Giugno 29th, 2015 Riccardo Fucile
“NON BARATTO LA LEGALITA’ PER UNA POLTRONA”… IL SEGRETARIO RENZIANO SOTTO ACCUSA
Non si farà rosolare a fuoco lento, non rimarrà incollato alla poltrona. 
Come sta facendo Ignazio Marino, sussurra qualche maligno.
Ma soprattutto come ha fatto Roberto Cota, rimasto appeso per quattro anni alla sentenza definitiva sulle firme false che alla fine decretò l’annullamento delle elezioni. Sergio Chiamparino non ci sta.
Non vuole che ci sia nemmeno un’ombra che macchi una carriera specchiata.
Per cui, se il 9 luglio il Tar si pronuncerà a favore del ricorso presentato dalla Lega, trarrà le sue conclusioni e si dimetterà .
Sono ore drammatiche per il partito in Piemonte. “Quando entri nella sede del partito c’è un clima terribile, tutti che strisciano lungo i muri, che si guardano di sottecchi”, racconta con la voce grave un parlamentare sabaudo.
Perchè è la filiera Democratica regionale che viene pesantemente messa sotto accusa dal presidente. Un modo di dire “io non c’entro nulla con voi, non pago con la mia reputazione vostri errori”.
I sostenitori del “Chiampa”, come viene affettuosamente chiamato dai suoi attaccano a testa bassa: “Se devi raccogliere le firme devi farlo bene, non puoi farlo in maniera approssimativa”.
E ancora: “Si deve ribadire la differenza e l’estraneità di Sergio da un sistema politico che dimostra una così incredibile superficialità “.
A Torino e dintorni è iniziata da settimane quella che viene definita “Rimbalzopoli”. Viene messa sotto accusa la segreteria regionale, che scarica il barile su quella provinciale, che mette sotto accusa i certificatori, che attaccano i responsabili della raccolta firme.
Una girandola di veleni e maldicenze che è arrivata a colpire perfino i semplici dipendenti del partito.
Tecnicamente la faccenda è complicata. Ma è riassumibile così: chi doveva autenticare le firme delle liste non era presente al momento di farlo.
Tanto che alcuni sottoscrittori hanno detto di non riconoscere i pubblici ufficiali che dovevano essere presenti al momento dell’autografo, e alcuni dei pubblici ufficiali stessi hanno spiegato candidamente che le firme apposte sotto alcuni moduli non erano le loro.
Il Tar può seguire quattro strade: respingere il ricorso; rinviare tutto all’autunno per ulteriori approfondimenti; accogliere le osservazioni ma attendere l’evolversi del procedimento penale prima di esprimersi; accogliere il ricorso.
In questi ultimi due casi Chiamparino ha annunciato con chiarezza che mollerà . Nonostante il pressing che arriva da Roma.
Il vicesegretario Lorenzo Guerini da giorni ripete che tutto il partito è con lui e che sulla faccenda delle dimissioni deve ripensarci.
E, dietro di lui, anche Matteo Renzi è in costante pressing.
Spiega un deputato a lui vicino: “Piuttosto che perdere il Piemonte, fossi in lui, mi taglierei una mano. Se rivinci hai fatto il tuo, se perdi, o se vinci con meno dell’ultima volta con percentuali superiori al 60%, ti si apre un problema enorme”.
Eppure da quell’orecchio l’ex sindaco di Torino non ci sente.
L’ultima risposta “all’amico Guerini” è arrivata oggi. Ed è perentoria: “Non credo che i nostri elettori, e nemmeno in generale tutti i piemontesi, siano d’accordo nel vedermi ripetere quanto ha fatto Roberto Cota, che ha anteposto l’attaccamento alla poltrona alla legalità e alla certezza dell’azione di governo”.
Il partito è sotto shock, “dominato dalle correnti e dai capibastone”.
Due anni fa sarebbe bastato che il gruppo consiliare uscente certificasse le liste, e il pasticcio si sarebbe evitato.
Ma, spiegano, il timore era quello che, essendo stato il Consiglio di Cota annullato, si potesse prestare il fianco a ricorsi.
E quando si paventò l’ipotesi di far certificare il faldone ai gruppi nazionali, subentrò l’orgoglio del campanile.
