Giugno 23rd, 2015 Riccardo Fucile
LE PRESUNTE TRUPPE CAMMELLATE ALLA FESTA DELL’UNITA’
«Marino non è in grado di proseguire». Lo dice così, nel suo linguaggio che lascia pochi spazi alle ambiguità , il premier.
Lo dice ai fedelissimi che riunisce prima delle cose «veramente importanti», ossia il vertice sulla Grecia di ieri e quello di giovedì sull’immigrazione.
La lascia cadere in questo modo – il suo modo – e poi con voce pacata ma ferma aggiunge: «Su Roma ci saranno delle sorprese imminenti».
Per farla breve, il preavviso di sfratto a Ignazio Marino è stato dato. Adesso tocca al sindaco raccoglierlo.
«E delle truppe cammellate che si è portato dietro per farsi applaudire a me non importa niente, ma proprio niente», spiega Renzi ai suoi.
E aggiunge. «Notoriamente per essere un bravo sindaco bisogna essere onesto, qualità che Ignazio, a cui voglio molto bene, ha senz’altro. Quello che deve dimostrare e che finora non ha dimostrato è di saper governare una città . Io lo aspetto a questa prova. Lui mi ha sfidato alla festa dell’Unità , vedremo chi la vince».
È un avviso che chiunque, tranne che nel caso di Marino, indurrebbe un sindaco non amato dal partito e dai romani (stando almeno ai sondaggi che arrivano e preoccupano il Pd ) a lasciar perdere. Così non è finora. Ma questa è una delle tante partite che il premier non vuole perdere.
Con il commissario del Pd di Roma, dopo uno scontro pur aspro, si sono lasciati con una promessa che per l’inquilino di Palazzo Chigi è come un parola data.
Cioè incancellabile: «Cerca di farlo andare via tu con le buone».
Roma, l’Italia, il Pd in genere, non si può permettere di cadere in mezzo al guado, spiega un renziano di stretta osservanza, con un Marino che si fa applaudire da «truppe cammellate» e un «elettorato libero» che si sparpaglia e vota, per disperazione, «un grillino come Di Battista» o una coalizione di centrodestra che si cela dietro una lista civica con Marchini ».
Insomma «è una situazione a cui dobbiamo porre rimedio».
Più importante della «riforma della scuola», dove ormai «la fiducia è sicura», più importante ddl Boschi sul bicameralismo «su cui stiamo lavorando con le minoranze ma anche con gli altri per trovare un testo il più condiviso possibile».
Non è «una questione di principio» per il premier: «Stiamo accelerando su tutto, perchè siamo tornati alle origini, a quello per cui la gente ci votava».
Marino però resiste. Ma di fronte a sè ha una ruspa. Di quelle vere. Non di quelle evocate nei comizi di Matteo Salvini.
Renzi è determinato, sicuro e, soprattutto, ha sempre in mente lo stesso obiettivo: «Io ho scommesso tutta la mia esperienza politica sul tema del coraggio, è ovvio che trovo questo momento molto difficile, ma è altrettanto ovvio che lo trovi molto esaltante». Ora a farne le spese sarà Marino.
E non solo perchè i report che arrivano al Nazareno sono tutti negativi. Ma anche perchè il sindaco ha cercato di sganciarsi da quel Pd che gli ha consentito di arrivare in Campidoglio.
Prima bussando alla porta grillina, che ha trovato inesorabilmente sprangata. E ora facendo «toc toc» a quella di Sel, che dopo le intercettazioni che riguardano il vice sindaco Luigi Nieri, si trova in grande imbarazzo.
Da quell’orecchio Renzi non ci vuole proprio sentire: «Nessun accomodamento, niente che sembri che noi abbiamo paura degli elettori».
Per farla breve, Marino dovrà passare per la cruna dell’ago renziano: «A un certo punto, bisogna avere il coraggio di presentarsi a viso aperto agli elettori».
Peccato che non sarà Marino a fare questa esperienza.
