Aprile 28th, 2015 Riccardo Fucile
IL PREMIER SI VANTA DEL SOSTEGNO DEI PARTIGIANI: MA IN TANTE PIAZZE ITALIANE IL 25 APRILE È STATO ANCHE UN GIORNO DI RIVOLTA CONTRO LE RIFORME RENZIANE
Matteo Renzi lo ripete (ufficiosamente) da giorni: “Mi contestano sull’Italicum, ma quando sono
stato a Marzabotto i partigiani di novant’anni mi hanno detto: ‘Vai avanti”.
Luca Lotti invece lo ha promesso nero su bianco su Repubblica: “Cambieremo la Costituzione nel solco della Resistenza”.
Nel pieno dello scontro sull’Italicum, Renzi e il suo “giglio magico” rivendicano l’appoggio di chi fece la Resistenza, come a cercare una legittimazione.
Ma l’Anpi, l’associazione nazionale dei partigiani, a gennaio ha lanciato un appello contro la legge elettorale e l’abolizione del Senato, che già contestava da un anno.
E il 25 aprile, nel 70° anniversario della Liberazione, ha ribadito il no alle riforme renzianissime in tante piazze d’Italia.
Roma, Porta San Paolo: Ernesto Nassi e Tina Costa
“La legge elettorale e la riforma del Senato di questo governo sono un rischio concreto per la nostra democrazia e la nostra Costituzione”.
Ernesto Nassi, presidente dell’Anpi di Roma, lo ha sibilato davanti al palco di Porta San Paolo: il luogo dove iniziò la resistenza partigiana nella capitale, nel quale il 10 settembre 1943 l’esercito italiano e tanti volontari cercarono di fermare l’occupazione tedesca della città .
“Atti di autoritarismo sono già in atto, in commissione Affari costituzionali hanno tolto dieci deputati così, in un sol colpo” ricordava Nassi.
Convinto che “con un Senato non elettivo è a rischio la Carta”.
Accanto a lui Tina Costa, 90 anni, “staffetta” sulla Linea Gotica durante la guerra: “Rischiamo che ci tolgano la libertà , e la libertà è stata scritta con fiumi di sangue. La Costituzione non può essere cambiata, va applicata”.
Treviso, piazza dei Signori: Umberto Lorenzoni
Quasi una parola d’ordine, lanciata dal palco: “Oggi la Resistenza va portata avanti contro la deriva autoritaria”.
Umberto Lorenzoni, 88 anni, presidente dell’Anpi di Treviso, ce l’aveva con le riforme di Renzi: “L’Italicum è peggio del Porcellum, enon si rispetta la Costituzione”.
Il partigiano che la guerra l’ha combattuta sulle Prealpi (nome di battaglia, Eros) vuole stare ancora in trincea: “Non intendo offendere nessuno, ma come Anpi saremo sempre a difesa dei valori della Costituzione repubblicana”.
Alessandria, quei no alla Boschi e alla Pinotti
Il caso è tracimato anche sulla stampa nazionale, la settimana scorsa. Perchè ha fatto rumore il veto dell’Anpi di Alessandria (e di quella nazionale) al ministro Maria Elena Boschi, la responsabile delle Riforme, come oratore nella celebrazione cittadina della Liberazione.
L’aveva invitata il sindaco, Maria Rita Rossa, renziana. Boschi non avrebbe comunque potuto accettare, avendo già scelto Sant’Anna di Stazzema per il suo 25 aprile.
Ma l’Anpi (che avrebbe voluto Sergio Cofferati) ha subito fatto muro: contro la Boschi, come contro Andrea Orlando e Roberta Pinotti, altri nomi proposti dal sindaco.
“Nulla di personale, solo una questione di opportunità politica” ha dichiarato al Secolo XIX il vicepresidente provinciale, Roberto Rossi, spiegando: “Non condividiamo la riforma costituzionale che questo governo sta portando avanti, così come non ci convince il progetto della nuova legge elettorale.
Immagini cosa sarebbe successo il 25 aprile: allo stesso microfono la Boschi avrebbe difeso le riforme e noi le avremmo contestate.”. E sono stati fiumi di polemiche, nella Liguria dove la sinistra e il Pd sono spaccati in vista delle Regionali.
E l’Anpi, con una nota, ha optato per un no più istituzionale: “Non possiamo accettare come oratore ufficiale per il 25 aprile un ministro che rappresenta la maggioranza degli italiani, ma non tutti i cittadini, mentre la Resistenza è patrimonio di tutti gli antifascisti”.
Catania, palazzo del Comune: Santina Sconza
“Si ribelli al governo Renzi”. La presidente dell’Anpi di Catania, Santina Sconza, lo ha tuonato in faccia al deputato del Pd Giovanni Burtone, nel bel mezzo della cerimonia per i 70 anni della Liberazione, nel cortile del palazzo comunale.
“Lei deve ribellarsi a questo esecutivo che vuole stravolgere la Costituzione, frutto delle lotte partigiane” lo ha esortato dal microfono, sotto gli occhi Santino Serrao e Nicolò Di Salvo, gli ultimi due partigiani di Catania ancora in vita.
Burtone, figlio di un altro partigiano, ha cercato una via d’uscita: “Non sono qui in rappresentanza di un partito politico, sono qui perchè qui mio padre ogni anno faceva il suo discorso”.
Ma Sconza l’ha ripetuto: “La Costituzione non si tocca”.
Piacenza, piazza Cavalli: l’oratore Bersani
Ha giocato in casa, con evidente soddisfazione. Il 25 aprile Pier Luigi Bersani l’ha celebrato nella sua Piacenza, come oratore graditissimo all’Anpi.
Contenta, di sentirgli dire: “Davanti ai cambiamenti bisogna sapere dove mettere i piedi, con una semplificazione della democrazia si possono indebolire la mediazione sociale e il ruolo dei soggetti della società . Cambiamenti per adeguarsi ai tempi sì, ma nel solco di quei valori di 70 anni fa”.
Parole di protesta, nel giorno della Liberazione.
E dell’Anpi, non proprio renziana.
Luca De Carolis
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 28th, 2015 Riccardo Fucile
SANCITO IL PASSAGGIO DI POTERE… LO ZAMPINO DELLA PASCALE IN CAMPANIA… PER FITTO IL LOGO “OLTRE”
Il triumvirato ha deciso della “vita” e della “morte” di aspiranti candidati e consiglieri uscenti a caccia di conferma, blindato fino a ieri sera in una stanza al primo piano di San Lorenzo in Lucina.
Ultimi ritocchi alle liste di Puglia e Toscana, le regioni dei dissidenti in odor di scisma Fitto e Verdini. Ora il più è fatto.
Ma con questa operazione Mariarosaria Rossi, Antonio Tajani e Marcello Fiori si insediano alla guida del partito, in mano loro le chiavi che più pesano: quelle della selezione dei candidati. Coordinatori di fatto della futura Forza Italia, mentre un leader sempre più distratto e immerso nei dossier Milan e Mediaset (di ieri l’interesse rilanciato dai francesi di Vivendi), si terrà lontano da Roma anche in questa settimana pur delicata, tra Italicum e chiusura liste per le regionali del 31 maggio.
Non che l’amministratrice e tesoriera Rossi, il vicepresidente del Parlamento europeo Tajani (che per di più sogna di diventare presidente tra un anno) e il neo responsabile enti locali Fiori riceveranno quell’incarico formale.
Di coordinatori non ci sarà più bisogno, va ripetendo in questi giorni Berlusconi ai tanti che gli chiedono cosa sarà questo Partito repubblicano all’americana tanto sbandierato.