Un orgoglio che oggi rischia di costare carissimo. Da Torino spiegano che il pressing di Renzi è forte anche in considerazione che il vertice apicale del partito, il segretario regionale Davide Gariglio, è un renziano di ferro della prima ora, considerato vicino al potente senatore Stefano Lepri.
E quell’accusa di “superficialità ” che arriva direttamente dalle stanze della presidenza rischia di terremotare uno dei pochi sistemi regionali che si avviavano a marcare la discontinuità nei confronti della Ditta di bersaniana memoria.
Ma il segretario è finito nell’occhio del ciclone. I suoi detrattori lo accusano di essere stato indirettamente la causa del pasticcio, avendo fatto pressioni per infilare nel listino del presidente un suo uomo, il tesoriere regionale Domenico Mangone, nonostante le contrarietà dell’allora candidato Chiamparino, e convincendosi solo all’ultimo di virare su una donna, Valentina Caputo.
Portando avanti il tira e molla fino a tre giorni prima della presentazione delle liste, provocando così quella corsa forsennata le cui conseguenze oggi sono sotto gli occhi di tutti.
Il segretario provinciale Fabrizio Morri ha candidamente spiegato che i tempi così esigui furono dovuti a “un problema politico, non roganizzativo”
Lo stesso Mangone è stato uno dei quattro membri di una commissione interna al partito, incaricata di fare luce su quel che era successo.
Una relazione, spiega uno degli interessati, che conteneva “la consapevolezza che quella documentazione era raffazzonata, e che lo era per una precisa responsabilità politica”.
Così, mentre Renzi lavora per scongiurare un’altro patatrac dopo l’imbarazzante vicenda di Vincenzo De Luca e il clima da fine impero che si respira a Roma, e i renziani tentano in tutti i modi di arginare una slavina che li travolgerebbe, sono i Giovani Turchi a schierarsi compattamente attorno al presidente, difendendo quella che ritengono “una scelta di grande integrità morale e politica”.
“La penso come Chiamparino”, ha fatto sapere il senatore Stefano Esposito.
Chi, fino a un mese fa, giurava che il rischio elezioni era un’ipotesi irreale, oggi si è spostato su una posizione di 50 e 50. Non subito, però.
Perchè, dal momento dell’addio, la legge prescrive che la Regione debba tornare al voto entro tre mesi.
Uno scenario troppo esasperato anche per i difensori di Chiamparino.
Così la strategia dovrebbe essere quella, in caso di cattive notizie dal Tar, di annunciare le dimissioni per il prossimo gennaio-febbraio, in modo da consentire un’unica tornata amministrativa insieme al capoluogo.
Anche perchè un abbandono immediato pregiudicherebbe lo sblocco della prima trance dei fondi europei, il cui piano regionale è in drittura d’arrivo.
Che significherebbe il blocco, tra le altre cose, della formazione professionale e il rinvio sine die di una lunga serie di incentivi alle imprese.
I piani del presidente sembrano comunque chiari: ricandidarsi, chiedendo di fatto di svolgere, anche se informalmente, il ruolo di commissario del partito.
Il che equivale a niente condizionamenti su candidature, listino e giunta, niente influenza dei capibastone e, ovviamente, niente pasticci sulla compilazione delle liste. Una piattaforma che, unita alla messa in sicurezza dei conti della Regione e all’avvio della razionalizzazione del piano sanitario, gli consentirebbero di ripresentarsi ai piemontesi con un accresciuto patrimonio di credibilità personale e ottime chance di vincere di nuovo.
Il contrario di quel che pensano i renziani: “Se lo fa, e rimane a bagnomaria fin dopo Natale, la sua amministrazione è delegittimata, e lui è politicamente finito, e dovrà assumersene le sue responsabilità “.
“Rimbalzopoli” e il “clima terribile” continuano a imperversare.
E lo faranno per lo meno fino al 9 luglio.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 29th, 2015 Riccardo Fucile
ALTRA GRANA PER LA MAGGIORANZA: L’ACCUSA E’ CORRUZIONE ELETTORALE
Tre anni di reclusione. Questa la richiesta di condanna in abbreviato che il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Elio Romano ha formulato nei confronti del senatore Pietro Aiello, accusato di corruzione elettorale.
Lo stesso pm ha poi chiesto il rinvio a giudizio per Giovanni Scaramuzzino, avvocato di Lamezia Terme accusato anch’egli di corruzione elettorale, ma con l’aggravante del metodo mafioso.
