Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
FITTO: “BERLUSCONI VUOLE REGALARE LA PUGLIA A RENZI, SE NE ASSUMERA’ LA RESPONSABILITA’, PER ME FORZA ITALIA FA PARTE DEL PASSATO”
La trattativa si è interrotta. 
Alle 13, dopo una maratona cominciata ieri sera, il commissario di Forza Italia Luigi Vitali si è alzato dal tavolo convocato da Raffaele Fitto e ha dichiarato: “Il candidato di Forza Italia resta Adriana Poli Bortone. Per noi finisce qui. Il vertice è finito così come è partito. Non ci si poteva chiedere di ritirare la nostra candidatura” ha detto lasciando il vertice.
Si sarebbe concluso così il tentativo del leader dei Ricostruttori, Raffaele Fitto, di ricompattare il centrodestra.
Ma il vertice (iniziato ieri sera e proseguito stamane) non sembra aver sortito l’effetto sperato. “Allo stato – raccontano i partecipanti – il centrodestra andrà diviso alle urne con Schittulli e Poli Bortone”.
Il primo, ex presidente della Provincia di Bari, sarà sostenuto dai fittiani, Ncd, Fratelli d’Italia.
La seconda, Adriana Poli Bortone, potrà contare sull’appoggio di Forza Italia e Lega. Ieri c’erano stati dei segnali di apertura da parte di Vitali. Ma questa mattina la trattativa è ricominciata subito in salita. Fino alla rottura definitiva.
Ieri nella notte, dopo cinque ore di riunione, l’intesa sembrava a un passo.
“L’unità è più vicina” aveva detto il segretario di Fi Puglia, Luigi Vitali, sottolineando che “ora abbiamo bisogno di riflettere”.
“Berlusconi è aggiornato su tutto quello che succede – ha aggiunto -, ma anche lui ha bisogno di riflettere. Tutti dobbiamo riflettere e trovare una proposta valida e accettabile soprattutto dai nostri elettori e dai protagonisti di questa vicenda che sono persone e non cose”.
Al vertice partecipano, tra gli altri, il promotore della riunione, l’europarlamentare azzurro Raffaele Fitto, il segretario Fi Puglia, Luigi Vitali, e i coordinatori regionali di Noi con Salvini, Rossano Sasso, del Movimento Schittulli, Davide Bellomo, di Fdi, Marcello Gemmato, e di Ncd, Massimo Cassano.
“Tante le proposte – aveva ribadito Massimo Ferrarese di Ap-Ncd – stiamo valutando le migliori per unire il centrodestra, che vogliamo unire assolutamente, perchè è giusto farlo per il bene della Puglia. Non si può pensare che ci siano 7 candidati alla presidenza della Puglia – ha continuato – e il candidato che dovesse vincere sarebbe un mini presidente, perchè sarebbe un presidente eletto con nemmeno il 17-18% dei voti dei pugliesi. Stiamo valutando tutte le opportunità – ha spiegato Ferrarese – per tenere unita la coalizione e quindi per avere quantomeno un candidato presidente che possa tentare di fare una campagna elettorale seria nei confronti del candidato del centrosinistra. In Puglia sta accadendo qualcosa di nuovo per la politica italiana in generale. E quindi – ha concluso – c’è una situazione chiara a tutti e in questo momento si stanno valutando delle possibilità di una separazione consensuale, di questo si tratterebbe, che sicuramente darebbe tranquillità e la possibilità di far partire una coalizione in Puglia e in Italia”.
La rottura si consuma con la dichiarazione di Raffaele Fitto: “Berlusconi vuole regalare la Puglia a Renzi. Ha una grave responsabilità . Vuole regolare i conti interni a Forza Italia con me svendendo questa regione al centrosinistra. Forza Italia per quanto mi riguarda fa parte del passato, c’è la necessità di mettere in campo un progetto credibile che non abbia paura di declinare la parola futuro per il centrodestra”.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
LE PERSONE IN CERCA DI LAVORO SONO 3,3 MILIONI
Falsa partenza per il Jobs Act.
Il contratto a tutele crescenti che di fatto ha cancellato le tutele previste dall’articolo 18 è entrato in vigore lo scorso 7 marzo, ma non è servito a spingere la discesa del tasso di disoccupazione.
Anzi, proprio a marzo i senza lavoro sono tornati a crescere di 0,2 punti percentuali (da febbraio) al 13%.
Lo comunica l’Istat nei dati provvisori, precisando che la risalita arriva dopo i cali registrati a dicembre e a gennaio e la lieve crescita a febbraio.
Si tratta del livello più alto dal novembre scorso (13,2%).
A preoccupare è soprattutto il calo degli occupati: dopo la diminuzione di febbraio, il mese scorso i lavoratori sono diminuiti dello 0,3%, con 59 mila unità in meno rispetto a febbraio, tornando sul livello dello scorso aprile.
Lo comunica l’Istat. Rispetto a marzo 2014, l’occupazione è in calo dello 0,3% con 70 mila unità in meno.
