Settembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
IL LEADER DEGLI U2: “ACCOGLIENZA RESTERA’ NELLA STORIA E NON VERRA’ DIMENTICATA”
Alla fine del primo concerto europeo, quello di Torino che ha inaugurato il tour degli U2, Bono aveva
fatto un tweet provocatorio: «Cosa volete? Un’Europa con il suo cuore e i suoi confini chiusi alla misericordia o un’Europa dal cuore aperto?».
Non si sarebbe mai aspettato che la risposta arrivasse in così poco tempo come racconta in questa intervista esclusiva a La Stampa: «Questa settimana è successo qualcosa di incredibile, l’Europa non è più quella di sette giorni fa e Angela Merkel è diventata un simbolo morale per l’Europa. Alcune settimane fa si diceva fosse troppo dura con la Grecia, ora ha completamente ribaltato la propria immagine, nel senso dell’accoglienza. E i tedeschi si sono dimostrati molto più avanzati e aperti dei loro concittadini europei. Le immagini che abbiamo visto, con i bambini che portavano i loro orsacchiotti ai piccoli siriani, i genitori che donavano cibo e vestiti, resteranno nella storia d’Europa. Questi sono momenti che non verranno dimenticati. Potremmo davvero essere a un punto di svolta per quel che l’Europa vuole essere nel Ventunesimo secolo».
Ci stiamo dirigendo in macchina nel centro di Milano, è l’ultima sera italiana per Bono, parla con entusiasmo e passione: «L’Europa è un pensiero che deve diventare un sentimento. È un concetto freddo, qualcosa che impariamo a scuola, sentiamo nei telegiornali, ma dentro non ci sono cuore e sangue. Questa è la nostra opportunità di mostrare al mondo e a noi stessi quel che l’Europa deve essere».
Gli chiedo quanto abbia pesato in questa svolta la foto del piccolo Aylan morto su una spiaggia turca mentre cercava di raggiungere la Grecia.
Resta in silenzio parecchio poi parla sottovoce, quasi che fosse l’unico modo per mostrare rispetto: «Sì, ha pesato. Non ci dovrebbe volere l’immagine di un bambino morto su una spiaggia per bucare la bolla europea. È una vergogna. Ma un’immagine può davvero dire di più di migliaia di parole, e dovremmo chiamare la reazione europea la “risposta Aylan”».
Bono, 55 anni, leader degli U2, da anni si occupa di temi sociali: ha contribuito a fondare nel 2004 ONE Campaign, un’organizzazione internazionale non profit che fa campagne di sensibilizzazione sulla fame, la povertà estrema, l’Aids e le malattie curabili ma ancora mortali, dalla malaria alla tubercolosi, soprattutto in Africa.
Ieri pomeriggio ha ripetuto che non gli piace il modo in cui si usa la parola migranti nel dibattito europeo di questi giorni.
Gli ho chiesto se pensa allora che si debba usare la parola rifugiato per ogni migrante o se invece dovremmo distinguere tra le persone che scappano da una guerra e quelle che invece cercano di raggiungere l’Europa per ragioni economiche.
«Io non ho creato una mia definizione, uso la definizione del dizionario. Esistono parole diverse: migranti, immigrati, rifugiati, richiedenti asilo, sono tutte definizioni specifiche. Quella che abbiamo sotto gli occhi non è una migrazione, sono persone che fuggono da una guerra. Paesi e città in Siria sono ridotti a macerie. In Gran Bretagna alcuni sono preoccupati che i nuovi arrivati vogliano utilizzare il nostro servizio sanitario. Ma queste non sono persone in cerca di servizio sanitario. Stanno scappando dalla guerra e amano la loro casa ma devono fuggire perchè è ridotta in macerie. La mia frase preferita l’ha detta uno dei rifugiati, un ragazzo: “Non sono pericoloso, sono in pericolo”».
Quando nell’estate del 2009 prima del G8 dell’Aquila pubblicammo un’edizione speciale della Stampa dedicata all’Africa insieme a One Campaign — in quell’occasione Bob Geldof fece il direttore di questo giornale per un giorno — proprio Bono ci suggerì di parlare di Africa non come un problema ma come un’opportunità .
Cercando di evidenziare il meglio di quel continente, le conquiste e i miglioramenti.
