, più 120mila una tantum (per aver turb ato una gara da 5 milioni a favore di Buzzi, e la rasatura del prato di casa: “Panzironi mi prosciugava tutti i soldi oh…”, si lamenta Buzzi al telefono.
Scrive Repubblica che la stecca fissa per tutti è il 2,5 per cento del valore dell’appalto Ogni mese, i salari, se ne andavano 27.500 euro (..). Ci sono poi i 5mila euro per Luca Odevaine, ex vicecapo di gabinetto di Veltroni e funzionario della provincia, e i 1500 per Mario Schinà , ex dirigente del Comune che faceva da tramite tra lui e Buzzi.
Pure i mille mensili che Enrico Figurelli si era “guadagnato” mettendo in contatto Buzzi con Mirko Coratti, presidente dell’assemblea capitolina ora dimissionario.
Si contano anche 320mila euro di presunte bustarelle compensi vari. Claudio Turella, funzionario del Servizio Giardini del Comune, ne voleva 100mila per aver scorporato l’Iva dagli 800mila euro assegnati per pulire la città dopo la nevicata del febbraio 2012.
“100mila li mortacci… – si arrabbia Buzzi – sull’emergenza neve 40mila euro, 15 gliene mancano… Oh, ma c’è la difficoltà a trova’ i soldi… ” Gliene darà solo 25mila”.
Eugenio Patanè, consigliere Pd alla Regione Lazio, anche lui dimessosi, invece “voleva 120mila a loro – dice Buzzi intercettato nel suo ufficio il 16 maggio scorso – siccome lo incontro martedì, una parte dei soldi gliela comincerei a da’…”. E più tardi, quel giorno, ammetterà : “Gli abbiamo dato 10mila euro per …. carinerie, e finisce lì, non gli diamo più una lira”.
Riporta ancora Repubblica che, nel rendiconto sulle spese e i contributi ricevuti in campagna elettorale, il sindaco Ignazio Marino risulta “aver preso soldi dalle coop guidate dall’ex detenuto che volle farsi imprenditore, Salvatore Buzzi.
“Due i versamenti intestatati al candidato sindaco del centrosinistra a ridosso delle elezioni: uno da 10mila euro effettuato dalla “29 giugno” e un altro da 20mila bonificato dal Consorzio Eriches 29.
Buzzi al telefono con Carminati parlava così: “Tu devi essere bravo perchè la cooperativa campa di politica, perchè il lavoro che faccio io lo fanno in tanti, perchè lo devo fare io? Finanzio giornali, faccio pubblicità , finanzio eventi, pago segreteria cene manifesti”.
Ma anche il sindaco Alemanno ha ricevuto finanziamenti per la sua campagna elettorale. Scrive il Corriere della Sera:
Il 27 novembre Buzzi “prenota due tavoli da 5mila euro l’uno ‘per una cena elettorale in favore di Alemanno, per il giorno 6 dicembre'”.
Quello stesso 6 dicembre ‘ a pochi giorni dall’approvazione dell’assestamento di bilancio 2012-2014, dai conti correnti delle società riconducibili a Buzzi venivano effettuati ulteriori bonifici per complessivi 30mila euro in favore della Fondazione Nuova Italia.
E il 17 aprile 2013 risulta effettuato un bonifico di 15mila in favore di Fabrizio Pescatori, mandatario elettorale di Alemanno
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
“IL PATTO DEL NAZARENO VA DI PARI PASSO CON LE RIFORME”… “SONO IO IL LEADER, SE SI VA ALLE ELEZIONI SFIDO RENZI”
Silvio Berlusconi scherza, appena ci salutiamo: “Oh, ecco il compagno… Voi dell’Huffington siete critici su Renzi… ”.
Palazzo Grazioli, mi riceve nel suo studio. Un bicchiere di “falso amaro” sulla scrivania e un blocco su cui annota appunti, è assai poco appassionato al conflitto interno al centrodestra: “Teatrino”.
E ancor meno alla questione delle primarie, su cui si dice contrario. È sul Great Game del Quirinale che però sfoggia il sorriso del Grande Seduttore.