All’attuale sindaco il premier lascia solo due strade: o si commissaria il Comune, non per mafia, ma per corruzione o si dimette. Ed è chiaro che è la seconda soluzione quella che viene indicata a Marino come la via di scampo.
Per consentire al premier di accorpare l’elezione di Roma con le altre che si terranno la primavera prossima a Milano, Torino, Bologna e Napoli.
E il candidato, è ovvio, non sarà Marino.
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 23rd, 2015 Riccardo Fucile
TAX FREEDOM DAY: LA SCHIAVITU’ DURATA BEN 173 GIORNI… A NAPOLI E BOLOGNA IL RECORD DI TRIBUTI LOCALI
Liberi, finalmente liberi. Oggi termina la nostra schiavitù fiscale. 
Da ora potremo cominciare a lavorare solo per noi e non più per pagare le imposte, le tasse e i contributi.
Il Tax Freedom Day arriva dopo 173 lunghe, interminabili giornate dedicate interamente alle necessità dello Stato, dell’Inps e degli enti locali.
Il calcolo del giorno di liberazione fiscale è stato fatto da Corriere Economia a inizio anno e, visto che il gran giorno è arrivato, è bene riprenderlo in considerazione.
Per tirare le somme e festeggiare. Ricordiamo che il contribuente preso a modello per calcolare quante tasse paga effettivamente sui redditi, sulle e proprietà e sui consumi è un quadro con un reddito di 49.228 euro.
Il 23 giugno è la data più lontana a cui è giunto finora il Tax Freedom Day: dal 2011 il Fisco vorace si è mangiato più di una settimana della nostra vita, dato che la liberazione prima della manovra del governo Monti arrivava già , si fa per dire, il 14 giugno.
Speriamo che questa progressione si fermi o rischieremo di passare, ben presto, le Colonne d’Ercole del 30 giugno.
Il che vorrebbe dire lavorare più per l’Erario che per noi.
A inizio anno avevamo anche calcolato il giorno di liberazione fiscale anche di un contribuente con un redito di 24.656 euro che, grazie al cielo, ha già smesso di lavorare per pagare le tasse il 13 maggio.
In quest’inizio d’anno non sono state introdotte modifiche al sistema tributario e, quindi, è presumibile che davvero da qui a fine 2015 riusciremo a portarci a casa tutti i nostri guadagni, senza che il Fisco ce li sottragga con uno dei suoi soliti blitz.
Ma non è detto, visti i buchi che alcune sentenze hanno aperto nei conti pubblici e il complicarsi della situazione sui mercati finanziari a causa dell’incertezza legata alla sorte della Grecia.
Per ora l’unica pesante incognita riguarda i comuni.
E non tanto per le osteggiate Tasi e Imu, per le quali è stato introdotto un tetto, ma per le addizionali all’Irpef.
Per il 2015, infatti, i Comuni possono portare l’aliquota allo 0,8%. E le Regioni hanno la possibilità di innalzare l’aliquota massima al 3,3% contro il 2,3% dell’anno scorso (con un incremento del 43%). nel 2013 il prelievo non poteva superare l’1,73%: in due anni la possibilità per le Regioni di inasprire l’addizionale regionale è quasi raddoppiata
Questo è il paese del sole, del mare… e delle tasse.
La tentazione di fare un’aggiunta al testo di una delle più celebri canzoni dedicate a Napoli viene spontanea guardando all’analisi condotta dalla Cgia di Mestre sul peso delle imposte locali sui contribuenti.
Nei tre profili di imponibile prescelti (25, 50 e 90 mila annui) il capoluogo campano ha il poco invidiabile primato del prelievo tributario più elevato sia per il reddito più basso sia per quello più alto, mentre nella categoria intermedia viene superato solo di poco da Bologna e Genova. Uno stipendio da 25mila euro lordi guadagnato da un capofamiglia con coniuge e figlio a carico paga su tutto il territorio nazionale 2.298 euro di contributi previdenziali e 2.900 euro di Irpef, ma il peso dei quattro tributi locali, due direttamente commisurati al reddito (le addizionali regionale e comunale) e due invece legati alle caratteristiche dell’abitazione (Tasi e Tari) varia molto da città a città : considerando i capoluoghi regionali, a Napoli il costo dei quattro balzelli è complessivamente di 1.265 euro, ad Aosta ne bastano 600 in meno.