«Partito leggero, niente organigrammi, funzionerà come un comitato elettorale in prossimità delle elezioni», è la sua risposta. Sta di fatto che lo scettro che per parecchi anni è stato del plenipotenziario sulle candidature, Denis Verdini, adesso è passato di mano, il senatore toscano è stato tenuto fuori dalla decision room di San Lorenzo in Lucina (dove pure mantiene un ufficio).
A lui è stata garantita, nella messa a punto di ieri, la ricandidatura dei suoi consiglieri uscenti in Toscana, anche per evitare lo strappo definitivo, affiancati però da un certo numero di candidati vicini a Deborah Bergamini.
Ma il potere reale sta ormai altrove.
Anche perchè i triumviri appena insediati sono destinati a dettare legge ormai anche alle future politiche, integrati però da Giovanni Toti, consigliere politico del capo per adesso impegnato nella campagna in Liguria, e dalla stessa Bergamini, responsabile comunicazione.
Chi cerca i nuovi potenti, i pochi che contano davvero in quel che resta di Forza Italia, è alla porta di questi cinque che deve bussare.
Di candidati, i tre in questi giorni ne hanno respinti almeno dieci, perchè — raccontano — il debito nei confronti del partito era incolmabile.
Altre decine di candidati sono stati graziati da una maxi sanatoria dell’ultimora con pagamento di “una tantum” alle casse di Forza Italia o con l’impegno a organizzare incontri e appuntamenti elettorali in questo mese di campagna.
Perchè l’essere in regola coi contributi al partito è una delle tre condizioni fondamentali dettate dalla Rossi nella circolare di un mese fa.
Parità di genere e tra uscenti e volti nuovi sono le altre “svolte” introdotte nelle liste di Forza Italia che non avranno più il nome Berlusconi a trainarle.
«Mi ritengo soddisfatta del lavoro fatto » si limita a dire Mariarosaria Rossi, che è andata avanti col lavoro nonostante le diffide e le denunce (dal campano D’Anna) di chi la ritiene priva di legittimazione.
Avvocati difensori incaricati da Fi sono pronti a entrare in azione in queste ore per respingere eventuali istanze last minute davanti ai giudici.
Va detto che la terna dei plenipotenziari è stata via via affiancata da pochi, fidati e interessati fedelissimi.
Quando si è discusso delle liste in Campania, per esempio, oltre al coordinatore Domenico De Siano sembra che un occhio lo abbia buttato anche Francesca Pascale, compagna del leader.
E poi Toti sulla Liguria, Brunetta sul Veneto, Bergamini sulla Toscana.
Fitto intanto è già “Oltre”, il nome del suo listone civico che in Puglia sosterrà Francesco Schittulli contro la forzista Poli Bortone.
Se seguirà immediata scissione con nascita dei gruppi parlamentari autonomi dipenderà dalla reazione di Berlusconi.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 28th, 2015 Riccardo Fucile
C’È UN VARCO APERTO AGLI “IRREGOLARI”… “NON SI TIMBRA PIÙ ALL’USCITA”. BUFERA SU MANPOWER: “TEMIAMO PAGHE SOTTO I 5 EURO L’ORA”
Il commissario Expo Giuseppe Sala è ottimista e irritato. 
Ottimista perchè l’esposizione “il 1° maggio sarà pronta”, continua a ripetere.
Irritato perchè il Corriere della Sera ieri ha raccontato il “varco abusivo” da cui — sotto l’occhio del cronista — entrano all’alba, dalle 6 alle 7, lavoratori irregolari, forse necessari per completare i lavori nella grande corsa finale prima dell’inaugurazione. Sala smentisce: “Il varco in questione è una postazione temporanea ed è presidiato 24 ore su 24”, così dice una nota ufficiale della società Expo 2015 Spa.
“Come mostra il video pubblicato su corriere.it  , il giornalista si è fermato sull’ingresso”, prosegue la nota. “Se fosse entrato sarebbe stato bloccato dalla vigilanza, come peraltro successo nello stesso luogo ad altri giornalisti nei giorni scorsi”.