Sul punto cruciale della conversazione, la zampata: “Da Renzi mi aspetto un percorso di condivisione che consenta al paese di avere un capo dello Stato che non sia espressione solo della sinistra, come è stato con gli ultimi presidenti, ma sia una figura di garanzia per tutti gli italiani”.
Non espressione della sinistra significa che dall’elenco va depennato non solo Prodi, ma tutti i segretari del Pd: Veltroni, Franceschini, Bersani.
In cambio, sulla legge elettorale il Cavaliere non alza le barricate. Anzi, taglia corto sulla proposta di Renzi sui tempi e sulla cosiddetta clausola di salvaguardia, ovvero che la nuova legge elettorale entri in vigore nel 2016: “Non mi sembra francamente una questione rilevante. Prima o dopo l’importante è che si realizzi una buona legge che non penalizzi nessuna delle parti in causa”.
Suona come un richiamo al Patto del Nazareno che Renzi deve rispettare tutto il ragionamento di Berlusconi.
Il premier, nel corso della trasmissione di Enrico Mentana, ha detto: “Il Quirinale non è nel Nazareno”. E non ha escluso, per il Quirinale, nessun nome neanche quelli già bocciati la volta scorsa.
Per Berlusconi la successione al Colle “condivisa” è invece l’esito di un percorso che il Cavaliere definisce “naturale” nel Patto del Nazareno.
E della disponibilità a fare le riforme: “È evidente — dice – che i due temi (Colle e riforme, ndr), poichè fanno entrambi parte delle regole e delle garanzie, non possono che andare di pari passo”. Già , “evidente”.
Nel corso dell’oretta passata nel suo studio, lo trovo assai poco innamorato di Renzi. Anzi, lo punzecchia proprio sul rapporto col popolo, con la gente: “L’astensionismo non è secondario. È un segnale per il governo”.
Si percepisce che ha voglia di sfidarlo. Un’ultima battaglia, per dimostrare che è, ancora, Silvio Berlusconi. Pesa l’anno di restrizioni, di limitazione nella libertà di movimento. Proprio solleticato su questo esce il vecchio leone.
Smette di prendere appunti: “Quando sarà , sarò in campo contro Renzi”. Il ruolo, da candidato o da leader, dipende dalla questione dell’agibilità politica: “Sono certo — dice – che riavrò l’onore perduto”.
Ma, parlando del suo “popolo”, quasi commosso lascia capire che non ha alcuna intenzione di dismettere i panni da leader del centrodestra.
Presidente Berlusconi, partiamo dal futuro del centrodestra, da quella che appare una “frantumazione” dello schieramento per come l’abbiamo conosciuto negli ultimi vent’anni.
(Berlusconi è alla sua scrivania, a Palazzo Grazioli. Mentre risponde, ha una penna in mano, e davanti un blocco di fogli. Ogni tanto, mentre parla, annota qualcosa, come se raccogliesse in uno schema i suoi stessi ragionamenti).
Dobbiamo fare ancora un passo indietro: il centrodestra in Italia, come realtà politica, non è mai esistito, almeno dall’epoca pre-fascista. Solo con la mia discesa in campo nel 1994 è diventato un soggetto maggioritario nel paese. Questo non perchè prima non esistesse un “sentire comune” moderato, ma perchè i partiti chiamati a interpretarlo avevano progetti diversi o erano ininfluenti. I moderati, da maggioranza nel paese, sono diventati per la prima volta con noi anche una maggioranza politica. Molti si attendevano che questo consentisse una trasformazione radicale dell’Italia. Anch’io lo avrei voluto, ma non è stato possibile per diverse ragioni: perchè negli ultimi vent’anni noi abbiamo governato per meno della metà , e perchè quando abbiamo governato le regole istituzionali, gli egoismi di alcuni alleati minori, le forti resistenze della burocrazia e del sindacato lo hanno reso impossibile. Di conseguenza noi abbiamo fatto grandi riforme liberali, ma “la grande rivoluzione liberale” a cui io puntavo è rimasta incompiuta.
