Giugno 30th, 2015 Riccardo Fucile
SI RIVOTA SUL CAPO STAFF DELLA COMUNICAZIONE, LICENZIATA DAI PARLAMENTARI E VICINA AL GURU
Si terrà stasera, a fine aula, l’assemblea dei deputati M5s chiamati a votare nuovamente su Ilaria Loquenzi, il capo dello staff comunicazione di Montecitorio ‘silurata’ mercoledì scorso dagli stessi deputati grillini, che avevano bocciato la sua conferma con 26 voti contro 17.
Gianroberto Casaleggio, furente dopo la bocciatura di Loquenzi, ha riproposto il suo nome, e, riferiscono fonti parlamentari, il via libera dell’assemblea viene ormai dato per scontato.
In questi giorni, il direttorio ma anche alcuni tra i fedelissimi – Manlio Di Stefano e Daniele Del Grosso in primis – hanno lavorato affinchè si evitasse lo scontro frontale, invitando i contrari a cambiare idea sull’operato di Loquenzi, mal vista dai più soprattutto per la visibilità concessa ad alcuni a presunto danno di altri.
Stasera, dunque, i deputati grillini dovranno esprimere nuovamente un voto sul suo nome, pur non menzionato nell’ordine del giorno (è riportata solo la ‘votazione su proposta di Grillo e Casaleggio’).
I ‘mediatori’, per evitare nuove grane, si sono appellati soprattutto al ‘non statuto’ degli eletti M5s che al riguardo parla chiaro: sulla comunicazione decide lo staff di Grillo, quindi la ‘Casaleggio associati’.
E anche chi la settimana scorsa aveva votato contro Loquenzi oggi sembra aver cambiato idea: “Effettivamente – dice uno dei 26 all’Adnkronos – noi deputati siamo chiamati solo a ratificare i nomi sulla comunicazione, non a decidere”.
Secondo i più maliziosi, il cambio di rotta sarebbe legato anche alle voci che si sono diffuse insistentemente tra i 5 Stelle subito dopo la bocciatura di Loquenzi: chi ha votato contro di lei rischia di bruciarsi la possibilità di un secondo mandato in parlamento.
(da “La Repubblica“)
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Giugno 30th, 2015 Riccardo Fucile
RUBY AVREBBE RICEVUTO 7 MILIONI DI EURO
Dieci milioni di euro, sette soltanto a Ruby: sarebbe costato tanto il silenzio delle Olgettine a Silvio Berlusconi, secondo la procura di Milano, che oggi ha recapitato l’avviso di conclusione delle indagini all’ex cavaliere ed altre 33 persone.
Agli atti degli inquirenti milanesi figurano pagamenti provenienti dai conti nelle disponibilità dell’ex premier fino al marzo del 2015, e cioè dopo che i magistrati milanesi avevano iniziato ad indagare.
Era il 17 febbraio, infatti, quando l’inchiesta Ruby ter, fino a quel momento sotto traccia, esplose: Olgettine perquisite e audizione del tesoriere di Silvio Berlusconi, Giuseppe Spinelli.
Oggi la tranche dell’inchiesta, nata dalla trasmissione degli atti dei giudici del Tribunale dei due primi processi — quello in cui era imputato l’ex Cavaliere assolto in via definitiva dalla Cassazione e quello in cui sono stati condannati in appello Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti — è stata chiusa.
Falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari i reati contestati a vario titolo. Stralciata la posizione degli legali storici dell’ex premier: gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo, che erano indagati per corruzione in atti giudiziari e che adesso vanno verso l’archiviazione.
Versamenti fino a marzo 2015
Nella ricostruzione degli investigatori, l’ex cavaliere viene individuato come il “corruttore”: avrebbe versato più di dieci milioni di euro alle Olgettine, in cambio del loro silenzio sulle serate ad Arcore.
Sette milioni di euro è — secondo i pm — il denaro elargito da Berlusconi a Karima el Mahroug: l’ex cavaliere iniziò a versare denaro a Ruby nel novembre del 2011 e la marocchina avrebbe incassato soldi in contanti, tra cui 800mila euro tra metà 2013 e metà 2014.
Quei soldi sarebbero stati investiti dalla ragazza per aprire attività commerciali all’estero, come un ristorante in Messico o altri investimenti a Dubai per due milioni di euro.
Quegli investimenti sarebbero stati gestiti dall’ex compagno della marocchina, Luca Risso, al quale viene contestata l’accusa di riciclaggio.
“Abbiamo tracciato due milioni a Dubai, dei valori immobiliari non calcolabili in Messico (pastificio, alloggi per dipendenti, un appartamento) e un enorme quantitativo di contanti”, hanno spiegato i magistrati.
Nel giugno del 2013, l’ex cavaliere avrebbe versato a Ruby “320mila euro al fine di finanziare il trasferimento in Messico della El Mahroug Karima e di Luca Risso”.