Lo stesso confronto su una retribuzione lorda di 50 mila euro dice che a Bologna i tributi locali costano 2.315 euro all’anno mentre ad Aosta sono sufficienti 1.090 euro.
Infine su un reddito da 90 mila euro il contribuente partenopeo non solo vede falcidiato lo stipendio lordo di 36.849 euro tra Irpef statale e Inps, ma ne deve spendere altri 3.220 per il federalismo fiscale, invece i fortunati valligiani se la cavano con 1.636 euro.
Venendo allo specifico dei tributi, per tutti e tre i profili, le addizionali Irpef più elevate si pagano a Napoli e quelle più ridotte ad Aosta.
Per un reddito da 25 mila euro nel capoluogo campano si spendono 665 euro di cui 461 per l’Irpef regionale, su 50mila euro il prelievo sale 1.322 euro, 921 destinati alla regione, e infine su 90mila il costo complessivo è di 2.343 euro, con 1.645 euro incassati dalla Campania.
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 23rd, 2015 Riccardo Fucile
IN ITALIA SERVONO DUE MESI E ALMENO 8.437 EURO… IN FRANCIA 14 GIORNI E SI RISPARMIANO 700 EURO
La burocrazia ha lo straordinario potere di farti sentire stupido.
Per quanto uno stia attento si dimentica sempre qualcosa, e le grane arrivano puntuali. Come quella capitata a Giovanni Vivarelli, imprenditore genovese sessantenne da sempre attivo nel settore della ristorazione: «Stavamo mettendo a posto il nuovo locale. Un giorno arrivano gli ispettori del lavoro e ci chiedono il piano di sicurezza e coordinamento».
Il piano è previsto per legge, e ha senso nei grandi cantieri.
«Il nostro era un cantiere piccolo: abbiamo verniciato i muri, posato il parquet, rifatto i bagni e poco più. La ditta che ha eseguito i lavori aveva tutti i dipendenti in regola. Ma niente da fare, mancava quel piano: la sanzione ci è costata più di 2000 euro».
Per aprire il ristorante di cui è comproprietario insieme al figlio Daniele, Vivarelli ha attraversato una landa di gabelle da pagare e carte da consegnare ogni volta a uno sportello diverso.
Un cammino lungo due mesi. Si comincia con il notaio per la costituzione della società : nel caso di Vivarelli e figlio è una Sas, più spesso è una Snc, il costo del notaio è grossomodo lo stesso, attorno ai 1500 euro.
Dopo essersi registrata alla Camera di commercio, all’Inps e all’Inail, e avere firmato il contratto di acquisto o di affitto del locale, la nuova società presenta il progetto al Comune.
«Per fortuna – dice Vivarelli – il nostro non è in zona 1», quella cioè che a Genova coincide con il centro storico e con il fronte mare e che richiede opere aggiuntive, come ad esempio l’insonorizzazione delle pareti, una seconda toilette e un apposito spazio interno per la raccolta differenziata.
Comincia poi la trafila dei corsi di formazione, quello per il certificato Haccp, che dimostra il rispetto delle leggi di igiene ambientale, e quello per la prevenzione, protezione e il pronto soccorso: il primo obbligatorio per titolare e dipendenti, il secondo solo per il titolare, entrambi a pagamento. Fin qui niente di sconvolgente.
Le assurdità cominciano con l’iscrizione al Conai, Consorzio nazionale imballaggi, cui ogni titolare di ristorante o bar deve versare un obolo di 5,16 euro.
Se il ristorante o bar, come è ovvio, vende alcolici deve comunicarlo all’Agenzia delle dogane, su carta con marca da bollo da 16 euro, anche se lo ha già comunicato al Comune quando ha presentato il progetto per l’autorizzazione.