Il tasso di occupazione scende al 55,5%.
E questo nonostante il ministero del Lavoro abbia annunciato che a marzo sono stati registrati 92mila nuovi contratti.
La disoccupazione giovanile a marzo risale oltre il 43%: il tasso segna un aumento di 0,3 punti percentuali a quota 43,1%, dal 42,8% di febbraio; si tratta del livello più alto da agosto scorso.
A marzo le persone in cerca di occupazione sono 3,302 milioni, in aumento dell’1,6% da febbraio.
Nello stesso mese gli occupati sono 22,195 milioni, in calo dello 0,3% su base mensile, stabile a 25,497 milioni la forza lavoro.
In particolare, analizzando la situazione per generi, a marzo il numero di occupati diminuisce rispetto a febbraio sia per la componente maschile (-0,4%) sia, in misura minore, per quella femminile (-0,1%).
Il tasso di occupazione maschile, pari al 64,5%, diminuisce di 0,2 punti percentuali, mentre quello femminile, pari al 46,7%, rimane invariato.
Si ferma il calo del tasso di disoccupazione nell’Eurozona.
Secondo Eurostat a marzo è dell’11,3%, lo stesso dato di febbraio, mentre un anno fa era all’11,7%.
Anche nella Ue a 28 resta al 9,8% (stessa percentuale di febbraio, era al 10,4% 12 mesi prima). Secondo la stima di Eurostat nella Ue-28 a marzo i disoccupati sono 23,748 milioni, di cui 18,105 milioni nella zona euro. Rispetto allo stesso mese del 2014 i senza lavoro sono diminuiti di 1,523 milioni nell’Ue-28 e di 679mila nell’Eurozona.
I tassi di disoccupazione più bassi sono quelli di Germania (4,7%), Gran Bretagna (5,5% a gennaio 2015) e Austria (5,6%).
(da “La Repubblica”)
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
ATTACCHI AL PREMIER CAUDILLO: “SPERO CHE MATTARELLA NON FIRMI”
È con un lungo editoriale nelle pagine interne del “suo” giornale che il direttore del Corriere della
Sera Ferruccio De Bortoli saluta i lettori.
Dodici anni alla guida del Corriere, in cui entrò, giovanissimo praticante, nell’ottobre del ’73. Oggi se ne va, in forte polemica con “gli editori pro tempore”.
“Il Corriere — scrive De Bortoli — non è stato il portavoce di nessuno, tanto meno dei suoi troppi e litigiosi azionisti. Non ha fatto sconti al potere nelle sue varie forme, nemmeno a quello giudiziario. Ha giudicato i governi sui fatti, senza amicizie, pregiudizi o secondi fini. E proprio per questo è stato incisivo e criticato. Chi scrive ha avuto lunghe vicende giudiziarie con gli avvocati di Berlusconi, con D’Alema e tanti altri. Al nostro storico collaboratore Mario Monti — che ebbe, per fortuna dell’Italia, l’incarico dal presidente Napolitano di guidare il governo — non piacquero, per usare un eufemismo, alcuni nostri editoriali. Come a Prodi, del resto, a suo tempo. Pazienza”.
“Del giovane caudillo Renzi, che dire? Un maleducato di talento”, prosegue De Bortoli nel suo editoriale di addio al quotidiano di via Solferino.
“Il Corriere ha appoggiato le sue riforme economiche, utili al Paese, ma ha diffidato fortemente del suo modo di interpretare il potere. Disprezza le istituzioni e mal sopporta le critiche. Personalmente mi auguro che Mattarella non firmi l’Italicum. Una legge sbagliata”.
“Ad alcuni miei, ormai ex, azionisti – scrive ancora De Boroli – sono risultate indigeste talune cronache finanziarie e giudiziarie. A Torino come a Milano. Se ne sono fatti una ragione. Alla Procura di Milano si sono irritati, e non poco, per come abbiamo trattato il caso Bruti-Robledo? Ancora pazienza. L’elenco potrebbe continuare”.
“In questo Paese, di modesta cultura delle regole, l’informazione è considerata da gran parte della classe dirigente un male necessario. Uno dei tanti segni di arretratezza”, scrive ancora De Bortoli, che conclude dicendosi “certo che con la nuova direzione il Corriere sarà ancora più autorevole, forte e innovativo. A tutti i colleghi, al direttore generale Alessandro Bompieri e al suo staff, va la mia gratitudine. Ai lettori, molti dei quali in questi giorni non mi hanno fatto mancare i segni della loro vicinanza, un grande e ideale abbraccio”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
C’È CHI PENSA AL FUTURO E ABBANDONA PIER LUIGI… DALLA CORRENTE SINDACALE DI DAMIANO A BOCCIA CHE SI TRINCERA DIETRO LA “SUA” BASE: GLI ISCRITTI DI BARLETTA HANNO VOLUTO COSàŒ
“Ma Lattuca che fa? Ha votato?”. “Ah, eccolo che sta andando, sarebbe stato un peccato, è un bravo ragazzo”.