In cambio di quei 7 milioni di euro, Ruby “falsamente negava di aver mai avuto rapporti sessuali con Silvio Berlusconi, di aver accettato la promessa di ricevere ingentissime somme di denaro per passare per pazza, ossia per mentire nel corso dei dibattimenti” a carico di Fede, Mora e Minetti, si legge nell’avviso di conclusione delle indagini.
Il “canale” era l’ex avvocato di Ruby
Il pm Tiziana Siciliano ha sottolineato che il “canale” principale scelto da Berlusconi per fare arrivare i soldi in contanti a Ruby era l’avvocato Luca Giuliante, il suo primo legale, ma il denaro sarebbe arrivato anche tramite altre persone “con compiti di fattorini”.
Ma dalle tasche di Berlusconi non sarebbe uscito soltanto denaro per convincere le ragazze a testimoniare il falso in aula di tribunale: l’ex premier avrebbe finanziato anche l’acquisto di case, spese mediche e doni “di elevato valore economico”, come risulta dall’avviso di conclusione delle indagini.
Secondo il pm Siciliano la tesi difensiva di Berlusconi è “smentita da prove“: i legali dell’ex cavaliere, infatti, hanno sempre sostenuto che i versamenti di denaro fossero dovuti a semplici motivi di “generosità ”.
“Il materiale probatorio è tale che vanifica l’ipotesi difensiva”, ha spiegato il magistrato.
Il sostituto procuratore ha spiegato che agli atti dell’indagine ci sono “intercettazioni, documenti contabili, filmati coi telefonini, contratti di lavoro” che dimostrano l’esistenza di un “accordo corruttivo” stretto tra Silvio Berlusconi e le ragazze, che avrebbero testimoniato il falso nei processi Ruby e Ruby bis.
Soldi anche anche ad Apicella
È un’indagine complessa quella sui versamenti di Berlusconi alle Olgetti, un’inchiesta composta soprattutto di prove documentali.
Il procuratore aggiunto Pietro Forno e i pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio hanno tirato le fila del lavoro di mesi: le deposizioni di testimoni e l’analisi di documenti cartacei ed informatici sequestrati e con il deposito del 415bis mettono a disposizione degli indagati tutti gli atti raccolti.
Chi vorrà potrà essere interrogato e trascorsi 20 giorni la Procura di Milano potrà chiedere il rinvio a giudizio.
Dall’avviso di conclusione delle indagini emerge anche che l’ex premier avrebbe versato a Mariano Apicella 98.600 euro, tutti tramite bonifico, per “deporre il falso nei processi a suo carico e a carico di Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti“.
La storia dell’inchiesta: soldi per mentire in tribunale
Quando gli inquirenti chiusero la proroga di indagine al gip le posizioni al vaglio erano 45: oltre Berlusconi, accusato di corruzione in atti giudiziari, c’erano la stessa Ruby, il suo primo avvocato Luca Giuliante, e una trentina di ragazze.
Il procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati ha spiegato in conferenza stampa che undici posizioni (comprese quelle degli avvocati Ghedini e Longo) sono state stralciate mentre l’avviso di conclusione delle indagini è stato alla fine inviato inviato 34 persone.
Sono soprattutto le ragazze che durante il processo principale e il processo bis avevano dichiarato di essere stipendiate dall’ex presidente del Consiglio.
E che hanno continuato a essere retribuite sottoponendo il leader di Forza Italia anche a una sorta di pressing.
In verità il gentile ospite delle cene eleganti ad Arcore aveva cercato di smarcarsi dalle richieste inviando una amorevole lettera alle ragazze, ma tutto è stato inutile.
Oltre che dispendioso.
Per l’accusa, infatti, l’ex premier avrebbe retribuito le giovani testimoni in cambio del loro silenzio o di dichiarazioni false o reticenti. A ricevere bonifici anche l’ex consigliera regionale ed ex igienista dentale Nicole Minetti.
Colei che la notte tra il 27 e il 28 maggio del 2010 prese in custodia Ruby, liberata dopo una telefonata dell’allora premier, per poi affidarla a una cittadina brasiliana.
Convocata in Procura Ruby si è avvalsa della facoltà di non rispondere: secondo gli investigatori è probabile che sia stata ad Arcore tra novembre e dicembre 2014.
Su come abbia investito il denaro, che secondo i pm avrebbe ricevuto da Berlusconi, è stata attivata anche una rogatoria in Messico dove l’ex compagno della giovane marocchina ha alcune attività imprenditoriali.
L’uomo, nel gennaio scorso si era sfogato su Facebook sostenendo che Berlusconi era un bugiardo, senza però scendere nei particolari e sembrava voler far intuire di voler raccontare qualcosa.
A questo sfogo si è aggiunta l’audizione dei genitori di Risso che hanno messo nero su bianco quali fossero le possibilità economiche di Ruby: “Si comporta come una principessa”.
Una persona che, a domanda precisa, solo alcune settimane fa rispondeva: “Disoccupata”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 30th, 2015 Riccardo Fucile
LA GAFFE AI TORNELLI: INDOSSAVANO MAGLIETTE NERE A SOSTEGNO DEI DISABILI
Si fa presto a ridere di certe scene, se uno non ci è dentro.