E questo è il passato. Ora però il centrodestra pare frantumato…
Di fronte a quello che le ho illustrato, è successo che una parte dei nostri elettori, delusa, si è rifugiata nell’astensione, mentre alcuni protagonisti politici, da Alfano a Salvini, hanno pensato che potesse essere venuto il loro turno. Ne sarei lieto, come ne sarei stato contento nel 1994 se Segni e Bossi, Martinazzoli e Fini si fossero messi d’accordo senza bisogno del mio intervento. Io non ho mai sofferto di ambizioni politiche nè allora nè oggi. Ma ancora oggi come allora non vedo nessun altro che possa esercitare una leadership in grado di unificare il mondo del centro-destra.
Lei dice che riunire il centrodestra da Alfano a Salvini, ma ormai è chiaro, a leggere le dichiarazioni, che i due sono incompatibili. Uno è al governo, uno all’opposizione, uno mette il veto sull’altro. Lei che nel ’94 chiamò a raccolta tutti gli italiani alternativi alla sinistra in nome del suo carisma inventandosi una coalizione, che schema ha in mente e con chi?
(Sorride e scuote il capo). Purtroppo i politici italiani non riescono a fare a meno dei tatticismi. Pensano, sollevando barricate, di alzare il prezzo in una trattativa che, prima o poi, è inevitabile, se non vogliono condannare se stessi e tutta l’Italia di centro-destra ad essere minoritaria per sempre. È il teatrino della politica, proprio quello di cui gli italiani, i moderati in particolare, sono sempre più disgustati e indotti a rifugiarsi nell’astensione.
E quindi?
E quindi occorre la pazienza e la volontà di non perdere mai di vista l’obiettivo che si ha davanti. Nonostante i veti reciproci, Lega ed Ncd governano insieme regioni importanti come la Lombardia e il Veneto, che tra l’altro è prossimo alle elezioni, e tante amministrazioni locali. Vuol dire che questa presunta incompatibilità non è poi così definitiva. D’altronde fra pochi mesi in Veneto si vota: non mi risulta che Lega e Ncd abbiano deciso di perdere.
Ma davvero pensa che il calo di consensi sia solo dovuto alla litigiosità o si è rotto qualcosa col paese?
I moderati, tutti i sondaggi e le ricerche lo confermano, sono e restano la maggioranza degli italiani. A tenerli lontani dalle urne sono diversi motivi. Sono delusi da questa politica e da questi politici che profittano dei soldi pubblici, che non trovano soluzioni concrete ai loro problemi, che si perdono in litigi e liturgie incomprensibili. Poi c’è una forte preoccupazione per il proprio futuro, c’è la paura di dover perdere il proprio benessere, il proprio lavoro, la paura di non trovare un lavoro per i propri figli. E poi…
E poi?
(Ora Berlusconi pare rabbuiarsi, fin qui è stato sorridente e cordiale. Diventa cupo. E cambia il tono di voce). Poi c’è la questione che tutti voi dei media avete messo da parte come se non esistesse, come se in Italia fosse tutto normale. Noi siamo in una condizione pericolosa e inaccettabile di democrazia sospesa. Una condizione nella quale il leader di uno dei due schieramenti in campo non può fare campagna elettorale, non può muoversi sul territorio nazionale, non può stare in mezzo alla gente, non può neppure dire quello che pensa, è privato del suo diritto di voto, del diritto ad essere votato, è privato della sua libertà . Una situazione che non ha precedenti nella storia della nostra democrazia.
Ci arriviamo. Prima però un’ultima domanda sul tema. Dentro e fuori il suo partito, da Salvini a Fitto, le dicono: per rifondare il centrodestra “agonizzante” servono le primarie, una sorta di rianimazione, di ossigeno democratico. In fondo a sinistra hanno funzionato, Renzi da quel meccanismo è uscito...