Gli chiedo cosa pensi dell’Africa oggi. «Sono appena tornato dall’Africa, ero lì la settimana scorsa. La nostra organizzazione, One, ha più associati in Africa che in Europa, 3,3 milioni, le loro voci saranno più forti delle nostre, e io spero che questo accada. È tempo che ciò accada. Il nostro movimento è stato a lungo troppo anziano, troppo bianco e troppo maschile, come me! Io guardo Malala e sento crescere la fede nel futuro. In Nigeria ho incontrato persone incredibili, che chiedono ai loro governi di cambiare. L’Africa è un’opportunità . Tutti pensano che il Ventunesimo secolo sia della Cina, eccetto i cinesi che invece vanno in Africa. Le statistiche demografiche dicono che per il 2050 la popolazione africana sarà 2,5 volte quella della Cina. Pensa a quel che ciò significa per l’arte, la musica, l’economia. Il nostro vicino di casa sta per diventare un gigante. Aiutarlo è un buon investimento. Che verrà ripagato in modi che non riusciamo neppure a immaginare. Il momento è ora, ed è anche eccitante. Lagos fa sembrare New York una città sonnacchiosa. È come una botta di adrenalina al petto, come Uma Thurman in Pulp Fiction».
Quest’anno One ha prodotto un documento dal titolo: “La povertà è sessista” e ha raccolto le firme per una lettera aperta che è stata mandata ad Angela Merkel prima del G7 chiedendole di focalizzare gli sforzi per lo sviluppo sulle donne.
Perchè sono così importanti nella lotta contro la povertà estrema e la fame?
«Le donne portano il peso maggiore della povertà estrema. Sono responsabili dell’approvvigionamento alimentare. Cercano di accudire i bambini e sono gli esseri più in pericolo. Vulnerabili. Non c’è da meravigliarsi che siano proprio loro le interpreti migliori del cambiamento».
Bono, dopo i due concerti torinesi, ha raggiunto a Milano Matteo Renzi per partecipare ad Expo a un evento organizzato da Italia e Irlanda di sostegno alle iniziative del World Food Programme intitolato: «Dipende da me: come il mondo può mettere fine alla fame in una generazione».
Qui, accolto da un’ovazione ha scandito il suo credo: «Possiamo risolvere il problema della fame e della povertà nel mondo: sì, assolutamente, c’è cibo a sufficienza nel mondo per risolvere il problema, quella che manca è la volontà ».
Accanto a lui c’era il premier italiano che ha preso l’impegno di tornare ad essere entro il 2017 al quarto posto (oggi siamo gli ultimi) tra i Paesi del G7 per finanziamenti al Fondo Globale contro la povertà e per la salute.
Quando saliamo in macchina gli chiedo se ci crede e lui è positivo: «Va dato credito al primo ministro Renzi di aver parlato per primo della necessità di affrontare in ambito europeo il problema dei migranti e dei rifugiati, ma è stato sovrastato da chi lo ha giudicato ridicolo. Ma non lo era, era l’unica risposta sensata, corretta. Il cambiamento si vede fin dal linguaggio del corpo. Un Paese che adotta buone decisioni cambia il proprio linguaggio del corpo. Sono triste che all’inizio della crisi Cameron non abbia mostrato la stessa attitudine. Quanto all’impegno finanziario italiano, Renzi mi sembra davvero intenzionato a combattere questa battaglia, mi piace il suo “italian ego” quando dice “non saremo i settimi nel G7 riguardo le politiche sulla povertà ma dobbiamo essere quarti”.
L’Italia è un grande Paese, ci ha dato il Rinascimento, le strade e la compassione e questo non può essere dimenticato. Non conosco molto Renzi, ma quello che ho visto fino ad ora mi piace».
Nel 2009, per l’edizione speciale sull’Africa organizzammo un’intervista di Geldof a Berlusconi e tra loro furono scintille. One ha molto criticato l’ex premier italiano per il suo mancato impegno nel fondo contro la povertà ma oggi vuole ricordarne anche un’altra faccia: «Perchè tutto è partito da voi. Fu Berlusconi nel G8 di Genova a voler il fondo contro la povertà , anche se dopo non lo finanziò a dovere. Ma bisogna dargli il merito dell’idea».
Proprio Bob Geldof si è offerto di ospitare quattro famiglie di rifugiati nelle sue case e il Papa ha chiesto che ogni parrocchia dia ospitalità a una famiglia, gli chiedo cosa pensi di fare lui.
«Ne stiamo parlando a casa. Sarebbe una cosa ottima per i ragazzi. È complicato, bisogna capire come farli entrare nel nostro Paese (Bono vive poco distante da Dublino), ma penso che come dichiarazione di solidarietà sia importante. La nostra casa è a disposizione. Il Papa che apre le chiese compie un gesto pratico, che è simbolico del suo impegno di ritornare alla chiesa dei poveri. Nelle Scritture ci sono oltre 2mila passi sui poveri. Gesù parla di giudizio universale solo una volta e non lo fa a proposito dei comportamenti sessuali, ma su come trattiamo i poveri».
Siamo diretti in piazza del Duomo a Milano, siamo quasi in centro e allora chiede alla macchina di rallentare perchè ha voglia di parlare, è naturale che Papa Francesco lo ispiri e così il Giubileo: «Questo Papa è un poeta, con le parole e con i simboli. Sono felice di poter provare a lavorare con lui come facemmo nella campagna sulla cancellazione del debito con Giovanni Paolo II che mostrò una leadership incredibile. Grazie alla cancellazione del debito 54 milioni di ragazzi sono riusciti ad andare a scuola. Anche se poi la Chiesa ha sbagliato a non rivendicarla a sè. Questo Giubileo sarà di nuovo un fenomeno mondiale. È il Giubileo della Misericordia, che può essere un concetto astratto, ma la misericordia articolata in azioni di cambiamento, delle persone e della politica può fare la differenza». Si ferma un momento, si mette a ridere e punta il dito: «Guarda che non sto facendo proselitismo, io sono cattolico solo per metà , mio padre era cattolico e mia madre protestante».
Questo mese si terrà a New York un vertice delle Nazioni Unite in cui verranno stabiliti i nuovi obiettivi di sviluppo per i prossimi 15 anni. Questi obiettivi sostituiranno i famosi obiettivi del millennio e saranno basati su un nuovo approccio: un’agenda più larga che conterrà anche temi economici e sociali e i problemi del cambiamento climatico.
Non si può più ragionare soltanto di problemi medici, della fame e della povertà senza affrontare desertificazione, mancanza d’acqua o analfabetismo.
È un approccio che Bono e la sua organizzazione sposano completamente: «One ha obiettivi globali, che sono estremamente utili per misurare i nostri progressi. Ma sul piano personale sono davvero coinvolto da quel che stiamo cercando di fare contro la corruzione, che uccide più bambini di Aids, malaria e tubercolosi messe insieme. Se fermiamo la corruzione ci renderemo conto che l’Africa è ricca, la sua povertà è dovuta alla cattiva gestione delle risorse. Sono convinto che quando i nuovi africani spodesteranno i vecchi vedremo il cambiamento. Uno dei modi in cui One sta cercando di cambiare le cose riguarda l’industria del petrolio e del gas. C’è un nuovo detto in Africa: “Prega che non scoprano il petrolio”. Non dovrebbe essere così. L’Italia in Africa ha un’azienda, l’Eni, che ha una grande responsabilità . Da quel che capisco è intenzionata ad agire con correttezza. Bene, la cosa più importante che può fare è impegnarsi a rispettare l’agenda della trasparenza, si chiama “pubblica quel che hai pagato”.
Si tratta di dichiarare quel che hai pagato per i diritti di estrazione, perchè in quell’opacità prospera la corruzione. Non dev’essere un’adesione formale ma di sostanza. Si può trasformare in uno stimolo enorme anche per gli Stati Uniti. George Soros ci ha aiutato a portare la questione al congresso, ma ora alcune lobby americane stanno cercando di bloccarla. L’Eni potrebbe avere un ruolo enorme nel dimostrare che si può fare. La lotta alla corruzione è il tema che in questo momento mi appassiona di più».
Altro tema fondamentale per Bono è la ricostituzione dei fondi del World Food Programme, che ogni anno non sa su quali finanziamenti potrà contare per l’anno successivo: «Stiamo lavorando su questo con Red (un’organizzazione creata 9 anni fa per combattere l’Aids) con l’obiettivo di coinvolgere altre aziende oltre ad Apple, Starbucks e a quelle che ci hanno sostenuto finora. Sarebbe meraviglioso se anche imprese italiane volessero far parte di questo sforzo. Oggi One in Italia vuole crescere come accaduto in Germania dove abbiamo 150mila associati. Il vostro Paese potrebbe avere la leadership su questi temi».
Siamo arrivati al Museo del Novecento, l’intervista è finita ma ha ancora voglia di parlare dei suoi modelli africani, lui che ha sempre avuto Nelson Mandela come fonte di ispirazione.
Gli chiedo cosa direbbe Madiba di questa crisi di rifugiati, di questo fiume di gente che parte dall’Africa verso Europa?
Aspetta un po’ prima di rispondere, non vuole improvvisare: «So cosa risponderebbe il suo amico più caro, Desmond Tutu. Direbbe che il piccolo Aylan, annegato sulla spiaggia, è Gesù. E che ogni persona che ha perso tutto porta in sè la divinità . Il modo in cui trattiamo queste persone è il modo in cui trattiamo Gesù Cristo. Mandela invece direbbe (e lo imita con la voce): “È sempre impossibile finchè non si fa”».
Mario Calabresi e Massimo Russo
(da “La Stampa”)
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Settembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
NASCE “RAGGRUPPAMENTO BLU, BIANCO E ROSSO” CHE POTREBBE NUOCERE AL FRONT NATIONAL: 300 ADERENTI ALL’ASSEMBLEA DI MARSIGLIA
Jean-Marie Le Pen ha annunciato che formerà un nuovo partito di cui faranno parte i transfughi del Front National che gli sono ancora fedeli.
Lo riporta France 24 online. Di fronte a 300 sostenitori, riuniti in un ristorante a Marsiglia, l’87enne fondatore del Front National ha detto che la nuova formazione si chiamerà “Raggruppamento Blu, Bianco e Rosso” e seguirà le linee di azione del suo vecchio partito «senza farne parte».
«Non resterete orfani», ha detto ai suoi.
La decisione arriva a pochi giorni di distanza dall’annuncio da parte della figlia Marine e attuale presidente del Front National che il padre non sarebbe stato capolista del partito alle elezioni regionali in Provenza-Costa Azzurra.
Marine ha motivato la sua decisione in poche parole: «Il suo obiettivo è nuocermi».
Per Marine Le Pen sta diventando sempre più complicato gestire il processo di normalizzazione del partito con gli estremismi del padre.
Questi pochi giorni fa ha definito in un’intervista le camere a gas «un dettaglio storico», difendendo l’operato del maresciallo Petain, capo della Francia collaborazionista durante la Seconda guerra mondiale.
Con l’annuncio del nuovo partito “Raggruppamento Blu, Bianco e Rosso”, padre e figlia prendono due strane diverse confermando ufficialmente una spaccatura insanabile.
(da “il Sole24Ore)
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Settembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
LA POLITICA DI ACCOGLIENZA PER CANCELLARE PER SEMPRE L’IMMAGINE DEL NAZISMO
Deutschland à¼ber alles! Poche storie. 
Con la spettacolare mossa delle frontiere aperte — un’apertura degna di una mirabile partita a scacchi del grandissimo Kasparov — la Germania ha cancellato il volto arcigno della teutonica potenza che ha annichilito ed umiliato la Grecia squattrinata di Tsipras e dell’irresponsabile Varoufakis.
L’immagine della crudele ed insensibile intransigenza finanziaria di Berlino è stata prontamente rimossa dalla nemesi etica e morale di Angela Merkel che ha rilanciato la leadership tedesca in Europa sul fronte della democrazia civile e sui valori fondanti della libertà , della solidarietà , dell’eguaglianza.
Valori indiscutibili. Difesi ad oltranza da chi, in un non lontano passato, è precipitato ed affondato nella dittatura nazista e nell’orrore delle sue derive totalitarie.
La scelta di Sophie, pardòn, di Angela Merkel, è inequivocabile: no alla paura, no ai muri, ai fili spinati, agli eserciti che respingono, ai poliziotti che marchiano; sì ad una società aperta, cosmopolita, dinamica.
La Germania, dunque, come “rifugio”.
Insomma, quella della Germania che apre le frontiere (come l’Austria), soprattutto il modo dell’accoglienza — doni, Inno alla Gioia, applausi — diventa una “lezione” non solo politica a tutto il resto dell’Europa: “Il diritto d’asilo non ha limiti per ciò che riguarda il numero dei richiedenti”, ha dichiarato Angela Merkel, precisando tuttavia che le regole di Dublino sui flussi concordati dei migranti restano valide.
Lo spiega nell’intervista rilasciata sabato 5 settembre al Funke Mediengrup, “l’Europa deve dare una prova comune di solidarietà e rispetto delle regole”.
Però aggiunge subito: “I profughi che scappano dalla guerra civile siriana hanno lasciato dietro di sè l’orrore. Per quanto riguarda la Germania è bello constatare quanto grande sia la disponibilità all’aiuto nel nostro paese. Siamo di fronte ad una sfida nazionale: la Repubblica Federale tedesca, i suoi laender e i suoi cittadini sentono la responsabilità comune e condivideranno gli oneri finanziari”.
Tok! Prima botta, diretta a chi grida contro i profughi che “costano” e che “ci rubano risorse”.
Ma non è tutto. C’è una seconda staffilata.
Contro Bruxelles. Contro quei governi che erigono barriere. Che si rifiutano di accogliere: “Così com’è, la politica di asilo europeo non funziona. Il governo tedesco si sta impegnando per far sì che tutti i paesi membri siano all’altezza dei valori europei di umanità e di accoglienza”.
La Merkel impartisce i tempi della sua lezione: “Deve esserci una equa ripartizione di compiti e incombenze, in modo che non continui la situazione per cui pochi stati accolgono da soli la maggior parte dei profughi. Tutta l’Europa è chiamata in causa”.
Non si può restare, non si deve restare indifferenti, diceva Elie Wiesel, di fronte all’incalzare dell’orrore, al nichilismo, al disprezzo delle persone.
Un conto è la ragion di Stato, un altro è il dolore, la pietà , il dovere di aiutare.
La Merkel ha giocato d’anticipo, captando il malessere dei tedeschi, quello stesso malessere — il senso dell’equità stravolto — che persino un giornale popolare e sovente populista come la Bild Zeitung, il più diffuso in Germania, ha interpretato, invitando la gente ad accogliere chi fuggiva dall’atrocità della guerra, dalla disperazione, dalle distruzioni.
La stragrande maggioranza dei tedeschi si è ribellata all’operato di quei Paesi, come l’Ungheria, la Slovacchia e la Repubblica Ceca, che hanno trattato i profughi in maniera ostile e poliziesca.
Hanno rivissuto le pagine oscure della loro Storia. Odio e violenza. Su questo, la Merkel è categorica: “Ci deve essere tolleranza zero per odio e xenofobia. Non sarebbe la Germania che sogno e fortunatamente non è neanche quella della stragrande maggioranza dei tedeschi”.
La Germania — e l’Austria — dal volto umano è quella delle auto che si dirigono in Ungheria per andare a prendere i profughi arrivati a Budapest.
E’ quella che si autotassa per provvedere ai bisogni primari di chi arriva, stremato, in Baviera.
La maggioranza dei tedeschi non vuole una “Dunkles Deutschland”, una Germania oscura come paventa il presidente Joachim Gauck, choccato dopo i raid neonazisti contro i rifugiati.
Der Spiegel racconta il risentimento e la rabbia che circola in certe zone della Germania riunificata (in Bassa Sassonia, soprattutto), i tentennamenti fra paura e coraggio, gli atteggiamenti burocratici nei confronti del fenomeno, la consapevolezza comunque che il flusso non si arresterà e che i rifugiati cambieranno “di certo” la Germania.
Il 60% dei tedeschi, secondo un recentissimo sondaggio, è convinto che il paese sia in grado di accogliere i profughi, e che essi possano essere una risorsa, non soltanto un peso.
C’è una mobilitazione, in particolare della classe media, a favore dell’accoglienza, una sorta di “preparazione del campo”, perchè il sentire comune della “buona volontà ” si traduca in iniziative concrete.
A cominciare dai rapporti con i rifugiati e le loro culture: “La tolleranza aumenterà e gli stranieri saranno accolti con un atteggiamento nuovo, senza pregiudizi ma anche senza illusioni”, si legge nella bella inchiesta dello Spiegel.
Insomma, la “lezione” della Germania, più che una sfida, è un gesto di speranza. Di ottimismo.
Tra costruire muri e dare fiato alla paura, o aprire le porte e cercare di fare in modo che la società resti una società aperta, i tedeschi stanno scegliendo non solo l’opzione delle frontiere aperte, ma quello di un abbraccio che significa proviamo a vivere insieme, proviamo a farvi dimenticare l’incubo della fuga, sappiamo bene cosa vuol dire essere stati sotto il tallone della dittatura, e delle atrocità . Abbiamo speso settant’anni per cancellare il nazismo, non ci può essere alcuna tolleranza per chi mette in discussione la dignità di altri esseri umani. Noi non vogliamo più che si ripeti una simile vergogna che purtroppo ci peserà addosso per sempre (la Storia non si cancella, dobbiamo semmai evitare che si ripeta). Non siamo come coloro che vi insultano, e vi augurano di crepare in mare o a casa vostra.
La violenza simbolica della foto di quel piccolo che le onde del mare hanno spiaggiato in Turchia è stata fondamentale per le nostre coscienze.
Aiutare, ripetono da Berlino e da Vienna, è un obbligo: per motivi giuridici, oltre che per motivi umanitari.
Placare i timori della gente — sentimenti meschini come quelli di tenere che “loro” sfruttino le nostre strutture sociali che non hanno contribuito a creare, o che portino con sè tradizioni culturali non “europee” (tipo il fondamentalismo islamico: ma allora perchè scappano dalla jihad?) — è giusto, e un governo capace dovrebbe pensarci.
E dovrebbe ricordare come, nell’inverno del 1956, proprio in seguito all’invasione sovietica dell’Ungheria e all’implacabile repressione della rivolta di Budapest, fuggirono 300mila ungheresi che vennero accolti a braccia aperte in Occidente.
Marco Pasciuti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
IL PD CERCA I 161 VOTI NECESSARI, RENZI SI GIOCA LA FACCIA
Per dirla coi ribelli bersaniani, quella della riforma costituzionale al Senato,alias ddl Boschi, non solo sarà “la madre di tutte le battaglie”, ma sarà anche “la prima battaglia in cui Renzi non è più forte come prima”.
Nel senso che la minaccia del voto anticipato alla fine potrebbe rivelarsi un bluff perchè stavolta sarebbe lo stesso premier ad aver paura delle urne, in compagnia di tanti altri, tra cui Berlusconi e Alfano.
Verità o suggestione o speranza che sia, la guerra sul terzo passaggio della prima lettura della riforma (la Costituzione ne prevede quattro, di letture) andrà in scena a metà settembre dopo un’estate di trattative, minacce e persino di un insistente “pestaggio mediatico” contro la minoranza dem da parte degli ultrà renziani.
La sostanza in palio è nota da tempo.
Un tormentone legato agli emendamenti bersaniani per ritornare al Senato elettivo e finora schiantatisi sul muro eretto dall’ortodossia democrat più hard, incarnata dalla ministra Boschi.
A conferma di questa strategia della maggioranza c’è lo scouting in corso da settimane. A tutto campo.
Per arrivare a quota 161, il numeretto necessario per l’approvazione al Senato, i renziani non fanno distinzione tra bersaniani e verdiniani, forzisti e autonomisti di varia estrazione.
Offerte e minacce, legate a ricandidature e al voto anticipato.
Stavolta, però, è proprio così o, appunto, il premier sta bluffando? Solo l’esito della battaglia stabilirà vincitori e vinti e al momento i bersaniani non sembrano arretrare, rifiutando le ipotesi di compromesso che non toccano l’articolo 2 della riforma, quello che definisce la natura del Senato.
Forse si spaccheranno, forse no. Senza di loro i numeri non ci sono e la rottura non è esclusa se la minoranza già pensa di appellarsi alla libertà di coscienza.
Dice il senatore Federico Fornaro, tra i bersaniani più lucidi: “Stando a quello che si legge, il Pd lascerebbe la libertà di coscienza sulle unioni civili ma non sulla riforma della Costituzione, come invece il nostro regolamento prevede”.
Chiaro, chiarissimo che sarà un voto blindato e da lì dipenderà il prosieguo della legislatura.
Nello scenario peggiore per il Pd, le urne anticipate significherebbero automaticamente la scissione bersaniana.
Altrimenti chi ricandiderebbe i senatori ribelli? L’onere della prova, in ogni caso, spetta al premier e la minoranza scommette pure su un fallimento confermativo del referendum previsto nell’autunno del 2016, qualora il ddl Boschi dovesse essere approvato.
Fabrizio D’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
LARS FELD, IL CONSIGLIERE ECONOMICO DELLA MERKEL BOCCIA RENZI
Lars Feld, l’economista più influente della Germania, non ha dubbi. Mentre secondo Pier Carlo
Padoan il funerale delle tasse sulla casa annunciato da Matteo Renzi per il prossimo dicembre si farà e sarà seguito dalla scomparsa di molte altre imposizioni fiscali, per l’ascoltatissimo consigliere di Angela Merkel, quella del premier italiano è una scelta irragionevole e molto probabilmente dettata da esigenze elettorali.
E il motivo della sua valutazione non sta in un teutonico no alla violazione delle regole comunitarie, bensì nella semplice constatazione del fatto che la cancellazione di Imu,Tasi e affini non avrà alcun impatto sulla crescita italiana.
E per di più potrebbe costarci nuovi tagli della spesa pubblica già fresca di poderose sforbiciate a colonne portanti del welfare come la sanità .
“Non credo che sia una scelta ragionevole. Penso che la pressione fiscale in Italia sia molto alta, ma se Renzi vuole spingere la crescita, deve migliorare le condizioni di investimento — spiega a ilfattoquotidiano.it il professore dell’Università di Friburgo nel corso di un’intervista a margine del Forum The European House Ambrosetti -. Questo significa che le tasse sugli utili delle imprese e quelle sui redditi individuali sono molto più importanti delle imposte sulla proprietà o delle tasse sulla casa. E vuol dire che se Renzi vuole attenuare la pressione fiscale, deve ragionare su altri tipi di tassazione, non su quelle sulla casa”.
Proprio come suggerisce Bruxelles e, va riconosciuto, come sarebbe effettivamente ragionevole nonchè utile a spingere investimenti e consumi. Ma come mai allora il presidente del Consiglio italiano insiste nell’andare nella direzione opposta?
“Non saprei. Forse ha paura che gli elettori sarebbero scontenti se le tasse sulla casa dovessero rimanere alte mentre vengono tagliate delle altre imposte”, commenta senza mezzi termini l’economista che siede nel Consiglio Tedesco degli Esperti Economici, ammettendo che la politica fiscale è sempre una “scelta politica“, dato che “c’è sempre una sorta di ridistribuzione in base alla tipologia di tasse sulle quali si decide di agire”.
Da Bruxelles, in ogni caso, è probabile che non arriveranno “conseguenze troppo pesanti”, a condizione chiaramente che il taglio delle tasse sulla casa non comporti uno “sforamento del tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil.
Quello che questa nuova scelta fiscale farà , è modificare le misure di prevenzione contenute nel patto di stabilità e crescita e le stime sulla capacità del Paese di ridurre il rapporto debito/Pil”. Naturale quindi ritenere che “la Commissione chiederà delle compensazioni, forse sul fronte dei tagli“.
Cioè ulteriori coperture attraverso una riduzione della spesa pubblica. Un conto che potrebbe essere salato viste le cifre in gioco, nonostante gli effetti positivi sulla crescita della cancellazione di Tasi e Imu siano ancora tutti da dimostrare.
“Non credo ci sarà alcun effetto sulla crescita. La speranza è che i consumi aumentino in seguito al taglio delle tasse sulla casa, ma non è il problema principale dell’economia italiana, che invece riguarda le condizioni di investimento troppo sfavorevoli per gli investitori e questo deve essere migliorato”.
Il riferimento è ancora una volta alle imposte sugli utili delle imprese “che in Italia sono alte in confronto al resto d’Europa e del mondo e che quindi andrebbero abbassate”.
Ma non solo: “Ci sono cose oltre alle tasse che frenano gli investitori, principalmente le condizioni del mercato del lavoro“, aggiunge.
Una doccia fredda per Renzi che non più tardi di 20 giorni fa nel corso della visita della Merkel all’Expo meneghina aveva tessuto le lodi della sua riforma del lavoro, sottolineando che i dati Inps sull’occupazione a tempo indeterminato “dimostrano come il Jobs Act stia funzionando molto bene”.
Evidentemente Berlino, nonostante gli elogi espressi a Roma quando la riforma era appena stata approvata, non la pensa esattamente così.
Cosa non va nel Jobs act?
“Innanzitutto manca l’implementazione: avete fatto la riforma, ma il sistema giudiridico ha ancora un forte peso sul reale impatto della regolamentazione. Se per esempio si confrontano le leggi sul licenziamento e le decisioni dei tribunali sui licenziamenti individuali, non è cambiato molto. Il successo della riforma del lavoro italiana è legato alla riforma del sistema giuridico e non credo che questo possa essere raggiunto facilmente. Avrei preferito una riduzione dell’impatto delle decisioni del sistema giuridico sulla regolamentazione del mercato del lavoro”.
Anche perchè “avere una chiara indicazione su quanto ti costerà licenziare qualcuno è molto importante per chi investe”.
Quanto alla relazione tra le performance dei singoli Paesi Ue e le rispettive bilance commerciali, Feld nega che il surplus tedesco nell’export possa tradursi in un ostacolo per i partner europei.
“Le bilance commerciali sono il risultato dalle decisioni individuali di consumatori e imprese dei singoli Paesi. Non appena le diverse economie diventeranno più competitive la bilancia cambierà . In particolare se guardiamo ai dati più recenti possiamo dire che la bilancia commerciale bilaterale tra la Germania e i partner della zona euro è cambiata diventando più equilibrata. Paese a parte è la Francia, non l’Italia. Quindi la bilancia commerciale non è più un problema nell’unione monetaria se non per i francesi. L’abbondante surplus che la Germania sta realizzando arriva da Paesi esterni alla Ue, principalmente dagli Usa, che stanno diventando il più importante partner commerciale al posto della Francia, e dall’altro lato dai Paesi emergenti come la Cina“.
Insomma, niente illusoni: “Riequilibrare la bilancia commerciale tedesca attraverso uno stimolo della domanda interna non è al momento un obiettivo del governo di Angela Merkel”.
La parola d’ordine rimane sempre la stessa: competitività .
Ma non si tratta di pianificare la produzione industriale o di sterzare sul mercato dei servizi.
Feld si fida del mercato: “Sono un economista liberale, per questo sostengo che anche in Italia si debba semplicemente aiutare gli investitori e loro troveranno da soli i prodotti che vendono. Sono sempre rimasto impressionato dalla capacità delle imprese italiane di vendere prodotti di alta qualità all’estero nonostante le molte “restrizioni” che subiscono dal lato politico. Ma adesso le “restrizioni” per loro sono troppo forti, al punto che non saranno in grado di innovare come hanno fatto finora. Parliamoci chiaro: ormai molte aziende italiane investono all’estero. E una delle imprese leader, la Fiat, non è più un’azienda italiana”.
F. Baraggino e G. Scacciavillani
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
“L’ELETTORATO DI DESTRA NON VA A VOTARE IN ATTESA DI UN LEADER CREDIBILE, SALVINI NON LO E'”
Con la riapertura di Camera e Senato questa settimana riparte, di fatto, la stagione politica, ai box per la pausa estiva.
E con il nuovo inizio riapre la stagione dei talk e dell’approfondimento politico.
La domanda che a cui si proverà a rispondere in queste settimane è: “Ce la farà Renzi ad arrivare a fine legislatura?”.
Il direttore del Tg di La7 Enrico Mentana in un’intervista al Fatto dice la sua: “Io credo che prima del 2018 non si andrà a votare”.
Troppo confuso, secondo Mentana, il fronte di opposizione al premier:
“Osservo un fronte non molto organico, così – dice – l’ex sindaco di Firenze può vincere ogni partita”.
Nessuno, spiega ancora il direttore, è davvero in grado di contendere il potere al – lo chiama così – il fiorentino: “Il movimento di Civati deve crescere, gli ex comunisti sono all’ultimo giro. Siamo sinceri – continua – sono personaggi in cerca di autore”.
Sul futuro del centro destra invece Mentana non vede Salvini leader: “A destra c’è elettorato, manca solo un Renzi. Non c’è stata una fuga di voti causata dall’ascesa del fiorentino, semplicemente molti a destra si sono astenuti nell’attesa di un leader. Per tutti questi motivi – ammette – il governo è stabile”.
(da “Huffingtonpost“)
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