Per esempio quella di un uomo in divisa che all’ingresso dell’Expo ferma tre che hanno addosso una maglietta che lui forse ritiene da black bloc, e loro gli parlano a gesti che lui non capisce, e alla fine gli sequestra le magliette.
Nè poteva capirli, quei gesti. Perchè gesti di sordomuti.
Le cui magliette lì all’Expo parlavano appunto di quello.
È successo ieri all’ingresso Triulza.
Protagonisti un arzillo 75enne napoletano, Giovan Giuseppe Nasti, e due coniugi coreani suoi amici. Tutti sordi.
Una categoria la cui associazione, l’Ente nazionale sordi, ha già protestato con l’Expo più volte lamentando la mancanza di una segnaletica adeguata al loro problema.
Per questo, ormai da tempo, hanno prodotto una maglietta in due versioni – bianca e nera – con la scritta «No Deaf? No Expo», niente sordi niente Expo.
La presidente di Ens Lombardia, Mara Paola Domini, sottolinea che a decine erano già entrati in Expo indossandola.
Sempre senza problemi, fino a ieri. Quando i tre vengono fermati, identificati, richiesti di togliersi le magliette.
Che alla fine, per non correre rischio che poi le rimettessero, sono state loro sequestrate.
Ma forse gli è andata anche bene: «I miei amici coreani – racconterà il povero Nasti – temevano di essere arrestati».
Paolo Foschini
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 30th, 2015 Riccardo Fucile
SOLDI DAI PAZIENTI PER CHIRURGIA ESTETICA IN OSPEDALE: ACCUSATO DI TRUFFA, PECULATO E ABUSO
Matteo Tutino, 53 anni, esuberante primario di chirurgia maxillo-facciale all’ospedale Villa Sofia di Palermo, aveva un rimedio per tutto: piccoli e grandi difetti, occhiaie, borse, adipe localizzato.
Solo che gli interventi miracolosi proposti ai pazienti li effettuava in ospedale, struttura pubblica in cui non potevano essere eseguiti, e a carico del Servizio Sanitario.
I carabinieri del Nas di Palermo, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Palermo Giovanni Francolini, lo hanno posto agli arresti domiciliari.
La misura restrittiva giunge a conclusione di una lunga attività d’indagine – coordinata dal Procuratore aggiunto Leonardo Agueci e diretta dal pm Luca Battinieri – che gli investigatori hanno avviato all’inizio del 2013 e che ha permesso di far luce su numerose attività illecite che sarebbero state compiute dal medico, indagato per truffa, peculato e abuso.
In particolare gli investigatori hanno svolto accertamenti su numerosi interventi chirurgici eseguiti da Tutino che dissimulava l’attività libero professionale di natura estetica, non consentita presso le strutture ospedaliere pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale perchè del tutto esclusa dai Livelli Essenziali di Assistenza.
Per gli interventi di chirurgia estetica effettuati nell’ospedale pubblico il medico si faceva pagare compensi «non dovuti» dai pazienti, come corrispettivo per prestazioni post operatorie (medicazioni), oltre a richiederne il rimborso al Servizio Sanitario Regionale sulla base di documentazioni sanitarie e cartelle cliniche falsificate.
Nell’inchiesta che ha portato all’arresto di Matteo Tutino sono coinvolti anche Damiano Mazzarese dirigente del Dipartimento di Anestesia e Rianimazione dell’Azienda Ospedaliera l’ex commissario dell’azienda sanitaria Giacomo Sampieri e il direttore sanitario Maria Concetta Martorana.
L’inchiesta riguarda proprio la gestione del reparto.
Mentre per Tutino l’attività svolta anche al Policlinico e al reparto di Caltanissetta. Secondo l’indagine Tutino ancora prima di diventare primario avrebbe visitato nel suo studio alcuni pazienti e poi li avrebbe operati in ospedale: interventi di chirurgia estetica, fatti passare per funzionali e quindi rimborsabili dal sistema sanitario regionale.
Una truffa secondo i militari che non è finita con gli arresti.
Tanto che il procuratore aggiunto Leonardo Agueci parla di attività ancora in corso che porterà a nuovi sviluppi.
A inchiodare Tutino, oltre ai dati emersi dalle analisi documentali fatte dai carabinieri del Nas guidati da Giovanni Trifirò, anche le testimonianze di alcuni colleghi del medico che, per essersi opposti alla sua gestione disinvolta del reparto, hanno subito vessazioni di ogni tipo. Due per tutti Francesco Mazzola e Dario Sajeva.
Perquisizioni e sequestri
I carabinieri del Nas, contestualmente all’esecuzione della misura cautelare, hanno eseguito diverse perquisizioni in collaborazione con il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo.
I militari hanno lasciato l’ospedale con alcuni faldoni sugli interventi eseguiti dallo specialista in interventi di chirurgia estetica.