“Sono amareggiato”, confessa Sala, “al di là dei contenuti che cercheremo di capire. A parte che ho fatto fare una verifica rapida e mi risulta che il cancello ci sia, ma poi chi entra trovi delle guardie, quindi questo è un po’ da verificare. Dopo di che, tra giornali e Expo c’è una regola non scritta, ma a cui ci si attiene, di fronte a cose che sono ritenute gravi: si chiama prima e si sente la versione dell’altra parte. Io, è meglio che la gente sappia”, ha detto Sala a una radio privata, “ho ricevuto una telefonata ieri sera alle 23, dunque con il chiaro intento di non sentire la nostra opinione, e quindi che ognuno faccia la sua parte. Che pensassero un po’ ai 9 mila lavoratori che stanno lavorando sotto l’acqua per cercare di finire questa opera… Per cui sono assolutamente irritato, dopo di che se sarà così ne risponderemo, ovviamente perchè siamo a rispondere alla collettività , però ogni tanto si perde veramente un po’ il senso della misura”.
L’irritazione del commissario non tiene conto dei precedenti: ai primi di aprile due giornalisti del sito fanpage.it   sono entrati da uno degli ingressi principali senza tessera di riconoscimento, semplicemente indossando caschetto e gilet ad alta visibilità , per arrivare, indisturbati, sotto Palazzo Italia.
Qui hanno deposto una scatola con la scritta “bomba”.
Sala, subito dopo, li ha descritti come “persone che hanno del buon tempo da perdere” e ha garantito che sulla vigilanza dei varchi ci sarebbe stato un giro di vite.
Eppure il 25 aprile un cronista del Fatto Quotidiano ha raccontato di essere entrato nel sito Expo attraverso un canale scolmatore del torrente Guisa.
Poi è stata la volta del Corriere, che ha aggiunto che da un varco non presidiato, a poca distanza da un ingresso ufficiale, entrerebbero i lavoratori non regolari, quelli che una tessera non ce l’hanno perchè non hanno neppure un contratto.
I sindacati confermano l’allentamento dei controlli in entrata e in uscita: “Il cantiere, con le quasi 9 mila persone che ci lavorano in questi giorni, è un delirio”, racconta Antonio Lareno, responsabile Expo della Cgil, “non stupisce dunque che riesca a entrare qualche lavoratore in nero. Ma credo sia un aspetto marginale, anche perchè il più delle volte vengono individuati. Però da metà febbraio, cioè da quando sono fortemente accelerati i lavori nel sito espositivo, non c’è più l’obbligo di mettere sul badge identificativo la fotografia personale, nè di timbrare al termine del turno. Abbiamo continuato a segnalare che in questo modo si incentivano gli ingressi irregolari”.
Il sindacalista segnala anche un altro aspetto che ritiene preoccupante, ora che si va verso l’apertura al pubblico del sito: quello relativo ai turni del personale di vigilanza. Un affare da quasi 20 milioni di euro, affidato a un raggruppamento d’imprese che comprende Allsystem, Sicuritalia e Ivri.
“Per risparmiare, le imprese stressano gli orari, facendo fare agli addetti 12 ore di lavoro al giorno: così rischiamo che a Expo possa succedere quello che è accaduto al Palazzo di giustizia di Milano. Ci vogliono invece turni compatibili con le soglie di attenzione”, chiede Lareno.
Su questo, i sindacati stanno conducendo trattative con Expo Spa.
Il personale di vigilanza è un esercito di 1.500 guardie private, di cui 900 armate e 600 da collocare agli ingressi, con competenze di procedure aeroportuali.
Secondo i sindacati, almeno una delle quattro aziende che hanno vinto la commessa diretta per la sicurezza starebbe inoltre garantendo compensi “molto inferiori alle regole: 4,6 euro all’ora, contro un minimo di 6,5”.
