Dicembre 20th, 2014 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL GIUSLAVORISTA DELL’ARINGA: “COSI’ C’E’ IL RISCHIO CHE L’AZIENDA FACCIA SCELTE DISCREZIONALI”
«Sì, ho letto. Il governo vuole escludere il reintegro per i licenziamenti legati allo scarso rendimento del lavoratore. Mi permetto di manifestare qualche dubbio».
Carlo Dell’Aringa non è solo un deputato del Pd.
Insegna Economia politica alla Cattolica di Milano, è stato tra gli estensori del «libro Bianco» che portò alla Legge Biagi, nel governo Letta ha fatto il sottosegretario al Lavoro, nel governo Monti era arrivato ad un passo dalla poltrona di ministro. Insomma, è uno dei nomi più illustri nel ristretto club dei giuslavoristi che in queste ore sezionano le notizie in arrivo dal fronte del Jobs act .
Quali sono i suoi dubbi professore?
«Tutto dipende da cosa si intende per scarso rendimento. Può essere oggettivo, cioè non dipendere dalla volontà del lavoratore ma dalle nuove mansioni che deve svolgere in caso di innovazioni organizzative o tecniche».
Facciamo un esempio?
«L’azienda compra un macchinario nuovo e naturalmente vuole che lo si faccia funzionare per bene. Ma il dipendente non ci riesce proprio, non basta nemmeno uno specifico corso di formazione. Se per scarso rendimento si intende questo già adesso la prassi e la giurisprudenza prevedono che possa dar luogo a un licenziamento di tipo economico. In sostanza non cambierebbe molto, si preciserebbe meglio una fattispecie già coltivata nella prassi».
Ma per scarso rendimento si può intendere anche il poco impegno del lavoratore.
«Ecco, il punto è questo. Se si fa riferimento allo scarso impegno ma anche alla cattiva volontà o alla negligenza del lavoratore, la modifica del governo diventa impropria. Qui il motivo non sarebbe più oggettivo ma soggettivo: insomma si rientra nel campo dei licenziamenti disciplinari che, anche con le nuove regole scritte dal governo Renzi, prevedono in alcuni casi il reintegro».
Par di capire che il governo voglia intendere lo scarso rendimento in senso oggettivo. Insomma, lo scarso impegno non c’entrerebbe.
«Me lo auguro, altrimenti si finirebbe per complicare le cose. Poi non ci si può lamentare se i giudici sbagliano».
Quasi tutti i sindacati hanno protestato dopo l’incontro a Palazzo Chigi: solo linee generali, nessun dettaglio, la sensazione che i giochi siano già fatti. Da ex uomo di governo, hanno ragione loro?
«Li capisco. Un atteggiamento del genere sarebbe giustificato solo se il governo non avesse le idee chiare su cosa fare. Ma non mi sembra questo il caso. La materia va discussa e affrontata davvero, altrimenti questi incontri rischiano di essere percepiti come una presa in giro».
Da esperto, le pare possibile che le nuove regole sui licenziamenti valgano solo per i nuovi assunti mentre per tutti gli altri no? Il problema dell’Italia non è anche la distinzione fra lavoratori giovani non garantiti e anziani più garantiti?
«Se il mondo del lavoro si abituerà a queste nuove norme sarà inevitabile estenderle a tutti nel giro di qualche anno. Il doppio regime può reggere nella fase transitoria ma non può durare 10 o 15 anni».
E secondo lei ci abitueremo a fare a meno dell’articolo 18?
«Ci siamo abituati alla scomparsa della scala mobile. Ci abitueremo anche a questo».
Entro il 2020, quindi, il Jobs Act sarà valido per tutti?
(Ride )«Questo lo dice lei, ma certo non dovremo aspettare il 2030».
Lorenzo Salvia
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 20th, 2014 Riccardo Fucile
NON SERVONO AUMENTI DI PENA SE ALLA PENA NON CI SI ARRIVA, MA AGENTI SOTTO COPERTURA, COME AVVIENE NEGLI USA E COME CI CHIEDE L’EUROPA
Molti parlano di corruzione e sembrano sapere che cosa fare per reprimerla.
Quelli che esibiscono le opinioni più nette sono gli stessi che non hanno idea di cosa siano un’indagine e un processo per questo tipo di reato.
La corruzione è (quasi sempre) un reato senza testimoni.
Quando il fatto viene commesso – quando i soldi cambiano mano o viene formulata la promessa illecita – sono presenti solo il corrotto e il corruttore ma per ovvie ragioni nessuno dei due ha alcun interesse a raccontare l’accaduto ai magistrati o alla polizia.
Questo anche perchè manca ogni norma per incentivare la collaborazione con la giustizia, come nelle indagini per mafia.
Quasi mai esiste una notizia di reato nella quale si dica esplicitamente che il tale funzionario pubblico ha preso una tangente o che il tale cittadino l’ha pagata.
Quando le denunce arrivano sono di regola imprecise o congetturali e richiedono l’avvio di lunghi e faticosi accertamenti.
Fra questi le intercettazioni, sulle cui spese conviene, in breve, soffermarsi.
Un’intercettazione ambientale costa infatti circa 80 euro al giorno, un’intercettazione telematica 120 euro al giorno, l’intercettazione di messaggi whatsapp 200 euro al giorno (!), il noleggio delle varie apparecchiature fra i 50 e i 100 euro al giorno.
Con queste tariffe un’indagine media arriva facilmente a bruciare fra i 500 e i 1000 euro al giorno.
E un’indagine media dura mesi, quando non addirittura anni.
Uno potrebbe dire: va bene, lo Stato spenda quello che c’è da spendere purchè il fenomeno sia investigato e represso con efficacia. Purtroppo non è così.
Per molte ragioni – la cautela degli indagati, l’omertà di chi potrebbe collaborare, la sproporzione fra il fenomeno e i mezzi per combatterlo – questa complicata e costosa rete lascia sfuggire quasi tutti i pesci.
Le poche volte che questo non accade e che a carico di qualcuno vengono acquisiti concreti elementi di prova inizia un’interminabile trafila, sempre uguale: ordinanze di custodia cautelare, riesami, questioni preliminari, dibattimenti, trasferimenti di magistrati, ripetizione dei dibattimenti, primo grado, Appello, Cassazione, nullità , inutilizzabilità , prescrizione, sconti di pena, attenuanti generiche, ricorsi, riammissioni in servizio, scusate tanto abbiamo scherzato.
A fronte delle enormi spese di queste indagini e dei relativi processi, il numero di persone per le quali si arriva a una sentenza di condanna definitiva e a una effettiva espiazione di pena, è semplicemente ridicolo.
Una combinazione più unica che rara di spese enormi e di risultati pressochè nulli.
In un contesto simile aumentare le pene – per la corruzione o per qualsiasi altro reato – è del tutto inutile e rischia di essere propagandistico.