Lo stesso è successo anche in via Petunie a Carini dove abita il medico e dove è stato notificato il provvedimento di arresti domiciliari.
Amico e medico del governatore
L’inchiesta, oltre a mettere in luce i lauti guadagni incassati da Tutino che, per ogni intervento eseguito indebitamente nella struttura pubblica prendeva tra i 2000 e i 3500 euro, traccia un ritratto inquietante del protagonista della vicenda: un uomo, dice il gip, in grado di piegare ai propri fini anche personaggi gerarchicamente a lui sovraordinati, come Martorana e Sampieri.
Quest’ultimo, ad esempio, avrebbe impedito che avesse corso un procedimento disciplinare a carico del chirurgo. «Tutino, scrive il giudice, si è avvalso del suo strettissimo rapporto coi vertici aziendali persino per ottenere con celerità documenti da altri dipendenti».
Il gip parla di «valutazione decisamente negativa della personalità dell’indagato» che ha mostrato una «spiccatissima capacità di delinquere», ha «ripetutamente violato i propri doveri danneggiando il servizio pubblico anche per lucro personale» e « ha fatto leva sulle entrature politiche ai più alti livelli per accreditare la propria posizione».
Il riferimento è al governatore Rosario Crocetta, del quale Tutino sarebbe stato medico e amico.
Il presidente della Regione ha commentato così: «Mi dispiace per Matteo Tutino, l’ho conosciuto come un uomo buono, religioso, ma i suoi problemi con la giustizia non tocca a me giudicarli. Ci sono dei magistrati che indagano. So che da oggi non ho il medico curante e mi dispiace».
Tutino aveva anche partecipato ad una conferenza stampa in Regione per annunciare il buon esito di un’intervento illustrato come pioneristico. Il M5S ha polemizzato sul caso chiedendo che Crocetta e l’assessore alla Salute Lucia Borsellino, riferiscano in aula sul caso.
L’ospedale: aspettiamo sviluppi vicenda
Intanto la Direzione strategica dell’Azienda Ospedali Riuniti Villa Sofia Cervello con una nota fa sapere che attende, «con il dovuto rispetto che si deve nei confronti di un’indagine così delicata e complessa, gli ulteriori sviluppi della vicenda».
La Direzione «adotterà gli opportuni provvedimenti che il caso richiede, per assicurare la continuità dell’attività assistenziale e tutelare l’immagine dell’Azienda e dei tanti professionisti che ogni giorno con coscienza e impegno lavorano per offrire all’utenza i migliori servizi sanitari».
Chiara Marasca
(da “il Corriere del Mezzogiorno“)
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Giugno 30th, 2015 Riccardo Fucile
A SALVINI OGGI NON NE VA UNA DRITTA
Sono andati a prenderlo che stava ancora sul suo pullman, seduto al volante.
Gli hanno sferrato calci e pugni a ripetizione e poi sono filati via perdendosi nella calca dei turisti che affollano ad ogni ora la banchina del porto di Ponza, da qualche tempo usata anche come capolinea del trasporto urbano.
È stata un’aggressione per vendetta quella che si è consumata ieri nelle prime ore del pomeriggio.
La vendetta è stata consumata da due giovani turisti italiani («uno palestrato e l’altro calvo», racconteranno poi i testimoni agli inquirenti) contro quell’autista che aveva osato lasciarli a piedi.
La scena s’era consumata poco prima. Fermata degli autobus in zona Le Forna. Passano tre pullman ma non si fermano, sono pieni come scatole di sardine e a terra c’è un sacco di gente che vorrebbe salire.
Quando arriva il quarto, però, l’autista rallenta, è tentato di aprire le porte del mezzo ma poi capisce che non è il caso e tira dritto anche lui.
Ma rallentare è stato un errore madornale, perchè a terra alcuni hanno modo di guardarlo bene in viso, e sono più nervosi degli altri.
Tanto che una volta riusciti a salire sul bus successivo, e poi arrivati al capolinea, vanno dritti dritti sul bus della corsa precedente, dove c’è ancora l’autista che hanno riconosciuto, e l’aggrediscono a quattro mani.
L’uomo crolla a terra, semisvenuto, più che altro per lo spavento, ma le botte le ha preso davvero.
Qualcuno tra le decine di testimoni che hanno assistito alla scena chiede aiuto e dopo pochi istanti sulla banchina del porto arriva anche l’ambulanza.
Niente di grave, diranno i medici, ma questa resta una brutta storia e proseguirà almeno fino alle prossime ore, quando l’autista formalizzerà in caserma la denuncia nei confronti dei suoi aggressori, che nel frattempo sono stati identificati dai carabinieri.
Paolo Sarandrea
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 30th, 2015 Riccardo Fucile
PECCATO, SONO TUTTI ITALIANI E DI BUONA FAMIGLIA, ANCHE OGGI A SALVINI E’ ANDATA MALE
Farsi dare la macchina da mamma e papà per andare in discoteca è un conto.