Per pagare la tassa sui rifiuti il barista-ristoratore deve iscriversi all’Amiu anche se la tassa sui rifiuti è di competenza del Comune che già possiede tutti i dati del nuovo locale.
Se il ristorante ha un’insegna, questa in molti casi deve essere autorizzata dalla Sovrintendenza, essendo molti palazzi sotto vincolo, e in ogni caso deve essere autorizzata dal Comune, che poi pretende un canone annuo di 90 euro.
Se il bar ha un calciobalilla, un flipper o un biliardo, deve versare all’Agenzia delle dogane, rispettivamente, 600, 1000 o 3800 euro l’anno.
A NIZZA BASTANO DUE SETTIMANE
Questa matassa fiscale che in Italia per essere sbrogliata richiede due mesi di pazienza e più di 8 mila euro di spese, nella vicina Francia costa meno in termini di denaro e molto meno in termini di tempo. «In due settimane abbiamo fatto tutto», dice Fabio Gnech, imprenditore cuneese quarantenne titolare di un ristorante nella centralissima place Massèna, a Nizza.
La base è identica: si costituisce una società , si presenta il progetto al Comune, si affida a un commercialista la gestione della contabilità .
Delle altre tasse, però, in Francia non c’è traccia: la domanda al Comune per i dèhors è gratis, quella per l’insegna pure, flipper e calcetti sono esentasse e i corsi di formazione, oltre ad essere facoltativi, li paga lo Stato.
«L’unica vera preoccupazione – dice Gnech – è il contratto. In Francia l’affitto ha durata illimitata, sempre che l’affittuario paghi regolarmente».
In Italia invece il proprietario del locale, dopo sei anni, può cambiare idea e recedere. «Questo lega i gestori dei locali, gli impedisce di fare grandi investimenti».
In Francia, spiega Gnech, il contratto d’affitto può durare tutta la vita e proprio per questo, prima di firmarlo, viene studiato e discusso in ogni sua virgola.
«Di norma ci si rivolge a un avvocato, cosa che abbiamo fatto io e miei due soci». Con l’aiuto dell’avvocato, sono riusciti ad aggiungere un paio di clausole a loro favore, compresa una riduzione della rata mensile nei primi tre anni.
Tolta questa consulenza legale, costata a Gnech e soci 2000 euro di parcella, il resto è stata una passeggiata.
In Francia le pratiche sono talmente semplici che uno, anche se inesperto, può sbrigarsele da sè.
Prendiamo i dehors: in Italia il progetto deve essere depositato in Comune con un versamento di 400 euro che il Comune giustifica come contributo alle spese della conferenza dei servizi, ossia al gruppo di funzionari comunali che devono valutare quel progetto.
«In Francia niente di tutto ciò, per carità . Basta – dice Gnech – indicare il numero, i modelli e il materiale con cui sono fatti tavolini, sedie e eventuali ombrelloni del dehor. Il Comune valuta in base all’estetica, ad esempio vieta le sedie in plastica o quelle sponsorizzate. E non c’è nessun versamento».
Il ristorante di Gnech è al piano terra di un palazzo vincolato dalle Belle arti cui anche qui, come in Italia, va chiesto il permesso per poter affiggere una o più insegne.
La differenza è che il permesso è gratis, e non esiste alcun canone comunale da pagare ogni anno per il solo fatto di avere un’insegna.
Anche in Francia bisogna versare una tassa annuale alla Spaem, equivalente della Siae, che però è pari a un sesto della tassa italiana, 50 euro anzichè 300.
I corsi di formazione per ottenere il certificato Haccp sono facoltativi, «l’importante – spiega Gnech – è che il locale sia a norma, che usi in modo corretto le celle
Francesco Margiocco
(da “il Secolo XIX”)
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Giugno 23rd, 2015 Riccardo Fucile
PERQUISIZIONI IN REGIONE A CAMPOBASSO
Arrestato con l’accusa di truffa aggravata e frode fiscale. Massimiliano Scarabeo (Pd), assessore
regionale alle Attività produttive del Molise, è finito ai domiciliari questa mattina nell’ambito di un’operazione della Guardia di Finanza nelle province di Campobasso e Isernia. Con lui ai domiciliari anche il fratello Gabriele.