Tocca per l’ennesima volta ricordare la lezione di Beccaria: la capacità di intimidazione e di prevenzione di una pena non è legata alla sua misura e alla sua durezza ma all’elevata probabilità e soprattutto alla rapidità della sua applicazione.
Provate a parlare a un pubblico ministero americano di questi argomenti.
Provate a dirgli come funziona (funziona?) in Italia il sistema della repressione penale di questi reati.
Vi guarderà con espressione incerta, chiedendosi se state scherzando o se vivete in un Paese di pazzi.
Poi, dopo essersi ripreso, vi spiegherà come fanno loro e immancabilmente vi parlerà di agenti sotto copertura.
L’agente sotto copertura è un ufficiale di polizia che, con una falsa identità , avvicina un criminale e gli propone un affare.
Se l’altro accetta si consuma il reato e (indipendentemente dal fatto che l’arresto scatti subito o lo si rinvii per approfondire le indagini e individuare ulteriori colpevoli) le possibilità che il malandrino possa sottrarsi alla giustizia sono molto ridotte.
C’è il filmato, c’è la registrazione, c’è poco da discutere o interpretare.
In Italia è già prevista la possibilità di compiere operazioni sotto copertura per reati di criminalità organizzata, traffico di armi e droga, per pedopornografia.
Non è prevista per il reato che più di tutti lo richiederebbe, cioè appunto la corruzione. Eppure non si tratta di un’idea bizzarra di qualche magistrato forcaiolo.
Ce lo chiede, come si suol dire, la comunità internazionale.
L’articolo 50 della convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla corruzione impegna gli stati firmatari ad adottare norme che consentano le operazioni sotto copertura, con presupposti chiaramente indicati e sotto il rigoroso controllo dell’autorità giudiziaria.
La convenzione Onu è stata ratificata dall’Italia già da oltre 5 anni ma da allora nulla è accaduto. O quasi.
Va detto infatti che giace in commissione Giustizia alla Camera un buon disegno di legge presentato da alcuni parlamentari del Pd proprio in materia di operazioni sotto copertura e lotta alla corruzione.
Se questo disegno di legge fosse rapidamente esaminato e approvato – assieme ad altre fondamentali riforme, in materia di prescrizione e collaboratori di giustizia – , il senso di impunità di corrotti e corruttori comincerebbe a sgretolarsi.
E soprattutto si farebbe percepire ai cittadini e alla comunità internazionale che in questo Paese c’è la volontà di uscire davvero dalla poltiglia morale.
Quella in cui alcuni sguazzano e in tanti rischiano di affogare.
Gianrico Carofiglio
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 20th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX VICEPRESIDENTE DEL SENATO SCAGIONATA NEL PROCESSO SULLE IRREGOLARITA’ NELLA GESTIONE DEI FONDI DELLA LEGA
La «badante». La «nera». Per oltre due anni Rosi Mauro, ex vicepresidente del Senato, è stata il volto dello scandalo che travolse la Lega di Bossi.
Di più, è diventata il simbolo del malaffare in politica.
Ieri il gip di Milano Carlo Ottone De Marchi ha definitivamente archiviato la sua posizione nel processo sulle presunte irregolarità nella gestione dei fondi della Lega. Rosi Mauro è innocente.
A Il Tempo ha raccontato il suo calvario, la gogna mediatica, il tradimento dei (presunti) amici.
Rosi Mauro, la sua vicenda giudiziaria è terminata. Che cosa prova oggi?
«Sono felice. Ho passato due anni che non auguro a nessuno. Ero sicura che sarebbe finita così e anche chi mi conosce ne era certo. Devo dire, con grande amarezza, che tutto il castello di menzogne è stato costruito dall’interno della Lega, da persone che hanno complottato per ribaltare certe situazioni. In quanto a me, ho continuato a fare la mia vita e a lavorare col sindacato, perchè ho sempre creduto in quel che faccio».
In questo periodo ha ricevuto attestati di solidarietà da esponenti leghisti?
«Il mio rammarico è stato il silenzio di tanti. Non tutti, certo. Alcuni mi hanno chiamato, ma lo hanno fatto di nascosto, perchè avevano paura di esporsi. D’altronde, il coraggio se non ce l’hai… Eppure si trattava solo di un terremoto studiato a tavolino. Oggi posso dirlo con certezza. Volevano far fuori Bossi e ci sono riusciti. Sono state messe in giro schifezze incredibili e anche tanti giornalisti hanno scritto cose indecenti. Prima di distruggere la vita di una persona, bisognerebbe avere l’umiltà di informarsi. Perchè i semplici cittadini non hanno la possibilità di replicare»
Come crede che finirà la vicenda giudiziaria di Bossi?
«Ci sarà il tempo per distinguere il vero dal falso. Io ho smontato punto per punto le accuse. Dicevano che avevo preso 16mila euro dalla Lega e invece erano solo i soldi ricevuti per la vendita della mia auto. Dal partito hanno strumentalizzato le donazioni a un sindacato che loro stessi avevano voluto creare e che erano state fatte tutte con bonifici. Io non ho mai intascato un euro e alla procura ho detto di continuare a controllare il mio conto corrente per i prossimi 30 o 40 anni, tanto non ho nulla da nascondere».
È stata un capro espiatorio?
«Altrochè. La serata delle scope fu memorabile. Volevano impormi le dimissioni dalla vicepresidenza del Senato. Ma io mi opposi. Non perchè fossi attaccata alla poltrona, ma perchè non ne comprendevo il motivo. All’epoca su di me non c’era ancora nessuna indagine. Quella sera qualcuno del triumvirato (Giorgetti, Calderoli e Maroni, ndr) parlava di fare pulizia. Non mi sembra sia successo. Oggi in Lega ci sono tanti che hanno avvisi di garanzia o che sono già stati condannati e sono ancora seduti sulle loro poltrone. È un’ipocrisia».
Maroni l’ha mai contattata in questi anni?
«No. E, conoscendolo dal 1987, neanche me l’aspettavo».
Quanto ha sofferto per le incursioni nella sua vita privata?
«Tanto. Si cerca sempre di spettacolarizzare tutto, ma io non ho mai avuto niente da nascondere. Hanno messo in mezzo il mio caposcorta (Pier Moscagiuro, ndr), ma anche lui ha una vita tranquilla, con una fidanzata che ama. Mi viene in mente un’intercettazione tra due personaggi (Nadia Dagrada e Francesco Belsito, ndr) in cui si parlava di come rovinarmi, di come ridurmi “a non uscire più di casa”. E io non potevo capire da dove arrivava tutta quell’odio. Oggi me lo spiego solo con l’invidia e la gelosia. Ero in Lega dall’87 e sono sempre restata un passo indietro. Sono stata definita un’approfittatrice, si è parlato di cerchio magico, di Bossi, della moglie, ma in realtà ho fatto tanta gavetta, tanti di quei chilometri per i comizi. A Roma neanche volevo andarci, me lo impose Bossi».