L’episodio contestato ai due imputati nasce nell’ambito dell’indagine “Perseo” dalle testimonianze dei collaboratori di giustizia Giuseppe Giampà , reggente dell’omonima cosca, e Saverio Cappello.
Il senatore, con l’aiuto del legale, avrebbe chiesto appoggio elettorale per le regionali del 2010, inquinando così il voto, in cui ottenne 10mila preferenze.
In cambio del sostegno elettorale dei Giampà l’ex consigliere regionale si sarebbe dovuto mettere “a disposizione” della cosca favorendola nell’affidamento degli appalti e la fornitura di materiale.
La decisione del gup è prevista per il 26 ottobre.
Si tratta di una nuova grana per la maggioranza che proviene da Ncd, dopo le note vicende dei senatori Azzollini, Bilardi e Castiglione.
Se Giuseppe Castiglione, sottosegretario all’Agricoltura coinvolto nell’inchiesta di Mafia capitale – e in particolare nelle indagini sul Centro di accoglienza siciliano di Mineo – è stato salvato dal voto del Senato, che ha respinto la mozione di sfiducia presentata da M5S, è ancora in discussione in Giunta per le immunità la posizione di Antonio Azzollini, che rischia l’arresto per il crac della clinica Divina Provvidenza.
Su Luigi Bilardi pende una richiesta d’arresto, invece, per una vicenda di rimborsi elettorali e presunte spese pazze.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 29th, 2015 Riccardo Fucile
E’ STATO IL PRIMO A INTERVENIRE, MA E’ STATO TRASCINATO VIA DALLA CORRENTE…ERA UN GIOVANE OPERAIO DI 31 ANNI
È morto nella notte all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo l’immigrato cingalese, operaio di
31 anni, che domenica pomeriggio ha salvato una ragazza che annaspava nell’Adda, dopo un tuffo.
Le condizioni dell’operaio erano subito sembrate gravi: dopo essere stato recuperato dai vigili del fuoco e dai sommozzatori della zona, non reagiva più ad alcuno stimolo, privo di conoscenza.
Intubato, era stato trasportato in elicottero, d’urgenza, all’ospedale di Bergamo: ma per i medici non c’è stato nulla da fare, il cingalese è morto nella notte.
L’operaio, originario dello Sri Lanka, era originario di Liscate, nel Milanese.
Sembra che l’operaio conoscesse la ragazza che si trovava in acqua, in difficoltà . Sarebbe stato lui, tra i bagnanti che stavano prendendo il sole, a organizzare per primo la catena umana che ha permesso di recuperare la donna e di riportarla a riva.
Ma a causa della forte corrente l’uomo è scivolato, finendo poi sott’acqua.
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 29th, 2015 Riccardo Fucile
UN CAMPANO A NEW YORK CHE DIVENNE UN MITO DEL RISCATTO DEL NOSTRO PAESE
Prima di Rudy Giuliani, prima ancora di Frank Serpico, c’era Joseph Petrosino, il mitico poliziotto anti mafia che cambiò l’immagine degli italo-americani a New York. Ora un nuovo libro, scritto da Paul Moses e intitolato «An Unlikely Union», celebra la sua figura come la più influente per ricostruire il rapporto fra irlandesi e italiani all’inizio del secolo
Un campano a New York
Petrosino era nato in Campania, era emigrato a New York, e lavorava come scaricatore di porto.
Facendo l’informatore contro il racket della «Black Hand», era riuscito a guadagnarsi un posto da agente.
All’epoca la polizia di New York era dominata dagli irlandesi, che consideravano i colleghi italiani «inutili», come titolò il giornale «Brooklyn Eagle», perchè automaticamente venduti alla mafia.
Joseph però si rimboccò le maniche, fu promosso detective, e nel primo anno di servizio in questa posizione fece 98 arresti, diventando un mito.
Nel 1904 il dipartimento di Polizia decise di creare una speciale unità anti mafia, ma su 8.151 agenti solo 17 erano italiani, e quindi pochissimi parlavano la lingua necessaria ad infiltrare Cosa Nostra.
L’unità speciale
Petrosino ottenne il comando dell’unità , e per non farsi scoprire la insediò in un appartamento anonimo di Waverly Place, fingendo che fosse una impresa di costruzioni.