Usarla per andare a prendere a pugni e colpi di caschi tre persone con le quali si è attaccata briga sulla pista da ballo è un’altra cosa.
Il minimo che può accadere, se non si è in un bosco deserto ma in centro città , è che un testimone si annoti il numero di targa e qualche investigatore risalga prima al proprietario della vettura e poi al figlio che, quella sera, la guidava.
È quel che è accaduto a Santa Margherita, dove i carabinieri della stazione locale hanno denunciato nove studenti genovesi, quattro dei quali minorenni, accusati di essere gli autori del pestaggio avvenuto alle 3 del mattino del 2 giugno scorso in calata del porto.
Dove tre rapallesi, due di 22 anni e uno di 19, erano stati aggrediti da un gruppo di coetanei ed erano finiti in ospedale, chi col setto nasale fratturato, chi con altre ferite.
Una vendetta per uno sgarro avvenuto poco prima in discoteca. I nove sono accusati di rissa e lesioni gravi.
Sei di loro hanno fra i 16 e i 18 anni e frequentano le superiori. Gli altri tre hanno tra i 20 e i 21 anni e sono iscritti all’università .
. Una ragazza aveva assistito alla scena ed era riuscita ad annotare la targa di una delle macchine.
Prima di scappare almeno uno degli aggressori l’aveva minacciata mentre questa cercava di chiamare il 112 col cellulare.
Per questo la giovane ha presentato querela ed è possibile che, nei prossimi giorni, nuove accuse verranno mosse nei confronti della comitiva arrivata dal capoluogo.
Marco Fagandini
(da “il Secolo XIX”)
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Giugno 29th, 2015 Riccardo Fucile
LA UE SCENDE IN POLITICA: DISMETTE I PANNI DEL GOVERNO TECNICO E CHIEDE DI SFIDUCIARE IL PREMIER ELLENICO
Bruxelles e i Paesi europei hanno scelto: non si tratta più.
L’unica via che il popolo greco ha per restare nell’euro è votare sì al referendum di domenica.
È una discesa in campo senza precedenti nella storia dell’integrazione europea quella messa in atto oggi dalla Commissione, seguita a ruota dal Parlamento, allineati a loro volta con le indicazioni arrivate poco dopo dai leader europei, Merkel in testa.
Il messaggio è chiaro: solo con un sì rimane aperto il canale del negoziato e il Paese può restare nella moneta unica.
Una metamorfosi dell’Europa tecnica che per prendere in contropiede lo strappo di Alexis Tsipras ha deciso di giocare direttamente sul terreno della politica.
Chi si aspettava un ultimo tentativo di mediazione da parte dell’esecutivo Ue, dopo che il presidente Jean Claude Juncker ha invitato pubblicamente i greci a votare a favore è rimasto deluso.
L’Europa non parla più con Tsipras, ma si rivolge direttamente al popolo ellenico. Quasi un ingresso diretto nella campagna referendaria che ha l’effetto di chiedere di fatto ai cittadini di sfiduciare il proprio premier in carica.
Un’iniziativa storica, che indipendentemente dall’esito dalla consultazione crea un precedente per il futuro dell’Unione.
Quello che, senza ormai nemmeno troppi misteri, era stato realizzato sottotraccia nel 2011, con le manovre per costringere alle dimissioni Silvio Berlusconi durante la crisi dello spread, ora si replica in modo più scoperto con il premier greco Alexis Tsipras. Le istituzioni vogliono la sua testa per tornare a negoziare con un nuovo governo. Quasi inevitabile, in caso di un successo dei sì che sconfesserebbe la politica del premier greco costringendolo alle dimissioni.
E quasi poco importa se a parole la cancelliera tedesca dica che “nessuno vuole influire sulle decisioni” del referendum del popolo greco.
Perchè spiegando poi che “se il governo greco dopo il referendum volesse negoziare ancora, noi non chiuderemmo la porta” fa arrivare un messaggio esattamente opposto. Cioè il canale delle trattative che può tenere agganciata Atene all’Eurozona passa solo e soltanto da un sì alla consultazione.
Parole ancora più chiare, forse troppo, quelle utilizzate dal presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, che in un Tweet in inglese: “Il referendum greco non sarà un derby tra la Commissione Ue e Tsipras ma euro contro dracma. Questa è la scelta”.
Se da un lato il primo ministro ha optato per un profilo basso scegliendo di non esprimersi sulla questione, e quindi di non iscriversi pubblicamente nel fronte del sì, dall’altro il messaggio affidato a Twitter lascia intendere abbastanza chiaramente per quale scenario faccia il tifo il presidente del Consiglio.
Nessuno, fino ad ora, pur lasciandolo intendere, ha mai evocato in queste settimane il ritorno della dracma e l’automatismo dell’uscita dall’euro in caso di default.
Lo stesso Juncker, che nel suo discorso ha usato parole insolitamente nette nei confronti di Atene, si è spinto solo ad affermare che un no dei greci al referendum “Vorrebbe dire che la Grecia dice no all’Europa”.