Crede non le abbiano perdonato le origini meridionali?
« Alla serata delle scope Maroni urlò: “A capo del sindacato padano vogliamo un segretario padano”. È una risposta».
Cosa pensa della svolta meridionalista di Salvini?
«Sono sempre stata federalista e mai anti-meridionalista, nonostante qualcuno mi accusasse di aver rinnegato le mie origini. Quindi guardo con favore all’idea di Salvini. L’importante è che sia una cosa seria e non boutade elettorale».
Rifarebbe oggi la tessera della Lega?
«È una domanda che non mi sono posta e alla quale non so rispondere. Non ho ancora capito fino a che punto il gruppo di esaltati ed estremisti che ha detto certe cose sui meridionali è isolato oppure ben radicato».
Carlantonio Solimene
(da “il Tempo“)
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Dicembre 20th, 2014 Riccardo Fucile
IL VERO MONDO DI SOTTO: “QUI A CIAMPINO SI RISCHIA LA RIVOLTA”
L’altra faccia degli affari spietati del sistema “29 Giugno”: “Qui alla Abc rischiamo la rivolta: i 95 immigrati sono allo stremo, non ci sono neanche le medicine. E noi operatori non vediamo lo stipendio da due mesi Immagini lei, a rimanere per colpa d’altri, due mesi senza riscaldamento, e poi pure senz’acqua e senza gas. Mi scusi il termine, ma lei non si incazzerebbe? Ecco, adesso trasferisca questa situazione a un gruppo di immigrati africani che vivono in un centro di accoglienza: il minimo che possa succedere è una rivolta. Così poi passano pure per stranieri violenti che vanno cacciati”.
A parlare è un operatore del centro per richiedenti asilo “Casale dei Monaci” di Ciampino, alle porte di Roma: uno di quelli gestiti dalla Abc, cooperativa del galassia della 29 Giugno di Salvatore Buzzi.
Non vuole uscire dall’anonimato, perchè il diktat arrivato dall’alto è quello di tacere. “Ma come posso tacere, se stiamo parlando della vita di 95 persone? ”.
Intende gli impiegati della cooperativa?
No, noi siamo solo 10. Sto parlando dei 95 uomini, tra i 18 e i 40 anni, che sono ospiti del centro. Sono tutti africani, si sono lasciati alle spalle guerre e torture e sono nel nostro Paese in attesa di asilo politico. Oltre a loro c’è una famiglia egiziana con due minori, tra i quali una bambina di cinque anni.
E cosa sta accadendo?
Ci avevano detto che avrebbero acceso il riscaldamento a ottobre, e invece siamo a Natale ed è ancora tutto spento. Fa freddo. Lunedì scorso ci hanno chiuso l’acqua e da lunedì prossimo, ci hanno annunciato, saremo anche senza gas. Sa cosa significa?
Che il servizio non si può più garantire?
Che le persone non si possono lavare, non possono bere, non possono tirare lo sciacquone quando vanno in bagno. E che l’impresa di pulizie non può pulire. Finora abbiamo provveduto con le bottiglie d’acqua. Il problema è che le stiamo pagando di più.
Vuol dire che dalla cooperativa non arriva più un euro?
Vuol dire che abbiamo finito il fondo cassa da un po’ e che, siccome siamo in amministrazione controllata, anche se con un nuovo Consiglio di amministrazione, fino al 28 dicembre nessuno ha intenzione di far nulla. Noi operatori abbiamo messo mano al portafogli, ma adesso non ce la facciamo più.
Almeno voi siete salvi?
Non riceviamo lo stipendio da due mesi e della tredicesima non si parla nemmeno: parliamo di 1.100 euro al mese con turni di 12 ore, non creda chissà che. Fino al 28 dicembre, quando hanno detto che ci convocheranno, non sapremo se potremo andare a lavorare il primo gennaio. Però, mi creda, la preoccupazione principale è per questi ragazzi. Qui non si tratta di mangiare il panettone a Natale, qui si tratta di mangiare e basta. E pure di curarsi.
In che senso?
Trentatrè degli ospiti hanno contratto il virus della tubercolosi in Africa e, per non ammalarsi, si devono sottoporre a una terapia continuativa per sei mesi. Sono tre settimane che non prendono nulla, perchè non abbiamo neanche più i soldi per le medicine. Alcuni operatori hanno provveduto ai medicinali da banco, pagandoli di tasca propria. Ma, anche se ci spinge una passione immensa per questo lavoro — altrimenti non lo faremmo — non è volontariato.
Salvatore Buzzi era a capo di tutto il sistema. L’ha mai visto? E cosa pensa di lui?
Che deve marcire in galera. Buzzi lo conoscono tutti, si presentava in ogni centro. Prima che venisse fuori questo schifo, pensavo che potesse aver fatto degli impicci, certo, perchè per vincere appalti così grandi devi aver fatto degli impicci. Ma da qua a dire che c’ha gli impicci con Carminati, è un altro discorso. Non è una mazzetta qualunque, qua si parla di terrorismo.
Ed è questo a farle rabbia?
Non solo. Quello che mi fa più schifo è che Buzzi ha sfruttato la sofferenza di queste persone e la nostra passione per il lavoro.
Si è visto qualcuno dei politici qui, da quando è venuta fuori l’inchiesta?
Nessuno. Cgil, Cisl e Uil ci hanno assicurato che faranno il possibile per salvare i posti di lavoro, ma io finchè non vedo qualcosa di concreto non credo più a nessuno. Per quanto riguarda il riscaldamento, per esempio, finora c’è stato solo un rimpallo di responsabilità tra la coop e il Comune di Ciampino. Intanto ai ragazzi abbiamo dovuto dare due coperte ciascuno e qualche stufetta.
E lunedì prossimo, quando non potrete più nemmeno cucinare?
Finora abbiamo detto loro che ad avere problemi con l’acqua è tutta Ciampino, non solo noi. Altrimenti la rabbia, palpabile ogni giorno, sarebbe cresciuta. Lunedì non so proprio cosa ci inventeremo. Il rischio concreto è quello di una rivolta.
Silvia D’Onghia
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 20th, 2014 Riccardo Fucile
L’ASSALTO ALLA DILIGENZA LO HA FATTO LUI: GRAZIATI PATRONATI, POSTE, FONDAZIONI BANCARIE E PROPRIETARI DI CASA…TAGLI ALLA SANITA’
Dalla sanatoria per i centri scommesse non autorizzati al credito di imposta per società senza dipendenti, casse previdenziali e fondi pensione, che incassano questa compensazione a fronte del previsto aumento delle tasse.
Durante la lunga traversata tra il 23 ottobre, quando il testo del disegno di legge di Stabilità è stato reso pubblico (una settimana dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri), e il voto di fiducia del Senato arrivato tra le proteste dell’opposizione nella notte tra il 19 e il 20 dicembre, la manovra è stata oggetto di innumerevoli limature ma anche modifiche sostanziali.
