Aprile 15th, 2015 Riccardo Fucile
CONSULENZE E SOLDI AI POLITICI “CPL, UN SISTEMA CORRUTTIVO”
L’indagine sulla Cpl Concordia della Procura di Napoli ieri è arrivata negli uffici romani e in quelli di Concordia (Modena) della cooperativa.
Sono stati perquisiti anche il direttore commerciale Andrea Ambrogi e il nuovo presidente Mario Guarnieri, nominato a gennaio.
L’indagine ha trovato i primi riscontri a Procida per quello che è stato descritto come uno schema di corruzione tramite le consulenze e le società con soggetti locali.
Nel decreto di perquisizione i pm Henry John Woodcock, Celestina Carrano e Giuseppina Loreto scrivono che è indagata “a pieno titolo” anche la società Cpl.
I carabinieri del Noe hannocercato negli archivi e nei pc di Cpl “la documentazione anche informatica” su consulenti, fornitori e subappaltatori e quella “afferente ad ogni forma di finanziamento erogato ad associazioni, fondazioni, Enti, partiti politici e singoli esponenti politici”.
I pm seguono il filo indicato dall’ex responsabile relazioni istituzionali Francesco Simoneche collabora dopo l’arresto: “Cpl affida o una consulenza (più o meno fittizia) ovvero individua un subappaltatore o un fornitore individuato e segnalato dal soggetto pubblico che poi gli fa aggiudicare l’appalto o che gestisce le relative pratiche amministrative; tanto è avvenuto, secondo un protocollo ben consolidato”.
I pm ieri hanno sequestrato tutte le carte a partire dalla metanizzazione di Procida.
Sul “protocollo” Simone ha detto ai pm: “Cpl si è recentemente aggiudicata per la metanizzazione di Procida; il ‘facilitatore’ è stato l’ex senatore Muro, già sindaco di Procida e legatissimo all’attuale sindaco; Cpl ha utilizzato il Muro per ingraziarsi l’amministrazione di Procida.
L’utilità destinata al Muro — ha spiegato Simone — è stata pagata riser-vando a lui (o a un suo prestanome) una quota (tra il 10 e il 20%) della società costituita dalla Cpl ad hoc per tale opera, le cui quote sono possedute nella maggioranza dalla Cpl stessa”.
L’ingegnere della Cpl Giulio Lancia ha fornito ulteriori specificazioni: la quota riservata da Cpl ai locali non era del 10 o del 20 ma del 30%: “Per la metanizzazione di Procida Cpl costituì una società di scopo, ovvero la Progas Metano Srl, di cui deteneva il 100 per cento. Successivamente nel 2008 sono state vendute quote per circa 66 mila, nella misura del 30% a una società con sede a Nocera Umbra, la Naturgas Srl di cui era amministratore tale architetto Catapano, originario di Ottaviano, in provincia di Napoli (…) mi fu detto dal presidente Casari cheera necessario perchè quelli della Naturgas avrebbero potuto ‘aiutarci’ nell’esecuzione dei lavori”.
Lancia cita una riunione del 2013 con i rappresentanti Naturgas alla quale ha partecipato l’ex deputato di An ed ex sindaco di Procida, Luigi Muro: “Non si presentò l’architetto Catapano (…) ma quattro persone di due dei quali ricordo solo i cognomi, Marano e Lubrano (…) e Muro Luigi (…). Quest’ultimo, pur non facendo parte di Naturgas, era però presente ed in quella occasione appresi (…) che erano subentrati ‘loro’ a Catapano nella Naturgas”.
Il Fatto ha verificato. Dalle visure emerge che Salvatore Marano e Raffaele Lubrano erano soci di Naturgas (con tal Marino Iannone) ma hanno ceduto le quote a Cpl Concordia il 30 giugno 2014.
Però Naturgas (che detiene ancora oggi il 30% della Progas costruisce il metanodotto sottomarino per l’isola) alla fondazione apparteneva per l’87% a Vincenzo Catapano, del 1954, di Ottaviano (Napoli) e a Pierluigi Catapano, del 1989, che hanno ceduto le quote tra il 2010 e il 2012.