Nessun riferimento diretto all’uscita dalla moneta unica al ritorno alla dracma.
Il tutto mentre le diplomazie di tutto il mondo si muovono per cercare di ricucire le distanze.
In una conversazione telefonica il presidente Usa Barack Obama e il presidente francese Franà§ois Hollande “si sono trovati d’accordo a unire i loro sforzi per favorire una ripresa dei negoziati, per permettere il più rapidamente possibile una risoluzione della crisi e garantire la stabilità finanziaria della Grecia”, hanno spiegato dall’entourage francese, mentre persino la Cina è arrivata ad auspicare una ripresa immediata dei negoziati. “Vogliamo che la Grecia rimanga nell’Euro e chiediamo ai creditori e agli attori istituzionali coinvolti nelle trattative di non esaurire il dialogo e il negoziato”, ha spiegato il premier cinese premier cinese Li Keqiang.
“La Cina è un amico dell’Ue ma siamo pero’ determinati a dare una mano e assistenza alla Grecia. Le ricadute sulla stabilita’ economica globale della crisi greca sono reali”.
Sullo sfondo si è registrato l’ultimo tentativo in extremis di ricucire due parti che, se prima erano distanti, ora sembrano aver deciso di non parlare nemmeno più.
La regia è quella del presidente dei Socialisti e Democratici Gianni Pittella che ha provato a chiedere la convocazione di un nuovo Eurosummit per discutere di un’eventuale proroga almeno fino a domenica delle trattative.
“È vero che la posizione di Juncker sembra di chiusura, ma serve anche a rispondere ai toni duri usati da Tsipras. Il presidente della Commissione ha anche detto che ‘tutte le porte restano aperte’”, spiega una fonte dell’Europarlamento.
L’iniziativa dei socialisti per ora si è scontrata però con il secco no della cancelliera Angela Merkel.
“Al momento non vedo nessun motivo vincolante per un vertice straordinario Ue” e “non prevedo di andare ad Atene”.
Gli occhi insomma sono puntati ormai solo su domenica, quasi dimenticandosi ormai di quella che fino a qualche giorno fa era la più importante delle scadenze, il 30 giugno, con la conclusione del piano di salvataggio e la rata da 1,6 miliardi da rimborsare al Fondo monetario internazionale.
È ormai scontato che domani la Grecia non pagherà , facendo scattare la procedura con cui il Paese sarà dichiarato in default con il Fmi.
Non più tardi di qualche giorno fa, il peggiore degli scenari possibili.
Ora, un problema quasi minore, in vista di quello che da consultazione sulle proposte dei creditori è diventato quasi ufficialmente il primo, in molti sperano unico, referendum sulla permanenza di un Paese nell’Eurozona.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 29th, 2015 Riccardo Fucile
COSA SI VOTA, IL RUOLO DELLA BCE E GLI SCENARI PER LA VITTORIA DEL “SI” E DEL “NO”
1 – Referendum: cosa si vota?
Il primo problema del referendum greco è: cosa si vota? Ufficialmente, la proposta dei creditori. “Sì”, se si accetta, “no”, se si rifiuta.
E il quorum per considerarlo valido è il 40%.
Ma ieri il presidente della Commissione europea Juncker ha diffuso una nuova versione del documento che Bce, Ue e Fmi stavano discutendo con il governo greco, prima dell’interruzione delle trattative, venerdì scorso.
Ci sono delle piccole concessioni su nodi cruciali, ad esempio l’Iva sugli alberghi non sarà aumentata al 23%, come proposto in un primo momento, resterà al 13%.
O la spesa militare non sarà tagliata a 200 milioni, ma resta a 400 milioni.
Il problema, probabilmente, è che Alexis Tsipras rischiava già di non avere la maggioranza in Parlamento per un accordo che impone comunque nuovi sacrifici.
E secondo Yanis Varoufakis i 15,5 miliardi proposti da qui a novembre sarebbero comunque stati insufficienti per la Grecia, ormai al collasso. E’ questo che ha fatto decidere Tsipras di rovesciare il tavolo e indire un referendum.
2 – Come sopravvivere fino al voto
Le incognite sono molte, da qui a domenica. Sia da parte greca, sia europea.
La più importante, per la sopravvivenza di Atene, è cosa farà la Bce.
Ieri ha mantenuto il livello di liquidità d’emergenza che può essere concessa alle banche al livello di venerdì scorso, 89 miliardi, e ha costretto il governo a chiudere le banche e la Borsa e a introdurre un controllo dei capitali. Draghi ha detto che rimarrà «vigile», dunque pronto a intervenire per non provocare il collasso del sistema bancario.
Ma la Bce non vuole rimanere col cerino in mano, non vuole passare alla storia come la «colpevole» del default ellenico.
E’ improbabile che chiuderà i rubinetti, come chiedono da tempo alcuni banchieri centrali, tedeschi in testa. Draghi preferisce garantire la sopravvivenza di Atene finchè non saranno i greci a decidere del proprio destino. E la Grecia?