Molte delle quali hanno salvato in extremis alcune categorie, riducendo l’impatto negativo degli aggravi fiscali o stanziando risorse aggiuntive.
Nonostante il premier Matteo Renzi abbia rivendicato di aver “stoppato l’assalto alla diligenza“, nel maxiemendamento con 755 commi che ha ricevuto l’ok di Palazzo Madama non mancano poi alcune “norme mancia”.
Dai “soliti” fondi per l’autotrasporto — 250 milioni per il prossimo anno — all’aiutino per i concessionari di giochi pubblici che hanno visto scendere la raccolta.
E restano anche le semplificazioni autorizzative per i depositi di idrocarburi, previsione che era contenuta in una delle proposte di modifica definite “marchette”. Ecco nel dettaglio chi ha ottenuto, rispetto alla versione iniziale della Stabilità , una riduzione dei “sacrifici” o un vantaggio insperato.
Casse previdenziali, fondi pensione e fondazioni bancarie erano saliti sulle barricate contro l’aumento delle tasse a loro carico previsto nel testo originario della Stabilità . Se le proteste non sono bastate per ottenere una marcia indietro del governo, in compenso nel maxiemendamento è spuntato un credito di imposta di ammontare variabile a seconda della natura dell’ente e condizionato all’investimento di una somma corrispondente al risparmio fiscale in progetti infrastrutturali.
In particolare le casse dei professionisti, che si vedranno tassare con un’aliquota del 26% contro il 20% attuale, potranno inserire nella dichiarazione dei redditi un credito del 6% che di fatto “sterilizza” l’aggravio, mentre i fondi pensione, per i quali il conto del fisco salirà dall’11,5 al 20%, saranno graziati nella misura del 9 per cento.
La compensazione scatterà dal 2016 e l’onere complessivo previsto per le casse dello Stato è di 80 milioni di euro.
Quanto alle fondazioni bancarie, soggette a una pesante stangata — la base imponibile passa retroattivamente, dal gennaio 2014, dal 5 al 77,74% — avranno un credito pari alla maggiore imposta dovuta, ma solo per quest’anno e spendibile dal 2016.
Buoni acquisto per le famiglie e stop a aumenti delle tasse sulla casa. Ma slitta local tax
Per il “popolo del mattone” — circa l’80% delle famiglie italiane — arriva l’auspicato tetto alla Tasi. La legge istitutiva dell’imposta sulla prima casa consentiva ai Comuni, dal 2015, di alzare la relativa aliquota dall’attuale livello massimo del 2,5 per mille fino al 6 per mille, ma la Stabilità congela l’aumento.
Restano immutati anche il limite del 10,6 per mille come somma delle aliquote Imu e Tasi e la quota a carico degli inquilini, che continueranno a pagare, a seconda del Comune, tra il 10 e il 30% dell’importo.
Insomma: niente impennata fiscale. In compenso i contribuenti dovranno continuare a destreggiarsi nel caos delle cifre, perchè è rinviata a data da destinarsi la local tax, cioè il tributo unico che dovrebbe unificare tutta l’imposizione fiscale sugli immobili. Restando alle norme di sicuro interesse per i cittadini, poi, sfuma l’inserimento del canone Rai nella bolletta elettrica.
E il governo ha deciso che l’anno prossimo anche questa imposta non potrà aumentare rispetto agli attuali 113,5 euro.
Le famiglie numerose avranno diritto a qualche aiuto in più.
In aggiunta al bonus bebè, che rispetto alla prima versione andrà a beneficio di una platea un po’ più ristretta perchè il tetto è stato limato a 25mila euro di reddito Isee, arrivano infatti 45 milioni sotto forma di buoni acquisto per i nuclei con più di quattro figli e un indicatore Isee non superiore a 8.500 euro annui.
Disoccupati e freelance accontentati a metà
Per i disoccupati, in attesa della revisione di ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive, che verrà dettagliata nei decreti attuativi del Jobs Act, sono stati trovati 400 milioni aggiuntivi: la dotazione del fondo ad hoc istituito presso il ministero del Lavoro sale, per il 2015 e 2016, da 2 a 2,2 miliardi.
Nel 2017 si torna invece a 2 miliardi, l’ammontare inserito nella prima versione del ddl.
Ma l’ulteriore incremento di 400 milioni disposto da un emendamento presentato in commissione al Senato non è passato. I lavoratori freelance, che lamentavano di essere danneggiati dalla modifica del regime fiscale forfettario (“dei minimi“), ottengono poi una revisione della soglia di accesso all’imposta sostitutiva agevolata: potranno goderne tutti coloro che hanno redditi complessivi — da lavoro dipendente e assimilati e da incarichi a partita Iva — non superiori a 20mila euro.
La prima versione della Stabilità abbassava invece la soglia a 15mila. Tuttavia l’aliquota sostitutiva resta, per tutti i professionisti e gli autonomi, più alta che in precedenza: dal prossimo 1 gennaio salirà dal 5 al 15 per cento.
Per le Regioni resta il taglio da 4 miliardi, ma mitigato da 1 miliardo di allentamento del Patto di stabilità e 100 milioni di contributo sui mutui
Regioni in bilico tra tagli e allentamento del Patto
Per gli enti locali rimangono tagli draconiani, che vengono però in qualche modo mitigati per tentare di ridurre l’impatto sui servizi ai cittadini.
Dal 2015 al 2018 le Regioni dovranno fare i conti con una riduzione delle risorse a disposizione di 4 miliardi l’anno, di cui 3,4 da quelle a statuto ordinario e il resto da quelle “speciali”. In compenso i governatori ottengono un contributo di un miliardo per l’allentamento del Patto di stabilità e un contributo in conto interessi di 100 milioni di euro per il 2016 e il 2017 sui mutui e le operazioni di finanziamento attivate nel 2015.
Resta da vedere, perchè a deciderlo saranno i presidenti, quanto di questa sforbiciata si tradurrà in un “bisturi” sulle risorse destinate alla sanità , che costituisce circa l’80% delle uscite regionali.
Nelle scorse settimane gli enti avevano ventilato un taglio di almeno un miliardo e mezzo a valere sul Fondo sanitario nazionale, fissato la scorsa estate a 112 miliardi per il 2015 e 115,4 per il 2016.
In compenso il ministero della Salute ha spuntato un miliardo complessivo (spalmato su due anni) per l’acquisto di un nuovo superfarmaco contro l’epatite C, da cui sono affetti circa 1,5 milioni di italiani.
Tornando alle regioni, il Piemonte, il cui bilancio è gravato da un buco di 2,3 miliardi, viene commissariato, ma sulla poltrona di commissario straordinario siederà lo stesso governatore Sergio Chiamparino.
I dipendenti delle soppresse Province — per le quali resta la previsione di tagli per 1 miliardo di euro — verranno ricollocati in altri enti pubblici, ma solo per due anni. Mentre dal 2017 entreranno in mobilità .
Quanto ai Comuni, che dovranno tagliare la spesa di 1,2 miliardi, per loro il contributo in conto interessi su operazioni di indebitamento sarà di 125 milioni per il 2016 e 100 milioni l’anno dal 2017 al 2020.
Ecco le novità per le imprese e le norme “ad aziendam”
Quanto all’Irap, la tassa più odiata dalle imprese, la novità degli ultimi giorni va in soccorso di tutti i soggetti che “non si avvalgono di lavoratori dipendenti“: per loro arriva un credito di imposta del 10%.
L’obiettivo è mitigare l’effetto del ripristino delle aliquote che erano state ridotte con il decreto Irpef.
Il governo, avendo introdotto nella Stabilità la deducibilità del costo del lavoro dalla base imponibile, ha fatto dietrofront sul taglio riportando l’aliquota ordinaria dal 3,9 al 3,5%, con effetto retroattivo.
Una beffa per autonomi, artigiani e piccole società senza lavoratori dipendenti, che non avrebbero potuto beneficiare della deduzione. Di qui la decisione di compensare l’aumento con uno sgravio.
Le aziende spuntano poi una dotazione di 220 milioni di euro spalmati su tre anni per il piano straordinario per il made in Italy messo a punto dal ministero dello Sviluppo, che non risultava finanziato nella versione della Stabilità uscita dal Cdm di ottobre.
E il governo ha concesso anche l’auspicata proroga a tutto il 2015 della compensazione dei debiti fiscali con i crediti commerciali vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione.
I centri scommesse non autorizzati potranno regolarizzare la propria posizione versando 10mila euro
Il banco vince a metà .
Per il settore del gioco arriva una sanatoria che consentirà ai Centri trasmissione dati non autorizzati (in Italia, secondo la relazione tecnica, sono 7mila) di regolarizzare la propria posizione “autodenunciandosi” all’Agenzia delle Entrate entro il 31 gennaio 2015 e versando subito 10mila euro e poi, in due rate, le tasse dovute per i periodi di imposta precedenti.
Ma solo quelle “per le quali non è ancora scaduto il termine di decadenza per l’accertamento”.
I concessionari incassano poi lo stop al previsto aumento del 4% del Prelievo erariale unico su slot-machines e videolotteries che avrebbe dovuto scattare dall’1 aprile 2015. E quelli che negli ultimi tre anni hanno registrato perdite, a livello di raccolta, superiori al 15%, potranno ottenere (previo decreto ad hoc del Tesoro) una riduzione dei prelievi, un aumento della “restituzione in vincita” (payout) e più in generale “ogni misura utile al sostegno dell’offerta”.
In compenso però i concessionari dovranno versare annualmente allo Stato 500 milioni di tasse aggiuntive: ogni società contribuirà “in proporzione al numero di apparecchi” che gestisce.
E salgono imposte e multe per le slot machine scollegate dalla rete legale: da 1.500 a 3mila euro per ogni giorno di operatività più una sanzione amministrativa di 20mila euro.
Per far cassa, poi, viene anticipata al 2015 la gara per la riassegnazione della concessione del gioco del Lotto. Il governo conta di incassare almeno 700 milioni, di cui 350 l’anno prossimo. E il futuro vincitore avrà diritto a un “aggio” (compenso) pari al 6% della raccolta, inferiore a quello attuale che è del 6,36 per cento.
Tra i “salvati” finiscono poi di diritto il gruppo Poste Italiane, che l’anno prossimo incasserà 535 milioni di crediti vantati nei confronti dello Stato italiano come disposto da una sentenza del Tribunale dell’Unione europea, e i produttori di fiction e film d’azione, che fino alla fine dell’anno prossimo non dovranno pagare di tasca loro le verifiche sulle armi di scena. Il fondo per la contrattazione di secondo livello (quella aziendale) sarà invece ridotto di 208 milioni e non di 238 come prevedeva la versione iniziale.
Più risorse anche per sociale, scuola e salute
Nel corso dell’iter parlamentare sono state poi trovate risorse per ripristinare o aumentare le risorse dedicate al sociale e alle disabilità : il fondo per le non autosufficienze, che nel testo originario era stato decurtato di 100 milioni causando la levata di scudi delle associazioni del terzo settore, viene portato l’anno prossimo a quota 400 milioni, anche se dal 2016 tornerà a 250 milioni.
E sale a 500 milioni, dai 400 attuali, l’ammontare massimo di risorse distribuibili con il meccanismo del 5 per mille dell’Irpef che i cittadini possono destinare, su base volontaria, ad associazioni non profit ed enti di ricerca.
Graziati anche i patronati, che vedono la temuta sforbiciata ai contributi pubblici ridursi a 35 milioni dagli originari 150 anche se a fronte di nuovi requisiti minimi in termini di presenza territoriale e popolazione servita.
Saranno poi assicurati anche per il prossimo anno gli incentivi per l’assunzione delle persone disabili: il fondo previsto dalla legge 68 del 1999 riceve uno stanziamento di 20 milioni.
Il Centro nazionale di adroterapia oncologica di Pavia ottiene un contributo di 15 milioni per il 2015, 10 per il 2016 e 5 per il 2017, lo Spallanzani di Roma si vede assegnare 3 milioni complessivi per “l’unità per alto isolamento” diventata indispensabile durante l’emergenza Ebola e slitta all’anno scolastico 2016/2017 la cancellazione della norma che consente il “distacco” di un centinaio di docenti presso enti e associazioni attive nel reinserimento di tossicodipendenti, nella prevenzione del disagio psico-sociale e nell’assistenza e riabilitazione.
Per quanto riguarda scuola e università , in extremis è arrivato l’allentamento dei vincoli per l’assunzione di ricercatori da parte delle università : nel triennio 2015-2017 gli atenei che hanno il 30% di professori ordinari potranno assumere un ricercatore ogni due ordinari.
In precedenza la manovra prevedeva il rispetto del rapporto di “uno a uno” nelle assunzioni di ordinari e ricercatori.
Sono stati poi trovati 10 milioni per l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo (Invalsi), che consentiranno di far partire il sistema nazionale di valutazione delle scuole.
E nel maxiemendamento c’è anche il comma che destina 5 milioni alla messa in sicurezza e ristrutturazione delle scuole dei comuni della Sardegna danneggiati dalle alluvioni di novembre.
In commissione l’esecutivo aveva espresso parere contrario ma era stato battuto ai voti. Evidentemente Renzi ha deciso di cedere.
Risorse aggiuntive sono spuntate anche per i collegi universitari di merito, che ottengono 4 milioni in più per ogni anno dal 2015 al 2017.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 20th, 2014 Riccardo Fucile
LA CLOACA POLITICO-CRIMINALE ROMANA E’ UN POZZO SENZA FONDO
Non c’è solo Salvatore Buzzi, il ras della 29 giugno, a rappresentare la categoria dei ‘rossi omicidi’ nel grande affare dei rifiuti scoperchiato da Roma Capitale.
Di fronte alla storia di Franco Cancelli (ras della cooperativa Edera, talvolta rivale ma talvolta alleata della 29 giugno) le 34 coltellate inferte da Buzzi nel 1980 al suo ex socio in truffe fanno sorridere.
Il presidente della cooperativa Edera è finito agli arresti domiciliari il 2 dicembre con l’accusa di turbativa d’asta per la gara della raccolta del ‘multimateriale’.
Roba da ridere per Cancelli, un pregiudicato rosso che non ha molto da invidiare al Nero Carminati per spessore criminale.
Cancelli è un ex militante del gruppo Guerriglia comunista, un’associazione sovversiva di sinistra nata negli anni settanta e molto attiva a Roma (un po’ come i Nar dall’altra parte) sul fronte degli omicidi e delle rapine.
Il suo certificato del casellario giudiziale occupa cinque pagine e comprende undici condanne definitive, senza contare tre violazioni stradali e un cumulo delle pene.
Cancelli ha finito di scontare la pena nel 2001.
Nel 2000 nasce la cooperativa sociale Edera, che entra nel mondo degli appalti Ama per la raccolta dei rifiuti di Roma nel 2003. Oggi gli ex detenuti di Edera si spartiscono il settore con gli ex detenuti della 29 giugno.
Un potere che ha attirato invidie tanto che potrebbero spiegare l’incendio nel quale sono andatidistrutti dieci camioncini di Edera nel 2013.
Su quattro lotti del servizio di raccolta differenziata “porta a porta” del multimateriale presso bar e ristoranti, due sono andati a Edera e due alla 29 giugno tramite il Cns, un consorzio rosso di Bologna del quale 29 giugno fa parte.
L’appalto assegnato a gennaio 2014 dura 24 mesi e riguarda il 45 per cento dei ristoranti, bar e mense presenti a Roma.
Scrive il Ros: “in merito alla gara Ama sul Multimateriale, il consigliere Regionale Eugenio Patanè (del Pd), avrebbe chiesto a Buzzi, per mezzo di Franco Canccelli la somma di euro 120mila”.
Anche il servizio di raccolta dell’umido è stato assegnato nel 2012 alle due coop rosse.
A Edera è andato solo uno dei cinque lotti mentre il resto è tutto appannaggio di Cns e quindi di Buzzi.
Il Ros registra anche per questa gara da 21,4 milioni già nel novembre 2011conversazioni interessanti dalle quali emerge come “Buzzi 20 giorni prima dell’aggiudicazione abbia certezza dell’essere affidatario dei lavori e il giorno prima conoscesse addirittura che uno dei lotti fosse appannaggiodi Edera”.
Edera si è aggiudicata da sola anche la commessa per la raccolta del 25 per cento dei cassonetti e la movimentazione dei rifiuti sanitari presso il termovalorizzatore Ama di Ponte Malnome
Anche se non fa parte di Mafia Capitale e non gli si contesta il 416 bis, “la posizione del Cancelli, sul versante privato dei reati contro la pubblica amministrazione — scrive il gip che lo spedito ai domiciliari — è tra quelle più prossime all’operatività del sodalizio”.
La sua pericolosità sociale per il gip sarebbe provata dal suo certificato penale “perchè anche nei suoi confronti si registra il desolante fallimento di tutti gli strumenti previsti dall’ordinamento penitenziario intesi alla rieducazione e al reinserimento del condannato.
Cancelli in particolare, ha fruito di due anni, undici mesi e venticinque giorni di liberazione anticipata e dell’affidamento in prova, spazi che egli ha utilizzato per reinserirsi a pieno titolo in circuiti criminali di elevatissima pericolosità .
Ha inoltre fruito di tre anni, undici mesi e venti giorni di condono, evento che ha solo ridotto il tempo del suo reinserimento, a pieno titolo, in attività criminali”.
Il casellario giudiziale di Cancelli, depositato agli atti di ‘Mafia Capitale’ parla da solo: dopo una mezza dozzina di condanne per furti e ricettazioni commessi tra il 1973 e il 1975, la sua prima condanna per omicidio risale al 1980: il 28 gennaio del 1978 assieme ad altri ‘compagni’ di Guerriglia comunista, Cancelli uccide il gioielliere Giorgio Corbelli, 54 anni, nel corso di una rapina.
La condanna a 14 anni diventa definitiva nel 1988 e lui nel 1989 non rientra a Rebibbia dopo un permesso. Lo riarrestano e gode di un attimo di notorietà .
Nulla al confronto del riverbero mediatico dell’altro omicidio di Cancelli: il 27 luglio del 1982 durante l’ora d’aria nel supercarcere di Trani, Cancelli con altri detenuti partecipa all’uccisione con molti colpi di punteruolo del ‘compagno’ Ennio Di Rocco, ritenuto colpevole di avere tradito il criminologo Giovanni Senzani, arrestato pochi giorni dopo Di Rocco.
Per questa esecuzione arriva una condanna definitiva a 21 anni a cui si aggiunge nel 1990 un’altra condanna per associazione a delinquere semplice, ricettazione e rapina, per fatti del 1979.
Guerriglia comunista era considerata un’organizzazione sovversiva dedita anche a rapine che poco avevano a che fare con la politica.
Nel 1991 applicando il cumulo delle pene per otto sentenze gli applicano 27 anni e 5 mesi.
Nel 1994 arriva la semilibertà , nel 1996 l’affidamento in prova.
Nel 2001 la pena è dichiarata estinta.
Inizia l’avventura imprenditoriale.
Marco Lillo
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 20th, 2014 Riccardo Fucile
“VOGLIO VEDERE LE CARTE”: NEL MIRINO L’APPALTO SENZA GARA AFFIDATO A MR. EATALY… “EXPO HA POTERE DI FARE AFFIDAMENTI DIRETTI” (AGLI AMICI DEL GOVERNO)
Vuole vedere le carte. Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, ha chiesto alla società Expo 2015, guidata da Giuseppe Sala, la documentazione sull’affidamento diretto di due padiglioni dell’esposizione a Oscar Farinetti, il patron di Eataly.
Mercoledì il Fatto Quotidiano aveva raccontato il progetto “Italy is Eataly”: due grandi “store” di 8 mila metri quadrati totali, assegnati senza gara all’imprenditore passato dagli elettrodomestici Unieuro ai grandi magazzini del cibo e della gastronomia.
Lì, nella “più grande trattoria che mente (e pancia) umana abbia mai pensato”, apriranno 20 ristoranti, uno per Regione italiana, in cui si avvicenderanno 120 ristoratori scelti da Farinetti.
Dopo l’articolo del Fatto, è scattata un’interrogazione parlamentare di due deputati di Sel, Adriano Zaccagnini e Franco Bordo, che hanno chiesto “come mai siano stati assegnati a Eataly due padiglioni senza gara” e “quali siano stati i criteri” della scelta.