All’operazione partecipano una ventina di finanzieri che stanno eseguendo perquisizioni in abitazioni private, aziende e uffici pubblici, comprese le sedi della Regione a Campobasso.
Scarabeo fa parte della giunta di centrosinistra del presidente Paolo Frattura, eletto nel 2013 con la formazione civica “Unione per il Molise”, che ha battuto Michele Iorio, ex governatore della regione coinvolto in diverse vicende giudiziarie.
Nel 2010 una sentenza del Tar aveva messo fine prematuramente al suo terzo mandato.
Il tribunale amministrativo aveva infatti accolto la contestazione del centrosinistra che denunciava decine di firme false apposte a sostegno della lista del centro destra.
Quindi i molisani erano tornati al voto nel 2013.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 23rd, 2015 Riccardo Fucile
INCHIESTA GIUDIZIARIA SUL REPARTO DI MEDICINA LEGALE
L’inchiesta giudiziaria che ha travolto il reparto di medicina legale dell’Asl sta provocando ora, di conseguenza, anche una situazione a rischio salute pubblica nelle camere mortuarie, realizzate ex novo, dell’ospedale Saint Charles.
L’unico custode è in ferie, “obbligate”, da qualche giorno per essere finito nel registro degli indagati e nonostante l’intervento del dirigente medico Gian Paolo Pagliari che ha dato nuove disposizioni per far funzionare il settore, le camere mortuarie sono divenute terra di nessuno.
Ieri, ad esempio, la salma di una donna, non identificata , era stata lasciata su un lettino, porta aperta, visibile a tutti.
Fuori dalle camere mortuarie i parenti di altri defunti hanno atteso per lungo tempo che arrivasse un responsabile del settore per chiedere informazioni, ma nessuno si è presentato.
E tra chi protestava anche un pensionato, furente, perchè la moglie mancata da qualche ora, era stata abbandonata sopra un lettino, lenzuola sporche.
E le altre lenzuola utilizzate per coprire le salme non sono state rimosse da giorni dal locale ripostiglio.
La conferma? Si sono talmente accumulate da fuoriuscire dal cesto porta biancheria e sono accatastate per terra.
Ripostiglio che denota chiaramente i segni dell’incuria e dell’abbandono: decine di sacchetti di plastica gettati a terra come la carta che riveste le confezioni delle medicine o contenitori di plastica vuoti sparsi ovunque.
In un altro locale, anche questo accessibile a tutti, le lenzuola che coprono le salme sono state raggruppate a mucchio sopra un lettino, avvolte intorno ad una bottiglia di plastica.
«Un’indecenza — tuonano seccati i parenti dei defunti — nessun rispetto per i morti». Eppure le disposizioni del dirigente medico sono chiare.
«L’apertura e la chiusura della camera mortuaria — si legge nel documento inviato anche alla direzione sanitaria di Sanremo — dovranno essere effettuate dal personale socio sanitario in servizio psichiatrico e del punto di primo intervento. Il personale di reparto provvederà al trasporto della salma presso la camera mortuaria utilizzando i propri dipendenti socio sanitari o chiedendo, ove si renda necessario, la collaborazione di colleghi di altri reparti».
«Per quanto riguarda la gestione delle camere mortuarie – fa sapere la direzione dell’Asl – si ricorda che a causa dei noti provvedimenti adottati a seguito dell’indagine investigativa in corso, l’Azienda ha preso provvedimenti di emergenza che potrebbero comportare anche momentanei disagi. Peraltro la camera ardente si presenta pulita e in ordine mentre il deposito di servizio, non aperto pertanto al pubblico, si trovava effettivamente ancora da riordinare. E’ evidente che, pur nelle ricordate difficoltà , continueremo a monitorare la situazione al fine di assicurare un adeguato servizio ai famigliari dei defunti».
Loredana Demer
(da “il Secolo XIX”)
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