Non è il meccanismo elettorale a far nascere i leaders. I leaders o ci sono o non ci sono. Renzi sarebbe emerso anche senza primarie. È stato abile nell’utilizzarle, certamente, ma non è un prodotto delle primarie. Dalle primarie sono usciti i peggiori esempi di amministratori della sinistra, come Pisapia, Marino, Doria, De Magistris… Una serie di pessimi sindaci che stanno portando allo sfascio le maggiori città italiane. Io sono convinto che le primarie siano un pessimo strumento per la scelta dei candidati leaders. Penso che ogni movimento politico debba proporsi ai cittadini presentando i suoi programmi e i suoi candidati. Se vi convincono, votateli. Questo è il linguaggio dell’onestà e della chiarezza in virtù del quale i moderati italiani da vent’anni hanno scelto e ancora scelgono, senza bisogno delle primarie, un leader del centro-destra che si chiama Berlusconi.
E lei a Fitto che dice: “falla finita, o dentro o fuori”…
Siete speciali: uno vi riferisce un pettegolezzo, oltretutto sbagliato, e tutti lo riprendete, lo commentate e lo rilanciate fino a farlo diventare una apparente verità . Lei mi conosce da tempo: crede davvero possibile che io tratti così qualcuno? La verità è che in trent’anni di imprese e in vent’anni di politica io non ho mai cacciato nessuno. Forse è stato un errore, in qualche caso avrei dovuto farlo, ma, francamente, non ne sono capace.
Diciamoci la verità , questo controcanto le ricorda un po’ Fini o Alfano.
(Ride). Visto l’esito, credo che nessuno abbia la tentazione di imitarli.
Non so lei, ma io sono rimasto molto colpito dall’astensionismo alle regionali. È un fenomeno secondario come dice Renzi?
No, quello uscito dalle urne dell’Emilia Romagna è un segnale molto grave.
È anche un segnale per Renzi e per il governo?
È un segnale per il governo, certamente, che dimostra che una parte importante del Pd, non solo fra i dirigenti, ma anche fra gli elettori, non è d’accordo con quel che è ora il partito che hanno sempre votato.
Sbaglio o è un po’ deluso dal premier?
Renzi ha molte qualità . È giovane, è dinamico, è un formidabile comunicatore. Ha anche il vantaggio di avere una discreta dose di cattiveria che a me, per esempio, manca del tutto. Vedremo cosa sarà capace di realizzare.
Presidente, la seguo da anni e se ho una certezza è che lei è un combattente. Sa cosa penso? Penso che nella sua testa frulla un ragionamento così: vabbè, Renzi è bravo, bravissimo, il migliore dei suoi, però ha pure incrociato il momento di mia massima difficoltà , politica, giudiziaria, pure di libertà dei movimenti. Se avessi la possibilità di fare il Berlusconi vero, di andare in giro per l’Italia, di abbracciare le persone, di andare in televisione, glielo farei vedere io a questo baldo giovane che prima mi stringe la mano e poi cambia idea 8 volte sulle riforme chi è Silvio Berlusconi. Dica la verità , l’idea di una campagna elettorale contro Renzi, quando sarà , le piace assai.
Si è già dato la risposta da solo. Aggiungo solo una cosa.
Prego.
Io sono certo, certissimo (scandisce, guardandomi fisso negli occhi, ndr), che presto sarà l’Europa a restituirmi quell’onore e quei diritti politici che mi sono stati incredibilmente e inaccettabilmente sottratti. E allora sarò in campo, a tempo pieno, per vincere. Ma già da oggi il silenzio è finito. Ho taciuto fin troppo per senso di responsabilità verso il paese in un momento difficile. Ma oggi, se tacessi ancora, sarebbe, al contrario, un gesto di irresponsabilità , verso di me, verso la mia storia, verso chi mi ha sempre dato fiducia, verso tutti gli italiani. (Berlusconi ha fatto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo contro la sentenza della Cassazione che lo ha condannato per frode fiscale. Si riferisce alla sentenza della corte europea quando parla di Europa, ndr).
Esclude, quando sarà , di essere lei colui che guida la sfida a Renzi come leader del centrodestra?
Non lo escludo. L’unica cosa che invece escludo è di non essere in campo. Se poi ci sarò come attaccante o come regista, dipenderà da molti fattori oggi difficili da prevedere.