Cortile di Montecitorio mentre si vota la fiducia.
Un drappello di renziani è radunato sotto a un gazebo.
Si fuma e si scruta il monitor che riprende l’aula. Lattuca si chiama Enzo ed era il più giovane dei deputati bersaniani.
Il drappello è in ansia per lui e alla fine il mistero si scioglie positivamente per loro.
È una delle tante scene di ieri. Una conta continua.
Per ammazzare i tanti padri della minoranza, in primis Pier Luigi Bersani, ultimo segretario in quota “Ditta”.
È il vero parricidio che si consuma con tanto di documento con 50 presunte firme(nessuno le ha viste) del gruppone di minoranza, Area Riformista.
In compagnia di altri 40 di varia estrazione, lettiana, cuperliana e così via.
Adesso i 90 vanno ad aggiungersi, dentro il recinto del renzismo, ai giovani turchi di matrice bersanian-dalemiana.
Sono i Responsabili di Renzi, che stanno al governo o in segreteria e pensano al seggio del futuro.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
ORA IL GOVERNO È PRONTO A TRATTARE CON BERSANIANI E BERLUSCONIANI SULL’ELETTIVITà€ DEI SENATORI
Maria Elena Boschi quando esce dall’aula di Montecitorio ha un sorriso smagliante. Quei 365 sì alla
fiducia sull’Italicum sono un risultato più che soddisfacente.
“La legge elettorale come pistola per andare alle urne? Ma con questi numeri come si fa a parlare di caduta del governo?”.
Il commento tra i renziani di ogni ordine e grado è unanime. Preoccupazione sulle due fiducie di oggi, sul voto finale segreto alla legge di martedì prossimo o sul futuro del governo? Nessuna.
“Due ex segretari, un ex premier, un ex capogruppo e un ex presidente del partito non sono stati determinanti”, dicevano i fedelissimi. E dunque, sanzioni in vista? Nessuna.
Matteo Renzi poco prima che si iniziasse a votare ha mandato una eNews in cui parlava della riforma della scuola (promettendo modifiche) e della “visione strategica” per i prossimi 20 anni dell’Italia.
Il suo modo per dimostrare che è già oltre. Però, c’è un però, che ostacola le magnifiche sorti progressive del renzismo: in Senato i numeri sono risicatissimi.
E come si fa a governare con la minoranza di un partito che in realtà aspetta solo il momento giusto per far fuori il suo segretario-premier?
La risposta è lì, dietro l’angolo.
Mentre all’ultima riunione del gruppo Pd, Speranza si dimetteva, Luca Lotti ostentava sicurezza. “Non c’è problema”, commentava, parlando con i deputati.
Sicurezza derivante dal Pd? No, da Forza Italia, nella persona di Denis Verdini e i suoi.
“Su 15 senatori di Forza Italia possiamo già contare”, spiegava ieri un deputato renzianissimo. “E poi, dopo le regionali, si spaccano e votano con noi”.
Insomma, per andare avanti Renzi conta su un nuovo Patto del Nazareno.
Se esce qualche voto della minoranza dem, ne entra qualcuno degli azzurri. Perchè lui del Pd non si fida da inizio legislatura.
Lo scoglio più forte sono le riforme costituzionali.
Il Senato deve votare la sua abolizione. I tecnici del ministero delle Riforme, insieme ai costituzionalisti più vicini a Renzi, stanno lavorando a modifiche.
Per andare incontro alla minoranza più dialogante. Ma anche per cedere a una richiesta di Forza Italia. Renzi sarebbe pronto a fare qualche concessione sull’elettività dei senatori.
Non cambiando l’articolo 2 (la Camera l’ha approvato, e dopo la seconda copia conforme non è più modificabile ).
Ma andando a scrivere le leggi attuative, che regolano le elezioni regionali. Ci sono due possibilità : i nuovi senatori verranno eletti con un listino affiancato alle liste per le regionali. Oppure, verranno eletti senatori i consiglieri regionali che ottengono il maggior numero di preferenze. Ipotesi che fino ad ora Renzi aveva respinto.
Ma che, all’occorrenza, potrebbero entrare nella trattativa.
Perchè il segretario-premier a portare a casa le riforme ci tiene davvero: è un tassello da offrire alla pubblica opinione.
Entrato in vigore l’Italicum, abolito il Senato così come lo conosciamo, allora sì che potrebbe andare alle urne. Alla fine del 2016 o all’inizio del 2017. Prima del congresso Pd.
Un modo per battere sul tempo le minoranze, che forse guardano a una scissione, ma non nell’immediato. E cercano di costruire un’alternativa proprio in vista del congresso.
In uno scenario così complesso, l’incidente o l’accelerazione voluta sono sempre possibili: e allora, se il governo cade, come si vota?
Tecnicamente, una legge elettorale non c’è ancora. L’Italicum, una volta approvato, non è valido fino al primo luglio 2016, e comunque non si può usare per il Senato.