Sono le tre sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil di Milano a denunciare anche il tentativo di forzare gli accordi sindacali: puntano il dito su Manpower, l’agenzia che in Expo gestisce “il lavoro in somministrazione e che in violazione degli impegni assunti non ha fornito informazioni sul proprio operato”.
I sindacati ipotizzano che l’agenzia di lavoro interinale voglia utilizzare per i lavoratori richiesti dai padiglioni esteri contratti “al ribasso fino al 30 per cento rispetto alla normativa italiana”: “Temiamo che vogliano applicare contratti diversi da quelli collettivi nazionali, con una riduzione dei compensi anche sotto i 5 euro all’ora”.
Secondo i sindacati, Manpower avrebbe raccolto per i padiglioni stranieri 150 mila candidature di lavoro, da cui sta selezionando i 4 o 5 mila lavoratori richiesti. Manpower smentisce, citando l’“utilizzatore finale” (cioè, si suppone, il Paese ospitante): “Per tutti i contratti attivati per conto dei Paesi espositori sono stati adottati i contratti applicati dall’utilizzatore finale, nel pieno rispetto della normativa vigente in Italia”.
Intanto, a tre giorni dall’apertura, la corsa contro il tempo continua.
Gianni Barbacetto e Marco Maroni
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 28th, 2015 Riccardo Fucile
BOCCIARE L’ITALICUM PER MANDARE A CASA RENZI
I deputati chiamati a votare Sì o No all’Italicum dovrebbero portarsi in aula due libriccini.
Uno, piuttosto noto, s’intitola Costituzione della Repubblica Italiana ed è stato scritto fra il 1946 e il 1947 da un’Assemblea costituente appositamente eletta dai cittadini con il sistema elettorale più democratico che esista: il proporzionale.
Il secondo, piuttosto ignoto, è il Discorso sulla servitù volontaria dello scrittore francese Etienne de la Boètie, che lo ultimò intorno al 1549 ma potè pubblicarlo clandestinamente, solo nel 1576, e con un altro titolo, Il Contra uno.
E basta leggerne qualche riga per capire il perchè: “Vorrei soltanto riuscire a comprendere — scrive De la Boètie — come sia possibile che tanti uomini, tanti paesi, tante città e tante nazioni talvolta sopportino un tiranno solo, che non ha altro potere se non quello che essi stessi gli accordano, che ha la capacità di nuocere loro solo finchè sono disposti a tollerarlo, e non potrebbe fare loro alcun male se essi non preferissero sopportarlo anzichè opporglisi”.
Il pensatore francese, che è un po’ il papà di tutti gli anarchici, sosteneva che il potere diventa tirannide non tanto per la prava volontà dei dittatori, quanto piuttosto per la supina condiscendenza dei cittadini che diventano sudditi senza neppure accorgersene.
E incoraggiava tutti gli spiriti liberi alla resistenza passiva contro i regimi autoritari che li opprimevano, rassicurandoli sul fatto che non avrebbero dovuto versare neppure una goccia di sangue: bastava che non collaborassero.
“Non c’è bisogno di combattere questo tiranno, nè di toglierlo di mezzo; si sconfigge da solo, a patto che il popolo non acconsenta alla propria servitù. Non occorre sottrargli qualcosa, basta non dargli nulla”.
E tutto il suo enorme potere verrebbe giù come un castello di carte al primo soffio di vento.
“Sono dunque i popoli stessi che si lasciano incatenare, perchè se smettessero di servire, sarebbero liberi. È il popolo che si fa servo, si taglia la gola da solo e, potendo scegliere tra servitù e libertà , rifiuta la sua indipendenza e si sottomette al giogo: acconsente al proprio male, anzi lo persegue”.
Ovviamente Renzi non è un tiranno, anche se ogni tanto gli piacerebbe.
Ma molti suoi oppositori — per non parlare di tanti cittadini anestetizzati da tv e stampa governative — si comportano come se lo fosse.
Non per paura di repressioni, ci mancherebbe. Ma di piccole vendette di potere.
Per una sorta di horror vacui da poltrone.
Per quel naturale conformismo che rende più comodo e meno faticoso lasciar fare e lasciar passare tutto, che non contestare e mettersi di traverso su qualcosa.
E anche per un generale senso di spossatezza che fa dire a tanti: ma sì, lasciamolo lavorare, ne abbiamo provati tanti, tentiamo anche questo, che poi peggio di chi l’ha preceduto non può essere.
Questo atteggiamento può persino esser comprensibile con le varie riformette ordinarie del governo.
Ma oggi, in Parlamento, è in gioco ben altro: una legge elettorale che ci terremo per anni e che stravolge la democrazia parlamentare come l’abbiamo conosciuta fin qui molto più e peggio di come faceva il Porcellum.
Un gruppo di costituzionalisti e intellettuali ha lanciato un estremo appello per chiedere “a tutti i parlamentari di ritrovare la propria dignità e la forza di rappresentare davvero la Nazione senza vincolo di mandato, come la Costituzione loro garantisce ed impone”.
Cioè di fermare questo scempio incostituzionale e dannoso per tutti i cittadini. I quali cittadini cominciano ad accorgersene, visto che — almeno quelli che dicono di conoscere l’Italicum — sono decisamente contrari.
Sappiamo bene quali sono i numeri alla Camera in questa che potrebbe essere l’ultima lettura, in mancanza di modifiche al testo licenziato dal Senato.
Se è vero che neppure Verdini presterà il soccorso azzurro all’amico Renzi, la minoranza del Pd sarà più che mai decisiva.
Ed è bene che tutti gli elettori democratici facciano sentire — con email, lettere, telefonate e messaggi sui social network — a Bersani, Cuperlo, Bindi & C. il peso della responsabilità che si assumerebbero votando Sì o anche non votando No all’Italicum (o alla fiducia al governo, se Renzi avrà la sfrontatezza di porla).
Le ragioni costituzionali — come ricorda l’appello — sono tutte dalla parte del No.
Ma, se i peones della sinistra Pd imbullonati alla poltrona non vogliono farlo per noi, lo facciano almeno per se stessi.
Le minacce di Renzi e dei suoi giannizzeri sono sparate con pistole a salve.
Anzi, i peggiori rischi la minoranza interna li corre proprio se l’Italicum passa: a quel punto Renzi avrà buon gioco ad andare alle elezioni anticipate, prima di perdere altri consensi, e certamente spazzerà via i suoi oppositori escludendoli dall’elenco dei capilista bloccati con elezione assicurata.
Se invece l’Italicum non passa, a Renzi non conviene più azzardare le urne (semprechè Mattarella gliele conceda) per un semplicissimo motivo: si voterebbe con il Consultellum, cioè col proporzionale puro.
E,se son veri i sondaggi, lui prenderebbe il 35%, e il 15 mancante per governare dovrebbe andare a mendicarlo da B. per una riedizione delle larghe intese che gli sarebbe (a Renzi, non a B.) letale.
Quindi chi non vuole consegnare l’Italia a un uomo solo per chissà quanti anni, oggi sa quel che deve fare: bocciare l’Italicum e presentare subito un ddl che ripristini il Mattarellum.
“Questo vostro padrone che vi domina — scriveva De la Boètie — ha solo due occhi, due mani, un corpo, niente di diverso da quanto possiede l’ultimo abitante delle vostre città , eccetto i mezzi per distruggervi che voi stessi gli fornite… Decidete una volta per tutte di non servire più, e sarete liberi”.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 28th, 2015 Riccardo Fucile
“A SENTIRE POLETTI SOLO LA DIGOS E POLIZIA”
Stavolta il Pd non si è lasciato cogliere di sorpresa. 