Se fosse premier, che farebbe nei primi cento giorni? L’Italia è il paese che amo. E quindi all’Italia dico…
…dico che senza una svolta radicale dalla crisi non si esce. Svolta radicale significa soprattutto una cosa: lasciare più soldi nelle tasche degli italiani, riducendo una volta per tutte i costi dello Stato e le tasse sulle famiglie e sulle imprese. Meno tasse significa più consumi e più investimenti, quindi più lavoro e più utili per le aziende, quindi più occupazione, a favore proprio delle categorie più deboli, come i giovani e le donne, ma anche delle persone di mezza età espulse dal mercato del lavoro e che oggi non riescono a ritrovare un’occupazione e sono ancora lontane dalla pensione. È uno dei nuovi drammi sociali, perchè spesso sono padri e madri con figli a carico.
Dunque i provvedimenti che varerebbe?
Introdurremo la “flat tax”, quella che ormai funziona benissimo in trentotto Paesi e che mi convince dal 1994. Quella che i miei alleati non hanno mai condiviso, una rivoluzione totale del nostro sistema impositivo, basato sull’aliquota unica per tutti, un’aliquota del 20 per cento e dunque molto inferiore alle attuali, e una “no tax area” al di sotto di un certo reddito. I paesi dell’Europa dell’est, tra i tanti che hanno introdotto questo sistema di tassazione negli ultimi anni, hanno conosciuto spettacolari passi in avanti. L’altra cosa essenziale da fare subito è occuparsi degli anziani. Nessuno oggi può vivere dignitosamente con meno di 1000 euro al mese. Per questo aumenteremo immediatamente le pensioni minime, fino a quella cifra. E anche questo avrà un effetto positivo sui consumi, sul lavoro, sulle imprese.
Presidente, sta usando i verbi al futuro. Non sta raccontando quello che farebbe se tornasse al governo, ci racconta quella che farà .
(Sorride) Esatto.
E ciò che non rifarebbe? Qualche errore ci sarà nella passata esperienza…
Senza dubbio. Aver accettato una continua mediazione con chi remava contro all’azione del governo. Per carattere tendo a fidarmi delle persone, a credere che siano sempre in buona fede. Farò forza sul mio carattere, non ripeterò questi errori.
Ora però c’è la questione del successore di Napolitano. Non sono così ingenuo da chiederle un nome ora. Però vorrei provare a capire qualcosa. Quale metodo si aspetta da Renzi? Una “rosa” con nomi non ostili?
Mi aspetto un percorso di condivisione il quale, al di là delle procedure che si seguiranno, consenta a questo Paese di avere un Presidente della Repubblica che non sia solo espressione della sinistra, come è stato con gli ultimi presidenti, ma sia una figura di massima garanzia e di rappresentanza di tutti gli italiani.
Un nome condiviso, dunque.
Sono convinto che ci arriveremo, nel quadro di quella collaborazione istituzionale, che è diversa dalla convergenza politica, che si è avviata con il Pd sulle riforme. È evidente che i due temi, poichè fanno entrambi parte delle regole e delle garanzie, non possono che andare di pari passo.
È “evidente”, dice lei. E dal nuovo capo dello Stato si aspetta maggiore sensibilità di quella mostrata da Napolitano sulla sua “agibilità politica” così può tornare candidabile?
Non pongo condizioni, non tratto su quello che considero un mio, un nostro ineludibile diritto. Sono tuttavia convinto che l’Europa risolverà il problema prima del nuovo capo dello Stato.
A proposito di legge elettorale. Le chiederei una parola chiara. Lei aveva detto: prima il Quirinale, poi si vota la legge elettorale. Renzi le ha risposto: “Non dà le carte Berlusconi”. Vuole votarla prima del prossimo capo dello Stato, però offre come clausola di salvaguardia che entrerà in vigore nel 2016.
Non mi sembra francamente una questione rilevante. Prima o dopo l’importante è che si realizzi una buona legge che non penalizzi nessuna delle parti in causa.
Sempre sul Nazareno. Ma perchè è così importante per le sue aziende? A leggere le interviste di Ennio Doris viene il sospetto che ci sia un nesso tra tutela delle aziende e Nazareno.