Il Consultellum, così com’è non è applicabile. E a Camere sciolte, una legge elettorale per decreto non si può fare.
E allora? Stando anche alle valutazioni preventive del Colle, la strada più semplice sarebbe cancellare la clausola di salvaguardia dell’Italicum e andare a votare alla Camera con la nuova legge e al Senato con un Consultellum rivisto.
Comunque si aprirebbe un rebus su come modificare il Consultellum.
Ma questa soluzione a Renzi non dispiace: con l’8% di sbarramento per i piccoli, i grandi partiti si spartirebbero anche i voti di quelli che non entrano in Parlamento. Secondo i calcoli del premier e dei suoi, un Pd stimato al 40% potrebbe ottenere addirittura un 10% in più.
Tutto da vedere, anche perchè le maggioranze Regione per Regione in genere non regalano una maggioranza chiara.
Tra i pasdaran del renzismo, in molti sono convinti che all’occorrenza si troverebbe il modo di fare un decreto per estendere l’Italicum al Senato.
Peccato che la Costituzione lo nega. Ma c’è sempre un piano di riserva: quello di un governo ad hoc solo per scrivere una legge elettorale.
L’Italicum è una pistola che va caricata. I verdiniani invece sono una certezza, e Forza Italia una buona garanzia.
“Stiamo solo facendo il nostro dovere”, scriveva ieri il premier nella eNews. “Siamo qui per cambiare l’Italia. Non possiamo fermarci alla prima difficoltà ”.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
“LA DITTA SI E’ SQUAGLIATA MOLTO PRIMA DELL’ITALICUM”… GLI ISCRITTI CALANO E SONO SEMPRE PIU’ DIVISI
“La ditta s’è sfasciata, e da un bel po’. A Montecitorio ne ha dato l’annuncio Pier Luigi Bersani, che si era inventato il nome e aveva incarnato quell’idea di partito, fino alle primarie che hanno messo il Pd nelle mani di Matteo Renzi.
Nei territori, invece, ne danno l’annuncio tantissimi militanti.
Dal 2009 al 2014 gli iscritti sono più che dimezzati, passando da 831.042 a 366.641. Anche chi è rimasto, nei giorni dell’Italicum, non si sente tanto bene.
Bologna Festa dell’Unità addio
Il caso più clamoroso è quello del capoluogo emiliano. A Bologna i militanti di diversi circoli minacciano il boicottaggio della Festa dell’Unità domenica, quando sul palco salirà il presidente del Consiglio.
Mirella Signoris è una militante “rossa” di lunga data della sezione Pratello.
“Le condizioni sono tali — dice — che per la prima volta in vita mia potrei disertare la festa. Ma quel che conta è che non riconosco più il mio partito, e con me tantissimi iscritti bolognesi. Non condivido la linea politica e il modo con cui il segretario impone le sue decisioni, dal Jobs Act all’Italicum. Siamo stati trasformati in comitati elettorali.
Il programma non esiste più: è il segretario del partito. Noi cresciuti a sinistra soffriamo profondamente”.
Alberto Aitini è un altro militante, ex coordinatore dei Giovani democratici. Per combattere il drastico calo degli iscritti nei circoli della città , si è inventato una campagna di tesseramento porta a porta.
“Da Roma non ci danno una mano — sorride —, questo clima non contribuisce ad avvicinare al Pd”.
Ha saputo della fiducia sull’Italicum proprio mentre lavorava da volontario in uno dei ristoranti della Festa dell’Unità felsinea. È molto meno critico di altri nei confronti di Renzi (“Il governo ha portato a casa tanti risultati”), ma riconosce che la fiducia sull’Italicum è stata un errore: “Renzi ha sbagliato. E sbaglia ancora di più Bersani: la fiducia non andava messa, ma arrivati a questo punto non ci si poteva rifiutare di votarla”.
Roma Fiducia, prova di debolezza
Daniele Piva, 26 anni, si è iscritto al Pd quando ne aveva 21. Non ha fatto in tempo a frequentare Ds e Margherita: non può essere accusato di avere nostalgia di quello che c’era prima.
Oggi è il segretario del circolo Pd di San Paolo. “La fiducia è stata una forzatura che si poteva evitare — dice — ma la sofferenza non inizia certo oggi. Renzi gode dell’appoggio di una buona parte della base, ma quelli che sono depressi o incazzati sono sempre di più. Tanti se ne sono già andati, altri lo faranno. Non solo e non tanto per l’Italicum. Ci sono state scelte più gravi, come la cacciata di Letta o le scelte sul lavoro”.
Melissa Mongiardo è una giovane consigliera del Comune di Viterbo, delegata dell’Assemblea nazionale del Pd: “La fiducia? La fanno passare come prova di forza. Invece per me quando non ti fidi dei compagni di partito è una prova di estrema debolezza. Renzi ha distrutto il Pd: il calo degli iscritti è mostruoso. Qui sono più o meno un terzo di quelli che c’erano ai tempi di Bersani. Ma anche la minoranza del partito ha dato il suo contributo. Invece di ‘rompere’ sull’Italicum avrebbero dovuto fare battaglia sui temi che definiscono l’identità di sinistra, come immigrazione e lavoro”.