Il trucco funzionò così bene, che i vicini chiamarono la polizia per avvertirla dell’attività condotta nel loro edificio da muratori italiani sospettati di appartenere alla mafia, e un gruppo di agenti che non sapeva della missione segreta affidata a Petrosino fece un raid nel suo ufficio, che non finì a pistolettate solo perchè Joe tirò fuori in tempo il suo distintivo di detective.
Era diventato così bravo che nel 1909 il capo della polizia lo mandò in Italia per una operazione segreta: doveva scoprire le radici criminali di alcuni boss emigrati negli Usa, per poi cacciarli.
Il capo della polizia però non resistette alla tentazione di rivelare la missione di Petrosino, la mafia lo seppe, e lo ammazzò a Palermo.
Ora viene da chiedersi se fu solo un errore o un tradimento.
Paolo Mastrolilli
(da “La Stampa“)
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Giugno 29th, 2015 Riccardo Fucile
“NON POSSO BIASIMARLO PER AVER RIMESSO LA QUESTIONE NELLE MANI DEGLI ELETTORI”
Un attacco ai governi Ue e l’appoggio ad Alexis Tsipras. 
È un’analisi filo ellenica quella tracciata dall’economista Paul Krugman sulle pagine del New York Times, pubblicata in Italia da Repubblica.
Krugman condivide la scelta del leader di Syriza di lanciare un referendum popolare sulle proposte dei creditori.
“La sua scelta — spiega l’economista — produrrà certo grande preoccupazione e numerose dichiarazioni sul suo scarso senso di responsabilità , ma in realtà egli sta facendo la cosa giusta, e per due motivi. Per cominciare una vittoria del referendum rafforzerà il governo, conferendogli una legittimità democratica — cosa che in Europa credo conti ancora (e se non contasse occorre saperlo)”.
“In secondo luogo — continua Krugman — Syriza si è trovato sino ad oggi, politicamente parlando, in una posizione maldestra, con gli elettori furiosi a causa delle crescenti richieste di austerità ma al tempo stesso riluttanti ad abbandonare l’euro. Conciliare queste due tendenze è sempre difficile, e lo è a maggior ragione. Il referendum di fatto chiederà agli elettori di stabilire le proprie priorità , e di conferire a Tsipras il mandato per fare ciò che deve nel caso in cui la troika lo porti a un gesto estremo”.
Non manca un esplicito attacco ai governi europei: “Ritengo — scrive Krugman — che a spingerlo sino a questo punto sia stato, da parte dei governi e degli istituti di credito, un atto di mostruosa follia. Eppure lo hanno fatto, e non posso assolutamente biasimare Tsipras per aver rimesso la questione nelle mani degli elettori anzichè voltar loro le spalle”.
“Ho l’impressione — sottolinea poi l’economista statunitense — che la troika (credo sia ora di smettere di fingere che qualcosa sia cambiato, e tornare a chiamarla con il vecchio nome) si aspettasse, o quanto meno si augurasse, che nel caso della Grecia la storia si sarebbe ripetuta o Tsipras avrebbe preso come al solito le distanze dalla maggior parte della propria coalizione, trovandosi probabilmente obbligato a stringere un’alleanza con il centro destra, o il governo Syriza sarebbe caduto. Cosa che infatti potrebbe ancora accadere”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 29th, 2015 Riccardo Fucile
NON E’ TUTTO ORO QUELLO CHE VIENE FATTO LUCCICARE
Recentemente, in Grecia si è venuto a creare un clima favorevole al ritorno alla vecchia moneta, la dracma.
Questa eventualità è caldeggiata da diversi gruppi. A fare pressione sull’opinione pubblica, sono soprattutto gruppi formati principalmente da uomini d’affari, che giocano sul risentimento dei cittadini (dopo sei anni di recessione) e sulla mancanza di un piano chiaro per uscire dalla crisi.
Il dibattito è alimentato anche dal fatto che una parte significativa dei dirigenti dei due partiti della coalizione sostiene apertamente il ritorno alla dracma, respingendo qualsiasi altro tipo di riforma si opponga a questa scelta.