(Sbuffa, evidentemente infastidito) Rovesciamo per un attimo le parti e mi spieghi lei una cosa. Che vantaggio potrebbero mai avere quelle che lei chiama le mie aziende, da Renzi? Mediaset è una grande azienda culturale e di informazione, è quotata in borsa con decine di migliaia di azionisti che ne detengono il 60 per cento, dà lavoro a migliaia di persone e ha operato sotto i governi più diversi. Si rende conto che questa domanda presupporrebbe l’esistenza di una sorta di possibile ricatto da parte del presidente del Consiglio ai danni di una delle principali aziende italiane? Le pare accettabile una cosa del genere? Comunque, non arrivo davvero ad individuare cosa potrebbe fare il governo per le aziende che ho fondato. Forse dovrebbe fare una sola cosa: far ripartire l’economia e quindi anche il mercato pubblicitario, del quale tutti i media vivono. Questo sarebbe il bene del paese, non solo di Mediaset.
Presidente, concludiamo con una nota personale. Rispetto all’ultima volta che ci siamo visti, un anno fa, è stato un anno difficile. Posso chiederle quale è stato il giorno più brutto, da politico, che ha vissuto, la cosa che le ha fatto più male?
Il giorno nel quale il Senato italiano, per la prima volta nella sua storia, ha votato l’espulsione di un leader politico capo dell’opposizione e del centro-destra dal Parlamento della Repubblica e l’ha fatto, violando la Costituzione italiana, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la prassi e le sue stesse procedure. L’ha fatto a seguito non solo di una sentenza inverosimile, ma anche di un’applicazione incostituzionale dei suoi effetti. Una pagina vergognosa della politica italiana, decisa dalla sinistra, avallata dalle più alte istituzioni e subita senza reazione da chi, eletto con i miei voti, ha deciso, nonostante tutto questo, di continuare a collaborare con i responsabili di questa infamia.
Lei più volte ha usato in questo anno la parola “delusione” e “tradimento”. Ora “infamia”. Si sente cambiato, umanamente?
Questa volta sono stati delusi e traditi milioni di italiani che oggi non credono più nella politica e che si rifugiano nell’astensionismo, perchè chi avevano votato in nome di un programma e di un’alleanza, col chiaro mandato di contrastare la sinistra, si è comportato esattamente al contrario. Sono loro che devono perdonare. Loro, ogni volta che compaio in pubblico, in strada, si affollano intorno a me, mi abbracciano, mi dicono di non mollare, quasi mi soffocano con il loro affetto e il loro entusiasmo.
Dunque, il leader è sempre lei.
(Adesso appare quasi commosso, mentre parla della sua gente) A volte faccio fatica a sottrarmi a questo abbraccio così affettuoso e intenso. Negli occhi di tutta questa gente, gente di tutte le età e di tutte le condizioni sociali, vedo la speranza di un’Italia diversa, quel sogno in nome del quale vent’anni fa sono sceso in campo per difendere la nostra democrazia e la nostra libertà . Posso deluderli?
Insomma, diceva Nietzsche: “Ciò che non mi uccide, mi rafforza”.
Nietzsche aveva ragione.
(da “Huffingtonpost“)
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
ALTRO CHE “L’ART. 18 NON SI TOCCA” E “FIDUCIA MAI”: ALLA FINE TUTTI COPERTI E ALLLINEATI
Ad un certo punto qualcuno dai banchi del Partito democratico si fa coraggio: “Shhhh”. Chiede silenzio.
Parla la senatrice Annamaria Parente e a stento sentono i suoi vicini di banco.
La battaglia campale sul Jobs act, quella della “fiducia mai” e il “parlamento abusato” e “l’articolo 18 non si tocca”, al Senato si chiude così: tra il chiacchiericcio e i borbottii dei parlamentari, qualche sbadiglio, un viavai stile via del Corso.
Il presidente d’Aula Roberto Calderoli non ci ha nemmeno fatto troppo caso: il brusio di fondo è rimasto lì per oltre quattro ore.
Solo, ai banchi del governo, ascolta il ministro Poletti: gira la testa a seconda di chi parla, braccia conserte, si trascina la sua borsa nera e ogni tanto accenna un movimento.
I senatori si alzano, escono, vanno al bar, fanno interviste. Diversivi in attesa del voto. La passeggiata è appena fuori dall’Aula.