Milano ”I rapporti sono difficili”
“La composizione degli iscritti a Milano è cambiata tantissimo nell’ultimo anno e mezzo: oggi c’è una forte predominanza renziana. E i rapporti interni sono sempre più difficili, da diverso tempo”.
Parla Alessandro Giungi, quarantenne della truppa dei civatiani, consigliere comunale del Partito democratico, iscritto al circolo Caponnetto: “Il malessere c’è, sì, ma da un bel po’. L’Italicum è l’ultimo dei problemi, ci sono questioni politiche che ci dividono molto più della legge elettorale”.
Trapani L’esodo di massa
In Sicilia la situazione è precipitata pochi mesi fa, quando il Pd — per opera del renziano Davide Faraone — ha accolto i cosiddetti “Articolo 4”, un quintetto di deputati ex cuffariani e lombardiani.
Tanti hanno stracciato la tessera allora, come la trapanese Sabrina Rocca: “Gran parte di noi aveva votato un Pd diverso da questo — spiega — e la vittoria di Renzi si è trasformata nella nostra sconfitta. L’Italicum è l’ultimo atto. Alcuni si sono arresi e se ne sono andati, altri provano a resistere”.
Tra questi ultimi c’è il sindacalista Saverio Piccione: “Io resto dentro e faccio le mie battaglie. Il Pd di Renzi è un partito che in questo momento guida la regressione democratica del Paese. Io voglio cambiarlo e per farmi andare via mi devono cacciare”.
Tommaso Rodano
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 30th, 2015 Riccardo Fucile
LA SITUAZIONE E’ GRAVE MA NON E’ SERIA
Ci scrivono molti elettori Pd, soprattutto renziani pentiti: “Perchè nessuno dice e fa niente?”,
“L’avesse fatto Berlusconi, saremmo tutti sotto la Camera e il Quirinale”. C’è la stanchezza che pervade molti alla sola idea di tornare a mobilitarsi, dopo l’illusione che, uscito B. da Palazzo Chigi, tornasse ipso facto la democrazia.
C’è l’incredibile servilismo di stampa e tv, mai così compatte nell’occultare le vergogne del nuovo Capo.
C’è l’impresentabilità degli avversari di Renzi, sua unica vera assicurazione sulla vita: se a contrastare l’Italicum sono la minoranza Pd e FI che l’avevano votato due volte, il bulletto può campare cent’anni.
C’è il silenzio indecente di Mattarella, Grasso e Boldrini alle esequie della democrazia parlamentare.
E c’è il nanismo dei protagonisti di governo e di opposizione: ogni loro parola, anche la più impegnativa e altisonante, diventa subito barzelletta.
Chi può allarmarsi se uno sfigato grida al fascismo?
Chi può credere che Renzi sia come Mussolini?
Sull’Italicum sta facendola stessa cosa del Duce sulla legge Acerbo, ma il pericolo — pure grave — non lo prende sul serio nessuno. E in questa tragicommedia flaianesca (“la situazione è grave ma non seria”), conta anche il linguaggio.
Che, come la storia, è sempre appannaggio dei vincitori.
Prendiamo il verbale datato 22 aprile dei deputati questori inviato alla Boldrini per processare alcuni protagonisti degli scontri alla Camera sul Jobs Act e sulla riforma del Senato.
Una prosa di rara comicità .
Il 24-11-2014 i 5Stelle beccano un pianista forzista, Di Stefano, che vota più volte al posto del collega Gallo. Confessano entrambi, ma promettono di non farlo più.
I questori propongono “una lettera di forte censura” e “auspicano che i gruppi si facciano parte attiva nel contrastare tale fenomeno”, cioè che il cappone si lanci nella padella per il cenone di Natale.
Tarallucci e vino.
L’11-1-2015 inizia la seduta-fiume sulla riforma costituzionale.
Ore 22.35: Grimaldi e Giorgetti (Lega) danno dello “zerbino” a Pizzolante (Ap-Ncd), che risponde: “Speculazioni di bassa Lega”. Battutona. Leghista Molteni: “Coglione”. Rissa leghisti-centristi, anzi “contatto” — scrivono pudichi i questori — seguìto da “scambio di apostrofi”.
Ecco, si son tirati addosso segni di interpunzione e caratteri tipografici: punteggiatura. Ore 23.10: si entra nell’alta strategia militare.
Un manipolo M5S “scende nell’emiciclo in protesta verso la Presidenza. Un cordone di assistenti parlamentari postisi dinanzi ai banchi del governo impediva ai deputati di sopravanzare, ostacolando il tentativo del Vacca di raggiungere la Presidenza aggirando lo schieramento degli assistenti”.