Anche se la maggior parte delle persone esprime un’opinione positiva sull’orientamento europeo del paese e vorrebbe mantenere l’euro, è aumentato il numero dei cittadini che si dichiarano “indifferenti” di fronte ad un’eventuale ritorno alla dracma e credono che il cambio di moneta non modificherebbe il loro tenore di vita.
Ma dopo un’attenta analisi dei dati economici, gli effetti di un simile cambiamento si prospettano disastrosi.
Le conseguenze di un ritorno alla dracma sarebbero:
1. Una rapida svalutazione della dracma rispetto alle altre valute. Ogni tentativo di agganciare la dracma all’euro e di bloccare il tasso di conversione sarebbe inutile (come nel caso dell’Argentina), a causa degli enormi deflussi di capitali e della diminuzione delle riserve valutarie.
2. La svalutazione porterebbe ad un aumento dell’inflazione, ad un livello superiore o pari al 40%, provocando una diminuzione del potere d’acquisto della popolazione greca.
3. La fuga di capitali e l’impennata dei subprime rappresenterebbero un colpo di grazia per l’intero sistema finanziario greco, già indebolito, che potrebbe crollare e prosciugare le risorse economiche.
4. In una situazione simile, sarebbe inevitabile il congelamento dei salari e delle pensioni per un certo periodo di tempo, almeno fino al recupero parziale delle liquidità . Le conseguenze dei disordini sociali che potrebbero seguire sono imprevedibili.
5. Il PIL dovrebbe “contrarsi” fino ai 2/3 dell’attività attuale.
6. Il debito pubblico della Grecia, attualmente a 322 miliardi di euro, aumenterebbe a causa della svalutazione della dracma, moltiplicando l’importo dei nostri prestiti.
7. Anche se, dopo la bancarotta, venisse sanata una parte del debito, l’operazione non sarebbe indolore. Sarebbero necessari un nuovo piano di salvataggio (dettato unicamente dal FMI) e l’adozione di misure molto rigide per il risanamento fiscale.
8. Anche il debito privato aumenterebbe a causa dell’esplosione dei tassi attivi e passivi. L’aumento dei tassi d’interesse rappresenterebbe un ostacolo anche per le imprese, impedendo loro di raccogliere capitali.
9. L’indebolimento del mercato, la svalutazione della dracma e la mancanza di finanziamenti causerebbero anche l’asfissia delle importazioni.
10. Il crollo delle importazioni comporterebbe, a sua volta, una carenza dei beni essenziali sul mercato poichè, come sappiamo, la Grecia non è autosufficiente per quanto riguarda l’approvvigionamento di materie prime ed è costretta a ricorrere alle importazioni da altri paesi.
11. C’è il rischio di un’ invasione aggressiva da parte degli investitori stranieri, che rileverebbero imprese, beni immobili e pubblici a prezzi irrisori. Questo porterebbe ad una liquidazione del paese, oggi caldeggiata dai sostenitori della dracma.
12. L’isolamento diplomatico ed economico della Grecia non potrà creare le giuste condizioni per far fronte alle evoluzioni geopolitiche della regione ed alle pressioni dei paesi circostanti.
Ovviamente non dobbiamo basare le nostre previsioni su una soluzione tanto inutile quanto pericolosa come il ritorno alla dracma.
Bisogna elaborare un piano a lungo termine che possa rendere la Grecia un paese europeo moderno e ben amministrato, con un’economia solida e libera dalle “patologie” che la affliggono in questo momento.
Dimitrios Giokas
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 29th, 2015 Riccardo Fucile
LA CAMPANIA RIDOTTA A BARZELLETTA NAZIONALE CON UN POPOLO RASSEGNATO AL NULLA
De Luca‬, tramite i suoi avvocati, sulla scorta dell’esito favorele frattanto acquisito da ‪DeMagistis‬ su
analoga vicenda, ha depositato il ricorso ex art. 700 – quindi d’urgenza – contro il provvedimento di sospensione ex lege Severino.
Quasi sicuramente sarà oggetto d’accoglimento.
Sullo specifico punto la Severino è chiaramente incostituzionale (ancorare la decadenza ad una sentenza di condanna di primo grado offende l’impianto complessivo della nostra Carta Fondamentale).
Ciò non toglie che la politica e lo stesso popolo che si è recato alle urne per votarlo, avrebbero dovuto agire diversamente.