In occasione della visita del ministro del Lavoro Giuliano Poletti alla Festa dell’Unità di Bologna, il 27 aprile 2015, sono state rinforzate le misure di sicurezza.
Dopo le contestazioni di venerdì scorso alla ministra dell’istruzione Stefania Giannini, costretta ad annullare l’incontro a causa della protesta di studenti e precari della scuola, carabinieri e agenti di polizia in tenuta antisommossa hanno presidiato il Parco della Montagnola, luogo della kermesse, tenendo lontani i “soliti professionisti della contestazione organizzata”, li definisce in una nota il Partito Democratico.
Gli antagonisti (una ventina di attivisti dei centri sociali, tra cui il collettivo Hobo) hanno provato ad avvicinarsi all’area del dibattito ma sono stati respinti sotto la pioggia.
Uno dei manifestanti, nella concitazione, è stato colpito alla testa da una manganellata.
La contestazione è proseguita poi all’esterno del parco, dove è stato esposto uno striscione con la scritta: “Festa dell’Unità chiusa per mafia. Poletti a lavorare gratis vacci tu. No Expo”, in polemica con la recente proposta del ministro sul lavoro estivo per gli studenti, esternazioni che avevano sollevato un polverone.
“Una festa del Pd deserta, dentro ci sono solo Digos e polizia” hanno lamentato i manifestanti
“E tutto questo per il ministro del lavoro gratuito e del Jobs Act che sta portando sul lastrico un’intera generazione”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 28th, 2015 Riccardo Fucile
TRA I PRESUNTI ASSASSINI ANCHE UN CRISTIANO, VIENE MENO L’IPOTESI CHE I MUSULMANI ABBIANO GETTATO IN MARE I CRISTIANI…. “SE CI FOSSE STATA UNA RISSA CI SAREMMO RIBALTATI”
Due settimane fa la notizia ha fatto il giro del mondo: una strage per motivi religiosi a bordo di un barcone in viaggio tra Africa ed Europa.
Musulmani che in alto mare si infuriano per le preghiere dei cristiani e li gettano fuori bordo, uccidendone almeno nove.
Già , ma allora perchè uno dei presunti assassini sostiene di essere battezzato e credere in Gesù Cristo?
Kaba Somauro è in carcere a Palermo, accusato assieme ad altre quattordici persone per il massacro nelle acque del Mediterraneo.
Ha 29 anni e la passione per il calcio, sogna un futuro da professionista del football e per questo ha lasciato la Costa d’Avorio e ha deciso di attraversare un continente.
La sua professione di fede adesso apre una crepa profonda nella ricostruzione della strage che ha colpito l’opinione pubblica italiana e internazionale.
Rilanciando i dubbi sulle cause del dramma: quella notte nel canale di Sicilia c’è stata un’esplosione di ferocia in nome dell’Islam o soltanto l’ennesima tragedia delle migrazioni nata solo dalle terribili condizioni del viaggio?
L’unica certezza è che diversi passeggeri, almeno nove ma alcuni testimoni parlano di dodici, sono caduti in acqua durante la traversata, senza scampo.
Alcuni avrebbero cercato disperatamente di restare a bordo, aggrappandosi agli altri migranti.
Le immagini dei soccorsi, che “l’Espresso” ha potuto esaminare, fanno comprendere le condizioni raccapriccianti del viaggio. Si vede un gommone con la prua sgonfia, carico in modo incredibile: più di cento persone, forse addirittura centoventi, accalcate in dodici metri di lunghezza.
La traversata sarebbe durata due giorni.
Il battello avrebbe lasciato le spiagge della Libia l’11 aprile, assieme ad altri tre-quattro scafi che si sono dispersi dopo la prima fase della navigazione.
Ma su quel gommone la situazione si è fatta subito tesa, perchè la prua ha cominciato a sgonfiarsi e imbarcare acqua.
La mattina del 13 aprile una telefonata al centro soccorso di Roma — un numero che i trafficanti memorizzano sempre sui cellulari satellitari che lasciano sulle barche — ha lanciato l’allarme.
Le autorità sono riuscite a ricostruire la posizione dei migranti e indirizzare nella zona le navi più vicine. Il cargo Ellensborg cambia rotta e alle 22.30 del 13 aprile entra in contatto con lo scafo stracolmo di persone, che vengono tratte in salvo nel giro di un’ora. Solo l’esperienza dell’equipaggio riesce a evitare una nuova tragedia.
Ma i migranti si mostrano calmi, forse perchè esausti per le condizioni del viaggio. I marinai li schedano, realizzando un fotokit numerato per ogni persona issata sul mercantile: sono 95 in tutto.
A quel punto il cargo fa rotta su Palermo, dove attracca nella tarda mattinata del 15 aprile. Solo lì, gli investigatori scoprono il massacro e vengono a sapere dei migranti morti in mare.
Alcuni dei superstiti forniscono una ricostruzione agghiacciante. Con la barca in difficoltà , per paura di morire, i cristiani – la minoranza dei passeggeri – iniziano a pregare. Quell’appello a un Dio che non è Allah scatena così la reazione dei musulmani che iniziano a gettare in mare gli infedeli.
Il Jihad in mezzo al mare è descritto da sei testimoni. Uno di loro ammette: «Non so cosa abbia scatenato l’inferno, forse il tono di voce più alto di quel ragazzo che piangeva e supplicava Dio di aiutarci, di non farci naufragare. Loro sembravano impazziti, lo hanno preso e lo hanno scaraventato in acqua. Solo perchè pregava. Abbiamo cercato di fermarli, ma loro erano di più. E ne hanno uccisi tanti».
L’aggressione — sempre secondo gli stessi testimoni — è stata bloccata da una catena umana formata dai cristiani e dall’arrivo del mercantile.
Sono questi sei testimoni a riconoscere informalmente gli autori della strage, indicando alla polizia i presunti assassini, che vengono sottoposti a fermo.
Il resto dei superstiti, ossia 74 persone, non vengono interrogati: di loro oggi non si hanno più notizie, ma è probabile che abbiano già lasciato i centri di accoglienza siciliani.
Gli agenti hanno poi messo a verbale la deposizione dei testimoni, mostrandogli tutte le foto dei passeggeri scattate dall’equipaggio della Ellensborg.
Il riconoscimento però non porta a risultati omogenei.
Un primo testimone riconosce 17 aggressori, il secondo indica 25 colpevoli, un terzo ne accusa soltanto sei. Così, quei verbali verranno chiusi e successivamente riaperti a distanza di poche ore.
Ai testimoni, questa volta, verrà chiesto il riconoscimento soltanto dei migranti già fermati sulla banchina del porto, con l’esibizione delle foto segnaletiche realizzate dalla Scientifica. I sei testimoni, questa volta, confermano il riconoscimento dei 15 già fermati.
Anche le persone sotto arresto confermano il massacro, ma danno una ricostruzione molto diversa delle cause.
Il loro è il racconto di una drammatica lotta per la sopravvivenza.
A bordo del gommone — spiegano nelle deposizioni difensive — tutti erano ammassati, senza divisioni nè per nazionalità , nè per religione: se in quelle condizioni si fosse scatenata una rissa, di sicuro l’imbarcazione si sarebbe ribaltata.
E descrivono la situazione: molti passeggeri, soprattutto quelli stivati a prua, erano aggrappati al tubolare dello scafo, un po’ per tirarlo su, un po’ per evitare che l’acqua allagasse l’imbarcazione.
Una lotta per non morire durata quasi 70 ore, tra le onde: quelle che avrebbero fatto cadere in mare diverse persone, tra le quali anche migranti di fede musulmana.
Vittime della stessa disperazione e non dell’odio religioso.
Piero Messina
(da “L’Espresso“)
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