“La Presidente (Boldrini) esclamava: ‘Ritornate ai vostri posti!’… Fischi e ‘Serva! Serva! Serva!’”. Tre volte, non una di meno, non una di più.
I 51 reprobi, individuati dalla prova tv come scanditori del triplice sanguinoso epiteto, saranno processati. Incluso il M5S Sibilia che “si poneva alle spalle della Presidente di turno Sereni e mimava gesti gravemente irriguardosi (incapacità di intendere, ripetutamente, e gesto delle manette)”.
E che dire del “lancio di fogli di carta all’indirizzo della Presidenza”?
Non c’è più religione, signora mia. Il 13-2-2015, ore 0.05, si rischia il golpe alla Tejero. “Dai banchi del gruppo M5S si scandiva ‘Onestà ! Onestà !’”, due volte. Il presidente di turno Giachetti prontamente “espelleva Ruocco, Bonafede e Di Battista (M5S)”.
La Ruocco, uscendo, “sarebbe stata oggetto di gravi offese da parte del deputato Sanna (Pd) che le avrebbe ‘dato più e più volte della donna di strada’ — per non dire altre parole”. Ma Sanna, interrogato, ha “contestualizzato l’episodio: ha utilizzato una locuzione mutuata da un’espressione gergale sarda (‘Zacc’a strada’) che può essere resa in lingua italiana come un invito ad allontanarsi (‘Ti invito ad allontanarti in gran fretta’).
Tale locuzione non assume una connotazione offensiva o sessista”. Ignara delle locuzioni, la Ruocco ha sentito “zoccola”, mentre il Lord Brummel di Iglesias stava solo suggerendole di uscire, cosa che lei peraltro già stava facendo.
Assolto per insufficienza di locuzione.
Intanto però i 5Stelle “continuavano a battere (senza offesa, ndr) ritmicamente sui banchi e a scandire: ‘Onestà ! Onestà !’” e un povero forzista “dichiarava di non riuscire a parlare”. Avessero gridato “Disonestà ! Mazzette! Nipote di Mubarak!” si sarebbe sentito a casa sua, ma la locuzione “Onestà !” suonava davvero offensiva e sessista.
Gran finale, ore 0.30: rissa, pardon “contatto tra i deputati Sel e Pd”. Botte da orbi fra Minnucci (Pd) e Farina (Sel), “caduta della deputata Simoni”, “Airaudo scavalcava alcune file di banchi ponendosi in piedi e inveiva”, espulsione di Mannucci e Airaudo. E intanto i 5Stelle sempre lì a “scandire ritmicamente ‘Onestà ! Onestà !’”.
“Ore 2.50, la Presidente Boldrini, dopo averli invitati a desistere dal predetto comportamento, provvedeva all’espulsione” per onestà reiterata, recidiva e anche molesta.
Ora sono convocati in 67 (quasi tutti M5S, più qualche Sel e un paio di Pd) per discolparsi: “turbativa della libertà di discussione”, “comportamenti ingiuriosi”, soprattutto “contatti”.
Nessun profilo disciplinare invece per l’“aggressione fisica e verbale che avrebbe subìto Marisa Nicchi (Sel) in sala fumatori da Lavagno (Pd)”.
Lei sostiene che lui l’ha menata. Ma lui si dice “frainteso” e “mal interpretato”: voleva solo “richiamarla verbalmente per essersi rivolta in modo poco gentile a una collega”. Così “l’ha toccata su un braccio”, ma solo verbalmente. I questori se la bevono d’un fiato: “l’episodio si colloca nel contesto di scambi fra deputati connotati da una certa tensione in considerazione del clima generale” attizzato da quei cori criminogeni “Onestà ! Onestà !”.
Caso archiviato per sufficienza del contesto.
Se Pd e Sel si prendono a cazzotti, è colpa dei 5Stelle.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 29th, 2015 Riccardo Fucile
BERLUSCONI METTE SUL MERCATO MILAN E MEDIASET PER FARE CASSA: UNA PARTE VERRA’ REINVESTITA IN POLITICA?
Follow the money. Per seguire Berlusconi.
Lo ammette, quasi non volendo, con candida sincerità il commissario pugliese di Forza Italia Luigi Vitali: “Il presidente sta facendo delle valutazioni e mi darà nella tarda serata di oggi o domani le date della sua presenza in Puglia. Purtroppo si è messo di mezzo anche un viaggio in Cina”.
In Cina, per vendere il Milan. Ad Arcore per la grande trattativa su Mediaset.
All’ufficio di presidenza del suo partito, l’ex premier si è collegato per telefono. Nel giorno in cui i suoi urlavano al “fascismo renziano”.
Follow the money, perchè è in atto una gigantesca trattativa sull’Impero delle 4 M: Mediaset, Mediolanum, Milan e Mondadori. Che porterà nelle casse di famiglia, nei prossimi mesi una montagna di soldi, liquidi: “A Berlusconi – sussurra chi lo ha sentito in questi giorni — non frega nulla del partito e delle regionali. Ha cambiato schema. Torna a muoversi come kingmaker economico, poi dall’alto di una smisurata liquidità e di una nuova rete di rapporti, punterà le sue fiches sulla politica al momento opportuno”.