3 – L’incognita del presidente della Repubblica
Mentre da Bruxelles arrivano voci su un possibile vertice straordinario il 1 luglio, ad Atene alcuni guardano con attenzione al presidente della Repubblica, il conservatore Prokopis Pavlopoulos.
Il suo portavoce ha smentito domenica voci su possibili dimissioni.
Ma Pavlopoulos ha anche detto che non resterà presidente, se la Grecia uscirà dall’euro. Le sue dimissioni costringerebbero Tsipras quasi sicuramente alle elezioni anticipate, non avendo l’attuale maggioranza di governo (Syriza e Anel) la maggioranza di due terzi per eleggere un nuovo presidente.
4 – Cosa succede se vince il “sì”
Tsipras e Kammenos, i due leader della maggioranza di governo (la Grecia è guidata da un esecutivo rosso-nero, costituito dall’estrema sinistra di Syriza e la destra nazionalista di Anel) faranno campagna per il no.
Dunque, nel caso di vittoria dei sì, alcuni ministri hanno già detto che il governo si dimetterà , com’è logico che sia.
A quel punto gli scenari sono due: elezioni anticipate o, vista la drammaticità della situazione, un governo di unità nazionale o addirittura tecnocratico.
Il presidente Pavlopoulos tenterà di convincere i partiti dell’opposizione Nea Dimokratia, Pasok e To Potami e una fetta più moderata di Syriza a votare un esecutivo di unità nazionale per firmare l’accordo con i creditori ed evitare il default.
Le prossime scadenze della Grecia sono immediatamente successive alla data del referendum: il 10 e il 17 luglio sono previsti rimborsi di bond per 3 miliardi, il 13 una rata del Fmi da 450 milioni (che si aggiunge ai mancati pagamenti di giugno da 1,6 miliardi) e il 20 luglio vanno restituiti alla Bce ben 3,5 miliardi.
Al momento, nei sondaggi, i “sì” sono avanti, forse la chiusura delle banche alimenterà la paura e la propensione dei greci a voler chiudere l’intesa con la vecchia Troika.
Ma non è detto: potrebbe anche alimentare la rabbia contro i creditori “strozzini” e rovesciare il clima.
5 – Cosa succede se vince il “no”
Sarebbe la vittoria del governo greco, ma è improbabile che i creditori possano tenerne conto e riaprire un negoziato con Atene, dopo i disastrosi mesi di impasse negoziale da fine gennaio al tragico vertice dello scorso fine settimana.
Ci si avventurerebbe nelle “acque inesplorate” da cui i leader europei, incapaci di trovare un accordo con la Grecia, hanno spesso messo in guardia. Incapace di far fronte ai suoi debiti, Atene fallirebbe e sarebbe costretta, molto probabilmente, a uscire dall’euro.
Tonia Mastrobuoni
(da “La Stampa”)
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Giugno 29th, 2015 Riccardo Fucile
LAPIDAZIONE PER GLI ADULTERI, “COSTI STANDARD” PER LE PRESTAZIONI MEDICHE FINO ALLE NORME SULLA PESCA E IL LAVORO
Cavi elettrici riparati, affitti calmierati, marciapiedi verniciati, norme per proteggere la pesca, partorire negli ospedali ma anche sul bando di prodotti Apple, le punizioni feroci, la vendita di protesi, e il diktat ai cristiani: ad un anno dalla proclamazione il Califfato si distingue non solo per l’efferato terrore imposto ai circa 12 milioni di sudditi ma anche per l’impegno logistico ed amministrativo teso a migliorare le strutture pubbliche, cercando di cementare il consenso per il potere assoluto.
Regolando in maniera capillare ogni aspetto della vita quotidiana.
Ecco alcuni esempi, frutto di testimonianze e documenti raccolti dal ricercatore britannico Aymenn Jawad Al-Tamimi, che descrivono come il Califfo gestisce il proprio territorio.
Il costo per partorire negli ospedali
L’amministrazione medica del Wilayat (Provincia) al-Kheir, l’ex siriana Deir az-Zor, ha stabilito i costi da sostenere per far nascere i bambini in ospedale: 80 dollari per il parto cesareo e 55 per quello naturale con la possibilità di tenere, in entrambi i casi, i bebè ricoverati nelle 12 ore seguenti alla nascita.
Pesca senza fare uso di esplosivi
L’intento nel Wilayat dell’Eufrate è «garantire l’abbondanza di pesci» e dunque vengono vietati lungo i fiumi «l’uso della corrente elettrica, di materiali esplosivi e di tossine chimiche» perchè «uccidono troppi pesci e rischiano di avvelenare ciò che altri mangeranno». È inoltre vietato «pescare durante la riproduzione dei pesci» perchè «distruggere le uova significa nuocere alla futura abbondanza di pesce».