Aggiunge Lancia: “Marano, avendo una società edile, si propose per effettuare i lavori (…) I lavori non procedevano speditamente (…). Pertanto insistetti con il Casari ed il Rinaldi (responsabile Distribuzione di Cpl, ndr) affinchè fossimo noi, vale a dire la Cpl, ad impiantare il cantiere e ad effettuare i lavori e proposi di riacquistare le quote detenute dalla Naturgas. Mi fu detto dal Rinaldi che era più opportuno comprare Naturgas cosa che avvenne, pagando 350-400 mila euro”.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 15th, 2015 Riccardo Fucile
MATTEO ROSSO E’ TRA I 27 INDAGATI PER LE SPESE PAZZE IN REGIONE, EX FORZA ITALIA, POI VICINO A RIXI, ORA A FDI: MA SE VERRA’ CONDANNATO TRA DUE ANNI DECADRA’ DALLA CARICA… SEMPRE CHE NON SE NE VADA ALTROVE PRIMA
Giorgia Meloni in Liguria sceglie di tornare all’ovile e alla fine decide di appoggiare il candidato
paracadutato da Silvio in Liguria.
Scelta di mero calcolo politico: i sondaggi in Liguria danno Fdi troppo basso, al 2,7% e solo il traino di un “signore delle preferenze” può far scattare il quorum intorno al 4%.
Il suk del mercato elettorale quindi spinge verso la scelta di Matteo Rosso, svincolato da tempo e messosi sul mercato.
Ex Forza Italia, uscito per dissensi interni, poi potenziale capolista della lista di appoggio al leghista Rixi prima che irrompesse Toti, molto attivo nelle ultime settimane su più tavoli: nel suo ultimo incontro romano con la Meloni ha bloccato ogni intesa con la lista che candida Musso perchè non avrebbe avuto un ruolo di primattore.
Così alla fine la Meloni, dopo essersi incavolata, ha dovuto comunque ripiegare sulla sua candidatura per mere ragioni elettorali.
Nel’ambiente di Fdi non si scommette un cent che, in caso di elezione, Matteo Rosso finisca i cinque anni in Regione con Fdi.
E non solo per la sua mutevolezza partitica ma anche per un piccolo dettaglio: Matteo Rosso è tra i 27 indagati per i rimborsi pazzi in Regione per l’inserimento di scontrini di Imodium per i disturbi intestinali, Antoral per il mal di gola e l’antibiotico Zimox.
Tra un anno inizierà il processo, entro due la sentenza. Chi verrà condannato in base alla legge Severino decadrà automaticamente dalla carica.
La Meloni ha perso in Liguria l’occasione per darsi una nuova immagine: un capolista inquisito che appoggia un paracadutato non è propriamente il nuovo che avanza.
Avanti con Imodium per tutti (o per Toti).
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Aprile 15th, 2015 Riccardo Fucile
NON SOLO PADIGLIONE ITALIA E’ PASSATO DA 63 MILIONI A 92, ANCHE ALLA PIASTRA DA 165 A 224…. STRUTTURE RIDIMENSIONATE E LE AZIENDE CHIEDONO PIU’ SOLDI
La storia tormentata di Padiglione Italia è lì, in quel palazzo di cinque piani che, con le altre strutture che lo accompagnano, sta provando a scrollarsi di dosso le impalcature dei cantieri per l’apertura del Primo maggio.
Una strada in salita scolpita anche nel prezzo che verrà pagato per costruirlo: 92 milioni, quasi 30 in più (coperti da sponsor, assicura il commissario Giuseppe Sala) rispetto ai 63 iniziali.
Ma non ci sono soltanto i costi impazziti dello spazio simbolo dell’Italia a Expo.
È stata tutta l’Esposizione a dover superare gli ostacoli, a recuperare i ritardi di un avvio affannoso, i contraccolpi delle risse della politica e delle inchieste.
Alla fine, sono arrivate le varianti, il carico delle riverse — come si chiamano tecnicamente le contestazione delle aziende che pretendono soldi extra — gli operai e i mezzi necessari per accelerare i lavori.
Ed è adesso che viene presentato il conto. Un conto ancora aperto e non definito perchè sono ancora aperte le quattro grosse partite che corrispondono agli appalti più complessi che dovranno passare al vaglio del presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone e dell’Avvocatura dello Stato.
Già ora, però, considerando anche i lavori aggiuntivi, si potrebbe arrivare a quasi 180 milioni in più rispetto alle basi d’asta iniziali.
E l’escalation potrebbe continuare con l’incognita maggiore: quanto costerà la cosiddetta piastra, l’ossatura di tutto il sito.
È il fronte più delicato: gli importi dei lavori che crescono annullano gli sconti di gara e vanno tenuti sotto controllo.
Perchè, ha ribadito anche Cantone, le richieste di pagamenti presentate da chi ha vinto gli appalti «sono molto, molto più alte» rispetto al principio.
Sala continua a ripeterlo: «Expo in ogni caso costerà meno del budget iniziale».
Si rimarrà comunque sotto il miliardo 200 milioni di fondi pubblici (già tagliato di 300 milioni), ma il pareggio sarà possibile perchè alcuni progetti come le Vie d’acqua erano già state ridotte, i disegni di diversi spazi semplificati, si era risparmiato su altri (18 milioni in meno) come il padiglione Arte e cibo, ad esempio, realizzato alla Triennale e non costruito ex novo sul sito
Ma partiamo dai primi lavori aggiudicati nel 2011 e terminati solo in questi giorni dopo 28 proroghe per «forza maggiore» e 302 per varianti riconosciute.
Si chiamano “rimozione delle interferenze” e sono le opere per preparare l’area all’arrivo dei padiglioni.
A vincere la commessa è stato il colosso delle cooperative Cmc con un ribasso record: 42,8%, da 92,7 milioni a 58,5.
Nel tempo, però, l’impresa ha ottenuto due diverse “aggiunte” salendo a 96 milioni. Adesso il terzo tempo: ci sarebbe un ulteriore accordo per chiudere la partita legale (l’impresa aveva chiesto 140 milioni) e concedere all’incirca altri 40 milioni.
Saranno Avvocatura e Anac a esprimersi, ma il rischio sarebbe quello: più che raddoppiare il prezzo, salendo a 136 milioni totali, 77,5 in più.
Molti appalti, anche minori, sono gravati da varianti per lavori aggiuntivi o cambi di marcia: dalle due passerelle di collegamento alla riqualificazione della Darsena.
Ma i problemi sono altri.
A cominciare dalla piastra: è l’appalto fondamentale (i lavori sono in dirittura d’arrivo) che unisce anche tutti i guai di Expo, dall’attenzione della magistratura all’esigenza di fare in fretta.
Se lo è aggiudicato, tra le polemiche per il ribasso (quasi 100 milioni in meno) la Mantovani, una delle aziende del Mose.
Si è partiti da 165 milioni e in un primo momento si è arrivati a 200: 34,5 milioni che in realtà sono «lavori complementari». Non sono veri e propri extracosti, ma Expo per esigenze di tempo li ha affidati direttamente a Mantovani senza fare un’altra gara e per l’impresa l’importo è comunque salito. E salirà ancora.
Il cda di Expo ha appena spedito all’Anac una proposta di variante: altri 25 milioni. I costruttori però nel tempo avrebbero presentato riserve per l’astronomico importo di 200 milioni. Non verranno mai riconosciute interamente, ma una transazione andrà chiusa. Sala ha sempre assicurato che non si supereranno i 20 milioni extra.
Per altri, l’importo potrebbe essere maggiore. A quanto ci si fermerà ? È questo il dubbio: 245? 260?
Bisognerà chiarirlo, ma la base originaria di 272 milioni è sempre più vicina
Anche la pratica di Palazzo Italia dovrà passare l’esame.
La maggior parte dei 30 milioni in più è rappresentata dai fondi per Italiana costruzioni, impresa “sotto sorveglianza speciale”: 24 milioni di cui 16 per cambi di progetto e 8 per lo sforzo di operai e mezzi. Tutta da sciogliere, invece, la matassa ancora più ingarbugliata delle Vie d’acqua Sud.
L’azienda (la Maltauro) è stata commissariata e, ragionano in Expo, da un lato sarà più semplice chiudere.
Quest’opera verrà realizzata in minima parte. Doveva costare 42,5 milioni, ma i lavori effettivi potrebbero aggirarsi attorno ai 10 milioni.
Anche qui, però, ci sono 35 milioni di richieste aggiuntive dell’impresa: non verranno mai concessi, giurano tutti i tecnici.
Bisognerà trovare un equilibrio, magari pagando a Maltauro solo l’opera realmente fatta e con il “risparmio” riconoscere qualcosa per la rinuncia al resto dell’appalto. Un altro capitolo da chiudere.
Alessia Gallione
(da “La Repubblica“)
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Aprile 15th, 2015 Riccardo Fucile
IL PREMIER SVENTOLA IN LIGURIA L’ASSEGNO PER GLI ALLUVIONATI: SCENA BLINDATA…VICINO A LUI SOLO LA CANDIDATA DEMOCRATICA E GLI IMPRENDITORI AMICI
Propaganda elettorale per le regionali. Sul Bisagno dove sono morti uomini e donne. Durante una
visita “istituzionale”.
Questo è avvenuto a Genova, anche se Matteo Renzi i genovesi non hanno potuto vederlo, tenuti lontani per timore di contestazioni.