Eccola, la grande trattativa. Che non è sinonimo di addio.
È all’asta il Milan tra Mr Bee e Cinesi. I quali, tra l’altro, e non è un dettaglio, gli hanno già assicurato che resterà “presidente” visto che in Cina è amatissimo e popolarissimo.
Mentre Mediaset è all’asta tra le mire australiane di Murdoch e quelle francesi della Vinendì di Vincent Bollorè.
Per la prima volta la famiglia Berlusconi si prepara a cedere la proprietà del Milan agli stranieri. A chi e a quanto è ciò che si sta definendo in queste ore. In cima alle quotazioni c’è il broker thailandese Bee Taechaubol, volato a Milano in questi giorni per definire l’affare nell’ennesimo faccia a faccia con Silvio Berlusconi ad Arcore.
Si fa sul serio, ha assicurato il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, al termine dell’assemblea di Mediaset: “Quest chi l’è vera”. Tradotto (dal milanese): sì, l’offerta è solida.
Mister Bee è pronto a staccare un assegno da 500 milioni di euro per il 51 per cento della società , potendo contare su un sostegno che va dalla Ads Securities di Abu Dhabi alla China Citic Bank, valutando di fatto i rossoneri circa 1,2 miliardi di euro, se si escludono i 250 milioni di debiti finanziari certificati nel bilancio chiuso qualche giorno fa e che ha visto peraltro un rosso record sul fronte del risultato netto, con un passivo di 91 milioni di euro.
Ed è solida la manovra attorno a Mediaset.
Il 7 per cento messo sul mercato a febbraio, pari a quasi 380 milioni di euro, è stato soltanto l’inizio. Perchè, di fronte al crollo della pubblicità , urgono nuovi soci per Premium: “Siamo al centro dei giochi — dice Pier Silvio Berlusconi – ma noi non siamo venditori, semmai siamo aperti a partnership di minoranza”.
È in questo quadro che il Cavaliere ha incontrato ad Arcore nei giorni scorsi il suo vecchio nemico d’affari, Rupert Murdoch.
Al centro dell’incontro le possibili integrazioni nel settore delle pay-tv. E qui la questione si complica. Perchè Sky non ha intenzione a intavolare l’affare con un ruolo secondario: “Murdoch in minoranza — afferma Confalonieri – non lo vedo nemmeno a giocare a scopa”.
Epperò non è solo Premium l’oggetto della possibile trattativa tra Sky e Mediaset. C’è ad esempio il fardello dei diritti tv della Champions League, che Berlusconi ha soffiato a Sky a carissimo prezzo, 700 milioni di euro per i prossimi tre anni, che da un lato hanno sì valorizzato Mediaset lo scorso anno in vista di cessioni di quote ma dall’altro rischiano di non garantire introiti altrettanto cospicui alle casse dell’azienda.
L’altro soggetto dell’asta che ha in mente Berlusconi sono i francesi di Vivendi.
E non è un caso che sono bastate le indiscrezioni di un possibile interesse che il titolo Mediaset è letteralmente volato negli ultimi giorni. Per ora Pier Silvio Berlusconi ha giocato a sviare l’attenzione, ha pure precisato che “il controllo di Mediaset non è in discussione” e che Berlusconi non mollerà il comando delle sue tv, ma non ha affatto negato che c’è in ballo un affare che potrebbe portare nelle casse di famiglia un miliardo e settecento milioni.
Nello schema bipolare tra prede e predatori ha deciso di collocarsi decisamente tra i secondi Mondadori.
Perchè è vero che la due diligence su Rcs Libri è ancora in corso, ma l’ad Ernesto Mauri ha assicurato che entro il 29 giugno arriverà sicuramente l’offerta di Segrate, in una forchetta tra i 120 e i 150 milioni di euro.
Bruscolini in confronto al miliardo di euro che Silvio Berlusconi dovrebbe incassare, cedendo il 20 per cento di Mediolanum come chiesto dalla Banca d’Italia dopo la perdita dei requisiti di onorabilità seguita alla condanna per frode fiscale.
Follow the money, dunque. Facendo i conti: un disimpegno da Mediaset potrebbe valere fino a 1,7 miliardi di euro, quasi 1,2 miliardi la quota extra di Mediolanum che è pronta ad essere ceduta, 500 milioni quella che dovrebbe arrivare dalla cessione del Milan, che si sommano agli 1,5 miliardi che già oggi sono custoditi nella cassaforte della famiglia Berlusconi portando la cassa quasi a quota 5 miliardi.
È una montagna di soldi quella che spunta nel crepuscolo del berlusconismo: “Può — riflette chi gli sta attorno — uno con una tale montagna di soldi e con una tale rete di interessi considerarsi espulso dalla politica? Che cosa farà Berlusconi, li dividerà tra i figli o inizierà l’era di una nuova crescita aziendale?”.