Dentro il Senato, il governo chiede (e ottiene) la fiducia sul disegno legge delega per la riforma del lavoro.
Fuori, invece, porte e strade sono blindate dalle camionette della polizia. Protestano studenti e sindacati. In mattinata hanno tirato uova e petardi, poi hanno provato a sfondare i cordoni, le forze dell’ordine hanno deciso “azioni di contenimento”: l’esito è di 3 feriti e 2 fermati.
I senatori per entrare a dare il voto hanno dovuto schivare qualche agente.
Poi nella sala a poltrone rosse e senza finestre, delle proteste di piazza non è rimasto quasi niente. Qualcuno ha faticato ad uscire in pausa pranzo (nessun taxi disponibile, strade chiuse e obbligo di andare a zig zag), ma per il resto è filato tutto liscio.
Quattro ore di discussione. Dall’alto della tribuna ospiti una classe di studenti in visita guarda il Senato: ma le poltrone sono vuote.
I parlamentari seduti ai loro scranni fissano ipad, giornali, il cellulare. E parlano. Lavoro, probabilmente. Si mettono avanti e sbrigano faccende.
Perchè tanto il governo ha blindato il testo (con la 32esima fiducia).
A Palazzo Madama ne hanno già parlato ad ottobre scorso, la Camera ha cambiato quello che doveva cambiare ed ora che torna non c’è nemmeno da fare la fatica di discutere.
Perfino la minoranza Pd ha messo nero su bianco che, vabbè, questa riforma del lavoro non le piace, ma voterà lo stesso.
Non bastano nemmeno i cartelli del gruppetto di Sel (“Ritorno all’800″ su fogli A4 che riescono a leggere solo gli zoom dei fotografi).
All’improvviso è il turno delle dichiarazioni di voto e a qualcuno si scalda l’animo (finalmente). Ma tornano a sedersi solo i colleghi di gruppo di chi parla.
Così Anna Maria Bernini, applaudita da Antonio Razzi rientrato di fretta dopo l’immancabile intervista in sala stampa.
Così per Nunzia Catalfo del Movimento 5 stelle, supportata dai colleghi che per il resto entrano ed escono dall’Aula.
Affollati i banchi del Pd, i cui senatori sono chiamati a sfidare un po’ la propria storia, vista la storia dell’ulteriore trasformazione dell’articolo 18.
Ma il clima è stanco: un parlamentare democratico di sfuggita guarda un catalogo di gioielli. Collier e catene d’oro, probabilmente un regalo: siamo sotto Natale.
“Siamo di fronte a una svolta” prova a svegliare i colleghi Pippo Pagano del Nuovo centrodestra nel vuoto dell’Aula. “C’è l’orgoglio della nostra forza politica di aver contribuito a questo provvedimento storico”.
Tentano una protesta i 5 stelle, ma è tutta un’altra storia rispetto all’ostruzionismo di altri mesi: le manette ai banchi, le corse verso i banchi del governo, le sospensioni. “Questa — dice Catalfo — non la chiamerei una riforma: per fare una riforma vera bisogna investire in capitale umano. Noi ci apprestiamo a votare un testo che nei fatti è identico a quello votato in Senato. Il governo che punta ad abbattere le barriere, oggi ne alza un’altra”. Non è cambiato niente.
Il testo era stato blindato prima, non avrebbe dovuto cambiare mai. E invece torna con le modifiche. E i senatori protestano, o così dicono di fare.
L’azzardo lo fa la berlusconiana Anna Maria Bernini: “C’è stata — dice — una discussione troppo breve e non sufficiente per una legge delega. E’ una mancata riforma del lavoro per gli anni a venire. Il governo ha prodotto un provvedimento vago che non crea effetti reali. Siamo all’ennesima fiducia, siamo all’umiliazione di questo governo. Questa delega purtroppo dice pochissimo. Siamo contro questo provvedimento che danneggia il Paese”.
Ore 18.34, entra Mario Monti, senatore a vita, iscritto ancora — almeno lui — a Scelta Civica: è una delle sue poche presenze in Aula e si prepara al voto di fiducia.