Tanti avevano atteso il premier nei giorni del fango. È giunto ieri, sei mesi dopo, promettendo — a favore di telecamere — 380 milioni che dovrebbero arrivare nei prossimi anni (ma gli scettici non mancano).
Con i soldi dello Stato e con quelli già procurati dal Comune si potrebbero realizzare due lotti dei lavori sul Bisagno (manca il terzo) e si lavorerà allo scolmatore del Fereggiano. La promessa: tutto pronto entro il 2021.
Un contributo importante — ma arriverà davvero? — che, però, sa quasi di mancia perchè giunto tre giorni dopo che i sondaggi hanno dato la candidata Pd Raffaella Paita in affanno.
La scena ieri sul Bisagno era surreale: l’area del cantiere — ripulita nei giorni precedenti — circondata da transenne e teloni in modo che fosse impossibile alla gente avvicinarsi e vedere.
Renzi che sbarca attorattorniato dai pezzi grossi del Pd genovese: il governatore Claudio Burlando, la candidata Paita attaccata al premier con il Vinavil, il ministro della Difesa Roberta Pinotti.
Più in disparte il sindaco Marco Doria, piuttosto a disagio. Il 50 per cento dei presenti erano poliziotti; poi lo stato maggiore democratico.
Quindi una sfilza di imprenditori, soprattutto signori del mattone e vecchie conoscenze del mondo politico- imprenditoriale ligure.
Quasi tutti sostenitori di Paita e magari interessati a progetti che ieri hanno ricevuto soldi dal Governo.
Tra gli altri, Carlo Castellano (Pd) patron del contestato progetto Erzelli che ha ottenuto 19,5 milioni dal Governo e ha incassato il trasferimento nei palazzi semivuoti dell’Istituto Italiano di Tecnologia (presente anche il direttore dell’istituto, Roberto Cingolani, anch’egli paitiano).
Poi Vittorio Malacalza (definito dalle cronache paitiano) che si accinge a entrare nella Carige, banca che ha finanziato con 250 milioni gli Erzelli. Infine una manciata di cittadini e operai, tra cui c’è chi avrebbe scorto gli stessi ragazzi che l’anno scorso contestarono Beppe Grillo.
“Attenzione!”, ha messo le mani avanti Renzi, “Oggi sono qui in veste istituzionale. Verrò domenica prossima a sostenere Paita”.
Intanto eccolo stretto alla candidata davanti a flash e telecamere. Infine la firma degli accordi.
La blindatura delle forze dell’ordine ha impedito il contatto con la gente, ma non la manifestazione di qualche dissenso.
Come quello dei lavoratori portuali che hanno esposto uno striscione: “Renzi sei solo un chiacchierone, no jobs act”.
Renzi ha parlato poco: “È una follia che il cantiere del Bisagno sia rimasto fermo così a lungo. È finito il tempo delle chiacchiere. Quando c’è stata l’alluvione avevo detto che non sarei venuto a Genova fino a che la burocrazia non fosse stata almeno sconfitta”, ha esordito.
Ecco, la burocrazia, i controlli e i contenziosi tra le aziende, secondo il premier sono causa delle alluvioni (forse più del cemento, dell’incuria, delle scelte politiche): “Non c’è frustrazione più grande che vedere dei soldi che ci sarebbero e non vengono spesi. Oggi è il giorno della ripartenza”, sostiene Renzi.
Quindi il secondo accordo, per trasferire agli Erzelli una parte dell’Istituto di Tecnologia: “Grazie a questo accordo potrà ampliarsi e avrà la possibilità di avere 300 ricercatori in più”. Forse anche perchè la facoltà di ingegneria aveva rifiutato di occupare i locali giudicati inadeguati (essendo passati da 95.000 a 59.000 metri quadrati).
Di sicuro saranno soddisfatti gli imprenditori e la banca che ha finanziato il progetto (tutti paitiani e tutti presenti accanto a Renzi).
Quindi una difesa di Gianni De Gennaro, capo della polizia ai tempi del G8, altra ferita per Genova: “Come presidente di Finmeccanica ha tutti i titoli e le qualità per governare… è stato assolto e credo che immaginare il capo della polizia come capro espiatorio sia inaccettabile”.
Infine una postilla: “Non sono qui per parlare di politica. Ma in Liguria stanno cercando di fare un’operazionci — na, cioè di fare una lista a sinistra per fare vincere la destra” e “quando mi sfidano, io raccolgo le sfide”.
Fine della visita istituzionale.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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