E ogni nuova fase aziendale, per Berlusconi è intrinsecamente molto politica. Perchè il primo imperativo politico è la difesa dell’interesse.
È da lì che discendono le forme del suo “stare in campo”: “A finanziare un listone di centrodestra per andare al ballottaggio con Renzi ci mette un attimo. Già ha annunciato una rifondazione di Forza Italia come comitato elettorale. Struttura leggera e zero debiti. Poi, anche sulla politica, dopo i saldi la crescita. Si vedrà come e con chi. Salvini non sarà insensibile al discorso”.
Follow the money.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 29th, 2015 Riccardo Fucile
CON BERSANI E LETTA NE RESTANO SOLO 36
Lo spettro del 38 (i parlamentari che non votano la fiducia) si materializza a notte fonda. 
Quando, nella sala Berlinguer della Camera, unico nome che evoca antichi riti unitari, Roberto Speranza replica: “La verità è che se, dopo la lettera che abbiamo mandato a Renzi con ottanta firme, per dire no alla fiducia e tratta, fossimo stati compatti, non saremmo arrivati fino a qui”.
È l’unico accenno polemico di fronte a un fuoco di fila del grosso dei bersaniani di Area riformista.
Dopo quattro ore di riunione, alle due di notte si incrinano rapporti che sembravano inscalfibili, antiche amicizie.
È lì che, di fatto, nasce il documento dei “50 responsabili” per Renzi che sarà reso pubblico in mattinata.
Quello con cui Matteo Mauri, Cesare Damiano, la Campana e altri mettono nero su bianco la decisione di votare sì alla fiducia: “Una scelta politica, non dei singoli”.
Alla base, spiega Mauri, bersaniano doc e uomo forte del Pd milanese si Filippo Penati, c’è la consapevolezza di essere “determinanti”.
Parole dolci rispetto alla linea di “violenza al Parlamento” scandita dall’ex capogruppo.
È un confronto duro, quello nella sala Berlinguer: “Hai sbagliato a dimetterti. E poi hai sbagliato a dire che non avremmo votato la fiducia. Una cosa del genere andava quantomeno discussa, invece hai scelto da solo” dicono i “milanesi” Martina e Mauri, ma anche Damiano e la sottosegretaria al Lavoro Bellanova.
Una trentina, su una cinquantina di presenti, rompono con la Ditta.
Stumpo, Zoggia, Leva e Epifani, tra i big, restano con Bersani. A cui vanno aggiunti, tra gli altri big, Cuperlo, Fassina, D’Attorre, Bindi, Civati, i lettiani come Meloni e Vaccaro oltre allo stesso Letta.
In tutto trentotto, di un’area che, sulla carta, ne contava oltre cento.
Uno di loro dice: “Di fronte all’accelerazione di Renzi, non si poteva rimanere fermi. Perchè l’idea con cui si era partiti era di votare la fiducia e differenziarsi sul voto finale. Però il responso sulle pregiudiziali ha mostrato che Renzi, nello scrutinio segreto, ha preso 389 voti, mentre in quello palese 360. Quindi nel voto segreto aumenta e non votare la fiducia era l’unico sistema per differenziarsi e non morire renziani”.
“La corrente è sciolta” sussurrano i partecipanti dell’una e dell’altra parte.
E nel documento firmato dai 40 bersaniani dialoganti c’è già la nascita di una nuova componente. Come in tutte le separazioni, circolano i veleni.
Su quelli che stanno in segreteria come Amendola, la Campana e il cuperliano (o ex tale) Andrea De Maria.
Un bersaniano rimasto fuori dice: “Ognuno ha aperto una trattativa con Renzi in queste ore, con lui o con Lotti e la Boschi. Si sono fatte le liste”.
In Puglia, con lo smarcamento di Dario Ginefra, Bellanova e Cassano ormai con Bersani, di fatto, non ci sono più parlamentari.
Tra i Lombardi e i Campani pure.
Ed è una frattura destinata ad acuirsi sul voto finale, martedì prossimo, perchè è sottinteso che Speranza&Co voteranno contro.
Mentre tra gli altri è in atto una discussione sul se votare a favore o posizionarsi sull’astensione.
I capannelli in Transatlantico disegnano una nuova geografia del Pd.
Dice Fassina. “I 50 responsabili di Area riformista? Sì, me li aspettavo. La minoranza si definisce sulle posizioni che si prendono nei passaggi salienti della vita parlamentare, il congresso è chiuso: adesso la minoranza è quella che vota in modo diverso”.
Ecco, ora nella minoranza di discute di come preparare gruppi autonomi.
Per ora lo dicono senza tanti giri di parole Fassina, Civati mentre il grosso continua a ripetere “dal Pd non ce ne andiamo. Ma, da oggi, si è aperta una nuova fase.
Per tutti.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »