Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
SI TRATTAVA DI ELEGGERE IL CANDIDATO SINDACO DI ROMA: FILE DI ROM MANDATE DA BUZZI
“Ricordo di aver visto gruppi di rom accompagnati in fila ai seggi. Con un’indicazione sulla persona da votare”.
La denuncia è di una scrittrice, Cristiana Alicata, membro della direzione nazionale del Partito democratico.
Si trattava delle primarie del centrosinistra per eleggere il candidato sindaco di Roma, quelle che spianarono la strada a Ignazio Marino.
Era il 7 aprile 2013. Alicata, quel giorno, lo scrisse su Facebook: “Le solite incredibili file di rom che quando ci sono le primarie si scoprono appassionatissimi di politica”.
Allora fu sepolta dalle accuse di razzismo, specie all’interno del partito (lei, renziana, parteggiava per il candidato Gentiloni).
Oggi quella frase, alla luce dell’indagine sulla mafia di Roma, potrebbe avere un peso diverso.
Il seggio in questione era nell’ex XV municipio (zona Magliana – Portuense).
“Vicino al campo nomadi di via Candoni”, ricorda Alicata.
Una struttura che compare anche nelle carte su Mafia Capitale: in quell’accampamento, nel 2013, la cooperativa 29 giugno di Salvatore Buzzi ha ottenuto una commessa da 86mila euro per la bonifica dell’impianto fognario.
Non c’è nessuna prova che colleghi i rom in fila ai presunti tentativi della cupola di inquinare le primarie. Rimangono, però, le anomalie denunciate alla commissione di garanzia del Pd in diversi seggi, poi cadute nel nulla
Nell’ex VIII municipio (Tor Bella Monaca-Torre Angela) ci fu bisogno addirittura della polizia per sedare una lite tra militanti democratici, nata perchè alcuni testimoni, oltre a registrare un afflusso sospetto di immigrati al voto, avevano assistito a inequivocabili giri di denaro.
Qualcuno raccolse una prova audio del voto di scambio (“Quanti ne vuoi a Tor Bella Monaca? ”. “Non ti preoccupare: tu portameli, gli regaliamo il pacco”) e la presentò — come scrisse Repubblica — alla federazione provinciale del Pd. In quei giorni il segretario romano era Marco Miccoli, ora deputato.
Oggi, come allora, sminuisce l’entità di quegli eventi: “Il risultato fu nettamente a favore di Marino e anche i candidati ai municipi furono eletti con distacchi limpidi: se c’è stato un intervento per sporcare quelle primarie, è fallito”.
La denuncia dell’Alicata? “Riguardava un campo autorizzato dal Comune — spiega Miccoli — che storicamente partecipa al voto. Le segnalazioni alla commissione di garanzia non portarono ad annullamenti o ulteriori controlli”.
Tutto regolare. Eppure lo stesso Pd romano che rimosse la questione, un anno dopo si trova con un commissario, Matteo Orfini, che ha il compito di fare tabula rasa.
Cristiana Alicata allora lanciò il sasso, ma nascose (in parte) la mano.
“Ho visto con i miei occhi, ma non ho le prove di chi fossero mandanti e beneficiari”.
I nomi non li fa nemmeno adesso, con il vaso di Pandora della mafia romana scoperchiato dalla procura.
“Non li conosco e non voglio farli — prosegue — perchè il tema non è individuale. La responsabilità è collettiva è appartiene all’intera dirigenza del Pd di questi ultimi anni”. Non furono solo i presunti voti di scambio a insospettirla: “Mi chiedo ancora come facessero certi eletti a tappezzare la città di manifesti abusivi, a organizzare cene elettorali pantagrueliche ed eventi da decine di migliaia di euro”.
Oggi non lo dice, ma ce l’aveva con l’altro candidato sindaco, David Sassoli. “Scrissi a Epifani di commissariare il partito, con mesi di anticipo sui fatti. Ma non è cambiato nulla: gli stessi consiglieri che hanno assistito inermi agli scandali laziali della regione Lazio, a fine mandato li abbiamo candidati in Parlamento. Invece almeno l’80 per cento dei dirigenti del Pd di Roma dovrebbero essere mandati via”.
Tommaso Rodano
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
LE SABBIE MOBILI SONO PRONTE A INGHIOTTIRE SCANDALI E IMPUTATI
Proprio oggi che la Procura con Giuseppe Pignatone conosce la sua «primavera», rischia l’impunità una costola di quel sistema di potere interfaccia di «Mafia capitale», l’organizzazione mafiosa dell’ex terrorista nero Massimo Carminati.
Sette anni e sei mesi
Che brutta bestia, la prescrizione. In un tavolo di poker è il classico mazzo di carte truccato che fa vincere sempre il banco, l’imputato.
Nel nostro caso, sette anni e mezzo è la cifra, il punto di non ritorno, il confine superato il quale l’imputato, innocente o colpevole che sia, vince.