Marciapiedi verniciati e fognature
Nel Nord della Siria il Califfato assicura ai residenti del Wilayat di Raqqa il ripristino dell’elettricità , la realizzazione di impianti fognari «nel sottosuolo» e la verniciatura dei marciapiedi «per migliorare la vita dei residenti».
Limiti ai profitti dei farmacisti
Tutte le farmacie del Califfato devono far avere alle amministrazioni locali i titoli di studio dei farmacisti e non possono imporre alla clientela «aumenti di prezzo superiori al 20 per cento dell’etichetta».
Le scuole dell’obbligo a Raqqa
Nella maggiore città del Califfato in Siria le scuole dell’obbligo durano 9 anni, divise in 5 di elementari e 4 di superiori.
Dopo avviene la «selezione per college e atenei». Gli insegnanti devono aver seguito «un corso preparatorio di 10 mesi» che include «60 giorni di lezioni sulla Sharia» e la firma di un documento finale di «pentimento» per quanto fatto in passato contravvenendo alle norme dell’Islam.
Memorizzazione del Corano
Il comitato per l’«Insegnamento del Nobile Corano» prevede che ogni insegnante frequenti un corso a due livelli, memorizzando prima «5 parti» e poi «3 parti» dimostrando una «corretta recitazione del testo».
Per frequentare bisogna avere fra 18 e 40 anni, senza assentarsi «se non quando la Sharia prevede».
Offerte di lavoro «qualificato»
Nella provincia di Raqqa gli uffici di collocamento offrono lavoro a chi è «qualificato» in «Scienze della Sharia», contabilità , computer, amministrazione d’affari, educazione scientifica ed umanistica, preparazione di insegnanti.
Inoltre, il «Centro Hisbah» della polizia islamica cerca veterinari, guardie, ispettori sanitari, macellai, boia «per tagliare le gole» e «addetti alle pulizie».
Limiti al movimento delle donne
Le donne sotto i 50 anni non possono uscire dai confini di Raqqa senza permessi e documenti di transito emessi dalla polizia islamica, gli è «proibito» recarsi «nelle terre degli infedeli eccetto assolute urgenze mediche».
Le donne anziane non sono obbligate ad indossare l’hijab. Le donne possono salire e scendere dagli autobus solo nei garage delle apposite fermate.
Le donne mostrino solo un occhio
La fatwa numero 40 del Califfato prevede che «mogli, figlie e donne dei credenti devono indossare all’esterno abiti che non le facciano riconoscere o violentare». Per questo «le donne devono coprire i loro volti sin da sopra la testa, mostrando solo l’occhio sinistro».
I reclami dei cittadini per i risarcimenti
Il Wilayat della provincia di Aleppo prevede che «chi ha subito torti e danni, personali o nelle proprietà , da soldati o dirigenti dello Stato Islamico» può sottomettere dei «reclami» per ottenere «risarcimenti».
Di conseguenza a «soldati e dirigenti» viene chiesto di «fare attenzione ad evitare oppressione e aggressione nei confronti dei cittadini» perchè «vi saranno conseguenze anche nella vita futura».
L’ultimatum ai cristiani di Mosul
Emesso a Mosul dal Wilayat di Ninawa, offre ai «fedeli del Nazareno» tre scelte: «Convertirsi all’Islam, accettare il patto di sottomissione pagando la tassa annuale “jizya” o “se rifiutano andranno incontro alla spada».
Il divieto ai prodotti Apple
Si tratta di una disposizione del Califfo «a tutte le province, le sotto province ed i comitati locali» perchè «nell’interesse pubblico di proteggere le anime dei credenti» e «combattere i crociati» viene decretato il «bando di ogni dispositivo elettronico con il gps» a cominciare da «telefoni, tablet e computer di Apple» capaci di «creare gravi rischi a tutti».
A morte gli omosessuali
Per chi viola le norme della Shiaria le punizioni sono le più feroci.
La blasfemia è punita con la morte e se l’insulto è nei confronti del Profeta «neanche il pentimento può salvare».
L’adulterio è punito con la lapidazione, l’omosessualità con la morte «sia dell’attivo sia del passivo», il furto con l’amputazione della mano, bere il vino con 80 frustate, uccidere e rubare con la morte per crocifissione e «diffondere paura» con l’«espulsione dal territorio».
Niente autostop sui camion
Nella provincia di Ninawa, in Iraq, camion e furgoncini hanno il divieto di dare passaggi a soldati o esponenti del Califfato. È una misura tesa ad evitare che diventino obiettivi dei droni.
Affitti calmierati
Nel Wilayat dell’Anbar in Iraq, il Califfato stabilisce un tetto massimo di 84 dollari al mese per gli affitti di case, circa un terzo del valore precedente perchè «tocca ad Allah occuparsi delle cose materiali» mentre i mujaheddin devono combattere.
Marchi contraffatti
Vendere prodotti con etichette falsificate è «proibito dal legislatore Maometto» perchè si tratta di «un inganno»: «chi vende deve spiegare con cura di dettagli produzione e provenienza».
Maurizio Molinari
(da “La Stampa”)
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