Al ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, che ha la delega su Expo 2015, i due parlamentari hanno poi chiesto se “non intenda intervenire al fine di sospendere l’assegnazione dei due padiglioni e di fare indire una gara a evidenza pubblica con cui poter selezionare chi rappresenterà l’Italia e la sua ristorazione all’esposizione universale, tenendo in debito conto delle migliaia di microcosmi del cibo che il nostro Paese sa raccontare”.
Cantone — che ieri a Milano ha incontrato le commissioni antimafia del Comune di Milano, guidata da David Gentili, e della Regione Lombardia, presieduta da Gian Antonio Girelli — ha reso noto di aver chiesto la documentazione su Eataly: “Sì, ho chiesto di vedere le carte. Io sono abituato a esprimermi sulla base dei documenti, dunque mi riservo di verificare come sia avvenuta l’assegnazione”.
Farinetti replica: “Se continuano le polemiche di gente che non fa e che ha un sacco di tempo da perdere per criticare chi fa, noi ci ritiriamo senza problemi . Questo non è un affare sotto il profilo dei quattrini”, ha aggiunto, “tant’è che altri appalti sulla ristorazione sono andati deserti”.
Ha poi spiegato il meccanismo economico dell’operazione: “Abbiamo ipotizzato investimenti fissi per 7 milioni di euro, in più ci è stato imposto di pagare il 5 per cento su tutti gli incassi lordi. Questo rappresenterà un bell’introito per Expo”.
Sul meccanismo dell’assegnazione si pronuncerà invece Cantone, che aveva già dichiarato al Fatto: “Su questo affidamento non abbiamo potere, perchè è avvenuto prima del 24 giugno 2014, quando è entrata in campo, per decreto del governo, l’Autorità nazionale anticorruzione. Sappiamo però che Expo può utilizzare poteri in deroga e fare affidamenti diretti”, aveva proseguito il presidente dell’Anticorruzione, il quale aveva comunque subito annunciato i controlli: “Acquisiremo i documenti e verificheremo che cosa è stato fatto, anche se non abbiamo alcun potere su atti precedenti al nostro arrivo”. Ieri il presidente dell’Anticorruzione ha criticato il progetto dell’Albero della vita, la struttura alta 35 metri che dovrebbe diventare, nelle intenzioni del commissario del Padiglione Italia Diana Bracco, la Tour Eiffel dell’Expo milanese: “Progetto opaco”, ha detto Cantone, su cui si proiettano le ombre “di un conflitto d’interessi”.
Ha poi tracciato un primo bilancio dell’attività svolta in questi sei mesi.
“Sono ottimista sul fatto che si riesca a fare Expo nel modo più pulito possibile”, ha detto. “Il nostro lavoro è nato in un momento emergenziale, con tanti problemi”, ma “abbiamo messo a punto un sistema di controlli che credo stia funzionando abbastanza bene. Abbiamo avuto una grande collaborazione da parte di Expo, stiamo rispettando i tempi, senza far perdere tempo alla stazione appaltante”, cioè a Expo 2015 spa.
Ha poi comunicato i numeri degli interventi: “L’unità operativa speciale si è occupata di 68 procedure tra bandi, accordi transattivi, varianti, contratti di sponsorizzazione, convenzioni, nomina di commissioni giudicatrici e aggiudicazioni. Per ulteriori otto casi specifici, inoltre, l’Autorità ha richiesto di propria iniziativa chiarimenti o informazioni alla stazione appaltante”.
Delle 68 procedure avviate, “50 si sono concluse con rilievi di illegittimità , 36 con rilievi di opportunità , mentre 12 sono stati i casi senza profili di illegittimità ”.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 20th, 2014 Riccardo Fucile
CORTEI E OCCUPAZIONI IN MEZZA ITALIA: IN 22 MILA TEMONO DI FINIRE IN MOBILITà€ E POI PERDERE IL POSTO
Un miliardo di tagli nel 2015 che mettono a rischio funzioni fondamentali (e ipotecano pure il futuro delle città metropolitane quando dovranno sostituirle) e ventimila dipendenti — più duemila precari — che dovrebbero essere ricollocati a breve, ma non sanno ancora quale sarà il loro destino.
Questo è un rapido ritratto delle province in via di abolizione a fine 2014.
Non è un ozioso riepilogo perchè tra politica territoriale e lavoratori l’irritazione verso una situazione terribilmente mal gestita cresce da settimane e rischia di esplodere proprio in prossimità di Natale.
Cpme ha riportato ieri l’Ansa, a macchia di leopardo nella Penisola la “rivolta” è già iniziata: a Firenze, Arezzo e Brindisi è in corso l’occupazione di alcuni locali della Provincia da parte dei dipendenti; a Pisa ieri c’è stato un corteo nelle vie del centro con tanto di striscioni contro Renzi; a Vicenza e a Imperia i dipendenti della provincia hanno simbolicamente occupato l’aula del Consiglio; a Genova, invece, un migliaio di lavoratori delle province in corteo ha prima bloccato il traffico nel centro città e poi anche i lavori del Consiglio regionale.
Il motivo di queste proteste è semplice, i lavoratori temono che con l’abolizione delle province anche il loro posto di lavoro finisca per essere rottamato: il piano di governo e Regioni sul tema, infatti, non esiste ancora, mentre esiste eccome la possibilità teorica che nell’impossibilità di essere ricollocati si finisca in mobilità e di lì a casa (una possibilità inserita di recente per il pubblico impiego).
La cosa non è così impossibile: molti potrebbero, ad esempio, dover lavorare in un’altra città e non poterlo fare per mille ragioni.
Se si rifiuteranno, però, si apriranno per loro le liste di mobilità all’80% dello stipendio. In buona sostanza l’anticamera del licenziamento.
Insomma, i dipendenti delle province hanno più di una ragione per essere preoccupati e cercare di tutelare preventivamente i loro legittimi interessi.
“Chiediamo al Parlamento di evitare il peggio e alle Regioni di fare la loro parte”, hanno detto ieri i dipartimenti Pubblico impiego di Cgil, Cisl e Uil: “Questi tagli mettono a rischio il funzionamento dei servizi di area vasta: dalla sicurezza scolastica alla tutela ambientale, passando per la viabilità e le politiche attive sul lavoro”.
Sui tagli ci sarà poco da fare, anche perchè il testo finale della legge di Stabilità arrivato ieri sera in Senato li contiene ancora e pure sui dipendenti la possibilità teorica di una fregatura esiste eccome: in sostanza, dice la manovra di Matteo Renzi, per due anni chi lavora nelle province manterrà il posto di lavoro e scatterà il ricollocamento in altre amministrazioni (prioritariamente negli uffici giudiziari) e solo dal 2017 per chi non avrà trovato nuovo posto scatteranno le procedure di mobilità ”. Almeno a parole, però, il governo ha aperto alle richieste dei sindacati.