La confusione “sulla Severino” e lo stesso disinteresse di tanta gente che non ha nemmeno sentito il bisogno di approfondire l’impianto programmatico di specie, ci hanno regalato una delle pagine più tristi della storia Repubblicana, satura di contraddizioni, arroganze varie e tanta, tantissima superficialità .
L’ordinamento giuridico – che, grazie agli operatori pratici, riesce sempre a risolvere le contraddizioni interne a se stesso – è una cosa; le scelte di “campo” sono altro.
Per i prossimi 5 anni avremo un governo regionale che asseconderà egoismi e visioni programmatiche al ribasso e che non li risolverà certi problemi ma soltanto li rinvierà , frattando sperperando denaro pubblico in alternative ipotesi gestionali.
Comunque sia, ognuno ha quel che semina.
Un centrodestra locale incapace, una sinistra assurda ed un popolo sempre piu’ rassegnato al nulla, hanno consumato un “grande capolavoro anti-politico”.
Forse, soprattutto da ste’ parti, davvero ci vorrebbe un nuovo “Masaniello” e sempre “a condizione” che ci sia la sincera e audace voglia democratica di battersi davvero.
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Giugno 29th, 2015 Riccardo Fucile
IL PREMIER TEME DI RITROVARSI IN CASA UN ASSE ANTI-EURO SALVINI-GRILLO
Il risultato, quale che sia, del referendum greco è destinato a rimescolare nel profondo gli umori della politica italiana e infatti i principali leader, sia pure a distanza, hanno iniziato un personalissimo countdown.
E ognuno di loro – Renzi, Salvini, Grillo, Berlusconi, Vendola – prende parte alla contesa con un sentimento assai più intenso di quel che pare. Tifo vero.
E’ entrato in apnea Matteo Renzi, che si rende conto come una eventuale vittoria in Grecia dell’anomalo fronte anti-europeista (Tsipras-Alba dorata, dunque post-comunisti e post-nazisti) darebbe da noi la stura a umori imprevedibili e comunque farebbe da moltiplicatore per un altro duo anomalo, quello di casa nostra: Salvini-Grillo.
E d’altra parte una vittoria del Sì alla proposta Ue, rassicurante a breve, ridimensionerebbe un fronte del No che, in Grecia come in Italia, mette assieme forze antitetiche ma determinatissime?
In definitiva è tutta la vicenda “Grexit” ad avere conseguenze imponderabili per gli attori politici.
Ecco perchè il loquace presidente del Consiglio italiano per tutta la giornata di ieri è restato defilato sulla questione greca, pur così strategica in queste ore.
Renzi tifa come un “ultrà ” per il sì, legge con soddisfazione i primi sondaggi, giudica negativamente il governo greco, che, a suo avviso, non ha mantenuto tutte le promesse fatte.
E d’altra parte, da quando Tsipras ha vinto le elezioni, sei mesi fa, Renzi si è tenuto puntualmente a distanza.
Pochi giorni dopo la vittoria, il premier greco venne a Roma e in un incontro a quattr’occhi, chiese a Renzi se volesse far parte del gruppo ristretto chiamato a mediare, ma il capo del governo italiano rispose negativamente.
Per evitare di restare invischiato in una trattativa difficile e dall’esito incerto?
Una cosa è certa: negli ultimi mesi il premier italiano ha continuato ad avere sulla vicenda greca un atteggiamento mediano, «politicamente corretto».
Ma ora che siamo al dunque, Renzi intimamente tifa per la sconfitta di Tspiras.
Non può dirlo per non interferire troppo con una vicenda (relativamente) “interna” di un altro Paese e per non guastare i rapporti con l’elettorato sinistrorso di casa nostra. Ma il suo orientamento lo lascia trapelare attraverso una lunga dichiarazione affidata al vicesegretario del Pd Debora Serracchiani che, dopo aver spiegato le «ragioni di carattere storico, economico e geopolitico per le quali la Grecia, non deve andare alla deriva» alla fine preannuncia la linea del governo: «La Bce sta dimostrando di avere un atteggiamento di estrema responsabilità , una responsabilità che, stando ai sondaggi, il popolo greco dimostra di avere in misura maggiore di chi ha vinto le elezioni facendo promesse che sapeva di non poter mantenere».
E tifa per Tsipras chi scommette sullo scardinamento dell’ordine costituito, in Europa, come in Italia. Beppe Grillo lo ha detto chiaramente: «Avevo dei dubbi su Tsipras, invece quell’uomo si sta comportando in maniera straordinaria, portando al popolo greco l’ultima parola».
Grosso modo sta con Tsipras anche Matteo Salvini: «Questa è un’Europa da abbattere. Tsipras fa bene a tenere alta la testa, ma il referendum non lo annunci oggi e si fa tra dieci giorni, o lo fai subito o no. È uno scontro tra due errori».
Salvini simpatizzante ma non troppo perchè Tsipras è sinistrorso e destinato a una sconfitta?
Distinguo che non coinvolgono il berlusconiano Renato Brunetta: «Io tifo Tsipras, con tutte le contraddizioni, però almeno mette sul piatto le contraddizioni di questa Europa di burocrati, a trazione tedesca».
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
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Giugno 29th, 2015 Riccardo Fucile
L’ECONOMISTA: “EUROPA IN AGONIA PERCHE’ SONO I CONSERVATORI AD AVERLA DEVASTATA”…” SERVE UNA CONFERENZA PER RISTRUTTURARE I DEBITI INSOSTENIBILI”
L’Europa sta per essere distrutta. Ma non dai greci e dall’ostinazione di Tsipras e Varoufakis, ma dai
“conservatori” del Vecchio Continente, in particolare quelli tedeschi.
E’ un Thomas Piketty furente a dire la sua, in un’intervista alla Zeit che il settimanale tedesco pubblica non a caso con grandissimo rilievo.
Perchè è un j’accuse – quello dell’economista divenuto una star internazionale con il suo “Il capitale del XXI secolo” – che cade come un meteorite in fiamme sulla cronaca greca di questi giorni.
“I conservatori stanno ad un passo dal devastare definitivamente l’idea europea, e lo fanno per colpa di uno spaventoso deficit di memoria storica. In particolare per quello che riguarda i debiti. Proprio la Germania di oggi dovrebbe capire il significato di quello che sta accadendo: dopo la guerra Gran Bretagna, Germania e Francia soffrirono di una situazione debitoria peggiore di quella della Grecia di oggi. La prima lezione che dovremmo trarne è che ci sono molti modi per saldare dei debiti: e non uno solo, come Berlino vorrebbe far intendere ai greci”.
Sul banco degli imputati, non è difficile immaginarlo, soprattutto Angela Merkel e Wolfgang Schaeuble.
“Quando sento i tedeschi dire che sono mossi solo dall’etica e che sono fermamente convinti che i debiti debbano essere pagati, penso: ma questa è una barzelletta! La Germania è esattamente il paese che non ha mai onorato i suoi debiti, nè dopo la prima nè dopo la seconda guerra mondiale”.
Niente a che vedere con “l’accezione comune di ordine e giustizia: perchè se la Germania nel secondo dopoguerra realizzò il boom, fu proprio grazie del fatto che i suoi debiti furono abbattuti, cosa che oggi neghiamo con ferocia ai greci”.
Quello che propone Piketty è chiaro: una grande conferenza europea sul tema dei debiti.
Qualcosa di paragonabile, come dimensione strategica, al Piano Marshall. Ma niente del genere è all’orizzonte, anzi. “La verità è che una ristrutturazione dei debiti è inevitabile in molti paesi europei, non soltanto in Grecia.
E invece abbiamo appena perso inutilmente sei mesi di tempo a causa di trattative tutt’altro che trasparenti con Atene”.
Non solo. A Schaeuble, che sostiene che una eventuale Grexit addirittura favorirebbe una rinnovata compattazione europea, Piketty risponde con uno scenario opposto: se non cambia passo, l’Unione europea affronterà una crisi di fiducia ancora più grave. “Sarà l’inizio di una lenta agonia, nella quale sacrificheremo all’altare di una politica debitoria irrazionale il modello sociale europeo, persino in termini di democrazia e civilizzazione”.
L’ultimo pensiero, e non poteva essere altrimenti, è per la cancellera tedesca Angela Merkel: “Se vuole assicurarsi un posto nella storia, come Kohl con la riunificazione tedesca, deve avere il coraggio di un nuovo inizio. Chi invece oggi insiste nel voler cacciare la Grecia dall’eurozona finirà nella pattumiera della storia”.
Roberto Brunelli
(da “La Repubblica”)
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