Corruzione, uno dei reati più odiosi e più impunito ne è un esempio. Ma anche abuso d’ufficio, falso, violazione della legge Biagi.
Sono questi ultimi i reati contestati nel nostro caso. Questa storia, che rischia di finire nel limbo dei graziati e degli impuniti, risale alla metà del dicembre 2010 quando esplose la Parentopoli targata Alemanno.
Duemila assunzioni di raccomandati, amanti, parenti, figli, mogli, segretarie all’Ama, quella che si occupa dei rifiuti, e all’Atac, azienda dei trasporti pubblici.
Roba da basso impero, da bagordi del Ventennio che non c’è più.
Imputato eccellente l’allora amministratore delegato di Ama, Franco Panzironi, della scuderia Alemanno, pardon della squadra del sindaco.
Indagato per aver pilotato centinaia di assunzioni tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. Ecco, prima della fine del 2017 il processo deve concludersi, anche con la decisione finale della Cassazione, pena la prescrizione, il colpo di spugna, la grazia per gli imputati.
I tempi
A oggi, siamo al dibattimento inoltrato del primo grado.
Gli imputati sono otto, manager e funzionari di Ama, e la prescrizione è in agguato, per l’Appello. Mentre per lo scandalo dell’Atac, 49 assunzioni pilotate documentate, 8 imputati, amministratori delegati e dirigenti di Trambus, Metro spa, e Marco Visconti, assessore all’Ambiente della giunta Alemanno, (i fatti si riferiscono al 2010) nel gennaio prossimo il gip dovrebbe fissare il dibattimento. Siamo a un rischio ancora più concreto di prescrizione.
Franco Panzironi è stato arrestato nell’ambito di Mafia capitale per tutti gli appalti fatti vincere alle cooperative di Salvatore Buzzi: «Assegnazione della raccolta differenziata e dei lavori relativi alla raccolta delle foglie per il Comune di Roma; assegnazione di lavori per 5 milioni non ancora individuato».
Le cifre
Per questi «servigi», Franco Panzironi si era garantito uno stipendio di 15 mila euro al mese e 120.000 euro, pari al 2.5% del valore di un appalto. Mente raffinata, Panzironi, che per i camerati, per gli amici si fa in quattro.
Dovrebbero essere 841 le assunzioni pilotate per chiamata diretta tra il 2008 e il 2009 di autisti, operatori ecologici, interratori. E poi 41 “privilegiati”, assunti addirittura retrodatando i contratti a prima dell’entrata in vigore della legge Brunetta.
Tra gli assunti c’è l’ex camerata Stefano Andrini, amministratore delegato ad Ama Servizi ambiente, l’ex Nar Francesco Bianco (che finisce all’Atac), la figlia del capo scorta del sindaco Alemanno.
All’Atac le cronache ricordano che fu assunta la cubista Giulia Pellegrino, moglie dell’assessore Visconti.
Guido Ruotolo
(da “la Stampa”)
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Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
FATTURATO RADDOPPIATO IN UN ANNO, MARGINE OPERATIVO DI 3 MILIONI DI EURO, IL 48% IN PIU’
“Abbiamo chiuso il bilancio 2013 in modo estremamente positivo nonostante la crisi che attraversa il nostro Paese… l’anno con i risultati economici e occupazionali migliori della nostra storia”.
Suonano beffarde, adesso, le parole di Salvatore Buzzi, presidente della cooperativa sociale 29 giugno, all’ultima assemblea dei soci.
Un bilancio sociale spettacolare, quello presentato ai soci lo scorso 29 maggio: il fatturato di gruppo ha superato nel 2013 i 50 milioni di euro con un incremento del 21% sul 2012, il margine operativo ha sfiorato i 3 milioni con un progresso addirittura del 48% e l’utile è stato di oltre 1 milione contro i 315mila euro del 2012.
Il patrimonio è aumentato del 20%, gli occupati sfondano il tetto delle 1.000 unità . Un vero e proprio Eden dell’economia sociale, nemmeno lontanamente toccato dalle sofferenze che affliggono la stragrande maggioranza delle cooperative italiane.
Vent’anni di crescita, ma il vero salto dopo il 2007
La 29 giugno nasce esattamente vent’anni fa, ma nel primo decennio di vita i ricavi aumentano in modo abbastanza graduale.
Nel 2007 c’è il primo salto di qualità , con una crescita superiore al 25%, ma è nel 2011 che la cooperativa, diventata ormai un imponente gruppo di imprese, spicca veramente il volo, passando da 26 a 36 milioni di euro e finalmente arrivando nel 2013 al raddoppio sul 2010.
E l’insediamento a Roma della giunta di centrodestra guidata da Gianni Alemanno, nel 2008, ha spinto la corsa di Buzzi, come confermano i carabinieri del Ros in una informativa alla procura di Roma.
“Mentre dal 1987 al 2003 — si legge nel documento — risultano registrati appalti di modeste entità aggiudicati presso diversi comuni del Lazio, di cui solo alcuni assegnati dal comune di Roma o sue partecipate, dopo il 2005 si ha invece la crescita progressiva del fatturato proveniente dall’amministrazione capitolina, indipendentemente dal cambiamento della relativa guida politica. L’apice si tocca nel settembre 2008 con un appalto alla Cooperativa 29 giugno da oltre 1,2 milioni di euro”.
Anni d’oro in un momento di drastici tagli al welfare
Gli anni d’oro della 29 giugno fanno tanto più pensare in quanto coincidono con la drastica riduzione delle risorse pubbliche al welfare: il Fondo nazionale delle politiche sociali, pari a 1,5 miliardi di euro nel 2008, è sceso nel 2012 a 42,9 milioni di euro.
Nello stesso periodo la quota del fondo distribuita alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, 656,4 milioni, è scesa progressivamente fino ad arrivare a 10,8 milioni nel 2012.
Il Fondo per la non autosufficienza introdotto nel 2008 è stato azzerato nel 2011 ed è stato rifinanziato nel 2013 solo con 275 milioni di euro.
Tutti tagli che hanno inciso pesantemente sulle cooperative sociali sane e realmente impegnate nell’assistenza ai più deboli.
Cosa che non pare essere l’attività prevalente della 29 Giugno e partecipate. Infatti, nonostante il bilancio dedichi pochissimo spazio al dettaglio delle attività svolte, a ben guardare si scopre che la società si occupa prevalentemente di raccolta rifiuti, pulizie e portineria, che non sono propriamente a vocazione sociale.
Il parere di un esperto di revisione contabile
Secondo un revisore dei conti esperto di onlus che desidera rimanere anonimo, le stranezze del bilancio di 29 giugno sono notevoli.
Cominciamo con l’identità di “gruppo”. Nel mondo delle imprese il gruppo è quello che fa capo a un soggetto controllante, ed è normato in modo complesso (ci sono ad esempio obblighi relativi al bilancio consolidato).
La legge italiana non prevede il gruppo di cooperative ma solo il “gruppo paritetico di cooperative” che però non risulta da nessuna parte nei documenti ufficiali. Passiamo agli utili.
Nel bilancio vengono indicati valori molto alti di margine operativo lordo (Mol), sintomo di una redditività difficilmente riscontrabile nel mondo della cooperazione sociale proprio per la natura di servizio alla comunità che queste imprese svolgono.
Infine, nella descrizione delle attività , i servizi di gestione del verde vengono presentati come quelli in cui si sostanzia il reinserimento dei soggetti svantaggiati, ma la cooperativa sociale onlus 29 giugno ha un fatturato ben maggiore della somma dei lavori sul verde, perchè si occupa prevalentemente di raccolta rifiuti, pulizie e servizi di portineria.
Peccato che in questi settori i soggetti svantaggiati non siano solitamente impiegati. Oltretutto, la maggioranza schiacciante delle attività di 29 giugno sono state aggiudicate mediante gara normale e non con gare riservate a cooperative sociali.
Emerge insomma il paradosso di una cooperativa sociale che riesce a sviluppare attività assolutamente concorrenziali con il mondo della cooperazione normale e addirittura con il mondo delle imprese.
E’ quindi un miracolo di efficienza, a meno che questo exploit non sia dovuto a fattori diversi e non conosciuti.
Ida Cappiello
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
“AVREMO UNA SUCCESSIONE FARSA”
Ha appena ascoltato il discorso del presidente Giorgio Napolitano all’Accademia dei Lincei, Gianfranco Pasquino, politologo.
Lo ha ascoltato e riletto. “Conosco il presidente e l’uomo politico dal 1983, e anche questo discorso ha il limite di tutti i suoi discorsi, non va mai oltre l’approccio che storicizza e non lo sfiora mai l’autocritica, quella politica. Non affronta il tema di quello che i partiti producono, nè la cultura marxista dalla quale proviene”.
L’impressione è che abbia sparato nel mucchio.
Ci può anche stare, ma se ci si mette in gioco. E mi sarei aspettato autocritica anche sull’Europa, su quella grande utopia che è l’Europa. Ma non l’ha fatto.
Se l’è presa coi populisti. Ce l’aveva con Grillo?
Soprattutto con Grillo, ma il populismo non è solo quello. E non è solo Berlusconi. Populismo è quello di Salvini, lo è stato quello di Di Pietro e il tentativo di Ingroia, sono tutti esempi di populismo.
Anche su Renzi il presidente ha cambiato idea, da un po’ di tempo a questa parte. O è solo un’impressione ?
Ha cambiato atteggiamento nei confronti di Renzi. Atteggiamento e approccio, almeno da un mese e mezzo.
È Renzi il banditore di speranza in un passaggio del discorso?
Ce l’ha con Grillo, ma indirettamente anche con Renzi. Dal quale, ripeto, il presidente da un mese e mezzo ha preso le distanze. In maniera sottile, ma assai evidente.
Lei crede che Napolitano abbia fallito?
Ha vinto nell’accettare l’incarico, forse. Quando il Paese non aveva nè governo nè un presidente della Repubblica, ma non ha ottenuto quello che voleva. Se per fallimento si intende essersi affidati a persone mediocri, a un manipolo di ipocriti, sì, ha fallito.
Non lascia una situazione migliore: c’è un governo che senza i numeri di Forza Italia traballa e un presidente da eleggere un’altra volta senza nessuna idea.
Lui ha provato a imporre il suo candidato.
E chi sarebbe?
Giuliano Amato. Questo credo che sia una verità incontrovertibile. Ma Amato non ha i numeri del Parlamento. E dunque non riuscirà a incidere sulla successione come in un periodo si era illuso di poter fare.
Chi sarà il prossimo presidente?
Non lo so. Non credo Amato. Vedo molta confusione, autocandidature, come quella di Pietro Grasso, che rivendica il suo essere seconda carica dello Stato, l’autocandidatura di Laura Boldrini e quella di Anna Finocchiaro, ma sono loro che giocano un’altra partita.
Difficile pensare a come possa finire.
Certo, se nel 2013 fu una tragedia, ho l’impressione che si vada verso una farsa. Proporre il nome di Riccardo Muti è una farsa. Non so come possa essere venuto in mente: il Paese ha bisogno di un politico, di un uomo delle istituzioni e che conosca la Costituzione, non di uno scienziato da esportazione.
Cosa si augura che faccia Napolitano, quando sarà il momento, come ultimo atto?
Spero che non nomini nessun senatore a vita e che lui stesso rinunci alla carica, come invece gli spetterebbe. Questo spero che lo faccia, sarebbe un atto fondamentale. Non sarà così. E non ci sarà nessuno che, invece che giocare al toto nomi, tracci il profilo di un presidente del quale l’Italia avrebbe bisogno.
Emiliano Liuzzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
UN ALTRO COMICO: DA UNA VITA PREDICA “COMPRATE ITALIANO”, MA POI RAZZOLA MALE
Non solo “prima gli italiani”, ma anche “la tutela dei prodotti italiani”: basta con capi provenienti dalla Cina o dall’India che danneggiano il “made in Italy”.
Ormai Matteo Salvini si erge a portabandiera non della Padagna ma del prodotto nazionale e non perde occasione per cambiare felpa a seconda della regione in cui si trova a comiziare.
Quanto alla coerenza, è argomento a lui sconosciuto.
Non solo quindi per aver piazzato le sue due mogli in comune regione senza concorso e per chiamata diretta, ma ora anche per come si veste.
Dopo la scena della felpa francese durante la trasmissione “di Martedi“, Matteo Salvini è stato beccato dall’inviato di Striscia la Notizia, Valerio Staffelli, durante un tour nel quartiere milanese di Lambrate.
Il leader del Carroccio stava uscendo dal commissariato di polizia quando la troupe del Tg satirico lo ha bloccato contestandogli incoerenza tra parole e azioni.
Ne è nato un siparietto con Staffelli ha controllato uno ad uno i capi indossati dal leghista per verificare il paese di produzione.
E fra scarpe Clarks e camicia Marlboro il risultato ha dato ragione a Staffelli, che gli ha consegnato il tapiro d’oro.
Finchè gli elettori abboccano alle sue panzane.
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Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
IL PROCURATORE INARRESTABILE DESCRIVE LA CUPOLA DAVANTI ALLA COMMISSIONE ANTIMAFIA
“Non c’è un’unica associazione mafiosa che controlla Roma, come a Palermo o Reggio Calabria”. Lo ha detto il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, ascoltato nel pomeriggio presso la Commissione parlamentare Antimafia.
Per Pignatone “ci sono alcune associazioni specifiche che sono a Roma, come per esempio a Ostia i Fasciani e altre, collegate a Cosa nostra, nella città “.
Altre operazioni “saranno fatte a breve su questo tema”, ovvero relativamente alle infiltrazioni, ha detto il procuratore capo di Roma durante l’audizione.
Il magistrato ha anche sottolineato che “Roma è troppo grande per essere controllata da un’unica associazione mafiosa”; detto questo, “ci sono alcune specifiche associazioni di tipo mafioso presenti nel territorio cittadino-metropolitano”.
Come nel caso delle due associazioni di Ostia, “una collegata a Cosa nostra e una, quella dei Fasciani, autoctona”.
Le mafie attive sulla capitale, ha spiegato il procuratore, sono più “evolute” rispetto al passato.
“Non ci sono morti per strada? Non ci siamo basati su questo per parlare di associazione mafiosa, ma su quanto prevede il 416 bis: […] controllo capillare del territorio, struttura gerarchizzata, ma anche atti di violenza. A Roma – ha aggiunto – non ci sono gli omicidi della ‘ndrangheta o di Cosa nostra, ma anche le mafie tradizionali si sono evolute, e ci sono ora meno omicidi.”
Nell’organizzazione gestita da Massimo Carminati di mafioso ci sono diversi aspetti: “c’è il metodo mafioso, la violenza come metodo di intimidazione, per creare assoggettamento e omertà , come previsto dal 416 bis”, ha spiegato il Pg.
“Il capo è Carminati, Riccardo Brugia quello militare e Buzzi quello economico”, quindi una struttura parzialmente “gerarchizzata”, ma “che usa il metodo mafioso”.
“Un’altra caratteristica di questa associazione è la sua trasversalità interna, quindi già dentro l’associazione mafiosa stessa”, ha aggiunto Pignatone.
“Basta fare riferimento ai trascorsi politici degli stessi componenti. Ma c’è anche una trasversalità esterna all’associazione, che si rapporta in modo diverso con le due giunte. Con quella di Alemanno abbiamo alcuni componenti che coprono cariche amministrative di vertice, come Testa, Mancini e Panzironi, che sono vicini al sindaco. Con l’amministrazione successiva non c’è la presenza dei vertici perchè sono cambiati, però rimane questa presenza esternamente”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
VIAGGIO NEL PD DELLE CLIENTELE
Pacchetti di tessere comprate in bianco dai capibastone e restituite compilate, come e da chi però non si sa.
Code di extracomunitari ai seggi delle primarie. Pulmini di anziani prelevati dai centri ricreativi e ricompensati con buste alimentari.
Soldi distribuiti fuori dai circoli per incentivare il voto. Congressi finiti a insulti e spintoni, e la polizia che arriva a sirene spiegate.
Benvenuti nel meraviglioso mondo del Pd Roma.
L’azionista di maggioranza della giunta Marino commissariato da Matteo Renzi. Chè non fosse stato per il procuratore Pignatone, forse, si sarebbe continuato a chiudere un occhio, anzi tutti e due: sulle iscrizioni gonfiate, i maneggi dei signori delle tessere, l’inquinamento di un partito che di democratico ha soltanto il nome, condizionato com’è dai vari Kim Jong-un di quartiere che a botte da migliaia di euro spostano consensi, ricattano segreterie locali, controllano pezzi di istituzioni.
Un gioco borderline, di certo pericoloso. Ormai smascherato dalle inchieste giudiziarie.
Minacciava «li rovino tutti» l’onorevole Marco Di Stefano, che intercettato rivelava: «Ho fatto le primarie con gli imbrogli».
Elezione, stavolta per il segretario cittadino, che attira pure l’interesse della mafia capitale.
«Come state messi?», chiedeva il boss Carminati a Salvatore Buzzi, il suo braccio imprenditoriale: «Stiamo a sostene’ tutti e due», la risposta del ras delle cooperative, «avemo dato 140 voti a Giuntella e 80 a Cosentino. Cosentino è proprio amico nostro».
Neppure il drammatico appello lanciato un anno e mezzo fa dall’allora deputata Marianna Madia era servito a far suonare l’allarme.
«Nel Pd a livello locale, e parlo di Roma, facendo le primarie dei parlamentari ho visto, non ho paura a dirlo, delle vere e proprie associazioni a delinquere sul territorio»: era il giugno 2013, e per quelle parole l’attuale ministro rischiò quasi di essere linciata. Sebbene già due mesi prima la renziana Cristiana Alicata denunciò «le file di rom ai gazebo dem» e «voti comprati» per l’elezione del candidato sindaco, che poi risultò Ignazio Marino.
Manovre spesso oliate da un vorticoso giro di soldi.
Racconta Andrea Sgrulletti, fino all’anno scorso segretario pd nella zona di Tor Bella Monaca: «Nell’aprile 2013, alle primarie organizzate in vista delle amministrative, il nostro municipio è stato l’unico dove hanno votato più persone rispetto alle primarie 2012 Bersani-Renzi. In alcuni seggi l’affluenza è raddoppiata, in altri triplicata.
“Merito” di una campagna alimentata da un’enorme quantità di danaro dall’aspirante presidente del VI municipio, Marco Scipioni, e denunciata sia al partito romano, sia alla commissione di garanzia».
Una propaganda a base di «pacchi alimentari e buste della spesa distribuite alle persone che venivano a votare per lui. A volte ha pure regalato piccole somme. Il che, in un contesto molto povero come il nostro, fa la differenza», insiste Sgrulletti, rivelando come «quelle contropartite abbiano pure convinto alcune comunità straniere locali a partecipare in massa ».
Tutti episodi che «sono stati però ignorati dal Pd cittadino, che ha convalidato quel voto e non ha mai preso provvedimenti disciplinari, anzi», sospira sconsolato Sgrulletti: «Noi che abbiamo denunciato siamo finiti sul banco degli imputati e io stesso ho rischiato l’espulsione dal Pd».
Un serial, più che un film. Stesse scene si sono ripetute, sei mesi più tardi, al congresso (aperto solo agli iscritti) per il segretario provinciale e ancora dopo alle primarie per quello regionale.
Anche qui, pur con le debite proporzioni, «truppe cammellate si sono mosse per inquinare il voto»,racconta Fabrizio Mossino, già responsabile della sezione Portuense- Villini, rivelando le tecniche per gonfiare le iscrizioni: «Se un circolo ha bisogno di soldi perchè non riesce più a pagare l’affitto o ha un segretario con una forte appartenenza di corrente, può succedere che il capo-bastone di turno arrivi, chieda un pacchetto di tessere, anche 50-60, pagandole in contanti 20 euro a pezzo, e poi le restituisca compilate ».
Esattamente quanto accaduto a ottobre di un anno fa, nella sfida per la leadership romana, con circoli che in pochi giorni sono cresciuti del 200%. Tor Bella Monaca per tutti: passato da 170 a 430 tesserati.
Non è allora un caso se, appena eletto, Lionello Cosentino abbia deciso di cambiare le regole e ripetere il congresso che pure lo aveva incoronato segretario.
Risultato? «Dai circa 16mila iscritti a Roma nel 2013 oggi siamo scesi a 9mila», dice l’ex responsabile organizzazione Giulio Pelonzi. Il 40% in meno.
È bastato esigere che ogni singola tessera fosse richiesta per iscritto e abbinata a un nome e un cognome preciso. «Come per magia i pacchetti sono spariti, chi oggi sta nel Pd Roma è gente vera», giura Cosentino. Ormai azzerato.
Giovanna Vitale
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
AL LAURENTINO CENTINAIA DI ISCRITTI IN PIAZZA TRA CORI E AMAREZZA… IL COMMISSARIO ORFINI: “A LEZIONE CONTRO IL MALAFFARE”
Nel “mondo reale” il comizio si fa in piedi su una sedia.
Matteo Orfini, il commissario del Pd capitolino nella tempesta di “Mafia capitale”, ha scelto lo slogan e un’assemblea nella periferia profonda del Laurentino per tornare tra la gente e riportare il Pd fuori dalla palude della corruzione.
I militanti arrivano da tutta Roma, sono centinaia.
«Annamo a senti’ cosa ce dicono» è il passaparola e sono talmente tanti che l’assemblea dem deve trasferirsi dalla sala Elsa Morante all’aperto, nel piazzale dove il comitato “no corridoio Roma-Latina” scandisce la sua protesta e un gruppetto grida “Fuori la mafia dallo Stato”, “Vergogna”, “Marino dimettiti”.
Il palco è una sedia dove salire a turno.
«A chi ci dice che la giunta va sciolta, io dico che siamo orgogliosi dell’operato di Marino e Zingaretti», esordisce così Orfini.
Promette la fine definitiva della «guerra per bande per il potere» in cui il Pd romano si era trasformato e annuncia una anagrafe patrimoniale degli eletti così che, quando si vede qualche anomalia, si possa subito chiarire.
E poi invita «chi ha dubbi a parlare, ad andare in Procura» e intanto ringrazia il procuratore Pignatone: «Faremo una Frattocchie dell’anticorruzione, verificheremo tutto con la massima durezza, telefoneremo agli ottomila iscritti ».
«Matte’ fatte aiuta’», gli gridano.
Lui rilancia: «Il Campidoglio non può avere 23 commissioni ne deve avere 8 come la Regione» e Zingaretti, il “governatore” lì accanto, si prende l’applauso.
A margine Orfini confesserà : «Un partito non può funzionare così, va raso al suolo, e ricostruito».
Fabrizio Barca lo aiuterà nella mappatura dei circoli.
La musica è cambiata. I corrotti andranno in galera e restituiranno il maltolto fino all’ultimo centesimo.
Anche se il consiglio dei ministri che varerà le nuove misure è slittato da oggi a domani pomeriggio. Al Laurentino c’è poco da tergiversare.
«È un dramma, una tristezza, un dispiacere…», si sfoga Arnaldo Contartese, militante storico. Ciascuno ha una sua piccola e grande storia da raccontare.
C’è chi giura che in definitiva al Pd qui «gli è andata bene, perchè è come una cosa sprofondata nella cacca ed è rimasto Marino e qualche assessore come un isolotto e da lì bisogna ripartire ».
Marino rivendica: «Qui vogliamo testimoniare che il nostro è un partito unito, perbene, il partito che sta lontano dalla criminalità siamo noi».
Dalla folla dei militanti la battuta: «Si poteva fare di meglio…».
Il sindaco spiega che non si sente affatto commissariato per l’arrivo degli ispettori: «È come quando chiesi di mandare in casa nostra la Guardia di finanza per controllare i libri contabili perchè non si ha nulla da nascondere».
L’epicentro del malaffare è a destra: «Tutto quell’impianto criminale nasce nella destra di Gianni Alemanno ».
Molti parlamentari e politici. Marianna Madia, il ministro della Pubblica amministrazione, tra le prime e denunciare le correnti dem diventate «associazioni a delinquere », indica: «Bisogna fare saltare il tappo dei capibastone. Orfini è partito bene e noi tutti lo controlleremo».
Strada tutta in salita.
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
MINACCE, AGGRESSIONI E AVVERTIMENTI MAFIOSI CONTRO CHI POTEVA FAR CONCORRENZA ALLA CUPOLA
Chi insufflò le prove di pogrom di Tor Sapienza?
Chi doveva incassare i dividendi delle notti di fuoco, sassi e cocci di bottiglia di una borgata “rossa” che improvvisamente, a metà novembre, si era accesa al comando di saluti romani e ronde assetate di “negri” e “arabi”?
Sono stati scomodati i sociologi per provare a dare un senso alla furia della banlieue di Roma.
E invece, per raccontare quella storia bisogna cominciare da un’altra parte.
Dagli appetiti mafiosi del Mondo di Mezzo . Dai Signori degli appalti del “terzo settore” Salvatore Buzzi e Sandro Coltellacci, oggi a Regina Coeli per mafia, dal loro interfaccia “nero” Massimo Carminati e dalla sua manovalanza del Mondo di Sotto . E da una coraggiosa donna salentina, Gabriella Errico, presidente della cooperativa sociale Un sorriso, che in quelle notti ha perso tutto.
I 45 minori non accompagnati di cui aveva la custodia e la struttura che li ospitava, resa inagibile da un assedio violento. Seduta nel suo ufficio a Cinecittà , Gabriella respira profondo.
«Sono madre di due bambini. Ho paura», dice. «Ho ancora paura». Ma non della furia di Tor Sapienza. Di quei due lì. Buzzi e Coltellacci.
Del ricordo di quella telefonata arrivata durante il secondo giorno dell’assedio.
«Mi chiamò Buzzi. Mi disse: “Resisti, Gabriella, mi raccomando”. Gli spiegai cosa stava succedendo. “Qui fuori è l’inferno. Sono fascisti, Salvatore. Gridano “Duce, Duce”. Mi rispose lasciandomi di sale: “Non ti preoccupare. Ora faccio un paio di telefonate e sistemo”».
“CE L’HO IN PANCIA”
Un paio di telefonate. E a chi? «Non capivo cosa c’entrasse Buzzi con i fascisti», dice Gabriella.
Con i giorni, quel dubbio diventa un pensiero cattivo. La rivolta di Tor Sapienza è sedata, la cooperativa Un sorriso ha perso il centro e i suoi minori, trasferiti nella struttura della Domus Caritatis all’Infernetto.
Gabriella viene avvicinata da un amico. «Mi disse che Buzzi andava dicendo che ora “mi aveva in pancia”. Sì, così diceva: “Ora, ho in pancia quella lì del Sorriso”. Mi infuriai. E per un attimo pensai che a Tor Sapienza solo la mia cooperativa era stata assediata.
Come mai le strutture nell’orbita di Tiziano Zuccolo, grande amico di Buzzi, che pure ospitavano migranti adulti non erano state sfiorate dalla rivolta?
Dissi al mio amico che Buzzi non aveva in pancia proprio un bel niente». E però, dopo poco, Buzzi si fa vivo.
«Mi fissò un appuntamento per il 4 dicembre alle 11. Mi disse che era venuto il momento di sedersi intorno a un tavolo e discutere del “Condominio Misna”». Condominio Misna? «Era il suo modo di dire. Per riferirsi alla spartizione degli appalti, lui diceva “condominio”. O anche “cartello”. Voleva parlarmi di come intendeva dividere la torta dei “misna”, che sta per “minori stranieri non accompagnati”.
Pensava evidentemente che, dopo Tor Sapienza, fossi finalmente pronta a cedere. Per fortuna, il 2 dicembre lo hanno arrestato».
“NON AVREMO PIETà€”
Per Gabriella Errico, Tor Sapienza è l’epilogo di una storia che comincia nel 2005, anno in cui è sindaco Walter Veltroni. Di un incubo, dice ora, «che mi ha tolto il sonno per anni».
E che si manifesta con i modi, le allusioni e le minacce di Sandro Coltellacci, la mano di Buzzi, presidente di Impegno e promozione, una delle coop del suo Sistema.
Sono i giorni in cui Un sorriso è ancora un’associazione e ha sede in viale Castrense, in un palazzo di proprietà del Comune che ospita anche gli uffici del Servizio giardini. Ad insaputa di Gabriella Errico, Coltellacci ha convinto «con una cospicua liquidazione » l’allora presidente dell’associazione Un Sorriso, Saverio Iacobucci, a costituire una cooperativa che ha lo stesso nome dell’associazione, ma una diversa partita Iva e ad affidarne la presidenza a sua moglie, Simonetta Gatta.
La mossa è necessaria a impadronirsi della sede dell’associazione (subentrando nella concessione dell’immobile da parte del Comune) e, progressivamente, delle sue attività .
Ma la Errico si mette di traverso. Trasforma a sua volta l’associazione in cooperativa, si asserraglia in viale Castrense e avvia una serie di esposti.
«Nel 2006 cominciarono le minacce – ricorda Gabriella – Coltellacci mi affrontò: “Ti faccio cambiare città . E sappi che non guardo in faccia a nessuno. Nè alle donne, nè ai bambini”». Il marito di Gabriella, Germano De Giovanni, prova a difenderla. Coltellacci lo manda all’ospedale San Camillo.
PROVOLINO E I NAR
Il Campidoglio passa di mano. Alemanno – è il 2008 – è il nuovo sindaco.
Il calvario si fa ancora più spaventoso. La cooperativa di Gabriella, nonostante si sia rassegnata a lasciare la sede di viale Castrense, è fuori dal tavolo che conta.
Da quello che Buzzi chiama “il cartello” e che – come documentano gli atti dell’inchiesta – si spartisce la ricca torta degli appalti per i “richiedenti asilo” (il cosiddetto progetto “Sprar”, 34 milioni di euro) e i servizi di sostegno ai senza dimora (pasti e alloggi in residence).
«Nel cartello – spiega Gabriella – la parte del leone la facevano Buzzi e la sua 29Giugno. E se a lui toccava 100, al suo amico Tiziano Zuccolo, spettava 50. Mentre a tutti gli altri, le briciole».
A Zuccolo (che nelle carte dell’inchiesta scopriamo in grande confidenza con Luca Odevaine) fanno infatti capo le cooperative bianche: La Cascina (Cl) e Domus Caritatis.
E nè Buzzi, nè Zuccolo amano la concorrenza. Al punto che, quando qualcosa sfugge alle maglie del monopolio, è il Comune a mettere le cose a posto.
Accade quando Un sorriso vince il bando per la Casa dei papà , alloggi e sostegno per padri separati.
E per questo Gabriella viene convocata dal Dipartimento per le politiche sociali, dove si trova di fronte un tipo che all’anagrafe si chiama Maurizio Lattarulo, ma che nel giro è meglio conosciuto come Provolino.
Guarda caso, un ex Nar vicino alla Banda della Magliana (il suo nome, per dire, si guadagna 90 citazioni nella maxi ordinanza del giudice Otello Lupacchini) che la giunta Alemanno ha reinventato “consulente per le politiche sociali”.
«Questo provolino mi disse che non dovevo permettermi», ricorda Gabriella. Ma lei non recede. E, per questo, paga il conto.
Negli anni successivi, la gara per Sos (Unità mobile di sostegno sociale) in cui riesce a vincere un lotto, viene congelata perchè Buzzi ne è rimasto fuori.
Ma, soprattutto, Buzzi decide che Un Sorriso non debba più neanche provarci a partecipare alle gare.
L’UOMO SOTTO CASA
«Nel 2010 – prosegue Gabriella – Coltellacci venne arrestato per una storia di stupefacenti. E pensai che l’incubo fosse finito. Invece, neppure due anni dopo, lo rividi in giro. Lo avevano messo a scontare la pena ai domiciliari presso la sede della sua coop. E tutto ricominciò come prima ».
Coltellacci torna infatti ad affrontarla: «Mi sono fatto la galera per colpa tua», ringhia. E la scorsa estate diventa quella della resa dei conti.
È luglio, e Un sorriso si è azzardato a presentare una manifestazione di interesse per i servizi di guardiania e pulizia dei residence per i senza dimora.
Buzzi chiama la Errico. «Mi disse: “Questa è roba nostra. Non devi metterti in mezzo”. Capii la musica. E lo rassicurai: “Va bene, ritiro la mia manifestazione di interesse”.
Ma lui insistette e, qualche giorno dopo, mi disse che c’era una persona che doveva incontrarmi sotto casa mia. Si presentò un ragazzo giovane, i capelli lunghi, su una Fiat 500. Che mi ripetè quello che mi aveva detto Buzzi.
Gli spiegai che avevo già preso un impegno a ritirarmi. E lui disse che aveva bisogno di vedermelo dire di persona. Risalii a casa sconvolta. E provai a ritirarmi. Ma un funzionario per bene del Comune mi disse che non se ne parlava neppure».
Arrivarono quindi l’autunno e le notti di Tor Sapienza.
Carlo Bonini
(da “La Repubblica”)
argomento: criminalità, denuncia | Commenta »