E’ la volta di Annamaria Parente, del Partito democratico. E’ una ex sindacalista della Cisl, settore Poste. Ha sostenuto prima Veltroni e poi Bersani.
Ora difende la legge di Renzi che i sindacati avversano: “E’ il frutto di una visione complessiva. Le risorse sono e saranno fondamentali. Una battaglia che il nostro premier sta combattendo. Una visione d’insieme. Ora la parola passa a voi, governo. Ma noi parlamentari vigileremo sulle effettive attuazioni”.
E quando il chiacchiericcio si fa insostenibile, qualcuno grida “shh” e chiede almeno il ritorno all’ordine se non un rispettoso silenzio.
Poi entra Giovanardi: si guarda intorno per capire se è già l’ora del voto. Chiude il giro il senatore Corradino Mineo: “Credo che il governo non debba abusare in modo grave di questo provvedimento. Già a ottobre ha chiesto la fiducia, quando invece ci potevano essere delle discussioni. C’è da chiedersi se questa assemblea è stata sciolta a sua insaputa”.
Solo così si potrebbero spiegare le assenze, i capannelli, le chiacchiere, gli sbadigli, gli Ipad.
Martina Castigliani
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
LE BALLE DEL MINISTRO SMENTITE DAI DATI REALI: MA NON SI FA PROPAGANDA SULLA PELLE DI CHI CERCA LAVORO
Venerdì 28 settembre l’Istat ha diffuso gli ennesimi brutti numeri economici: un tasso di disoccupazione da immediato dopoguerra (13,2 per cento), un calo degli occupati a ottobre rispetto a settembre (55 mila), l’incubo per i giovani in cerca di occupazione. Ulteriore conferma che il lavoro è la vera tragedia italiana e la sua mancanza il modo in cui l’esigenza di deflazionare il sistema Paese è stata risolta in questi anni.
I dati dell’Istat certificano che non c’è stata per il momento alcuna inversione di rotta: l’economia italiana langue e il governo Renzi non sa o non può costringerla a #cambiareverso.
La reazione dell’esecutivo a quei numeri non è stata, se amate gli eufemismi, all’altezza di quella tragedia.
Il premier ha continuato a vantare un aumento degli occupati da febbraio, su dati non destagionalizzati (seguito da un arzillo Del-rio, secondo cui “le chiacchiere stanno a zero”).
Nella realtà si tratta di 51 mila unità in più su una stima di 22,3 milioni di occupati totali: puro rumore statistico.
Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha fatto persino peggio, facendo rilasciare al suo dicastero un comunicato basato su “una prima indicazione che emerge da un’anticipazione” dei dati del Sistema informativo sulle comunicazioni obbligatorie sugli avviamenti e le cessazioni dei rapporti di lavoro dipendente e para-subordinato. Cioè numeri provvisori, non chiari, non completi che però hanno detto al Paese che tra ottobre 2013 e ottobre 2014 sono stati creati “2,474 milioni di nuovi posti”, di cui “400 mila a tempo imdeterminato”.
Questo comunicato è stato poi rilanciato dalle agenzie e dai siti in contrapposizione coi numeri dell’Istat: i dati non sono univoci, come ama dire Renzi.
Poi uno li guarda, questi dati, e insomma: intanto per 2,474 milioni di nuovi contratti ce ne sono 2,415 cessati nello stesso periodo (60 mila in più dentro dati preliminari e incompleti). Non solo.
Il comunicato non riporta il saldo netto dei contratti a tempo indeterminato: si sa, insomma, quanti ne sono stati attivati, ma non quanti sono cessati.
Dai numeri veri, infine, risulta non solo che il “tempo determinato” continua a calare sul totale dei contratti, ma che l’ultimo loro aumento sul trimestre risale al periodo gennaio-marzo 2014: Poletti, è arrivato al governo solo a fine febbraio e il decreto che porta il suo nome — che peraltro si occupa di incentivare il tempo determinato — è stato convertito a maggio.
Non si gioca e non si fa propaganda su una tragedia nazionale.
Un ministro che non capisce una simile ovvietà semplicemente non dovrebbe fare il ministro.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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