La voce più autorevole è stata quella del sottosegretario Graziano Delrio: “Il personale delle province non rimarrà per strada ma verrà assorbito tramite il blocco di tutte le assunzioni in tutte le amministrazioni dello Stato e affini”, ha spiegato sostenendo però che nella legge di Stabilità c’è un “elemento di certezza e non d’incertezza come qualcuno ha erroneamente sottolineato”.
Se la pensa così, non ha letto bene. La Cgil, per dire, non l’ha presa benissimo: “Tranquillizzare non basta. Servono fatti o la mobilitazione continua”.
Il ministro Madia è avvisata.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 20th, 2014 Riccardo Fucile
PER I GIUDICI NESSUNO AVVELENà’ L’ACQUA DISTRIBUITA A 700 MILA PESCARESI, NONOSTANTE IL PARERE CONTRARIO DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITà€: 19 ASSOLTI
Il disastro ambientale l’hanno causato, sì, ma senza averne intenzione.
E nel frattempo è arrivata la prescrizione.
L’acqua sarà pure stata contaminata, come dimostrano le analisi dell’istituto superiore della Sanità , ma loro non l’hanno mai avvelenata: assolti.
Il processo sulla mega-discarica di Bussi e sul disastro ambientale causato dal polo chimico della Montedison — Ausimont vedeva imputate 19 persone, tra le quali dirigenti e tecnici della Montedison, ritenute responsabili dello sversamento dei veleni nelle falde acquifere.
L’epilogo
S’è chiuso con con 19 assoluzioni. Eppure, che fino al 2007 l’acqua sia stata “compromessa” e “contaminata da sostanze di accertata tossicità ”, l’aveva certificato l’Istituto superiore di Sanità .
Carta straccia — dobbiamo dedurne, in attesa della motivazione — visto che ieri la Corte d’Assise di Chieti ha assolto tutti gli imputati perchè il “fatto” — ovvero l’avvelenamento delle acque — “non sussiste”.
La sentenza arriva intorno alle 5 del pomeriggio, quando la Corte legge un dispositivo di sei righe che, da un lato, derubricano il disastro ambientale — dichiarandolo già prescritto — da doloso in colposo e, dall’altro, sentenziano che non vi fu alcun avvelenamento delle acque.
Sconfitta l’accusa, sostenuta dai pm Annarita Mantini e Giuseppe Bellelli, può esultare la difesa.
E tra i vincitori, in questo processo, c’è una donna in corsa per la candidatura al Quirinale, Paola Severino, che difende Mauro Molinari, geologo e consulente della Montedison.
L’ex ministro aveva sostenuto in aula e davanti alle telecamere che “non è con i processi penali che si ottengono i risultati in tema di ambiente, non basta trovare il capro espiatorio”, aggiungendo che la responsabilità delle bonifiche deve essere estesa allo Stato.
La linea Severino — e degli altri difensori — ha evidentemente convinto la corte d’assise presieduta dal giudice Camillo Romandini, subentrato a Geremia Spiniello, ricusato perchè aveva osato dichiarare, in un’intervista, che la Corte avrebbe “reso giustizia al territorio”.
Un affermazione che, secondo i difensori, preordinava un giudizio di colpevolezza. Il “caso” Flick
La tensione nel processo è stata costante. Anche ieri mattina, quando in aula è stato menzionato il nome di un altro ex ministro che, seppure indirettamente, ha avuto un peso nell’ultima discussione: parliamo di Giovanni Maria Flick e del suo “parere pro — veritate” in materia di disastro ambientale.
Un parere che non gli è stato commissionato nell’ambito del processo Bussi, ma che ha scatenato una polemica arrivata comunque in aula, ieri, a pochi minuti dalla sentenza, con tutto il suo peso della sua analisi, considerata l’autorevolezza di chi lo firmava: il reato di disastro ambientale — sostiene Flick in sintesi — potrebbe risultare incostituzionale e aver bisogno, quindi, del parere della Consulta.
L’ex presidente della Corte Costituzionale, contattato dal Fatto quotidiano, non ha voluto rivelare chi gli ha commissionato il parere: “Non posso rivelarlo, ma vi assicuro che la richiesta non è giunta da nessuna delle parti in causa, del processo Bussi io non conoscevo neanche l’esistenza”. Flick — senza alcun riferimento espresso al processo Bussi — ha pubblicato il suo parere proprio sul sito http://www.penalecontemporaneo.it  : l’editore della rivista è l’avvocato Luca Santa Maria, difensore della Solvay che, in questo processo, s’è costituita parte civile contro la Montedison.
La rivista ha poi deciso di rimuovere il “parere” (non in quanto “incompatibile” con la linea difensiva di Santa Maria, come abbiamo scritto erroneamente nell’articolo di ieri) perchè la linea editoriale prevede di non pubblicare documenti redatti in favore o comunque su incarico di una parte processuale.
L’avvocato dello Stato Cristina Gerardis aveva sostenuto in aula che il parere di Flick fosse un “messaggio” alla Corte, ieri la difesa ha reagito ribaltando l’accusa, prima che la Corte si riunisse in consiglio per emettere la sentenza.
Il disastro ambientale c’è stato, sostiene la sentenza, ma soltanto colposo e comunque prescritto.
Nessun avvelenamento delle acque, invece, nonostante una mole di documenti e verbali di interrogatori raccolti dall’accusa certificassero il contrario.
Scienza e sentenza
I pm hanno sostenuto che alcuni imputati sapevano che l’acquedotto Giardino, a partire dal 1992, fosse stato inquinato.
E l’acquedotto riforniva acqua a un bacino di 700mila persone in tutta la Val Pescara. E ancora: documenti sul mercurio ritrovato nel 1972 nei pesci e nei capelli dei pescatori del porto di Pescara.
E le dichiarazioni di una dirigente dell’Arpa, messe a verbale dal comandante della Guardia Forestale, Guido Conti: “… è stata accertata la presenza di sostanze potenzialmente a rischio per la salute umana… Sarebbe stato necessario vietare l’erogazione e la distribuzione delle stesse acque…”.
Resta in piedi la partita per il ripristino ambientale dell’area. “Dall’esito di questa sentenza — dice l’avvocato dello Stato Gerardis che ha chiesto 1,8 miliardi di risarcimento — non dipende per lo Stato alcuna decisione per ottenere il ripristino ambientale dell’area: il procedimento del ministero dell’Ambiente, nei confronti della Montedison, pende tuttora davanti al Consiglio di Stato. È già pronta la citazione civile, nei confronti dell’azienda, per il ripristino dell’ambiente e gli eventuali danni economici laddove non fosse possibile fermare l’inquinamento”.
“Sulla discarica di Bussi — ha dichiarato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti — ricorriamo in appello. Chiediamo la condanna dei responsabili e il risarcimento per danni ambientali”.
Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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